Volume 31 - 4 Novembre 2025

Integrazione fra formazione e ricerca clinica per gli psicologi dell'Azienda USL Toscana Centro


Ricevuto il 19 mag 2025; Accettato il 10 giugno 2025



Riassunto

Nell'ambito della Formazione sul Campo (FSC), la ricerca clinica rappresenta ancora oggi una quota minoritaria, se confrontata alla formazione fruita in posizione di discenti, da parte degli operatori sanitari, soprattutto per gli psicologi. La progressiva integrazione fra queste due componenti può assumere caratteri rilevanti per il miglioramento della qualità delle cure erogate sulla base di interventi fondati sulla pratica clinica e sviluppati a partire dalla raccolta di dati da parte dei Servizi. L'implementazione di questo tipo di ricerche è volta al miglioramento delle cure e dell'assistenza alle persone, attraverso convincenti criteri di efficacia clinica ed efficienza organizzativo-gestionale. Si ritiene che ciò possa progressivamente contribuire a garantire il diritto a una cura specifica, appropriata e rispettosa della persona e della sua storia, come prescritto dai Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali (PDTA) e allo stesso tempo tuteli il diritto all'equità, uniformità e universalità delle cure come previsto dalla Costituzione Italiana. Nel lavoro viene infine presentata la prima esperienza pilota dell’UOC Psicologia dell'azienda USL Toscana Centro coerente con tali premesse.

Parole chiave: formazione; Formazione sul Campo (FSC); ricerca clinica; percorsi diagnostico terapeutici assistenziali (PDTA).


Abstract

In the context of Workplace Training (WT), clinical research still represents a minority portion today, if compared to the training enjoyed in the position of learners, by health professionals, especially for psychologists. The progressive integration between these two components can take on significant characteristics for improving the quality of care provided on the basis of interventions based on clinical practice and developed starting from the collection of data by the Services. The implementation of this type of research is aimed at improving treatment and assistance to people, through convincing criteria of clinical efficacy and organizational-managerial efficiency. It is believed that this can progressively contribute to guaranteeing the right to specific, appropriate and respectful treatment of the person and his history, as prescribed by the Integrated Care Pathways (ICP) and at the same time protect the right to equity, uniformity and universality of care as provided by the universality of care as provided by the Italian constitution. Finally, the work presents the first pilot experience of the UOC Psychology of the Azienda USL Toscana Centro consistent with these premises.

Keywords: training; workplace training; clinical research; integrated care pathways


Formazione sul campo: Il binomio formazione-ricerca

Per le Aziende sanitarie la formazione riveste un ruolo strategico per lo sviluppo delle competenze dei propri professionisti in modo da garantire prestazioni appropriate ed efficaci, in linea con la domanda di salute (Azienda USL Toscana Centro, n.d.).

La formazione può assumere diverse forme: residenziale, sul campo ecc. Per gli psicologi dell'Azienda USL Toscana Centro la formazione continua ha luogo oggi essenzialmente attraverso due modalità:

  • iniziative condivise nelle unità operative professionali oppure nelle unità funzionali dipartimentali su approfondimenti diagnostici, nuovi modelli di intervento, percorsi aziendali ecc.
  • iniziative individuali, in linea (comunque) con temi clinico-terapeutici della propria area di formazione/interesse o istituzionali-organizzativi dei servizi.

Questo tipo di formazione (Accordo Stato Regioni, 2017), in cui gli psicologi sono discenti, è erogato di solito attraverso varie forme (seminari, corsi, giornate di formazione ecc.) con il coinvolgimento di accademici e/o clinici professionisti di comprovata esperienza. Altre volte viene effettuata una supervisione sui casi clinici. Questi eventi formativi rappresentano una preziosa occasione di sollecitazione intellettuale e arricchimento culturale, nonché momento stimolante di confronto, pur non potendo a volte avere ricadute operative dirette.

Una delle strategie formative adottate per l'ottimizzazione costi/benefici degli impegni formativi individuali e collettivi nelle aziende sanitarie è quella di utilizzare i momenti di incontro e discussione tra colleghi (nelle unità operative o nelle unità funzionali) come formazione accreditata ECM. Pur nel più ampio ambito del Governo Clinico (GC) anche la sistematica valutazione del rischio clinico offre momenti di approfondimento (sottoforma di Audit, M&M) compatibili con la centralità della formazione in relazione alle esperienze sul campo, con finalità correttive e di miglioramento dell'assistenza e della crescente sicurezza.

L'obiettivo di condividere conoscenze, comunicare fra colleghi, sviluppare il senso di appartenenza istituzionale, attraverso una progressiva conoscenza del contesto lavorativo operativo ed un'analisi del contesto istituzionale è un punto di forza di questo modello. Sono tutti elementi ugualmente importanti per la crescita della cultura istituzionale di ciascun operatore.

In altre regioni, come l'Emilia Romagna, ad esempio, sono già state condotte ricerche sulla soddisfazione percepita da parte degli operatori sanitari relativa alla formazione di cui sono fruitori (Agenzia sanitaria e sociale regionale, Emilia Romagna, n.d.).

È possibile ritenere queste occasioni formative sufficienti o addirittura esaustive? O converrebbe invece considerare l’attività di ricerca come importante integrazione complementare e spazio/momento formativo secondo una modalità in “prima persona” nonché, in definitiva, ulteriore strumento di conoscenza applicata al contesto?

Storicamente, in rapporto al tema della Formazione sul Campo (FSC) lo spazio dedicato alla ricerca clinica da parte degli psicologi dell’Azienda USL Toscana centro non è stato sistematico, ma lasciato ad iniziative individuali isolate, soprattutto se confrontato con il più tradizionale tema della formazione continua come discenti, in quanto apparentemente non c'è un vero e proprio mandato istituzionale esplicito. Per questo motivo può risultare ancora oggi per gli psicologi un tema astratto, pensato molto lontano dalla realtà del contesto sanitario aziendale in cui operano, come se fosse di competenza di branche più mediche o ancor più immaginato in ambito strettamente universitario. Questo è particolarmente vero quando la ricerca non viene percepita nel suo potenziale stretto collegamento alle ricadute che può avere rispetto alla qualità dell'assistenza, cioè, in particolare, quando si teme che non produca miglioramenti concreti in termini di efficacia clinica e di implicazioni organizzativo-gestionali.

Perché allora dare spazio alla ricerca?

Fare ricerca nei Servizi Pubblici permette di osservare nel suo insieme, in modo rigoroso e metodologicamente corretto, ciò di cui ci occupiamo quotidianamente, dando indicazioni specifiche per migliorare l'attività clinica e i processi organizzativo-gestionali alla base degli interventi. La ricerca deve indirizzare l'ottimizzazione dei servizi e delle procedure, per non sprecare tempo e risorse, contribuendo a implementare interventi sempre più specifici e conseguentemente più efficaci ed efficienti (Ghetti, Panella e Ridolfi, 2024; Ridolfi, 2023).

Il tempo dedicato alla ricerca non può dunque essere interpretato semplicisticamente come tempo tolto alla cura (Agenzia sanitaria e sociale regionale Emilia Romagna, 2022).

Nell'ambito della FSC, la ricerca clinica associata alla formazione offre in effetti alcuni vantaggi:

  • consente il coinvolgimento di colleghi che intraprendono un percorso comune per approfondire un tema specifico e di interesse lavorativo su dati reali raccolti durante l'attività clinica;
  • consente di progredire nella comprensione dei problemi e dei processi sia in senso clinico sia nel miglioramento delle modalità di presa in carico (si parla spesso di buone prassi), modellando l'intervento in una forma più applicabile e fruibile nel contesto reale, soprattutto nella lettura dei bisogni delle persone che effettivamente entrano in contatto con i servizi (Pierro, 2000);
  • permette, se integrata fra professionalità diverse, ad esempio entro uno specifico servizio come un'unità funzionale, di far collaborare professionisti con competenze differenti rispetto al problema indagato, con una crescita culturale del servizio stesso che permetta di mettere in pratica modalità di assistenza migliori.

Il XIV Congresso Nazionale della Società per la Ricerca in Psicoterapia (SPR-IAG), dal titolo “Clinica e ricerca: il ritmo terapeutico”, svoltosi a Cremona il 25/26 novembre 2022, ha dedicato un Panel a “La ricerca nei servizi pubblici: a che punto siamo?” ribadendo l’importanza di avere dati clinici da cui partire per strutturare gli interventi, valutandone poi gli esiti ai fini di un miglioramento dell’assistenza.

Anche il più recente XV congresso (SPR-IAG), tenutosi a Napoli dal 7 al 9 novembre 2024, ha avuto per titolo: “Psicoterapia e ricerca in un mondo che cambia”, a riprova del grande interesse che suscita una ricerca ad alto valore “ecologico”.

La progettazione di una ricerca clinica condivisa può avvenire sia sulla base di protocolli e accordi precisi con altre istituzioni, come ad esempio l'Università o l’Agenzia Regionale per la Sanità, sia attraverso la stabilizzazione di una rete di collaborazioni all'interno delle risorse presenti in Azienda (ad es. con l'Unità Operativa di Epidemiologia). Mettere a sistema questo modello teorico aperto, interdisciplinare e partecipativo, può dare un impulso rilevante per acquisire conoscenze e promuovere modelli di intervento basati sulla pratica reale (evidence based practice) a partire dai trattamenti erogati dai servizi (effectiveness research), analizzando la complessità dei fenomeni e dei dati raccolti secondo adeguati standard di ricerca (Sturmberg et al., 2024). Il “principio guida” è dato da una costante ricerca di progressiva accountability attraverso la raccolta dei dati, la valutazione non riduzionistica degli esiti, sulla base di dati acquisiti nel contesto della pratica clinica quotidiana (Barbui, 2001; Boden, Smith e Clocek, 2019; Brinkerhoff, 2004; Frank e Shim, 2023; Ridolfi, 2024b).

La realizzazione di queste azioni progettuali coordinate può favorire inoltre una sistematica analisi di finanziabilità dei progetti di ricerca proposti, con l'ausilio delle risorse aziendali che si occupano, fra l'altro, di ricerca di finanziamenti, come nel caso della task-force clinica aziendale, anche al fine di promuovere forme di partenariato fra soggetti diversi, in una logica di intervento condiviso fra istituzioni diverse.

In futuro il binomio formazione e ricerca dovrà sempre più integrarsi con i riferimenti normativi con cui i servizi si confrontano nel lavoro istituzionale: in particolare i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e i Percorsi Diagnostico Terapeutico Assistenziali (PDTA). In relazione alla propria attività operativa, la ASL deve rispondere prioritariamente ai LEA, cioè agli interventi universalmente garantiti, che devono essere erogati ai cittadini che si rivolgono ai servizi, secondo quanto recita l’art. 32 della Costituzione Italiana. Tanto nei confronti dei LEA, quanto nell'articolazione più complessa dei PDTA, alle aziende sanitarie viene richiesta una progressiva specificità degli interventi con una sempre più alta selettività, che non restituisca al cittadino generiche forme di aiuto sine die.


PDTA. Il Percorso Assistenziale, dalla teoria alla realtà.

Concettualmente tutti gli interventi erogati dal Servizio Sanitario sono riconducibili al modello biopsicosociale, il cui fine essenziale è riconoscere la promozione della salute come valore di riferimento a cui riportare l'intera attività di aiuto alle persone.

In Toscana, nel Piano Sanitario Regionale 2002-04, è stato inserito il concetto di Governo Clinico (GC) secondo un modello che orienta la politica sanitaria al miglioramento continuo della qualità dell'assistenza: viene così valorizzata la specificità di compiti e ruoli sanitari, con implicazioni a livello di cultura e organizzazione del lavoro. IL GC determina l'assunzione di decisioni cliniche orientate a maggiore efficacia e appropriatezza, coinvolgendo e responsabilizzando gli operatori, in vista di una corretta gestione della sicurezza del paziente ed una migliore comunicazione e relazione fra professionisti, amministratori e cittadini.

Esso pone al centro della programmazione e gestione dei servizi sanitari i bisogni dei cittadini e valorizza nel contempo il ruolo e la responsabilità degli operatori sanitari e la loro formazione (inclusa quindi anche la ricerca), al fine di garantire i migliori risultati possibili in termini di qualità e sicurezza delle cure, anche attraverso l’integrazione disciplinare e multiprofessionale (Ministero della Salute, n.d.a).

Fra i presupposti del GC, rispetto al binomio formazione - ricerca clinica, risultano particolarmente pertinenti l'accesso alle cure sicure e di qualità, l'uniforme erogazione dei LEA, l'individuazione dei PDTA, la formazione e l’aggiornamento dei professionisti sanitari.

In ambito sanitario si ritiene sempre più necessario orientare gli interventi secondo logiche che rispettino la storia di vita e preservino la continuità del percorso assistenziale della persona, ad esempio nei momenti di snodo (o di passaggio) fra Servizi. Questa impostazione cerca di contenere il rischio di segmentazione degli interventi, contrapponendosi a una loro meccanica successione, fatta di salti e discontinuità. La continuità dei percorsi di assistenza (gli esempi tipici riguardano il passaggio dalla minore alla maggiore età, i passaggi dall'ospedale al territorio, l'articolazione dei cosiddetti progetti di vita per la disabilità grave nel passaggio dalla scuola al mondo dell'età adulta e del lavoro ecc.) si lega direttamente al concetto di percorso assistenziale, a cui afferisce peraltro anche l'idea di utente attivamente coinvolto nella formulazione del suo percorso (agentività). Ciò appare coerente con l'ottica di promozione della salute, in cui la persona stessa è sempre riconosciuta in ciò che sa e può fare e non solo connotata per la sua psicopatologia. In relazione alla predisposizione dei percorsi assistenziali, il riconoscimento costante, da parte degli operatori, di risorse residue e di proattività della persona assume sia un carattere valoriale che un valore terapeutico importanti, soprattutto quando la patologia è concepita all'interno di un più ampio e complesso processo di comprensione della persona. Orientare il rapporto tra ricerca applicata e pratica clinica verso l’analisi della complessità e della globalità dei processi di cambiamento estende, fino a livello epistemologico, lo studio di tutti gli elementi che evolvono in rapporto al ciclo di vita e che sono degni di attenzione nel setting clinico e nella formulazione del progetto di ricerca (Fava e Masserini, 2006; Lo Verso et al., 2005).

Questo tipo di problemi “multi-livello”, che riguardano limiti e risorse individuali, familiari, della comunità locale, rappresentano un buon esempio di ciò che può costituire materiale di studio per la ricerca clinica da parte degli psicologi dell’Azienda Sanitaria alle prese con la complessità dell'essere umano e con la necessità di superare logiche riduttive di valutazione dei processi, confinandosi nelle apparenti certezze dell'impostazione biomedicale, che regge invece bene in un modello di cura più centrato sulla disfunzione d'organo. Questa complessità “multi-livello” mette in evidenza sempre più la necessità di introduzione di modelli di valutazione globali, relativi alla calibratura e specificità degli interventi (Sturmberg et al., 2024), sulla base di dati reali che possano contribuire nella realtà del SSN a comporre i PDTA.


PDTA. Il processo Diagnostico e Terapeutico: la trattabilità e l'appropriatezza.

Il servizio pubblico opera continuamente con una logica in progress per (ri-)definire i parametri ritenuti prioritari nella scelta dell’intervento clinico più appropriato, rispetto sia alle persone che chiedono aiuto, sia al modello di risposta che viene offerto dai Servizi. Fra le principali variabili relative alla trattabilità, citando solo sommariamente quelle relative all’utente, vi sono ad esempio: età, motivazione al trattamento, grado di sofferenza, tipo di problema presentato, grado di autonomia e di adattamento, contesto socio-relazionale di sostegno.

Rispetto ai temi della trattabilità e dell'appropriatezza, nelle ASL esiste un sostanziale problema di sovraccarico di risposte che si è tenuti a dare e, per contro, di mancanza di personale. Questo sbilanciamento fra vastità della domanda e possibilità realistiche di accoglimento può dare luogo a risposte istituzionalmente “difensive”, attraverso le quali si rischia di semplificare eccessivamente il complesso rapporto tra domanda di aiuto e offerta di interventi. La mancanza di personale, che è un limite indubbio, costringe a indirizzare il più possibile il lavoro clinico, organizzandolo al meglio, a circoscrivere gli interventi, a delimitare i tempi, secondo un equilibrio fra efficacia ed efficienza non banale da individuare (De Wet & Buttaglieri, 2012; Fava & Masserini, 2006) e soprattutto da verificare.

Per quanto riguarda gli interventi di natura psicoterapica, ad esempio, visto il rapporto tra riduzione del personale e massa critica della domanda da parte dei cittadini, sarà sempre più necessario sviluppare modelli di intervento basati su obiettivi specifici, stimolando la persona quanto più possibile a mantenere una posizione attiva e di autonomia, così da ridurre il rischio di effetti istituzionalizzanti e di dipendenza.

In linea di principio nel contesto del servizio pubblico i trattamenti a carattere psicoterapico dovrebbero essere improntati il più possibile ad un'analisi della domanda, che favorisca una focalizzazione della stessa e una risposta più specifica possibile. L’attivazione di specifici PDTA rappresenta un tentativo di far convergere l'indubbio valore etico di universalità dei LEA con quello altrettanto importante di progressiva specificità, ad esempio con una cucitura su misura degli interventi in relazione a sottogruppi clinici. Questa impostazione, da tempo, perlomeno a livello di percorsi aziendali, ha avuto un suo sviluppo (ad es. percorso disturbi del comportamento alimentare, percorso disturbi del neurosviluppo, ecc.). Nel caso degli interventi psicologici, e marcatamente di quelli psicoterapici, la domanda di aiuto non può essere affrontata attraverso una mera erogazione di forme generiche di interventi non specifici (Brown & Minami, 2010; Layard & Clark, 2015, Ridolfi, 2024a).

L'efficacia con cui si riesce ad intervenire, abbinata all'efficienza, stimola invece ad affrontare la questione di quanto breve debba essere un intervento psicologico/psicoterapico. Nell’affrontare la questione della brevità occorre tenere presente che il sovraccarico invocato dagli operatori dei servizi (non solo dagli psicologi) è un elemento reale e difensivo al tempo stesso ed è parte del problema con cui si tenta di affrontare la domanda (Riefolo, 2014). Rispetto alla salute mentale, ad esempio, la domanda è sempre molto ampia. Giungono continuamente ai servizi nuove persone, che si aggiungono a coloro già in carico. Ciò richiede una scelta relativa anche al difficile tema della dimissibilità e della conclusione dei percorsi nell'ambito di interventi che non rivolgono l'attenzione all'organo non funzionante, con un rischio riduttivistico evidente, ma cercano di cogliere la complessità della domanda e soprattutto della persona nel suo insieme.

In relazione al sovraccarico dovuto alla domanda, soprattutto in assenza di criteri specifici (trattabilità e appropriatezza), la più automatica e semplice risposta difensiva organizzativa è la “diluizione” nel tempo dell'intensità dei trattamenti, riducendo sia il numero di colloqui pro capite sia la frequenza degli stessi.

La brevità degli interventi non è in sé risolutiva, ma indica una possibile scelta elettiva a condizione che siano definiti obiettivi specifici sui quali determinarne l'efficacia. Non è certo sufficiente solo per aumentare l'efficienza radunare le persone in un gruppo trattando sei-otto persona alla volta, in quanto l'obiettivo principale non è quello di guadagnare tempo, ma offrire una risposta reale di aiuto (Lo Coco, Prestano e Lo Verso, 2009). È anche attraverso un’integrazione tra la formazione con esperti, il riferimento a modelli di intervento già riconosciuti e la ricerca clinica sui dati raccolti durante il lavoro istituzionale, che un trattamento breve può diventare in alcuni casi ragionevolmente fondato (calato in uno specifico ambito territoriale: si pensi ad esempio a una realtà di piccolo paese Vs una realtà metropolitana) e allo stesso tempo può rappresentare una proposta contenitiva rispetto alle istanze di dipendenza da parte dell’utente che si attivano quando si definiscono solo sommariamente i confini/contorni dell’intervento, in particolare quello psicologico-psicoterapeutico.

In definitiva i trattamenti di psicoterapia nel servizio pubblico non dovrebbero mai essere corti con l’idea di rispondere a criteri di efficienza, ma dovrebbero essere giusti, e brevi quando possibile, in ragione di criteri di efficacia (Riefolo, 2014).

L’integrazione fra formazione e ricerca clinica può aiutare a sviluppare interventi specifici, se possibile circoscritti nel tempo, limitando l’accoglienza di deleghe (ad es. da parte del paziente) basate sulla “dipendenza” dal servizio, introducendo magari interventi rivolti ad obiettivi specifici più limitati, con, ad esempio, “fasi di contatto con il servizio” e fasi di “sospensione del trattamento” (una sorta di stand by), ovvero di periodi senza trattamento. In rapporto al tema di enorme portata degli interventi di psicoterapia nel servizio pubblico, che dovrebbero essere universalmente garantiti, secondo quanto stabilito nei LEA (CNOP, 2017), andrebbero sviluppate approfondite riflessioni volte a prendere in considerazione l'opportunità di uno spostamento su un secondo livello di tali interventi, tale da permettere di lavorare con obiettivi misurabili ed esiti ragionevolmente più certi.

Naturalmente il tema del rapporto costo/efficacia della psicoterapia nel contesto pubblico richiama quello della valutazione del cambiamento, che va al di là di queste riflessioni (Lambert, 2010).

I problemi della ricerca valutativa nel caso dei trattamenti a carattere psicoterapeutico rinviano a tradizionali contrapposizioni fra efficacia teorica ed efficacia pratica, ovvero tra contesto rigoroso e sperimentale e contesto ecologicamente valido. Com’è noto, i gold standard non prendono le mosse da popolazioni cliniche eterogenee e multiproblematiche, come sono invece gli utenti più comuni che si incontrano nel servizio pubblico. È proprio nei confronti di questi dati e caratteristiche “impure” che appare utile interrogarsi non solo attraverso modelli di formazione classici, ma integrando conoscenze attraverso un'osservazione e un'analisi diretta. La ricerca clinica aiuta in questa prospettiva a cercare risposte specifiche fra l'eterogeneità e la vastità della domanda di aiuto da parte della popolazione e l'erogazione di trattamenti e interventi entro le varie cornici di riferimento epistemologico dei clinici. Un'operazione non da poco, alla luce della complessità intrinseca circa la valutazione degli aspetti qualitativi del processo di cambiamento, che viene invece misurato prevalentemente in modo quantitativo.

Senza ripercorrere la nota storia della valutazione delle psicoterapie, del lodo di Dodo, ecc., si può notare che oggi l’avanzamento delle conoscenze in campo biomedico tende ad orientarsi verso le linee guida, spesso valide per gruppi di pazienti relativamente omogenei, valutati prima-dopo rispetto a parametri sintomatologici e/o, nel campo della salute mentale soprattutto, a comportamenti problema. Assai minore attenzione, ed è solo parzialmente condivisibile dal punto di vista epistemologico, è dedicata al processo di cambiamento qualitativo, all’aumento della complessità del vivere, del pensare, del sentire, dell’amare. Temi che sono all'ordine del giorno nel lavoro clinico-terapeutico e che rappresentano per i clinici una sfida ad entrare in contatto in modo complesso con la globalità dell’uomo.


Conclusioni. Ricerca clinica e auto-formazione: il valore etico della conoscenza in prima persona.

FSC e ricerca clinica “in prima persona” costituiscono due aspetti dell'aggiornamento necessario agli psicologi nei servizi sanitari (Regione Toscana, 2019). La ricerca clinica offre alcuni vantaggi che ben si integrano con la formazione da discenti:

  • consente il coinvolgimento attivo e la collaborazione tra colleghi, che intraprendono un percorso comune per approfondire un tema specifico e di interesse lavorativo
  • consente di progredire nella conoscenza e nella comprensione di un problema, finalizzando tutto ciò al miglioramento dell'operatività di fronte a questo problema, modellando l'intervento sanitario in una forma più applicabile e fruibile nel contesto reale
  • permette, se integrata fra professionalità diverse di far collaborare professionisti con competenze specifiche rispetto al problema indagato (sempre con un focus sulla rilevanza pratica) con una crescita culturale del servizio stesso.

Essa rappresenta peraltro da tempo una voce specifica ed autonoma nei documenti istituzionali deputati a favorire lo sviluppo delle conoscenze e delle competenze specifiche dei clinici (Agenas, n.d.a; n.d.b).

Senza indugiare troppo a livello filosofico, comunque, da un certo punto di vista è possibile arrivare a sostenere che la ricerca applicata ai contesti clinici e la pratica clinica sono la stessa cosa, o meglio due facce della stessa medaglia, la cui differenza principale è data dall’enfasi posta sulla raccolta dati e sull’uso degli stessi: nel primo caso maggiormente orientati all’acquisizione di conoscenze e nel secondo più orientati all’intervento di assistenza.

Quali aspetti pratici potrebbero essere concretamente disponibili nelle ASL per favorire questo tipo di ricerche?

  • inserimento routinario della ricerca clinica nei Piani Annuali di Formazione, essendo peraltro la ricerca già una declinazione della FSC (Regione Toscana, n.d.)
  • inserimento della ricerca negli obiettivi di budget professionali
  • utilizzo sistematico e organizzato, in relazione a specifiche linee di ricerca, della “riserva oraria”, come da contratto nazionale, ovvero quel patrimonio di ore settimanali dedicabili allo studio e all'approfondimento, che in assenza di una strategia complessiva condivisa, possono essere usate solo individualmente, sulla base di interessi personali, nella migliore delle ipotesi secondo criteri coerenti con il Servizio dove si lavora
  • predisposizione di protocolli di intesa inter-istituzionale (es. Università, Agenzia regionale per la Sanità, ecc.) che promuovano in modo organico l'integrazione di competenze e conoscenze in una logica interdisciplinare.

La ricerca nei servizi favorisce un sapere fondato sulla specificità dei fenomeni clinici costantemente oggetto di studio e intervento. Questa modalità di conoscenza è direttamente spendibile nell'assistenza e presenta un indubbio valore etico, come forma di conoscenza in prima persona. Le risorse economiche dedicate sono ancora oggi minime o nulle ed è in questa direzione che invece vanno investite risorse, con una ricaduta positiva sulla salute delle persone, come altrove è già stato fatto (Agenzia sanitaria e sociale regionale Regione Emilia Romagna, 2009).

Questa modalità del fare ricerca, assieme a forme più tradizionali di formazione, può offrire conoscenze che aiutino a specificare gli interventi (e ridurre se possibile i trattamenti) ed è pertanto da considerarsi una condizione confinaria rispetto alle istanze di onnipotenza/salvifiche/trasformative tanto per l'istituzione quanto per l’operatore e per la persona che chiede aiuto.

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La tabella riporta in forma riassuntiva i risultati emersi dallo studio osservazionale condotto.

tabella parte 1

tabella parte 2

tabella parte 3


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