Volume 26 - 31 Luglio 2023

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In Memoria di un'amica e collega e in ricordo di una vita spezzata

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È con grande tristezza che mi trovo oggi a ricordare la vita e il lavoro straordinario di Barbara Capovani, una cara amica e collega che è stata brutalmente uccisa.

Barbara ha dedicato la sua vita allo studio della mente umana e al trattamento dei disturbi mentali. Era un'anima gentile, compassionevole e premurosa che metteva gli altri al primo posto. Barbara era sempre pronta ad ascoltare e offrire il suo aiuto a coloro che ne avevano bisogno. La sua passione per la psichiatria era evidente in ogni suo gesto. Si impegnava instancabilmente per fornire la migliore assistenza possibile ai suoi pazienti. Era sempre disponibile per loro. Non c’erano feste o vacanze in cui lei potesse stare senza informarsi su come andavano le cose, senza fare qualcosa per loro. Quando chiamava per chiedere consigli, sembrava di parlare con una strettissima parente delle persone per cui chiedeva aiuto, con una persona che andava ben oltre il semplice dovuto verso coloro che aveva in cura. Barbara era una persona che voleva bene a quelli che a lei si erano affidati e che a loro, infatti, dedicava la maggior parte della sua vita. Voleva sempre il meglio per i suoi pazienti, e non si arrendeva mai, anche a costo di dover sacrificare il tempo da dedicare ai suoi figli, che comunque ha cresciuto in modo stupendo.


Il tragico destino di Barbara ci ricorda il grande sacrificio che molti professionisti fanno nel cercare di curare gli altri, anche a costo della propria sicurezza. La tragedia che ha portato alla sua morte è infatti un doloroso promemoria dei rischi che i professionisti della salute mentale affrontano quotidianamente. La morte di Barbara dovrebbe servire come un richiamo per riflettere sulle sfide che i professionisti della salute mentale affrontano e sulla necessità di fornire un sostegno adeguato per proteggere la loro sicurezza. Questa tragedia è dunque anche un monito, un segnale sulla necessità di cambiare e migliorare quanto può essere cambiato e migliorato nella nostra professione per prevenire, o comunque ridurre, il rischio di nuove tragedie. Le malattie mentali sono aumentate, come numero e come frequenza e il nostro lavoro è sempre più difficile. I nostri pazienti, però, non sono violenti a priori. Qualcuno può essere pericoloso per se stesso ma è molto raro che qualcuno sia pericoloso per gli altri. Nella mia esperienza, i pazienti ‘pericolosi’ di solito non sono ‘pericolosi’ esclusivamente per la loro malattia mentale. Semmai, sono persone che hanno un’attitudine all’aggressività, che la malattia mentale può peggiorare o slatentizzare. Detta in altre parole, ci sono:

  1. persone che non aggredirebbero mai nessuno, che non farebbero mai male a una mosca, anche se sviluppassero la peggiore delle psicosi;
  2. persone che compiono atti criminali in assenza di malattie mentali (o in presenza di malattie mentali che non compromettano la capacità di decidere il loro comportamento);
  3. persone che compiono atti criminali in qualche modo influenzati da una grave malattia mentale. Queste ultime sono spesso persone tendenzialmente violente, egoiste, narcisiste, incapaci di provare empatia e sofferenza per il dolore degli altri, che diventano ancora più pericolose nella fase acuta di alcune malattie mentali.

È indispensabile proteggere i primi (ovvero quei pazienti che non farebbero mai male a nessuno, nemmeno nella più grave delle psicosi, e che sono la stragrande maggioranza dei nostri pazienti) e tutelare la Società dai secondi e dai terzi. La tutela dai secondi, non appartiene alla Salute Mentale (salvo l’assistenza che è doveroso offrire per la cura delle eventuali malattie che queste persone possono avere, indipendentemente dagli atti criminali compiuti). Per quanto riguarda i terzi, non avendo esperienza di psichiatria forense, non mi sento in grado di suggerire le strategie per prevenire le tragedie che questi individui possono causare. Pur rimettendomi a coloro che hanno molta più esperienza di me, le cose che a mio parere dovrebbero essere valutate, includono:

  1. Garantire la presenza di procedure, strutture e personale che permettano l’immediata messa in sicurezza delle persone con malattia mentale che siano pericolose per la società (i.e. ad alto rischio di comportamenti violenti), ad esempio attraverso l’ammissione in strutture (e.g. rems o simili) dove possano essere curate senza rischi per loro stessi e per gli altri. Capisco bene la necessità di tutelare la libertà e limitare gli abusi ma io- come cittadino- preferirei rischiare un anno in più dello strettamente necessario trascorso in una rems (o carcere) da parte di una persona violenta, che rischiare la morte di un’altra persona innocente, come un familiare, un altro paziente, un professionista sanitario o comunque una persona che sia ad alto rischio di subire la violenza perpetrata da questa persona ad altissimo rischio di comportamenti violenti.
  2. Specificare in modo più chiaro possibile i compiti delle varie professionalità che sono coinvolte nel garantire la sicurezza di questi pazienti e delle persone intorno a loro, soprattutto in fase acuta o in quelle fasi in cui la violenza sia difficilmente prevedibile. Io vedo spesso una tendenza dei vari professionisti (che siano psichiatri, infermieri, forze dell’ordine, o altro) a dire cosa non possono fare loro. Sarebbe a mio parere più utile una direttiva nazionale (o una legge, se le leggi attuali non fossero già chiare) che specifichi in modo chiaro e dettagliato chi fa cosa, e con quali risorse.
  3. Potenziare la cura della salute mentale in carcere, per coloro che, oltre a essere pericolosi, abbiano già compiuto reati.

Barbara ha scelto di continuare la sua missione di aiutare gli altri, nonostante i rischi e le cose che dovrebbero essere migliorate. Ha affrontato e sempre avocato a sé le sfide più complesse e ha lavorato instancabilmente per fornire cure a coloro che ne avevano bisogno, dimostrando un coraggio e una dedizione eccezionali. Le sue capacità professionali erano innegabili, ma la cosa che più la distingueva era la sua presenza amorevole nella vita di molti. Ha dato speranza a chi non ne aveva, ha alleviato il dolore di chi soffriva e ha ispirato coloro che le erano vicini. La morte di Barbara è una perdita che sarà sentita profondamente e per sempre dalla sua famiglia, da sua mamma, dal suo compagno, dai suoi tre figli, dai suoi amici e colleghi. Ma la sua eredità continuerà a vivere attraverso le vite che ha toccato, le persone che ha aiutato, i pazienti che ha curato e i cuori che ha toccato con la sua gentilezza e la sua comprensione.

Mentre piangiamo la perdita di Barbara, onoriamo la sua memoria mantenendo vivo il suo impegno e il suo spirito. È necessario perseguire il riconoscimento dei sacrifici che i professionisti della salute mentale fanno ogni giorno e cercare di ottenere il sostegno di cui hanno bisogno per continuare la loro importante missione. La strada per la guarigione mentale non è mai facile, ma con persone come Barbara che ci guidano, possiamo trovare la forza per andare avanti e lavorare verso un futuro migliore.

Che il ricordo di Barbara rimanga una fonte di ispirazione per tutti noi e che la sua dedizione e il suo amore per il prossimo siano sempre un simbolo di speranza nelle nostre vite.