Volume 26 - 31 Luglio 2023

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I disturbi dello spettro schizofrenico e il ruolo del setting di trattamento: lezioni dallo studio multicentrico DiAPAson

Autori

Corresponding Author: Dott. Giulio D’Anna
Mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. – Tel.: +39 055 807900
Centro Salute Mentale di Prato – via Cavour, 87 – 59100 Prato (PO)

Ricevuto il 28/06/2023 – Accettato il 10/07/2023



Riassunto

Lo studio multicentrico DiAPAson, che ha coinvolto 37 centri in Italia, ha valutato l’uso del tempo quotidiano, l’attività fisica, l’alleanza terapeutica ed i livelli di psicopatologia in un campione di oltre 600 pazienti affetti da disturbi dello spettro della schizofrenia – trattati in regime ambulatoriale o all’interno di percorsi residenziali. Il Dipartimento di Salute Mentale di Prato ha contribuito al reclutamento di pazienti ambulatoriali e residenziali, ed ha successivamente coordinato la stesura di un lavoro in cui è stato evidenziato il rapporto tra attività non produttive, sintomi negativi (primari e secondari) ed emozioni negative. Tale ricerca ha mostrato un significativo impatto dei delle emozioni negative nell’esperienza quotidiana del paziente, associandosi ad un maggiore tempo speso in attività non produttive anche al netto della gravità dei sintomi negativi e del carico farmacologico individuale. Questo risultato permette di ipotizzare una cornice di intervento psicologico e motivazionale sulla dimensione cognitivo-emotiva e sul vissuto quotidiano degli utenti, ridimensionando una visione statica ed aspecifica della sintomatologia negativa nel decorso di malattia.


Abstract

The DiAPAson multicentric study aimed to assess daily time use, physical activity, therapeutic alliance, and the severity of psychopathology among a clinical sample of over 600 patients with chronic psychosis. The study was conducted in 37 centers across Italy, involving both outpatient and residential care settings. The Department of Mental Health of Prato played a role in enrolling patients from three different facilities, including both outpatients and those in residential care. Additionally, the Mental Health service, in collaboration with all members of the DiAPAson Consortium, specifically examined the relationship between non-productive activities, primary and secondary negative symptoms, and negative emotions. The research highlighted the significant impact of negative emotions on patients' daily experiences, potentially influencing their personal functioning beyond negative symptoms and pharmacological treatment. These findings suggest the need for a psychological and motivational therapeutic approach that addresses emotions and beliefs in patients' daily lives. This reframes the conventional understanding of negative symptoms as non-specific and static factors in the clinical progression of the illness.


Introduzione: sintomi negativi, emozioni negative ed esperienza quotidiana

I disturbi dello spettro schizofrenico (DSS) rappresentano una significativa quota del carico assistenziale dei Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) e delle strutture del privato convenzionato che operano in stretta collaborazione con essi [1].

Il carico di cronicità e disabilità associato a questi disturbi dipende in larga parte dai cosiddetti sintomi negativi [2], un gruppo eterogeneo e potenzialmente aspecifico di manifestazioni cliniche che risente in modo minimo degli interventi farmacologici – i quali possono anzi in alcuni casi aggravarli, qualora generino, p.e., appiattimento affettivo o rallentamento ideomotorio (c.d. sintomi negativi secondari) [3]. I sintomi negativi (deficit) comprendono l’appiattimento affettivo, la povertà dell'eloquio, l’anedonia, il ritiro e l’asocialità: vi è oggi un’ampia letteratura che dimostra come la gravità e la precoce insorgenza dei sintomi negativi rappresenti il più forte predittore di esito negativo a lungo termine, essendo essi anche associati ad un maggiore rischio di deterioramento cognitivo. Tali sintomi, in assenza di un’approfondita valutazione psicopatologica, possono peraltro essere confusi con alterazioni dell’umore di tipo depressivo [4]. In questo senso, la dimensione affettiva ed emotiva nelle psicosi croniche è spesso trascurata nella sua plasticità, a favore di concettualizzazioni “gerarchiche” in cui i sintomi negativi sembrano occupare una posizione sovraordinata e statica, spesso sulla base di putativi fondamenti neurobiologici che risultano ad oggi largamente ininfluenti sulla pratica clinica.

Di contro, è noto che la compromissione funzionale legata ai sintomi negativi ha un forte impatto sul funzionamento psicosociale e sulla qualità di vita di questi pazienti, con bassi livelli di attività fisica e ridotto coinvolgimento in attività produttive o interazioni sociali [5,6]. Nelle persone coinvolte, tuttavia, un’analisi critica delle attività e del vissuto del tempo può potenzialmente condurre all’identificazione di quei correlati emotivi e cognitivi che vanno a perpetuare e rinforzare questa inattività [7,8]. In tal senso, la crescente diffusione dell’Experience Sampling Method (ESM) permette una più accurata valutazione in tempo reale dell’esperienza quotidiana dei pazienti [9], ed in particolare di fenomeni di stato legati alla dimensione emotivo-attitudinale ed alla cornice motivazionale. Per quanto l’elevato tasso di self-report di emozioni negative tra i pazienti affetti da DSS sia dibattuto nella sua attendibilità [10], le autovalutazioni dei pazienti costituiscono un’informazione clinica insostituibile e rivestono un valore prognostico sul decorso longitudinale dei disturbi indagati [11,12] – risultato potenzialmente più rilevante rispetto ad altri fattori di ordine neurocognitivo/neurobiologico tradizionalmente intesi [12].


Il progetto multicentrico DiAPAson

Il progetto DiAPAson (Daily Time Use, Physical Activity, quality of care and interpersonal relationships in patients with Schizophrenia spectrum disorders) [13] voleva indagare l’esperienza quotidiana di un ampio campione di pazienti affetti da DSS. Il progetto ha visto la collaborazione di un ampio Consorzio di DSM e di altri servizi di salute mentale (https://diapason-study.eu). Il progetto è stato approvato dai Comitati Etici di competenza territoriale, a partire dai tre centri coordinatori (IRCCS Fatebenefratelli di Brescia; DSMDP di Modena e DSMD di Pavia), ed è stato interamente finanziato dal Ministero della Salute (Bando per la ricerca Finalizzata 2018: RF-2018-12365514).

Dei 37 centri partecipanti fa parte l’Unità Funzionale Complessa Salute Mentale Adulti di Prato, che ha contribuito all’arruolamento di parte dei pazienti ambulatoriali e afferenti a tre strutture residenziali. Il personale coinvolto ha successivamente partecipato – assieme ad altri membri del Consorzio DiAPAson – ad un lavoro di ricerca incentrato sui temi esposti in introduzione. In particolare, è stato valutato il rapporto tra tempo dedicato ad attività produttive e non produttive in pazienti residenziali, pazienti ambulatoriali e controlli sani. Inoltre, è stata indagata la relazione tra sintomi negativi ed attività non produttive, e – grazie all’ESM – anche la relazione tra attività non produttive ed emozioni negative, al netto dei sintomi negativi e del carico farmacologico. I risultati di tale indagine sono in stampa in una importante rivista internazionale [14] e saranno qui brevemente richiamati in modo qualitativo.


Focus su emozioni negative e attività quotidiane nelle psicosi croniche

Utilizzando il campione di studio DiAPAson [13], costituito da 311 pazienti residenziali, 307 pazienti ambulatoriali (N = 618), e 112 controlli sani, sono stati analizzati i dati riguardanti:

  • informazioni socio-demografiche (con particolare riferimento al carico farmacologico antipsicotico, distinguendo monoterapia vs uso di almeno due antipsicotici, proxy di potenziali sintomi negativi secondari);
  • uso del tempo, attraverso una Time Use Survey sviluppata ad hoc per lo studio in base alle categorie EUROSTAT [15], dividendo le attività registrate nel corso del giorno in produttive (productive activities, PA) e non produttive (non-productive activities, NPA);
  • sintomi negativi, valutati attraverso la Brief Negative Symptom Scale (BNSS) [16];
  • emozioni negative, valutate in un sottocampione di 121 soggetti (66 residenziali e 55 ambulatoriali) mediante un’app specifica per l’ESM (8 volte al giorno per una settimana, mediante item standardizzati e già presenti in letteratura) [17].

I criteri di inclusione ed inclusione, le modalità di campionamento, la raccolta e l’analisi dei dati sono descritti in maggiore dettaglio nel protocollo generale e nello studio in extenso [13,14].

I risultati di questo studio hanno permesso di confermare alcuni dati ampiamente documentati in letteratura:

  1. Una minore rappresentazione delle PA ed una maggiore frequenza delle NPA tra i pazienti rispetto ai controlli sani. Tale fenomeno era peraltro maggiormente pronunciato tra i pazienti residenziali rispetto ai pazienti ambulatoriali. In generale – rispetto ai pazienti ambulatoriali – i pazienti residenziali mostravano punteggi alla BNSS più elevati (indicanti maggiore gravità), un maggiore carico farmacologico, e tassi di comorbilità più elevati. Considerando il contesto di studio (real-world practice su scala nazionale), un primo elemento di riflessione riguarda l’allocazione delle risorse residenziali in favore di condizioni di maggiore gravità psicopatologica e compromissione funzionale – suggestivo di un’appropriatezza clinica, ma anche della cogente necessità di implementare e potenziare gli interventi psicosociali in questa fetta di utenza.
  2. Un minore tempo impiegato in PA ed un crescente tempo impiegato in NPA all’aumentare dei sintomi negativi. Anche in questo caso, uno spunto di riflessione rispetto alle premesse teoriche viene da una variabile di esito secondaria. Infatti, tra le sotto-scale della BNSS (blunted affect, avolition, anhedonia, distress, alogia, asociality), quella maggiormente correlata al tempo passato in NPA era l’avolition, area psicopatologica maggiormente specifica, nonché limitrofa ad aspetti affettivi e motivazionali.

Il risultato di principale interesse, e di carattere autenticamente innovativo, è che la relazione tra NPA ed emozioni negative, statisticamente significativa (p < 0.001 nei giorni feriali), emergeva anche tenendo conto di – ossia correggendo per – sintomi negativi (BNSS total score) e numero di antipsicotici (p < 0.01) sia nei giorni feriali che nei giorni festivi. Il valore di tale riscontro sarà qui brevemente discusso.


Emozioni negative e inattività: cornice di intervento e potenziali implicazioni terapeutiche

A partire dal riscontro di risultati in buona parte attesi, come un diverso uso del tempo tra pazienti residenziali, pazienti ambulatoriali e controlli sani, e la nota associazione tra questo dato e la gravità psicopatologica dei pazienti, è stato possibile impostare una riflessione ulteriore a partire dall’esperienza quotidiana del paziente. Ciò è avvenuto attraverso l’impiego dell’ESM, una modalità di campionamento del vissuto del paziente in grado di cogliere in tempo pressoché reale i fenomeni indagati. Questa modalità è ancora poco utilizzata negli studi ecologici di salute mentale e può consentire un notevole avanzamento per la valutazione ed il miglioramento della pratica clinica.

In effetti, lo studio ha evidenziato come le attività non produttive – note per essere assai rappresentate nella quotidianità dei pazienti affetti da DSS– si associno in modo forte con le emozioni negative, al netto di sintomi negativi primari e secondari (intendendo con questi ultimi in primo luogo quelli farmacologici, ma potenzialmente anche quelli indotti da setting di cura a bassa stimolazione, auspicabilmente non rappresentati nel nostro campione) [3,18].

Questo riscontro può essere integrato nel contesto di un background teorico psicologico che sottolinea l’importanza della dimensione emotiva nel determinismo e nella genesi dei sintomi deficitari della schizofrenia e dei disturbi associati. Ad esempio, alcuni studi suggeriscono il ruolo di una discrepanza tra ideal and actual affect [19] e l’anticipazione di emozioni ed esperienze negative [20] nella genesi e nel mantenimento dei sintomi negativi e del ridotto funzionamento personale e sociale. In altre parole, la persistente presenza di timori di disconferme interpersonali, ed un’esperita difficoltà dell’essere-nel-mondo, soprattutto a livello interpersonale, favorirebbero un atteggiamento inerziale e di mancato ingaggio nelle attività. Il risultato sarebbe pertanto un ridotto funzionamento personale e sociale associato a stati di distress psicologico persistente, che rischiano di fondersi in un’aspecifica “sintomatologia negativa” che agisce da ombrello psicopatologico complessivo. Tutto questo avviene anche nel contesto di un’alterata capacità di discernimento delle emozioni (c.d. emotional granularity) [21], che in passato ha portato alcuni autori a dubitare dell’attendibilità dei self-report delle emozioni di questi pazienti.

Il rischio, tuttavia, è che questa combinazione di aspecificità e presunta inattendibilità rischiano di portare ad un senso di impotenza terapeutica e di sfiducia verso gli interventi psicosociali di natura riabilitativa. Di contro, un recente studio ha evidenziato in modo chiaro l’efficacia della terapia cognitivo-comportamentale e delle tecniche di intervista motivazionale nel trattamento dei sintomi negativi [22]. In effetti, le emozioni negative, associate a corrispondenti aspetti attitudinali e motivazionali [12], dovrebbero costituire un target terapeutico maggiormente specifico e plastico, una volta che siano state individuate nel singolo paziente e studiate in coorti longitudinali con protocolli di intervento basati sulle evidenze.


Conclusioni

Lavori come quello qui richiamato sottolineano la possibilità di produrre risultati innovativi a partire dalla pratica clinica dei Servizi di salute mentale. Il finanziamento pubblico del progetto, insieme allo sforzo organizzativo dei Centri coordinatori e delle diverse sedi di raccolta dei dati, mirano a mantenere attiva una cultura della ricerca in un settore sanitario spesso integralmente assorbito dalla pratica assistenziale, al punto da non potersi occupare di condurre una riflessione sull’utenza e sui servizi erogati.

In particolare, l’utilizzo dell’ESM – poco rappresentato nella letteratura scientifica sulle psicosi – ha permesso di mettere in luce l’esperienza quotidiana del paziente in modo complementare e potenzialmente più accurato rispetto alle tipiche valutazioni complessive di tipo retrospettivo (i.e., “Nel corso dell’ultimo mese, in una scala da 0 a X…”). Da ciò muovono potenziali implicazioni terapeutiche, con particolare riferimento ad interventi psicosociali che attengono agli aspetti motivazionali e all’assetto cognitivo-emotivo del paziente.


Riferimenti bibliografici

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Riconoscimenti

Gli Autori ringraziano tutti i membri del Consorzio DiAPAson che hanno partecipato all’organizzazione dello studio, alla raccolta dei dati e alla produzione scientifica a questi associata. Per ulteriori informazioni: https://diapason-study.eu