Volume 22 - 25 Marzo 2021

Numero speciale: "Salute mentale e contesto pandemico"

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Deficit cognitivi nell’infezione da virus SARS-CoV-2

Autori

(Ricevuto il 28 febbraio 2021; accettato il 09 marzo 2021)



Riassunto

L’infezione da SARS-CoV-2 produce sintomi che interessano prevalentemente l’apparato respiratorio determinando patologie significativamente invalidanti anche a lungo termine. In letteratura sono anche descritti casi di pazienti che presentano sintomi neurologici come encefalite e ictus cerebrale correlabili al virus e che mostrano evidente compromissione delle funzioni cognitive. Alcuni pazienti che hanno contratto la malattia sembrano però presentare sintomi della sfera cognitiva anche in assenza di evidente patologia neurologica. Le ipotesi più accreditate suggeriscono un meccanismo diretto dovuto al particolare tropismo del virus per il sistema nervoso centrale o uno indiretto correlabile alla prolungata ipossia alla quale i pazienti vengono frequentemente esposti durante la malattia. In entrambi i casi si ritiene appropriato un approfondimento diagnostico neuropsicologico ed un eventuale percorso riabilitativo.


Abstract

SARS-CoV-2 infection produces symptoms that mainly affect the respiratory system, impairing people for a long time in daily activities. Researchers have described patients with neurological symptoms such as encephalitis and stroke related to the virus, with evident impairment of cognitive functions. However, some patients who have contracted the Virus disease seem to present cognitive symptoms even in the absence of evident neurological pathology. The most accredited hypotheses suggest a direct mechanism due to the tropism that the virus has for the central nervous system or an indirect one related to the prolonged hypoxia to which patients are frequently exposed during the disease period. In both cases, in our opinion, neuropsychological evaluation and cognitive rehabilitation are to be considered appropriate.


Il virus, SARS-CoV-2 (Severe Acute Respiratory Syndrome CoronaVirus 2), appartenente alla famiglia dei coronavirus è responsabile del COVID-19 (acronimo dall’inglese COronaVIrus Disease 19). La malattia, altamente patogena e contagiosa, è emersa a Whuan (Cina) nel dicembre del 2019 ed è diventata pandemica in soli due mesi. La pandemia da COVID-19 al febbraio 2021, ha determinato nel mondo circa 110 milioni di casi e circa 2,5 milioni di decessi [1].

La malattia si presenta con manifestazioni prevalentemente respiratorie di varia gravità, che vanno da condizioni cliniche pressoché asintomatiche a forme lievi con tosse secca, dispnea e fatica ma anche a forme con complicanze cardiorespiratorie, neurologiche o sistemiche fino alla necessità di ospedalizzazione e ventilazione meccanica [2]. Nel 2,4% dei casi la malattia risulta mortale [1] mentre per i pazienti ospedalizzati sono stati osservati esiti consistenti che nel 20% dei casi hanno necessitato di intervento riabilitativo complesso [3].

Seppure i sintomi respiratori accompagnati da febbre, segni di rigidità articolare, dolore e facile affaticabilità, siano le manifestazioni più note, queste non rappresentano l’unica espressione clinica della malattia. Ci sono infatti evidenze crescenti del frequente coinvolgimento del sistema nervoso periferico con manifestazioni riconducibili a poliradicolonevriti di varia gravità [4] e del sistema nervoso centrale con vertigini, cefalea, ageusia ed anosmia. Sono infine descritti casi molto gravi che hanno presentato encefalite e ictus [2]. Secondo Helms et al., i sintomi neurologici interessano i pazienti in circa l’84% dei casi ed in circa il 33% di questi ci sono anche alterazioni neuropsicologiche come disorientamento, disturbi dell’attenzione e della memoria [5].

Le manifestazioni neurologiche sembrano essere correlate sia agli effetti diretti del virus sul Sistema Nervoso Centrale, sia alla malattia immuno-mediata post-infettiva [5], [10], [14] correlato al ruolo infiammatorio diretto causato dal recettore dell’Enzima 2 convertitore dell’angiotensina [15].

Precedenti studi sul SARS-CoV-1 (causa della sindrome respiratoria acuta grave) e sul MERS-CoV (causa della sindrome respiratoria del Medio Oriente), hanno ipotizzato che vi sia un’iniziale interessamento del Sistema Nervoso Periferico, principalmente del nervo olfattorio, ed il successivo trasferimento trans-sinaptico al tronco encefalico che diffonde il virus all’interno del Sistema Nervoso Centrale. Un altro meccanismo proposto per spiegare l’interessamento del sistema nervoso centrale chiama in causa l’alterazione della permeabilità della barriera ematoencefalica, compromessa durante la risposta infiammatoria all’infezione [10].

I reperti autoptici delle vittime di SARS-CoV-1, in seguito all'epidemia del 2003, hanno rivelato la presenza di sequenze del genoma della SARS-CoV in tutta la corteccia cerebrale e nell'ipotalamo; mentre, in pazienti infettati da MERS-CoV, sono state identificate lesioni diffuse in diverse regioni del cervello, come la sostanza bianca e le aree sottocorticali dei lobi frontali, temporali e parietali [10]. Il lobo temporale, inoltre, sembra essere interessato costantemente dai coronavirus umani. L’interessamento del tronco encefalico e dei centri midollari cardiorespiratori, potrebbero giocare un ruolo significativo sia nell’insufficienza respiratoria sia nella determinazione dei deficit cognitivi rilevati in questi pazienti [8]. Inoltre, l’elevato numero di enzimi coinvolti nella risposta infiammatoria al virus, maggiormente localizzati nelle aree limbiche e nelle strutture cerebrali associate, quali l’ippocampo e i gangli della base, rispetto ad altre aree cerebrali [11, 12] eserciterebbero un ruolo determinante nell’insorgenza dei deficit neurocognitivi nel COVID-19 quali disturbi attentivi, mnestici ed emotivi.

Dato la difficoltà dei servizi di effettuare una appropriata valutazione neuropsicologica, le percentuali di incidenza di deficit cognitivi riportate negli studi finora pubblicati presentavo un’ampia variabilità che oscilla tra il 26% e l’81% [8] [9].

Nello studio di Varatharaj et al., [6] è stato descritto un campione di 125 pazienti affetti da COVID-19 con necessità di ricovero ospedaliero ed alterazioni neurologiche/neuropsichiatriche, dei quali il 26% è risultato affetto da disturbi neurocognitivi. Il 62% di questi pazienti aveva subito un evento cerebrovascolare, il 31% aveva uno stato mentale alterato. Di questi ultimi, il 18% è risultato affetto da encefalite, il 23% da encefalopatia non specificata e il 59% da disturbo neuropsichiatrico.

I dati presenti indicano complessivamente una riduzione dei punteggi agli indici di funzionamento cognitivo globale [18], [7], [3], ottenuti mediante batterie di screening del profilo cognitivo ottenuto con somministrazione di MMSE (Mini Mental State Examination) e di MoCA (Montreal Cognitive Assessment) mentre la compromissione della funzionalità attentiva [19] ed esecutiva, cui si associa un incremento del grado di faticabilità fisica e mentale [20] oltre alla presenza di sintomi clinici di ansia e depressione [20], [18], [7] sono state riscontrate mediante la somministrazione di prove neuropsicologiche specifiche.

In particolare, nello studio di Negrini et al. [7], l’indagine dell’impatto del COVID sulle funzioni cognitive di 9 pazienti con anamnesi premorbosa negativa per disturbi cognitivi o psicologici, ha rilevato prestazioni deficitarie nelle prove riguardanti il dominio dell’attenzione, del calcolo, della memoria a breve termine, della prassia costruttiva e del linguaggio scritto. In un paziente è stata rilevata una caduta nel funzionamento esecutivo frontale, con deficit di concettualizzazione, flessibilità mentale e programmazione motoria rilevati mediante la batteria Frontal Assessment Battery.

Le motivazioni che possano spiegare la compromissione delle funzioni cognitive dopo infezione da Covid-19 non sono state ancora chiarite.

Nel lavoro di Alemanno è stata osservata una correlazione tra la tipologia di assistenza ventilatoria erogata al paziente durante la fase di anossia e la compromissione delle funzioni cognitive mettendo in evidenza che i pazienti che avevano beneficiato di una assistenza ventilatoria più intensiva mostravano prestazioni migliori alla valutazione delle funzioni visuo-spaziali/esecutive, del linguaggio (accesso al lessico), della memoria a breve e a lungo termine, nei compiti di astrazione e nell’orientamento. In ogni caso i disturbi cognitivi, quando presenti, persistevano ad un mese di distanza dall’esordio, espressione di quella che è stata definita “Long-COVID Syndrome” [2], [10].

Anche la durata del quadro ipossico sembra giocare un ruolo significativo nella determinazione di deficit cognitivo. In alcuni studi, infatti, l’anossia durante la malattia è stata correlata con le alterazioni dell’attenzione, della memoria verbale e delle funzioni esecutive oltre che con l’insorgenza di atrofia cerebrale con ampliamento della taglia ventricolare [10], [13].

Dato il potenziale riverbero che la compromissione delle funzioni cognitive ha sulla possibilità di riprendere il ruolo sociale e lavorativo dopo la malattia, riteniamo che sia indispensabile valutare le funzioni cognitive con specifici strumenti e promuovere il recupero delle funzioni cognitive per tutti i pazienti COVID-19 positivi anche quando la malattia non ha prodotto sintomi neurologici gravi come ictus o encefalite.


Bibliografia

1. COVID-19 Data Repository by the Center for Systems Science and Engineering (CSSE) at Johns Hopkins University.

2. Carda, S., et al., The role of physical and rehabilitation medicine in the COVID-19 pandemic: The clinician's view. Ann Phys Rehabil Med, 2020. 63(6): p. 554-556.

3. Alemanno, F., et al., COVID-19 cognitive deficits after respiratory assistance in the subacute phase: A COVID-rehabilitation unit experience. PLoS One, 2021. 16(2): p. e0246590.

4. Miners, S., P.G. Kehoe, and S. Love, Cognitive impact of COVID-19: looking beyond the short term. Alzheimers Res Ther, 2020. 12(1): p. 170.

5. Helms, J., et al., Neurologic Features in Severe SARS-CoV-2 Infection. N Engl J Med, 2020. 382(23): p. 2268-2270.

6. Varatharaj, A., et al., Neurological and neuropsychiatric complications of COVID-19 in 153 patients: a UK-wide surveillance study. Lancet Psychiatry, 2020. 7(10): p. 875-882.

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20. Ortelli P., Ferrazzoli D., Sebastianelli L., Engl M., Romanello R., Nardone R., Bonini I, Koch G., Saltuari L., Quartarone A., Oliviero A., Kofler M., Versace V. (2021). Neuropsychological and neurophysiological correlates of fatigue in post-acute patients with neurological manifestations of COVID-19: Insights into a challenging symptom. Journal of the Neurological Sciences 420 (2021) 117271