EDITORIALE
Nadia Magnani
Edvige Facchi
Giuseppe Cardamone
Il problema è la “pandemia che perdura”. La seconda/terza (e future?) ondate della pandemia costituiscono criticità indubbiamente maggiori rispetto alla prima fase. Nel termine emergenza è compreso il senso di una condizione grave che perdura per un tempo limitato, mentre la pandemia appare oggi una dimensione con cui convivere.
Sia a livello individuale che a livello di sistema sociale e/o di istituzioni, molto diverso è il grado di resilienza con il quale possiamo affrontare uno stress acuto, cui seguono meccanismi di adattamento e di compenso, piuttosto che uno stress cronico, dove inevitabilmente si intrecciano e si interrelano fattori biologici (malattia fisica), psicologici (disagio) e socio-economici (dati Istat: nel 2020 rispetto al 2019, un milione di persone in più in condizione di povertà assoluta).
È ormai evidente come la pandemia abbia acuito le differenze e le disuguaglianze con un diverso impatto sulle categorie fragili, come gli anziani (in termini di rischio biologico), i portatori di handicap ed i soggetti con disagio psichico (in termini di rischio biologico e di riduzione delle opportunità) ma anche i bambini e gli adolescenti (in termini di privazione delle relazioni tra pari e della possibilità di agire queste in contesti “protetti” come la scuola, relazioni che di fatto costituiscono fattori fondativi dell’identità).
L’inevitabile impatto della pandemia sull’amplificazione del divario socio-economico ha colpito i giovani adulti (dati Istat: aumento della povertà maggiore per gli occupati tra i 35 e i 44 anni) ma anche i minori (l’incidenza di povertà tra gli individui minori di 18 anni sale nel 2020 di oltre due punti percentuali, 209mila bambini e ragazzi poveri in più rispetto all’anno precedente).
Leggi tutto