Etnopsichiatria generale delle depressioni vitali (Mappa tematica 1)
Autore
Ricevuto il 28/04/2024 – Accettato il 03/05/2024
“Zeus ha posto questo
come legge possente:
solo chi soffre impara”…
Eschilo, Agamennone, 160
Riassunto
L’Autore disegna la prima mappa tematica di un più ampio studio etnopsichiatrico intorno alla fenomenologia dei disturbi depressivi emergenti in vari contesti socioculturali. Le manifestazioni peculiari di questo disordine umorale sono rintracciate lungo un asse cronologico che collega le epoche remote alla storia contemporanea. Incrociando la riflessione psicopatologica con l’analisi socioculturale, l’Autore esamina i processi di ricombinazione degli elementi invarianti e mutevoli che influenzano la psicopatogenesi, la sintomatologia, la tassonomia e la cura delle depressioni.
Parole chiave: Etnopsichiatria, cronodinamica, mondi culturali, geopolitica, cosmopolitiche, depressioni vitali.
Summary
The Author draws the first thematic map of a broader ethnopsychiatric study around the phenomenology of depressive disorders emerging in various sociocultural contexts. The peculiar manifestations of this humoral disorder are traced along a chronological axis that connects remote eras to contemporary history. By crossing psychopathological reflection with sociocultural analysis, the Author examines the processes of recombination of the invariant and changing elements that influence the psychopathogenesis, symptomatology, taxonomy and treatment of depression.
Keywords: Ethnopsychiatry, chronodynamics, cultural worlds, geopolitics, cosmopolitics, vital depressions.
Piano di ricerca
Questo saggio continua riflessioni precedenti intorno all’influenza dei fattori culturali sulle psicopatologie a fondo umorale (Cardamone, Inglese, 2010; Inglese, Cardamone, Zorzetto, 2010). Esso parte dall’assunto che l’ecologia culturale si struttura come panoplia di concezioni del mondo, lingue, religioni, politiche, valori, costumi, organizzazioni sociali, sistemi di produzione e oggetti concreti. All’interno delle diverse nicchie ecosociali i fenomeni psicopatologici emergono durante le inevitabili contingenze critiche che caratterizzano il divenire cronodinamico (mitico e storico) dei gruppi umani.
L’aggiornamento odierno farà economia dei riferimenti all’estremo alto ed espansivo (ipertimico: ipomaniacale, maniacale) dei disturbi umorali. Esamina invece le sfaccettature di un complesso sindromico ricorrente, multiforme quanto multisistemico, che precipita nel campo dell’esperienza soggettiva sotto forma di cristalli depressivi addensati all’estremo basso e recessivo dell’affettività perturbata (ipotimico: distimico, depressivo, melanconico).
Il mio ragionamento ruota intorno alla possibilità di codificare i principi di una psicopatologia geopolitica e cosmopolitica, interattiva e inclusiva, multidimensionale e intersistemica (Inglese, 2022; 2024, in press). Desidero pertanto individuare le linee perturbanti con cui entità eterogenee e innumerevoli (forze e soggettività intenzionali) intervengono sulle espressioni emozionali, cognitive e relazionali di una quota significativa di esseri umani. Tali entità, animate e inanimate, si attivano nelle realtà fisiche e immateriali dell’ambiente naturale (ormai irreversibilmente ibridato con quello artificiale: tecno-antropico), della vita sociale, dei mondi culturali fino a produrre il repertorio multiforme delle modalità di deflessione umorale patologica riscontrabili a carico di agenti umani (individui, famiglie, gruppi) e non umani (es., esseri invisibili; ambienti geoculturali; Latour, 1994).
Cercherò di disegnare le ramificazioni della condizione depressiva soggiacenti alla stratificazione sedimentata delle matrici sociali, ideologiche e culturali di individui, gruppi e popolazioni (Devereux, 2007; Linton, 1956; Ruesch, Bateson, 1976).
Questo primo movimento si slancia verso l’esame delle costituenti socioculturali. Un secondo transito, parallelo al primo, s’inabissa negli strati profondi della materia elusiva di cui sono fatti i viventi allo scopo d’intenderne i rumori sordi e indefiniti (es., ansia, depressione, condizioni da stress protratto, nebbia cerebrale (Brain fog); Ferenczi, 1993).
Per iniziare, propongo alcune considerazioni sui vissuti (Erlebnissen) depressivi di soggetti antropomorfi la cui natura eccede quella umana (eroi mitici, divinità). Simili condizioni di sofferenza si rintracciano nei sembianti letterari di tali soggettività impegnate ad affrontare la sottrazione o la perdita di oggetti e beni particolari, oltremodo necessari a conservare la natura costituzionale di questi attori sovrumani.
La giuntura clinica tra il primo e il secondo movimento, indirizzati a stabilire cosa influenzi l’insorgenza dell’affetto depressivo, si articola intorno alla centralità dei processi sottili che producono l’impedimento, la stagnazione e la deflazione della tensione vitale posseduta da creature siffatte. Queste ultime interagiscono con l’umanità all’interno di un contesto di esistenza condivisa (sociale e naturale) e sincronizzata lungo il medesimo asse temporale. L’inibizione e la recessione dell’istanza vitale non restano confinati entro i limiti corporei e mentali di personalità depotenziate dalla depressione, ma si scaricano sul mondo esterno innescandovi effetti generali (geopolitici, cosmopolitici), ricorsivi e incrementali.
I - Depressione geopolitica di Menelao
Richiamo una lezione etnopsichiatrica di Georges Devereux che esamina la documentazione testuale di un’evidente configurazione depressiva a carico del mitico re di Sparta - Menelao dalla chioma solare - la cui offesa personale costituisce l’antefatto motivazionale della guerra di Troia (Devereux, 1976). Secondo la concezione nosologica dell’epoca arcaica, la condizione umorale dell’eroe tradito è dovuta a un evento esterno che distrugge l’ordine della sua sfera di esistenza psicologica e politica, individuale e collettiva.
Il primo rendimento euristico dell’insegnamento di Devereux consiste nell’individuazione di una fenomenologia depressiva (reattiva) in un’epoca storica remota (IV-V secolo a.C.) e nella culla multietnica della Grecia arcaica a contatto con altri universi geoculturali (civiltà ionico-orientali; società del Mediterraneo meridionale).
Devereux fonda il suo rilievo storico e clinico sull’esame filologico e sull’analisi psicologica di una tragedia di Eschilo (Agamennone; Eschilo, 2007), ma invita a seguire le costellazioni depressive esistenti in numerosi contesti sociali (comparativismo tipologico con ridondanza di forme) fino a saggiarne l’ubiquità transculturale.
Secondo il fondatore dell’etnopsichiatria, Eschilo offre una rappresentazione realistica ed esatta di un tipo esemplare di depressione che gli specialisti contemporanei continuano a diagnosticare su persone ordinarie piuttosto che su eroi leggendari (ICD-11; DSM-5).
In una sezione della partitura teatrale (vv. 410-426), il poeta attico elenca accuratamente le espressioni sintomatiche osservate da un testimone collettivo (Coro: dignitari raccolti intorno al monarca interdetto dalla scomparsa di Elena). Quando scopre il trafugamento del tesoro di palazzo e si avvicina al talamo disertato, Menelao rallenta il proprio incedere fino a fermarlo del tutto. Il portamento eretto dell’eroe si curva sotto il peso della dipartita della regina e resta siderato dall’impronta corporea di Elena ancora visibile sul letto dei loro convegni coniugali. La leggera concavità ondulata è il segno che marca, in negativo, una presenza persistente e dolorosa. Il vuoto impalpabile esalta una visione compensatoria a elevata intensità percettiva: per un istante dilatato in eterno, l’assenza corporea balugina come una presenza allucinatoria che prova a negare l’assenza oltraggiosa della sposa concentrandosi sulle tracce delle pieghe impresse sul giaciglio nuziale dal peso dei loro incontri erotici (calco gravitario).
In una sezione della partitura teatrale (vv. 410-426), il poeta attico elenca accuratamente le espressioni sintomatiche osservate da un testimone collettivo (Coro: dignitari raccolti intorno al monarca interdetto dalla scomparsa di Elena). Quando scopre il trafugamento del tesoro di palazzo e si avvicina al talamo disertato, Menelao rallenta il proprio incedere fino a fermarlo del tutto. Il portamento eretto dell’eroe si curva sotto il peso della dipartita della regina e resta siderato dall’impronta corporea di Elena ancora visibile sul letto dei loro convegni coniugali. La leggera concavità ondulata è il segno che marca, in negativo, una presenza persistente e dolorosa. Il vuoto impalpabile esalta una visione compensatoria a elevata intensità percettiva: per un istante dilatato in eterno, l’assenza corporea balugina come una presenza allucinatoria che prova a negare l’assenza oltraggiosa della sposa concentrandosi sulle tracce delle pieghe impresse sul giaciglio nuziale dal peso dei loro incontri erotici (calco gravitario).
Menelao non articola verbo né emette altro suono (mutismo). La sua anima (psyché) si svuota (depersonalizzazione per deanimazione), lo sguardo si spegne, una coda di luce oscura s’introflette verso il foro interiore (introversione con ebetudine stuporosa). Scivola in un sonno agitato da un sogno, disceso sul suo capo per sostituire alla realtà fattuale il desiderio che nulla sia come crudamente è (Abbate, 2017).
La mancanza della parola insinua una risonanza ideativa autodenigratoria perché quanto accaduto diminuisce il prestigio e abbatte l’autostima del monarca, trafitto dalla vergogna di aver perso la faccia (Dodds, 2001). L’eroe entra nel labirinto di un tempo sospeso durante il quale il residuo sentimento amoroso, vincolo tenace con la moglie perduta ora rivissuto in sogno, interdice una prevedibile scarica rabbiosa (controcarica erofilica che alimenta l’ambivalenza affettiva). L’arresto della cinetica somatica (blocco psicomotorio), lo svuotamento dello sguardo (visione ritratta dal mondo esterno, divenuto confuso e privo d’interesse; rivolgimento dell’ottica affettiva verso quello interno, popolato da memorie evanescenti e irreali), l’afonia ottundente (a respiro tronco) si condensano nell’istante in cui respinge la realtà dell’accadimento inconcepibile. Solo un breve intervallo lo separa dal sospetto di una cospirazione spinta fino al tradimento di corte. Menelao si ritira dal contatto con gli esseri umani e non rivolge lo sguardo nemmeno a quelli di pietra - le statue immote che popolano la reggia a enfatizzare l’eccellenza della casata e la nobiltà del rango personale - creature scolpite dalla sensibilità estetica di un popolo desideroso di realizzare l’armonia delle forme di vita.
Siamo al culmine di una reazione negativistache misconosce l’ordinamento della realtà secondo ragione (legge cosmica eterna), il piacere estetico della bellezza, il valore etico della virtù. L’eclissi oniroide della coscienza prepara il momento in cui irromperà la rivendicazione della nemesis - termine compatto, vincolante e terribile che prescrive la vendetta legittima. Tale istanza normativa rappresenta il modello etico e la modalità strumentale con cui riconquistare, agli occhi di uno specifico universo culturale, aidos e thymé: stima, prestigio, autorevolezza, potenza. Queste sono le prerogative irrinunciabili, riconosciute socialmente, della persona eminente che voglia ricollocarsi al centro dell’esistente. Ciò può avvenire solo per mezzo di un’azione di forza (violenza privata, ma socialmente approvata, se semplice cittadino; guerra dichiarata o deliberata, se despota o assemblea di popolo offeso). La risposta pugnace costituisce una modalità di adattamento stenico capace di invertire l’esperienza indicibile dell’astenia conseguente al trauma esistenziale. L’azione violenta segnala la riconquista dell’energia vitale della persona e la propaga nella società di appartenenza. Il flusso di energia combattiva sancisce la fuoriuscita individuale e collettiva dalla fase depressiva grazie alla terapeutica e alla riparazione sociale ottenute attraverso l’esercizio calcolato e prescritto della forza.
Il ciclo depressivo prevede il ritiro temporaneo dalla realtà da parte della persona, che viene così risucchiata nel vortice della deprivazione sensoriale. L’isolamento soggettivo viene ricercato dal sofferente e applicato sistematicamente in varie dimensioni (astrazione dal contatto sociale, astinenza affettiva interpersonale, negazione di bisogni fisici: anoressia). La condizione deficitaria catalizza, a contrario, un eccitamento sostitutivo, di qualità e intensità allucinatoria, che ripristina una relazione con l’oggetto perduto trasformato, anche per via onirica, in fantasma esangue e asensoriale (phasma). Per adottare questa risposta e renderla efficace dal punto di vista psichico, la persona depressa si trasforma interamente in fantasma perché grazie a questa seconda natura (assunta per metamorfosi temporanea e intenzionale) può incontrare il proprio simile, altrettanto fantasmatico (Viveiros de Castro, 2023). Contagiato da un umore lugubre e sinistro, incline alla facile previsione di sventure ulteriori e più gravi, il coro commenta che il palazzo reale è ormai abitato e comandato da spettri senza vita.
Con puntiglio clinico e ispirazione creativa, il drammaturgo descrive una forma di depressione stuporosa e inibita che, nella realtà storica, migliaia di concittadini hanno conosciuto insieme al versificatore. Nella loro stessa carne ne hanno patito la variante luttuosa di massa conseguente ai massacri tra eserciti combattenti a Maratona (dove cade anche il fratello di Eschilo) e Salamina. L’agone tragico di Menelao - consumato dallo struggimento inoperoso e vano nel ricordo dell’affetto coniugale svanito oltre mare - elicita le condizioni psicologiche provocate da una disgrazia affettiva a cui la persona non è preparata. Lo stato emotivo del personaggio è conseguente alla sottrazione di Elena da parte di Paride o, in alternativa, al tradimento messo a segno dalla coppia di amanti. Il primo e il secondo scenario convergono sulla violazione sacrilega delle leggi consuetudinarie che tutelano l’ospitalità politica. L’uno e l’altro motivo di doglianza opprimono il monarca sotto un complesso emozionale dove s’intrecciano un debole ed effimero sentimento di colpa e uno di vergogna, maggiore e capitale. Il primo deriva dal non aver vigilato, con l’attenzione necessaria, sulla regina e sui tesori dello stato, permettendo che venissero espropriati dalla brama di rapina dello straniero troiano. La consapevolezza dolente della propria responsabilità è sovrastata dalla sofferenza intollerabile causata dall’umiliazione pubblica e dalla riprovazione collettiva. Il peso morale della vergogna può essere sollevato per mezzo di una modalità in equilibrio tra risposta soggettiva (idiosincrasica, ma culturalmente temperata e socialmente approvata) e culturale (etnica, ma terapeuticamente efficace sulla persona sofferente), ovvero tra quella confacente a un marito tradito nell’affetto e a un sovrano usurpato nel potere. Nel caso di Menelao, la seduzione della sposa a opera del figlio fatale di Priamo diminuisce il valore affettivo del marito legittimo, mentre il rapimento della regina minaccia la sovranità politica del monarca. Il complotto (a due) può infatti precedere la cospirazione (di una fazione) e favorire un colpo di stato finalizzato al rovesciamento dinastico (in questo caso, un lignaggio maledetto).
Il rifugio temporaneo di Menelao in uno spazio privato (separato dal sociale e richiuso nell’onirico) consente alle due personalità giuridiche fuse nella sua persona di elaborare, entro il medesimo cono d’ombra mentale, il trauma inflitto dalla sottrazione di beni inestimabili perpetrata da un terzo. Ciò permette di confermare che uno spettro sintomatologico non consiste soltanto in un repertorio di elementi differenziali, emergenti sul lato negativo e disfunzionale di una configurazione patologica. Esso costituisce anche la rappresentazione funzionale (positiva) delle modalità difensive con cui la persona risponde a un evento patogenetico. I sintomi vettori del conato di difesa gli permettono di mettere a punto strategie riparative, restitutive, rivitalizzanti.
La condizione psicologica di Menelao agisce come un motore affettivo gravido di conseguenze geopolitiche, in quanto costituisce il precursore soggettivo e oggettivo di una guerra - personale e mondiale - spinta fino all’abbattimento delle mura troiane. La depressione stessa diventa una delle forme con cui la passionalità degli eroi dell’epoca arcaica si scarica sul divenire degli eventi umani. I primi canti dell’Iliade, ad esempio, intonano il menos (ira, furia) del quasi immortale Achille (Omero, 1990). Anche in quello scenario governato dal conflitto parallelo tra umani e dei, schierati in battaglia entro uno stesso teatro marziale, il pathema individuale si propone come motore eziologico di violenze interminabili. L’innesco del pathos, però, viene eterodiretto dalla volontà implacabile delle divinità antagoniste che oscurano le capacità di giudizio e di scelta dei mortali (xenopatia). Il comportamento dell’Atride (condottiero armato come il fratello Agamennone) - prefigurato in Omero e tematizzato dalla sensibilità fenomenologica di Eschilo - si trasmette lungo le generazioni mitiche e storiche nel solco di un modus stabilizzato, riproducendosi quale psicopatologia modale a sostrato culturale. Esso si ripropone in forma inalterata nella semeiologia depressiva ancora persistente nel nostro tempo, affermandosi come modalità emozionale e comportamentale culturalmente trasmissibile (Pathosformeln; Gualtieri, 2020; Inglese, 2020), oltremodo propria e specifica di un determinato mondo sociale e ideologico.
In termini e versi polisemici, la rappresentazione di Eschilo descrive una forma di depressione maggiore, inibita e muta (melancolica: astenica, apatica, anedonica, anoressica, catalettiforme). Essa esclude dall’esperienza vissuta del protagonista la successione sintomatica di espressioni culturalmente e psicologicamente distoniche: il planctus disperato, recriminatorio e inconsolabile del cordoglio, l’attacco omicida teriomorfo, l’atto anticonservativo cruento (automutilatorio o suicidario; De Martino, 2008; Inglese, Madia, 1989).
Il cerchio sociale intorno al re, offeso nell’onore (di uomo) e ferito nell’orgoglio (di monarca), teme la tempesta incontrollata di follia furiosa (al modo di Eracle o Aiace) contro gli stessi concittadini, innocenti e devoti. L’insorgenza di questa tendenza assassina aggraverebbe la vergogna iniziale del sovrano gabbato, sovraccaricandola con l’esercizio di un’ingiustizia cieca, segno ulteriore dell’intervento malevolo di potenze superiori (teopatia) decise a provocare l’eclissi mentale del condottiero e la rovina del suo popolo (ate).
Depressione cosmopolitica di Demetra
Nel mondo greco, la perturbazione depressiva investe anche gli Olimpi. Demetra, ipostasi materna arcaica, piomba nello stupordepressivo a causa del ratto lubrico della figlia Persefone per mano di Ade, rapitore fosco e sulfureo, alla guida del suo carro infernale (Nathan, 1995). Uno stupor paralizzante attanaglia la dea quando ode a distanza incolmabile il grido prolungato della giovinetta, circonfusa d’ingenuità virginale, attirata lontano dall’effluvio di fiori policromi. La genitrice divina riconosce immediatamente la voce filiale straziante, ma ancora non conosce la causa di quel richiamo terrifico (Omero, 1975). Come avviene nelle unioni affettive simbiotiche e fusionali, l’emozione massimale - spavento - si trasmette da un soggetto all’altro per vie sensoriali (es., contagio psichico per via acustica). Colui che perde l’oggetto amato ne percepisce il terrore nel momento esatto in cui esso è stato ingannato, sottratto, violato, soppresso. Nel caso della dea, lo stupor e il correlato stato depressivo sono preceduti da un incontrollabile soprassalto del corpo e della mente attraverso cui scorrono le tonalità affettive e percettive di una paura senza nome. In Demetra, lo spavento, il trasalimento, lo stupor, l’abbattimento accadono simultaneamente e in un luogo lontano da quello della sopraffazione. Secondo una scansione temporale progressiva, invece, gli esseri umani risalgono retroattivamente dalla condizione depressiva al momento traumatico che la precede e la provoca. Pagando il doppio prezzo del proprio distanziamento spaziale e temporale dall’oggetto perduto, l’essere umano rivive, durante la fase depressiva, la scena spaventosa e imprevedibile della violenza improvvisa sull’oggetto a cui è legato per corrispondenza emozionale e risonanza sensitiva.
La depressione di Demetra si compone di un ricco corredo sintomatico ed è preceduta dalla secessione ontologica, allo stesso tempo politica, della madre divina dal resto degli immortali che non hanno scongiurato il ratto abominevole. Demetra incollerita si allontana dall’empireo e scende nel mondo dei mortali, vagando ovunque alla ricerca di un indizio o di una pista che la riavvicini alla figlia in ostaggio. In prossimità muta degli umani, assume il loro fragile aspetto e viene corrotta dal tempo che scorre, inesorabile e rapido, scavando sul suo corpo i segni deturpanti dell’invecchiamento precoce, quasi immediato. Come una donna carica d’anni si muove lenta, curva, affaticata e smemorata fino al disorientamento. Si disinteressa della cura e della purezza del corpo, diventa lacera e maleodorante. Con il volto coperto da un velo ruvido, a capo basso, fissa a terra gli occhi vacui mentre si consuma nella miseria, un giorno dopo l’altro. Avendo rifiutato di sostenersi con l’ambrosia, non si nutre d’altro né si disseta, indifferente ai morsi dell’inedia. Seppur circondata da persone comuni, disposte a indovinarne le disgrazie, non interagisce né dialoga nemmeno con quelle mosse a compassione dalla sua derelizione. Non si preoccupa più dell’ambiente naturale su cui esercitava il proprio imperio munifico. Un dolore immane la punisce in silenzio e l’avvinghia, gettandola nella perplessità inerte. Nessuno può dire quali severi rimproveri rivolga a se stessa, scopertasi incapace di proteggere il bene più caro alle madri. L’espressività comportamentale della genitrice divina non trova consolazione neppure nel ricordo dell’intimità felice goduta in precedenza con la figlia. Il viraggio depressivo, piuttosto, comporta l’inibizione della sua energia vitale e la defezione volontaria dall’esercizio della propria missione teocratica (Bertrand, 2019). Dall’una e dall’altra dipendono i flussi stagionali del mondo terrestre, che così subisce l’arresto dei cicli generativi e la perturbazione disordinata di quelli delle creature animali e vegetali. Tali sfasature costituiscono l’espressione manifesta e distruttiva della disarticolazione generale dei ritmi della physis.
Ritraendosi dal mondo esterno e negandosi alle relazioni vitalizzanti con esso, Demetra trasforma la terra in una superficie rinsecchita, deturpata da fenditure assetate che non ricevono più nemmeno una goccia di rugiada o il vapore soffuso dell’originaria umidità generativa. Il ciclo agrario ripartito in periodi svanisce come un ricordo irreale, al suo posto si sostituisce l’irregolarità imprevedibile del presente, in grado di travolgere nella disperazione e condannare all’estinzione la totalità degli esseri viventi. Se scompare il genere umano, peraltro, chi celebrerà gli immortali che dipendono dalle offerte sacrificali di questo insignificante ed effimero ghénos?
Dalle peripezie di Demetra e Persefone, i Greci ricavano la lezione clinica che il collasso umorale (melanconia) è associato all’arresto, alla scomparsa o alla distorsione dei ritmi fisiologici del vivente. Anche il comune depresso resta prigioniero di una successione ripetitiva che lo condanna all’immobilità inerziale di un continuum magmatico, sdifferenziato e sdifferenziante. Il disturbo umorale rimbalza dalla persona divina (psicologia) all’ambiente naturale (ecologia) ed è per questa ragione che la teofania depressiva di Demetra diventa terribile e totalitaria - cosmopolitica: disorganizza l’ordine generale dell’universo naturale (humus materico) a cui appartengono tutte le creature viventi.
Bisogna procedere a un ingrandimento concettuale delle tracce più labili e sfuggenti rinvenibili nella vicenda della dea melanconica, in modo da apprezzare la finezza nosologica ed eziopatogenetica iscritta nella mitologia. Gli eventi coinvolgono, in realtà, la divinità materna e la figlia inebriata dagli aromi floreali della Terra. Qualcosa di terrifico spaventa la fanciulla eterea e il suo urlo prolungato - raddoppiato all’infinito in echi innumerevoli ed evanescenti - raggiunge e atterrisce la madre suprema: lo spavento incontrollabile le colpisce insieme. Quello di Persefone viene soffocato dallo sprofondamento nell’abisso che subito si richiude dietro di essa, appena ghermita con astuzia violenta dal dio bramoso e rapace. Quello di Demetra le si strozza in gola senza trasformarsi in grido, urlo o imprecazione rabbrividente.
Anche nel caso della divinità, lo spavento provoca una separazione improvvisa tra gli elementi costitutivi della sua sostanza immortale. In analogia con quanto accade all’essere umano colpito da un terrore improvviso, la forza vivificante della dea fuoriesce da quest’ultima o implode in essa, trasformandola in un involucro vuoto, fantasma senza peso né energia, rattrappito su se stesso. In tal modo la dea subisce il furto della propria vitalità (furto d’anima) a causa di un trauma inconcepibile e imprevedibile che non è preparata ad affrontare e di cui non conosce la cura.
L’esempio teofanico allude al fatto che la depressione, in ogni suo tipo e a carico di qualunque essere, deriva dalla perdita di qualcosa di essenziale e inestimabile. La perdita viene percepita come un evento radicale - esistenziale - in grado di revocare la tendenza naturale all’affermazione vitale. Un fatto di questa portata non conosce immediatamente un rimedio, nemmeno quello temporaneo che impedisca al trauma di scaricare i propri effetti depressogeni in ambiti più vasti, fino a coinvolgere la moltitudine di esseri agganciati alla medesima catena vitale.
Anticipazioni
A proposito del rimedio antidepressivo si può anticipare che, se la depressione (distimica o melanconica) è una sindrome della distorsione dei ritmi fisiologici fondamentali (modello: Demetra), la terapia dovrebbe consistere nel ripristino della cadenza regolare dei processi vitali (sequenze, fasi, intervalli), ovvero nella riorganizzazione della loro discontinuità temperata (entro certi valori d’intensità) e programmata, ovvero iscritta nel funzionamento appreso dei sistemi viventi (tecniche d’inversione dei gradienti affettivi; Nathan, 1995).
La deriva depressiva illustrata si trasferisce dalla persona melanconica al mondo sociale e all’ambiente naturale (andamento centrifugo). In una mappa successiva cercherò di argomentare che la deriva assume anche un andamento invertito: iniziata nell’ambiente sociale o nel mondo naturale, riesce a traslocare nella persona (andamento centripeto) e, progressivamente, a incombere su intere popolazioni.
Depressioni sovrumane
Questa coppia di esempi rinvia alle manifestazioni metastoriche della configurazione depressiva riscontrabili lungo gli assi cronologici delle narrazioni genealogiche evocate nel mito cosmogonico (Esiodo), nel poema epico (Omero) e nella tragedia teatrale (Eschilo). Dalle sue ascendenze remote la depressione riemerge nel documento storico e nella casistica medica (psichiatria), a partire da quella, empiricamente congegnata, dai clinici sapienti del Corpus hyppocraticum.
In queste narrazioni, la deflessione distimica è provocata da un attentato alle relazioni intersoggettive significative (genitoriali, coniugali, erotiche, affettive), coinvolge la persona (depressione vitale integrale, somatologica e psicopatologica), si amplifica nelle sue conseguenze sociali (geopolitica) e travolge l’ordine naturale delle cose (cosmopolitica).
I componimenti della tragedia e quelli teurgici indicano che il crollo umorale non investe soltanto la soggettività antropica ordinaria ma trascina in rovina entità esorbitanti (dei, semidei ed eroi). Fin dalle origini mitiche, la deflazione umorale appare totalizzante, affliggendo il corpo e lo spirito di singole persone, gruppi familiari (stirpi), popoli (etnie), costituenti politiche (stati, eserciti), divinità (organizzate in pantheon e ripartite per sfere d’influenza). Nelle trame cosmogoniche, epiche e tragiche il fenomeno non si esaurisce nel circolo monodico del destino individuale, ma si proietta sulle dimensioni dell’esistenza socialmente condivisa e persiste nella lunga durata sotto forma di ammonimento etico (disvalore), dissuasione comportamentale (cattivo esempio), sanzione giuridica (punizione, espiazione), principio terapeutico.
Un’evidenza emergente dalle antiche narrazioni è che la condizione depressiva sia innanzitutto un epifenomeno di disregolazione di comportamenti a mediazione corporea (assetto e motricità posturali, condotte alimentari, libidiche, generative, sonno notturno e diurno: a successione circadiana invertita; in eccesso o in difetto - iposonnia, ipersonnia). Il disordine funzionale degli apparati anatomici insieme alla confusione dei loro processi metabolici impongono un arretramento verso una sorta di grado zero dell’organizzazione somatica. Ciò avviene quando il soggetto depresso ignora oppure rinnega il proprio corpo, in quanto insieme differenziato, o lo percepisce come inesistente. Il neglect depressivo non attende di estremizzarsi nel delirio di negazione somatica di Cotard (dove, peraltro, la negazione corporea si associa spesso a quella del mondo esterno) perché si manifesta già nel disinvestimento funzionale di ogni sua parte visibile o interna.
Questa decatexis lo riduce ad amalgama amorfo incapace di esprimere le proprie istanze vitali o di inviare i suoi ordinari, umili ed essenziali segnali di esistenza in vita.
Ierogamie
Propongo di accoppiare in una sorta di matrimonio tra eterogenei le figure mitologiche di Menelao e Demetra (Elkaïm, Stengers, 1994). Questa ierogamia immaginaria ci permette di misurarci con l’evento, inedito quanto iperrealistico, che congiunge e sincronizza il malessere depressivo del genere umano (campione culturale: Menelao) - nelle sue componenti somatiche, affettive (emozionali e sentimentali) e sociorelazionali - con il malessere ecologico del pianeta esausto e disritmico, ormai fuori equilibrio e fuori controllo (campione culturale: Demetra).
L’immagine istantanea ci consegna due avatar affetti da una depressione soggettiva causata dalla sottrazione di un oggetto necessario alla loro esistenza. La perdita oggettuale, dovuta alla malevolenza intenzionale di un agente esterno, trascina con sé lo svuotamento vitale di soggettività dotate di rango sovrano e potenza smisurata. La deflazione umorale di protagonisti siffatti determina, a sua volta, conseguenze destruenti sui vari ordini della realtà sociale e naturale: guerra (globale), in un caso; caos ecologico (planetario), nell’altro. I due effetti sembrano correlati e commisurati alla forza intrinseca dei personaggi (eroe guerriero; divinità ecocosmica).
Nel tempo storico odierno, la potenza dispiegata dalla scienza e dalla tecnica incrementa l’impatto distruttivo della guerra. L’attuazione di quest’ultima mobilita la frenesia dirompente di esseri integralmente umani ed è in grado di accelerare la catastrofe globale dei sistemi naturali, rendendola irreversibile oltre che irreparabile.
Considerazione intermedia
Rispetto alle concezioni che collegano il malessere depressivo alle condizioni storiche contingenti, la mitopoietica relativizza la portata di questa categorizzazione critica o, quantomeno, ne precorre il rendimento esplicativo.
Le depressioni non sono configurazioni proprie e originali dei mondi contemporanei. Già in antico la sensibilità psicologica di poeti, mitografi e fisiologi tramanda la rappresentazione puntuale e realistica della sintomatologia manifestata dagli umani e, ancor più, dai loro antenati culturali (eroi, divinità). Le forme di sofferenza di questi esseri costituiscono il calco modale di quella, vitale ed esistenziale, espressa dai semplici mortali. L’esperienza del dolore depressivo esiste a partire da epoche primordiali, quelle in cui la terra e il cielo sono ancora strettamente in contatto, permettendo la libera circolazione, tra mortali e immortali, di stati mentali e somatici funzionali (ideali) e disfunzionali (follia; Esiodo, 2010).
Se questa evidenza costituisce un dato empirico invariante, riscontrato nella filologia documentata e analizzabile, qualcosa di nuovo sta intanto accadendo nel presente. In alcune aree geoculturali del globo, le modalità concrete della vita associata sembrano lavorare nella direzione di una soppressione dell’istinto di conservazione della specie umana fino a liberarne l’energia pantoclastica (Coppo, 2005; De Martino, 1977). Si assiste, ad esempio, alla scissione tra la pulsione
Da millenni osserviamo che la condizione depressiva non resta confinata nella mente dell’individuo. Essa investe l’ambiente esterno per poi ricadere nel corpo somato-psichico della persona a causa di un processo ricorsivo e autocatalitico. Risalendo dalla scala individuale a quella ecocosmica, le manifestazioni del dolore mentale si dispiegano ubique e giungono al vertice di un Male inverato piuttosto che permanere sintomi e segni contingenti di una Malattia incarnata. Detto altrimenti, il mondo-ambiente e le creature naturali, insieme a quelle sociali tetanizzate dalla storia, entrano in una specie di risonanza amplificata anche se la loro interconnessione non è scandita da ritmi ordinati (distonia ecosociale). Si generano così eccessi, scarti di lato, imminenze inevitabili che piombano all’improvviso sugli umani e sul loro ambiente vitale (spasmo e panico ecologico), trasformando il Kosmos ideale (ordinato) in Kaos reale (disordinato, forse provvisto di un ordine immanente quanto ignoto; Sahlins, Henry, 2023).
La rapida successione di eventi ambientali a tenore catastrofico, che sciamano sui continenti, può determinare l’esaurimento progressivo della forza di plasmazione culturale delle comunità umane (De Martino, 1977; Han, 2017). In tal modo si espande una depressione atmosferica, incombente come la mal’aria delle nosologie popolari o il miasma della medicina greca. Ogni alterazione dei ritmi battuti dai grandi sistemi naturali caotizza quelli microfisici che agitano le creature biologiche. La destrutturazione delle sequenze regolari che interessano i processi ambientali rende questi ultimi del tutto imprevedibili e la loro stessa imprevedibilità si afferma come il fenomeno a maggiore probabilità statistica.
A carico dell’umano e del mondo-ambiente si alternano cicli e anticicli asintotici (incapaci di spingersi fino al picco della tendenza mobilizzata) di disperazione indifferente (apatica, astenica, anedonica) e di euforia malsana. Essi fuoriescono da un fondo naturale (Untergrund) in cui avanza una tendenza dissolutiva incontenibile, pronta a indossare la maschera triste della rassegnazione contagiosa, dovuta a impotenza generazionale o a ritiro individuale dalla scena del mondo. Si propaga così un cupio dissolvi che mobilita anche la potenza tecno-scientifica in funzione di una guerra totale di mondi, stavolta non destinata a trovare aedi superstiti e ciechi per essere cantata a qualcuno (Anders, 2007a, 2007b; Muscatello, Inglese, Scudellari, 1982).
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