Volume 30 - 16 Aprile 2025

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Etnopsichiatria generale delle depressioni vitali.
Mappa tematica 2

Autori

Ricevuto il 6 marzo 2025; accettato il 25 marzo 2025



Riassunto

L’Autore disegna la seconda mappa tematica di una Etnopsichiatria generale delle depressioni vitali. In questa ulteriore illustrazione pondera il rendimento euristico di tre coppie esplicative: Esogeno/Endogeno, Oggettuale/An-oggettuale, Psichico/Somatico. Il loro confronto, storico e teoretico, permette di individuare le analogie e le differenze tra gli orientamenti nosologici elaborati all’interno di universi umani, sociali e naturali caratterizzati da concezioni del mondo alternative.


Parole-chiave: Etnopsichiatria, melanconia, depressione, esogeno/endogeno, oggetti, psichico/somatico.


Abstract

The Author draws the second thematic map of a general Ethnopsychiatry of vital depressions. In this further illustration he ponders the heuristic performance of three explanatory couples: Exogenous/Endogenous, Objectual/An-objectual, Psychic/Somatic. Their comparison, historical and theoretical, allows us to identify the analogies and differences between the nosological orientations elaborated within human, social and natural universes characterized by alternative conceptions of the world.


Keywords: Ethnopsychiatry, melancholia, depression, exogenous/endogenous, objects, psychic/somatic.


Introduzione

Nel saggio precedente - Etnopsichiatria generale delle depressioni vitali. Mappa tematica 1 - ho iniziato a disegnare la fenomenologia dei disturbi dell’umore in vari contesti socioculturali riferendomi, in particolare, al suo effetto inter-sistemico e globale (geopolitica, cosmopolitica; Inglese, 2024). Ho rintracciato le manifestazioni peculiari di tali disordini somatici, mentali e socio-relazionali lungo un asse cronologico che collega epoche remote (mitiche e storiche) al mondo contemporaneo. Mi sono avvalso della riflessione psicopatologica e dell’analisi socioculturale per comprendere i processi di ricombinazione degli elementi invarianti e mutevoli che influenzano la psicopatogenesi, la sintomatologia, la tassonomia e la cura delle depressioni.


Partizioni depressive

Propongo adesso qualche riflessione su alcuni accoppiamenti esplicativi intorno ai quali si sono sviluppate diverse teorie, antiche e recenti, concernenti i vissuti depressivi. Si tratta di coppie antagoniste che si affrontano in mezzo a campi concettuali dove vengono ingaggiate vigorose battaglie interpretative rispetto alle forze generative e alle modalità espressive delle depressioni vitali. I termini di simili binomi appaiono alternativi, ma si rivelano spesso complementari e co-occorrenti nella determinazione di un fenomeno psicopatologico la cui origine, altrimenti, resterebbe indecidibile se ricondotta al solo intervento dell’uno o dell’altro. In ciascun duetto il primo termine proietta un’ombra sull’altro, ma il secondo mantiene una carica euristica che lo vincola al precedente senza cedergli la supremazia definitiva. Svilupperò il ragionamento intorno a tre binomi terminologici, ricorrenti con maggiore frequenza nel dibattito di lungo periodo sulle deflessioni umorali: 1) Esogeno/Endogeno; 2) Oggettuale/An-Oggettuale; 3) Psichico/Somatico.

1.Esogeno/Endogeno

L’innesco della fenomenologia depressiva conseguente a una circostanza che investe il soggetto dall’esterno - esogena - istituisce una relazione di comprensibilità, puntuale e quasi lineare, tra l’evento e la forma patologica. Tale relazione risulta mal definita quando l’esordio depressivo non può essere ricondotto a un accadimento manifesto o se quest’ultimo non riesce a spiegarne alcuni aspetti (es., intensità, complicanze, esito). In simili casi ci si appella al dominio dell’endogeno, espressione allusiva che rimanda alla costituzione strutturale del soggetto sofferente.

In un’iscrizione del tempio di Delfi si legge l’attributo Endoghenés (latino: Intus genitus). Esso indica qualcosa, talvolta qualcuno, nato in casa e instaura l’esistenza di un ambiente interno al soggetto patente (Tellenbach, 1975). Endon rinvia a una dimensione originaria e domestica. In analogia con l’iscrizione suddetta, l’endogeno è dunque ospitato all’interno dell’individuo, ab initio, senza correlarsi ad altro per giustificare la propria presenza o l’azione esercitata in questa profondità silente. Esso possiede concretezza: una sorta di fisicità consistente e immanente. Al tempo stesso, resta impalpabile, evanescente, invisibile, tendente all’ubiquità perché non insiste solo in una o più sedi localizzabili. Bisogna quindi accontentarsi di postularlo quale sostrato pervasivo (ousia: sostanza) del soma e della psiche, ovvero delle forme costituzionali e operative della persona. I momenti iniziali di questo ente partono da qualcosa che inerisce al corpo oggettivato nella sua muta solidità. L’endogeno è consustanziale a quest’ultimo. Non ne rappresenta però il costituente primario anche se gli viene attribuita una specifica autonomia (Tellenbach, 1975). In effetti, la sua attività interna - concettualizzata come un’atmosfera, un influsso, un fare e un far fare - dipende da un altro principio (arché), variamente indicato come vitale quando si riferisce al funzionamento mentale degli esseri umani (Devereux, 2007). Nel corso del tempo, l’aggancio e la tensione tra l’endogeno, il somatico e lo psichico hanno invitato a spostare sul sostrato la prerogativa di determinare le manifestazioni sistemiche delle cosiddette Psicosi endogene. Questa categoria nosografica generale rinvia la soluzione dell’enigma eziologico al postulato di patogenesi insondabili ancorché immerse nella struttura del soggetto corporeo, sofferente nella sua totalità.

Secondo questa accezione, endogeno equivale a oscuro, qualcosa di cui non si conosce il fondamento (arché, origine) né la natura (umana, aliena, spontanea, artificiale). L’endogeno ama nascondersi e, nella sua elusività, diventa criptogeno, ovvero del tutto simile alla physis postulata dalle ontologie presocratiche (Colli, 1988). La vocazione al nascondimento rende il criptogeno indecifrabile (resistente, recalcitrante) al rischiaramento della ragione nosologica. La capacità di occultarsi sarebbe quindi una caratteristica irriducibile dell’endogeno fattosi potenza intenzionale. Esso esprime una volontà intrinseca e attiva di sfuggire all’individuazione da parte di un osservatore esterno, oltre che dal soggetto stesso in cui è presente come endogeno e agisce come criptogeno. Questo genera una difficoltà logico-sistemica: il soggetto umano compiuto, agente volizionale a maggior grado di complessità, non comprende né governa una componente interna che, in ipotesi, dovrebbe essere meno complessa. Il soggetto completo viene quindi ordinato da sotto, subornato dall’endogeno che, in tal senso, dimostra una maggiore forza ordinante o disordinante rispetto al soggetto stesso, determinandone unilateralmente accadimenti e destino. La potenza sovra-ordinante del soggetto complesso e completo - costituito nelle sue relazioni multidimensionali e dinamiche con l’ambiente fisico (naturale) e relazionale (sociale) - urta contro un limite interno (“misterioso” salto: dal corpo alla mente), invalicabile come il confine incontrato nel momento in cui essa si proietta all’esterno (salto altrettanto “misterioso”: dalla mente al corpo). Lo stato di opacità enigmatica segnala che l’endogeno “nasce” (si origina): a) in un claustrum domestico – abissalità organica – al riparo dall’influenza del mondo esterno; b) quasi all’improvviso e senza causa apparente.

Quando si postula l’azione criptica dell’endogeno nella determinazione di un fenomeno morboso, l’assunto si contrappone in modo antitetico all’attribuzione del disturbo a cause esterne, individuabili, accertabili, regolari come geometrie razionali, dimostrabili secondo teoremi scientifici per quanto suscettibili di confutazione.

Il corpo (umano) è rappresentato come casa dell’essere vivente ma, quando diventa soma (organismo morto; essere devitalizzato), necessita di un’invenzione culturale che costruisca uno spazio di contenimento in cui ospitarlo e proteggerlo. Viene per questo concepito il sema - tomba o cripta - loculo fisico in cui le spoglie corporee sono adagiate, sepolte, vigilate con devozione (Graeber, Werchow, 2021). La corporeità umana resta tale fino a quando conserva il corrispettivo principio vitale (psyché; phrenes; ru’ah; shen; Onians, 1998; Rossi, 2002), trattenendolo anche contro la volontà antigravitaria, centrifuga ed evasiva, di questa forza vitalizzante. Il corpo vivente si fa sema del principio vitale: si autocostruisce come contenitore senziente e contribuisce a formare l’unità costitutiva dell’essere umano. Nella sua singolarità fenomenica, tale soggetto patisce (corpo passivo) ma, in uno stesso movimento, scarica all’esterno l’energia trasmessagli da un altro motore (Aristotele, 2004). Il principio vitale è destinato a separarsi dal corpo organico che, a sua volta, si scioglie in uno stato di quiete. L’assetto somatico terminale coincide con un ritorno alla matrice fisica originaria dove si riconcilia con l’intelligenza generale della materia (Orpha; Ferenczi, 1988). L’immobilità del corpo si concede all’osservatore come apparenza ingannevole. Essa è lo stato iniziale di un transito sottile verso una decomposizione dinamica innescata dall’intervento di unità biomorfe innumerevoli ed eterogenee: vita che si nutre di vita, all’infinito…

Nelle concezioni del mondo di vari popoli, il vero corpo - casa e dimora di tutti gli esseri viventi- è collocato al di sopra o al di sotto del mondo ordinario, comunque al di là dell’umano. Nel suo insieme, esso costituisce un universo non umano, ma rappresenta il necessario contesto di vita materiale del Genus homo (Devereux, 1956; Inglese, Gualtieri, 2025). Questo corpo smisurato, planetario e cosmico, è un ente fisico attivo che possiede umore, intelligenza, intenzionalità indipendenti, ovvero non è subalterno né semplicemente reattivo all’azione dell’umano (Kirmayer, Fletcher, Watt, 2009).

L’importanza dell’endogeno nell’architettura depressiva propone una variazione delle linee esplicative disegnate sulla mappa tematica precedente (Inglese, 2024). Quella prima illustrazione collega l’insorgenza della depressione vitale alla perdita di una figura significativa, che un rivale sottrae alla disponibilità di un primo agente. Il momento endogeno cade e agisce nella zona d’ombra di quello esogeno che, invece, viene acceso dall’intervento di un terzo tra due soggetti interagenti. L’endogeno diventa il fattore implicito e implicato di una spiegazione supplementare che, in assenza di un evento esterno, collega l‘effetto depressivo all’influenzamento esercitato da questa entità soggiacente. Inversamente, laddove l’endogeno restasse indifferente all’impatto dell’agente esogeno, esso andrebbe pensato come una specie di scudo interno dell’individuo, impenetrabile e resistente alla rottura accidentale provocata da fuori.

2. Oggettuale/An-oggettuale

Oggettuale: sulla relazione (rapporto, vincolo, legame) tra il soggetto esistenziale e un oggetto significativo - ob-jectum: posto davanti e al di sopra del soggetto umano, che ne diventa assoggettato e dipendente - pende la minaccia di una perdita per sottrazione. Il soggetto patisce la privazione come l’atto intenzionale di un antagonista, che gli contende un bene essenziale e vuole appropriarsene con la forza o con l’astuzia, spesso coniugandole insieme (es., Paride vs Menelao; Ade vs Demetra).

L’evento della perdita irrimediabile, soprattutto se determinata dalla morte di una persona sovrainvestita sul piano affettivo, costituisce un fattore psicopatogenetico o una contingenza critica. Freud e de Martino analizzano il legame tra le gravi deflessioni dell’umore e la scomparsa dell’altro significativo, scansionandone gli effetti psichici e antropologici. I loro schemi interpretativi si concentrano sul fatto che il decesso innesca una crisi individuale e sociale le cui scabrosità sono evidenti anche nelle dinamiche del lutto e del cordoglio. Queste processualità sono pervase dall’assenza, irreversibile e irrimediabile, dell’oggetto investito d’affetto e saturo di valore culturale. L’esperienza del lutto e il travaglio del cordoglio cercano di fronteggiare la mancanza dell’oggetto integrando il lavoro psichico (elaborazione) con quello culturale (valorizzazione). Esse servono a impedire che il soggetto sofferente venga oppresso da un disordine mentale inguaribile (Freud, 1976) o annientato da un rovinoso crollo esistenziale, vitale e sociale (crisi della presenza; de Martino, 2021).

La persona defunta viene espulsa dalla relazione intersoggettiva e sociale a causa dell’azione di una forza antagonista, formidabile quanto impersonale (Morte), operante allo stesso modo di altri agenti sovrumani (eroici, mitici, cosmogonici: Paride, Ade, Kaos). L’entità che sottrae la vita non si staglia come un rivale resistibile perché essa è di natura incommensurabile rispetto a quella del sopravvissuto soccombente, costretto a subire l’estinzione della persona amata. La scomparsa di quest’ultima demarca l’esistenza di un gradiente insuperabile tra i contendenti, che sancisce un rapporto di forza asimmetrico e squilibrato tra l’Individuo (impotente) e la Morte (onnipotente).

Questa evidenza mette in crisi un modello conflittuale generale dove le linee del cosiddetto desiderio mimetico innescano una spirale competitiva, intensificata fino al climax debordante nella violenza assassina o pantoclastica (Girard, 1980). Per esservi un autentico antagonismo mimetico, nella realtà e nell’immaginario dovrebbe affermarsi una simmetria perfetta tra entità gemelle che puntano il loro desiderio di appropriazione sul medesimo oggetto. La simmetria sarebbe tale, altresì, se corroborata dalla neutralità di quest’ultimo verso i due antagonisti. Ciò non accade nella vita reale che, invece, esalta e impone puntualmente una differenza irriducibile tra gli attori sociali.

Entro questa prospettiva critica, allora, il rapimento di Elena non andrebbe qualificato come tipo ideale di antagonismo mimetico. La donna contesa è bramata da attori collocati in ranghi diversi di una scala gerarchica (nell’ambito dinastico: Menelao è un monarca; Paride, un principe cadetto) e generazionale (l’eroe acheo è un individuo maturo e vigoroso; il giovin signore troiano è fatuo e irresponsabile). Li separa pure il rispettivo valore marziale: uno è signore della spada e dell’uccisione inflitta nel corpo a corpo; l’altro è un arciere infallibile che colpisce a distanza, con fredda e calcolata precisione se assistito dalla Fortuna. L’incremento della potenza tecnica della mano che impugna l’arco - dispositivo d’arma inventato per la caccia ma rimodellato per la guerra – rende possibile la strage (es., Ulisse vs Proci; letalità illimitata). È invece necessario il furore (ménos) per brandire e mulinare la daga, gesti dispendiosi che conducono al rapido esaurimento dell’energia distruttiva del combattente (letalità autolimitata).


Nell’analisi di questo modello mitopoietico, rielaborato nella trama epica, non bisogna cancellare la differenza relazionale che Elena istituisce con i pretendenti. In base alla propria autonomia decisionale, la regina non persegue l’identica strategia interpersonale quando prima condivide talamo e sovranità con lo sposo regale e poi si lega alla malasorte dell’amante. Spinta dalla passione, trascina nella rovina una stirpe orientale egemone insieme al suo popolo, consegnato incolpevole al massacro. Il modello del desiderio mimetico trascura l’autonomia del soggetto disputato (terzo agente) all’interno di un triangolo fatale. Questa configurazione trasforma il soggetto indipendente (desiderante: Elena) in oggetto dipendente (desiderato) dagli altri due (Menelao e Paride). Ciò comporta la negazione del desiderio del terzo soggetto (donna divinizzata per venustà ineguagliabile, ma trafitta da occhi invidiosi), necessario all’istituzione della triangolazione (con i due contendenti). Conferire caratteristiche di oggetto passivo, disponibile o esposto agli appetiti degli antagonisti, mortifica la parte giocata attivamente dal terzo nelle dinamiche affettive, gonfie di rivalità, tra un primo e un secondo soggetto in competizione.

Restituire soggettività orientata all’oggetto diventa essenziale allo scopo di neutralizzare la carica aggressiva che spingerebbe i contendenti verso il medesimo esito violento (duello, guerra). Per disinnescare il confronto diretto tra i pretendenti, bisogna indurli a relazionarsi con la persona disputata di cui devono riconoscere, innanzitutto, la tendenza spontanea e il diritto legittimo all’autodeterminazione soggettiva (affettiva, erotica, politica).

An-oggettuale: accanto al modello esplicativo arcaico, che enfatizza la perdita oggettuale in funzione di primo catalizzatore del vissuto depressivo, si allunga l’ombra di una configurazione patogenetica senza oggetto. Il modello non è fondato sul vincolo relazionale, ma prende forma nelle profondità del , contenitore fisico articolato per parti differenziate, attraverso cui un fattore indeterminato di spinta mette in movimento sostanze “umorali”.

La deflessione timica assume una caratteristica an-oggettuale quando non contempla una relazione particolare tra il soggetto e l’oggetto esterno.

L’an-oggettualità della deflazione umorale s’inquadra nella cornice eziologica di una teoria materialistica - inaugurata dall’antica iatrica greca e risorta in epoca moderna (Rinascimento) – elaborata intorno a peculiari fisiologie d’organo. Codificata nel Corpus Hyppocraticum, essa viene ulteriormente sviluppata – in direzione fisica, etica e psicologica - dal filosofo clinico di Stagira (Aristotele, 1981). La teoria spiega la melancolia procedendo all’accostamento linguistico e causale di Melas (nero) e Kolia (sostanza biliare; in latino, Atrabile: Atras/nero; Bilis/bile). Secondo questa interpretazione nosologica, una sostanza magmatica - scura e pesante; circolante, ma destinata alla stagnazione e all’accumulo - si diffonde e si deposita all’interno del corpo, opprimendone gli organi sotto spesse e gravose volute.

La configurazione sostanzialistica si afferma come eziopatogenesi e giustifica la sintomatologia a carico della corporeità organica della persona. La sostanza in eccesso agisce sull’andamento ritmico - cronoritmo - della fisiologia degli apparati somatici. Essa infiltra e inibisce il movimento basale della vita, imponendo un blocco e costringendo all’inerzia il thymós interno (localizzato nel cuore – kardía - organo ritmico da cui promana un’aura metaforica). Verso l’ambito timico si aggrega una serie variegata di elementi correlati alla dimensione psichica, mentale e spirituale dell’uomo: forza vitale, desiderio, sensazione, coraggio, impulso, volizione cosciente e appetizione. La condizione timica sarebbe capace di determinare tutte le possibili sfaccettature dello stato d’animo (Tellenbach, 1975).

La precipitazione gravitaria del soggetto organico costituisce una sorta di invariante metaculturale (vitalistico/umoralistico) della fenomenologia depressiva.

Psichico/Somatico

Come la stasi dell’umore fisico, anche la parola “depressione” - di conio più tardo ma prefigurata in epoca arcaica - specifica lo scivolamento verso il basso (catabasi) dell’individuo sofferente, attratto in direzione dell’humus vitale (sostrato: strato minerale umido, ctonio e potenzialmente organico). Nel 1733, George Cheyne inventa una categoria nosografica particolare e la denomina English malady (Cheyne, 2010). Con questa proposta, egli riprende e continua la tradizione dei trattati medici dedicati da Ippocrate alle Epidemie (Ippocrate, 1982). In queste brevi e accurate dissertazioni, il (quasi) mitico antenato ellenico esamina la relazione tra forme patologiche (nosoi), popoli (demoi), costumi culturali e territori (ethnoi). Alla luce del suo insegnamento, anche il clinico moderno dovrebbe procedere all’incrocio analitico di questi elementi per individuare l’agente patogeno (noxa) delle sindromi diagnosticate. Da un punto di vista metodologico, i manuali ippocratici traboccano di sapienza metodologica perché situano, materialisticamente, il corpo sofferente (individuale e collettivo) nella matrice sociale e nella fisicità naturale delle aree geografiche abitate da gruppi umani specifici ed eterogenei. Al tempo stesso quelle dimenticate riflessioni nosologiche, ecologiche ed etnologiche adombrano rapporti di reciproca e complessa determinazione tra la corporeità antropomorfa e l’ambiente vitale.

Aggiornando le antiche conoscenze, Cheyne evidenzia che la sindrome esaminata è dominata dalla depressione (lowness), ovvero da un abbassamento del tono umorale che, peraltro, spostandosi insidiosamente da una persona all’altra, determina la prostrazione dello spirito di un intero popolo. La frequenza epidemiologica di tale patologia, calcolata grazie a un’osservazione insistita e rigorosa, autorizza l’illustre medico britannico a considerarla come una patologia sociale (riflesso dell’organizzazione economica e politica) ed etnica (rispecchiamento deformato di valori ideologici dominanti) a carico dei sudditi (assoggettati a un lignaggio sovrano e venerato) di un Impero intercontinentale, ricco, potente ed evoluto.

La sostituzione linguistica della “melanconia” con la “depressione” avviene nell’arco di circa un secolo e, nella cultura clinica anglofona, impone questo neologismo facendolo assurgere a etichetta diagnostica convenzionale (Murphy, 1982). L’invenzione della depressione, inoltre, inverte il rapporto di privilegio nosologico (precessione) tra la sfera somatica e quella psichica. La melanconia era considerata un disturbo somatico con peculiari manifestazioni psichiche (Burton 1620, 2001); la depressione viene invece concepita come un disturbo psichico con importanti manifestazioni somatiche.

3.1) Triangolazioni: Corpo, Mente, Cultura. Gli studi transculturali considerano fallace la distinzione etnocentrica (occidentale) tra mentalizzazione e somatizzazione (dipolo dimensionale: Psiche-Soma). Quella distinzione ha scavato un vallo di separazione (scisma fenotipico) tra il blocco occidentale - dominato dall’esperienza oltre che dall’espressività psichica del disordine umorale - e gli altri mondi geoculturali (dall’Africa occidentale alla Cina). In tali mondi prevale, invece, la centralità della sfera somatoforme, oltremodo indifferenziata (priva di apparente coerenza anatomo-fisiologica) ed erratica (sintomatologia fluttuante, vagante, mutevole).

Il principio nosologico che istituisce la centralità del mentale – elevato a principio vitale immateriale (anima pneumatica) e capace di condizionare manifestazioni somatiche multiformi - enfatizza le esperienze di perdita dell’oggetto (già emergenti nei miti cosmogonici e nelle composizioni tragiche rappresentate negli anfiteatri dell’area mediterranea). La correlazione tra depressione e perdita dell’oggetto significativo potenzia un effetto etnocentrico: il soggetto individuale viene ipostatizzato e ipertrofizzato in quanto ente umano ideale e universale. Esso si compatta nel nucleo antropocentrico di un mondo culturale storicamente specifico (tolemaico, ma non più solo in senso geocentrico), deciso ad affermarsi come eterno e inalterabile. A partire da questa unilateralità programmatica (geopolitica, geoculturale), tenta di sostituire dappertutto il proprio modello societario a quelli già esistenti o futuribili.

La focalizzazione sull’esperienza della perdita oggettuale, in quanto fattore psicopatogenetico del disordine depressivo, può attivare un circuito comportamentale aggressivo. Esso si traduce nella tolleranza, se non nell’istigazione, di una reazione soggettiva, finanche violenta, alla sottrazione oggettuale. La recisione del legame con l’oggetto sollecita il soggetto a reagire drasticamente al furto con effrazione (di forza o per destrezza). Le sue risposte diventano distruttive e aggirano la censura morale della violenza. Quest’ultima diventa legittima e lecita, in obbedienza esecutiva a un comando etico che esalta il dovere di riconquistare il bene espropriato. L’idealizzazione dell’azione obbligata, conforme al codice giuridico del gruppo di appartenenza, esalta la centralità dell’oggetto nella costituzione intima del soggetto (principio d’identità relazionale). In realtà, reagire stenicamente al torto subito non assicura il recupero o la riparazione dell’oggetto, ma salda il soggetto alla propria sofferenza (fusione a caldo). Il patimento soggettivo viene fissato come memoria incancellabile dell’oggetto e dell’esperienza afflittiva dovuta all’esproprio violento (trauma). Il furto (es., ratto di Persefone) genera una beanza, un taglio nella coerenza del mondo e della persona, che arriva a coincidere con la figura terrifica del Kaos arcaico (vuoto, abisso; Esiodo, 2020). Il dolore che stimola la reazione aggressiva cerca di suturare la ferita traumatica, ma lungo la rima di cucitura continua a brulicare la percezione irritante di qualcosa, ovvero: la memoria indelebile dell’oggetto (Carlyle, 2008; Freud, Ferenczi, 2000). La presenza dell’oggetto viene ripristinata anche attraverso ritualità ad alto tenore emotivo e sociale (es., cerimonie funerarie). Esse consentono di rivivere la perdita e di reagirvi daccapo, un numero illimitato di volte, in modo da non soccombere alla scomparsa dell’oggetto e per reintegrarlo nella persona vulnerata, allucinandolo come persistente e inalienabile.

Spesso, in realtà, il radicale depressivo non è preceduto da esperienze di perdita e separazione né sembra vincolato a eventi di vita (life events) che determinano deperimento e morte di oggetti psichici privilegiati. Per questa ragione, le forme più gravi di depressione (malinconia) vengono compresse nello spazio multistratificato dell’endogeno, dove si raccolgono quelle varietà di disturbo inderivabili da occorrenze situazionali.

Paradossalmente, la partizione arbitraria tra Psiche e Soma viene sconfessata dalla codificazione diagnostica attuale: le categorie cliniche di Depressione maggiore e Disturbo distimico (cronico), validate dalle tassonomie correnti (es., DSM-5; ICD-11), riposano su un nucleo invariante (transculturale) che traduce, anche in Occidente, l’umore e il dolore depressivo in un lessico somatoforme (idiom of distress; Kleinman, 1982; Nichter, 2010). Il catalogo nosografico pullula di metafore che alludono alle disfunzioni corporee, grazie alle quali si descrivono lo scivolamento nello spessore carnale e l’eclissi dell’orizzonte simbolico (inibizione e rarefazione di contenuti cognitivi). In tale repertorio professionale si moltiplicano segni equivoci, ineffabili, deformati da sensazioni e percezioni. La realtà vi viene pur sempre patita, ma non più interpretata risalendo la scala dei valori culturali, mondani o trascendenti, distillati dalle società di appartenenza. La pesantezza del corpo opprime la levità eterea della mente. Indistintamente, perché da troppo vicino, quest’ultima vede soltanto la fisiologia alterata del soma e solo di questo è disposta a dire qualcosa, laconicamente, in modo frammentato e indeciso.

3.2) Invarianti fenomenici e patomorfosi culturale: Esiste una convergenza tra alcune ipotesi generali della psicopatologia fenomenologica e di quella transculturale, derivate dall’ampia casistica riscontrata in vari contesti etnico-sociali (Kleinman, Good, 1985).

Queste discipline cliniche individuano il nucleo fondamentale delle depressioni nell’alterazione di varie funzioni vitali, disturbate dalla sfasatura dei cicli sonno-veglia (es., iposonnia con risveglio precoce e ruminazioni notturne) o dalla desincronizzazione dei ritmi appetitivi (alimentari, sessuali). La disritmia dei processi biologici conosce inversioni improvvise che intensificano i comportamenti di base, passando dal rallentamento dei cicli vitali alla loro accelerazione disordinata e imprevedibile: ipersonnie, bulimie, iperattività libidiche, abuso accessuale di sostanze psicoattive. I cicli alternati dei processi contropolari deviano dalla linearità periodica e presentano andamenti altrettanto disregolati. Questo dissolve la regolarità dei dinamismi che lasciavano prevedere, ad esempio, la fasicità della melanconia e la periodicità delle ciclotimie (o delle catatonie periodiche).

La lettura transculturale delle depressioni conclude per la sussistenza di un blocco vitale generale. Esso produce una condizione psico-soma-cosmo-patologica che, necessariamente, induce a invocare la portata condizionante della dimensione biofisiologica. La sezione psichiatrica della International Classification of Diseases (ICD 10 e 11 - World Health Organization) ribadisce che il riferimento patogenetico al “biologico” non guadagna pregnanza “scientifica”, ma continua a essere rilanciato come un’analogia elusiva intorno a cui si espandono innumerevoli figure metaforiche. La focalizzazione sul teatro somatico e il sondaggio del terreno fisiologico generano una contraddizione evidente, quando non un autentico paradosso, perché senza l’individuazione dei sintomi riconducibili alla dimensione biologica non si può certificare la diagnosi di episodio o di sindrome depressiva.

Il rilievo dei sintomi biopatologici non conquista l’evidenza eziologica (causa) né riesce a spiegare la relazione tra noxa biologica ed effetto psicopatologico, lasciando sospeso il riconoscimento del primum movens del processo depressivo. Questa irrisolvenza non cancella il fatto che il blocco biologico - ilozoico, vitalistico - è riconosciuto fenomenicamente pervasivo e clinicamente necessario per la diagnostica convenzionale, chiamata a individuare e classificare le sindromi umorali presenti nei più diversi mondi geoculturali. Quel blocco, addirittura, rappresenta un ordinatore diagnostico elementare - transnosgrafico - delle varie forme sindromiche (distimie, depressioni primarie e reattive, somatoformi, schizoaffettive; Cardamone, Inglese, 2010; Inglese, Zorzetto, Cardamone, 2010).

Ricorrendo a una comparazione dei fenomeni più ricorrenti tra i disturbi depressivi transculturali si giunge alla conclusione che gli indicatori sintomali del disturbo presenti in differenti contesti umani sono quelli più generici, appartenenti al dominio della fisiologia organica e dei processi funzionali: fluttuazioni del tono dell’umore, del sonno, dell’alimentazione, della libido, del livello di energia. Una volta ammesso che questi sintomi fisiopatologici rappresentano il nucleo psicopatologico fondamentale, osservabile a carico della funzionalità organica, e nonostante non favoriscano l’individuazione della causa biologica disregolatrice (conforme al modello fisiopatologico), si genera una circolarità interpretativa (tautologica) autorizzata dall’opzione trattamentale farmacologica. Ricorrendo a quest’ultima, si arriva a sostenere la bontà definitoria del criterio ex adjuvantibus: depressione è quella curata da un antidepressivo (dissezione farmacologica). In altri termini, se la sostanza attiva del trattamento è costituita da un’entità fisico-chimica, allora la natura e la causa del disturbo sono necessariamente rappresentate da una precisa entità fisico-chimica…


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