Volume 27 - 27 Dicembre 2023

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Psicoterapie nel Servizio Pubblico: Conciliare appropriatezza, valutazione e complessità

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Ricevuto il 11/08/2023 – Accettato il 11/09/2023



Riassunto

Appropriatezza degli interventi e valutazione di esito sono riferimenti essenziali per migliorare la qualità delle prestazioni sanitarie che vengono erogate dal servizio pubblico. Nell’ambito della salute mentale le peculiarità epistemologiche della psicoterapia pongono il problema dei vari paradigmi e dei relativi modelli clinici che convivono. Tale convivenza implica l’osservazione di fenomeni e processi concepiti da angolazioni epistemiche tra loro anche molto distanti. A complicare ulteriormente il quadro contribuisce anche la stimolante crescita di attenzione sui processi clinici che conducono al cambiamento, che in definitiva sono ancora largamente ignoti. Essi sembrano prestarsi ad essere avvicinati nella loro globalità attraverso modelli di comprensione basati sul paradigma della complessità.


Abstract

Appropriateness of interventions and outcome evaluation are essential references for improving the quality of health care services that are delivered by the public service. In the field of mental health, the epistemological peculiarities of psychotherapy pose the problem of various paradigms and related clinical models coexisting. Such coexistence implies the observation of phenomena and processes conceived from epistemic angles that are also very distant from each other. Further complicating the picture is also the stimulating growth of attention on the clinical processes that lead to change, which are ultimately still largely unknown. They seem to lend themselves to being approached as a whole through models of understanding based on the complexity paradigm.


Introduzione

In tutti i paesi occidentali l‘attenzione per l’appropriatezza delle cure offerte dai servizi sanitari è stata progressivamente correlata con il tema della sostenibilità delle risposte assistenziali [1]. Anche in Italia, con l’introduzione di una legislazione via via maggiormente orientata a tutelare la salute secondo i criteri ideali di sicurezza, efficacia, centralità del paziente, tempestività, efficienza ed equità dei servizi offerti, i temi dell’appropriatezza degli interventi e della loro sostenibilità sono diventati cruciali a fronte di una rilevante domanda di salute [2]. Per la salute mentale, ad esempio, i dati pubblicati annualmente dal Ministero della Salute (nota 1) mostrano che nel 2019 il numero di assistiti presso i Dipartimenti di Salute Mentale e Dipendenze (DSMD) per 1.000 abitanti era pari a 15,23 [3;4]. Questa consistente domanda di aiuto insieme alla ricerca di una maggiore appropriatezza e sostenibilità degli interventi hanno dato un impulso alla valutazione degli esiti dei trattamenti sanitari, avviatasi prima nei contesti ospedalieri e poi progressivamente estesasi negli ambiti di intervento territoriali, inclusi i DSMD. Fra gli indicatori rilevanti per i DSMD è tuttavia doveroso segnalare che ad oggi nessuna attività psicologica è sottoposta a monitoraggio né secondo il “Sistema di garanzie per il monitoraggio dell’assistenza sanitaria” contenuto nel DM 12.12.2001 né secondo la griglia degli adempimenti LEA presente nell’intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005 [4;5]. Pur tenuta presente questa (presumibilmente) temporanea anomalia, per quanto concerne la psicoterapia nel Servizio Sanitario Nazionale il futuro appare delineato: la valutazione di esito sarà sempre più imprescindibile ponendo gli interventi psicoterapici di fronte ad una stimolante sfida epistemica e ad un’ancora più importante sfida applicativa. La prima in conseguenza delle peculiarità epistemologiche di questo campo di studi (con diversi paradigmi che convivono) e la seconda per la necessità di arricchire sempre più, dai vari punti di vista (paziente, terapeuta, valutatori esterni), gli indicatori oggetto di valutazione, alla luce della complessità dei processi di cambiamento che ne identificano il nucleo essenziale di indagine scientifica.


Appropriatezza, valutazione di esito e complessità in psicoterapia.

Ciò che osserviamo non è la natura in se stessa,
ma la natura esposta ai nostri metodi di indagine (nota 2)
(W. Heisenberg)

Il concetto di appropriatezza si riferisce a «i risultati di un processo decisionale che assicura il massimo beneficio netto per la salute del paziente, nell’ambito delle risorse che la società rende disponibili» [1].

I percorsi assistenziali caratterizzati da elevata appropriatezza sono ottimizzati, cioè tesi a «massimizzare il beneficio e minimizzare il rischio» e tempestivi, ovvero «prima dei quali oppure dopo dei quali è inappropriato intervenire o fornire un servizio». L’appropriatezza in sintesi indica «condizioni complesse, contesto-dipendenti, che devono essere di volta in volta collocate nel rispettivo ambito di riferimento, definite e articolate in termini operativi, riferite ai diversi soggetti coinvolti e misurate con metodi specifici» [1].

Nel campo delle psicoterapie la valutazione d’esito nasce ancor prima di costituirsi come riferimento specifico per declinare l’appropriatezza degli interventi (tanto nel pubblico quanto nel privato). Essa si sviluppa di fatto assieme alla psicoterapia stessa, inizialmente con studi di caso in ambito psicoanalitico e successivamente con metodi di indagine in grado di condurre a conclusioni più generalizzabili. La storia della psicoterapia mostra che dopo una prolungata prima fase di fondazione epistemologica con l’evoluzione dei vari paradigmi, di natura essenzialmente autoreferenziale, si è passati attraverso una fase di antagonismo reciproco: gli anni cinquanta del secolo scorso furono inaugurati dalla critica presa di posizione di Eysenck che decretò la sostanziale inefficacia delle psicoterapie (in primis quelle psicodinamiche). Le risposte a tale critica procedettero in una direzione orientata a cercare di statuire i modelli come scientifici [6]. Fu un periodo di prosperità epistemologica, con la fioritura di modelli clinico-terapeutici corrispondenti a visioni dell’essere umano radicalmente diverse (psicoanalisi, comportamentismo, cognitivismo ecc.). Negli Stati Uniti, in un modello privatistico di assistenza sanitaria, sotto la pressione dei diversi stakeholders (compagnie assicurative, associazioni di consumatori ecc.) prese il via una corsa all’accreditamento epistemologico dei vari modelli che inizialmente fu cercata attraverso tentativi di manualizzazione degli interventi. In seguito assunsero consistenza modelli di indagine in auge in altri campi del sapere (evidence based medicine) che implicavano criteri metodologici di comprovata affidabilità (randomized control trials). Queste ricerche condussero a privilegiare il movimento dei trattamenti supportati dall’evidenza (empirically supported treatments) i cui criteri si rivelavano però in parte insoddisfacenti, o quantomeno parziali, perlomeno per una parte dell’eterogeneo insieme delle psicoterapie. Le metanalisi, fra gli anni settanta e ottanta del secolo scorso, giunsero peraltro a concludere circa l’equivalenza dei principali modelli e assunse consistenza un movimento teso a individuare i fattori comuni alla base della terapeuticità e del cambiamento. Più recentemente, fra la fine degli anni novanta e l’inizio di questo secolo, due diverse Divisioni (quella di psicologia clinica e quella di psicoterapia) dell’American Psychological Association hanno insediato due commissioni di esperti così da sviluppare sia l’impostazione concettuale evidence-based (task force - EST) che quella Empirically Supported Relationship (task force - ESR) [7].

L’apprezzabile sforzo compiuto di coesistenza (e integrazione) delle diverse prospettive, costituito dall’Evidence Based Practice in Psychology, continua tuttavia a presentare diversi problemi metodologici ed epistemologici e gran parte dei processi clinici alla base dei cambiamenti sono ancora poco noti nelle loro inter-relazioni [8]. I modelli più accreditati attualmente si compongono di elementi metodologici complementari (mixed methods) dove vengono integrati dati quantitativi e dati qualitativi (questi ultimi dedotti dall’esperienza clinica nel contesto e approfonditi anche dal punto di vista ideografico). Questi studi vanno nella direzione di ampliare il dominio di conoscenze collegate alla pratica clinica in setting naturali (practice-based evidence), ovvero intendono “costruire sapere” attraverso l’esperienza clinica [9].

Risulta sempre più evidente pertanto che i processi di cambiamento devono essere analizzati nella loro globalità e nella loro complessità sia intrinseca che di contesto: una cosa è l’efficacia teorica ed un’altra l’efficacia pratica [10].

In sintesi, oggi le psicoterapie mostrano una consolidata tradizione di valutazione degli esiti sempre più orientata a considerare il maggior numero possibile di aspetti di una complessa gamma di elementi interagenti. Si sondano la trattabilità, la specificità degli interventi, se ne valuta l’efficienza, con l’obiettivo di orientarsi verso modelli di intervento la cui efficacia è documentata in termini di esito. Mentre è comprensibile che il Servizio Sanitario sia fondamentalmente interessato agli esiti, nel complesso tale approccio risulta solo parzialmente soddisfacente, in rapporto alle difficoltà epistemologiche delineate dall’ intreccio dalle variabili in gioco che determinano il cambiamento, a maggior ragione in setting naturalistici quali quello del servizio pubblico.


Appropriatezza, valutazione di processo e complessità in psicoterapia

L’abbandono del determinismo non ha portato […]
all’ abbandono di una forma generalizzata del principio di causalità (nota 3).
(L. Geymonat)

Com’è noto uno dei nodi critici della specificità epistemologica delle psicoterapie è dato dalla varietà di paradigmi che parallelamente convivono (nota 4). I paradigmi sono visioni concettuali e valoriali dell’uomo. Anche in una scienza dura come la fisica, come sottolinea Hanson [11], l’osservazione è carica di teoria (theory laden observation). Teorie diverse comportano e conducono ad osservare fenomeni diversi.

Si è detto che in anni recenti la sostenibilità delle risposte ha chiamato dunque sempre più in causa la questione della valutazione (di esito) dei trattamenti in stretta combinazione con la ricerca di una maggiore appropriatezza degli interventi, con l’individuazione di percorsi assistenziali di comprovata efficacia. Il tutto orientato a migliorare la qualità delle risposte, riducendone la genericità (nota 5). La crescente attenzione alla valutazione e all’appropriatezza degli interventi erogati, al fine di garantire una sostenibilità delle risposte da parte dell’istituzione pubblica, ha dato dunque un impulso alla ricerca empirica anche nel contesto sanitario. Quello sanitario è un contesto in cui operano professionisti con competenze eterogenee (in particolare gli psicoterapeuti, ma non solo loro), che vedono, sulla base di teorie e paradigmi alternativi, processi diversi. Si tratta di osservazioni di non facile generalizzazione, che maturano in un ambiente naturale, con pazienti “pluri-problematici”, i cui profili epidemiologici cambiano velocemente [10;12;13].

Pur di fronte a queste innegabili difficoltà, un grande sforzo è stato compiuto per qualificare le variabili interagenti così da rendere esplicito il modello concettuale sotteso al processo valutativo. In relazione alla trattabilità ad es. sono stati identificate variabili quali (età, presenza di pregressi eventi di vita traumatici, presenza di predisposizioni al disagio psichico, esiti di precedenti interventi di cura, fragilità familiari ecc.) a loro volta incrociabili in relazione alla specificità del tipo di trattamento erogato (metodo manualizzato, purezza del target oggetto di intervento, contesto di erogazione ecc.), cercando di rispondere all’esigenza di mantenere affidabili e valide le conclusioni raggiunte, pur in presenza di una quadro globale così articolato.

Superare il riduttivismo insito in schemi e semplificazioni – nonostante nutriti esempi di liste di variabili - per rendere quantificabili e lineari i processi di cambiamento porta in primo piano la questione della complessità. Questa sfida è oggi orientata ad approfondire i caratteri specifici di globalità e unicità del funzionamento adattivo dei sistemi viventi (“living things”) nei loro ambienti di vita [14]. Si tratta di una prospettiva ancora oggi minoritaria, che qualcuno potrebbe anche considerare di retroguardia, una sorta di fisicalismo travestito, ma che sta contribuendo a dare luogo ad una revisione delle conoscenze nell’ottica di una integrazione dei saperi a confine, come ad esempio la biologia, la medicina, la psicologia. Nel campo delle “scienze della vita” tali aree di confine hanno dato impulso allo sviluppo di un confronto teorico con valore euristico e applicativo fra saperi diversi che operano anche al servizio delle scienze della salute tese a promuovere il benessere della persona.

In sintesi, ad oggi, lo sforzo di identificare con chiarezza le variabili in gioco e la loro relazione è da considerare un importante passo in direzione di una seria valutazione degli interventi che non deve essere abbandonato. Questi modelli non sembrano però sufficienti, da soli, per comprendere la natura dei processi di cambiamento.


Cambiamento e complessità nei sistemi adattivi viventi: alcuni problemi aperti

Anche se l’espressione paradigma della complessità nasconde alcuni problemi di principio [15], lo studio della complessità delinea quattro proprietà di fondo “costitutive” che caratterizzano sia i sistemi dinamici complessi, che i sistemi adattivi complessi, come lo sono i “sistemi che vivono”. Esse sono: Connessività, Autoorganizzazione, Emergenza, Non linearità. Senza entrare nel dettaglio di tali proprietà, vale la pena sottolineare che questa prospettiva ha suscitato inizialmente un notevole interesse in scienze lontane dalla clinica quali la fisica, la chimica, la biologia per poi orientarsi a studiare i sistemi adattivi viventi [16;17]. I modelli che ne conseguono hanno favorito lo sviluppo di ricerche trans-disciplinari che identificano processi evolutivi con valore adattivo a partire dai punti di vista delle diverse scienze che contribuiscono a qualificare il quadro di insieme [18].

In rapporto ai processi di cambiamento negli esseri umani, diverse ricerche cercano di approfondire i livelli di connessione fra le reti e i meta-livelli di connessione delle reti di relazione fra reti, con l’evidente intento di superare modelli semplicistici a causalità lineare, non in grado di cogliere le proprietà emergenti che nei diversi livelli auto-organizzativi – si potrebbe richiamare qui anche la nozione di autopoiesi di Maturana e Varela [19]– si sviluppano sia a livello intrapsichico che relazionale. In anni più recenti questa prospettiva epistemica si è rivelata euristicamente produttiva per contribuire ad analizzare i processi di cambiamento anche in ambito clinico [20;21;22;23]. I processi di cambiamento negli esseri umani coinvolgono però anche altri livelli, quello della loro organizzazione sociale, della loro cultura, dei loro valori, a maggior ragione al giorno d’oggi dove i cambiamenti socio-culturali sono rapidissimi e sembra necessario considerare le implicazioni bio-psico-socio(-eco-globali) per ciascuno di noi.

In sintesi, il paradigma della complessità ha da tempo aperto una vera e propria sfida conoscitiva. Nella sua globalità tale sfida è attualmente al di sopra delle nostre capacità operative ed è al di là di una sintesi teorica “definitiva”, ma è abbastanza chiaro come non sia scientificamente accettabile considerare solo ciò che può essere misurato e reso invece invisibile ciò che si fatica a quantificare.


Conclusioni: problemi aperti dalla complessità del vivente

In sintesi è possibile osservare che:

  1. La valutazione degli esiti, dei processi di cambiamento e la ricerca di una crescente appropriatezza contengono le premesse per una sfida conoscitiva di valore, con applicazioni pratiche per la salute delle persone.
  2. L’epistemologia indica che le conoscenze, di qualunque natura, sono sistematicamente in itinere [24]. Ormai da tempo è evidente una crisi della chiarezza e della separazione nella spiegazione che ha determinato la fine del sogno della demarcazione fra scienza e non scienza, fra soggetto e oggetto, fra organismo e ambiente, tornando a chiamare in causa l’osservatore, che si era pensato di poter eludere [25;26].
  3. Conoscere, comprendere e valutare è sempre più una ricerca di congruenza del metodo con il modello teorico ed è in relazione oltretutto a dimensioni valoriali e contestuali che travalicano modelli schematici e semplicistici e che si trovano di fronte al gravoso compito di tenere presenti i radicali mutamenti di una società in sempre più rapido mutamento. Schematizzazioni, riduzionismi e linearità tradiscono la globalità dei cambiamenti nell’essere umano, fraintendendo sia l’oggetto degli interventi delle psicoterapie sia la stima della loro appropriatezza.
  4. I temi dell’appropriatezza, della valutazione di esito e di processo si muovono in direzione di cercare risposte specifiche ed efficaci, tali da cercare di ridurre il rischio di una “istituzionalizzazione della risposta terapeutica” (vaga, generica, permanente) a cui fa da specchio l’ “istituzionalizzazione della domanda di aiuto” (indistinta, passiva, sine die).
  5. Di fronte all’essere umano e alla sua complessità (bio-psico-socio-eco-globale) neppure il paradigma della complessità, privato delle interconnessioni con gli aspetti culturali e valoriali, può sfuggire al riduzionismo esplicativo che vorrebbe semplice ciò che non lo è. Esso tuttavia può delineare un modo nuovo di guardare ai processi di cambiamento nei sistemi adattivi complessi, viventi, offrendo il presupposto epistemologico per favorire una ricerca clinica basati su processi evolutivi e adattivi colti nella loro natura globale.

Note

(1) Il rapporto sulla salute mentale rappresenta un'analisi a livello nazionale dei dati rilevati mediante il Sistema Informativo per la Salute Mentale (SISM) raccolti nel Nuovo Sistema Informativo Sanitario (NSIS).

(2) Fisica e Filosofia, Milano: Il Saggiatore, 2008. (Ed or. New York: Harper, 1958).

(3) Lineamenti di filosofia della scienza, Utet, Torino, 2006.

(4) Ciò vale anche per la psicologia clinica che è l’insieme sovraordinato contenente i modelli di psicoterapia (Collegio universitari italiani di psicologia clinica).

(5) Risposte terapeutiche generiche, ibride, contribuiscono all’istituzionalizzazione tanto della domanda quanto della risposta, saturando all’inverosimile i servizi, alle prese con la difficoltà di condurre i percorsi terapeutici verso una conclusione.


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