Volume 25 - 23 Dicembre 2022

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Interdisciplinarietà e cambiamento nell’esperienza del Progetto Samedi: aprire spazi narrativi e dare dignità alle molteplici prospettive coinvolte nel processo di cura

Autori

Ricevuto il 16/08/2022 – Accettato 20/09/2022



Riassunto

Attraverso il Progetto “SAMEDI: Capaci di curare in rete, oltre le barriere culturali”, Fondo Asilo, Migrazione Integrazione (FAMI) 2014 - 2020 Prog 2784, gli operatori socio-sanitari dei Centri di Salute Mentale e dei Servizi per le Dipendenze delle zone distretto di Arezzo, Valdarno, Siena, Val d’Elsa, Grosseto in collaborazione con due antropologi, mediatori linguistico-culturali ed educatori sanitari di comunità (esc) hanno condotto un’esperienza formativa di apprendimento situato, circolare e dialogico. Buona parte del percorso era incentrato alla calibrazione e sperimentazione di uno strumento qualitativo e narrativo finalizzato al rafforzamento dei modi di raccolta dell’anamnesi. È stato proposto l’impiego della MacGill Illness Narrative Interview (MINI), un protocollo di intervista teoricamente guidato, semi-strutturato e qualitativo, elaborato oltreoceano nell’ambito della psichiatria transculturale, dai ricercatori della MacGill University. Tale strumento consente un’esplorazione profonda delle idee, dei significati, degli orizzonti di senso, dei modelli di riferimento socio-culturalmente informati che caratterizzano le soggettive esperienze di sofferenza e disturbo. Attraverso una serie di incontri laboratoriali, il MINI è stato rivisitato a partire dalle esperienze e dalle competenze di tutti gli operatori coinvolti nel progetto. Tuttavia si è resa necessaria l’elaborazione di un ulteriore strumento specificamente costruito per aprire uno spazio narrativo e conoscitivo sulla vita al paese di origine, sui legami socio-familiari, l’educazione ricevuta, il lavoro, le ragioni della migrazione, il viaggio, l’approdo e l’impatto prodotto dalle condizioni di immigrazione nella vita delle persone. Una volta messe a punto le tracce si sono svolti i colloqui in profondità all’interno dei servizi, nell’ambito di un setting clinico composto da operatori socio-sanitari in affiancamento con l’antropologo e il mediatore linguistico-culturale. Alcuni e alcune portano in eredità un vissuto pre-migratorio sofferente, fatto di sopraffazioni, abusi, in un continuum di violenza e marginalità. Ancor più vero per quante e quanti giungono in Italia attraverso la rotta del Canale di Sicilia, dove il rischio di essere esposte o esposti a forme di violenza (sperimentata nel proprio corpo o assistita), tortura e abusi è una costante. Ascoltare e raccogliere storie di violenza e abusi significa includere nel processo di valutazione diagnostica i molteplici fattori che concorrono a produrre la sofferenza, il disturbo, la malattia. Laddove possibile le interviste sono state audio-registrate e successivamente trascritte. Il testo orale e trascritto diviene documento e testimonianza che consente un’attenta analisi degli elementi emergenti ai fini di una presa in cura sempre più centrata sulla persona e una meta-riflessione sull’impatto nella clinica di strumenti qualitativi articolati, volti ad afferrare la complessità delle soggettive esperienze e dei molteplici modi di esperirle, dando dignità alle prospettive di tutti i soggetti coinvolti nel processo: utente, operatore, antropologo e mediatore.
L’ascolto, l’analisi e il confronto su questi temi ha contribuito a promuovere una maggior consapevolezza sulle modalità relazionali tra migrante e operatore, sulle asimmetrie di potere tra persone che occupano posizioni diverse nello spazio sanitario, sulle peculiarità del setting clinico, sulle reazioni emotive e culturalmente informate dell’operatore, fino al confronto con i modelli di accudimento genitoriali, la psico-traumatologia per approdare al tema dell’incontro possibile o impossibile.


Abstract

Through the Project "SAMEDI: Capaci di curare in rete, oltre le barriere culturali", Asylum, Migration and Integration Fund (FAMI) 2014 - 2020 Prog 2784, the social-health workers in the Mental Health Centres and Addiction Services of the district areas of Arezzo, Valdarno, Siena, Val d'Elsa, Grosseto with the assistance two anthropologists, linguistic-cultural mediators and community health educators (ESC) carried out a training experience of situated, circular and dialogic learning. A large part of the course was centered on the calibration, and experimentation of a qualitative and narrative instrument aimed at strengthening the ways of collecting anamnesis. The MacGill Illness Narrative Interview (MINI) was initially suggested as a relevant theoretically grounded, semi-structured, qualitative interview protocol, developed overseas in the field of transcultural psychiatry, by researchers at MacGill University. This tool allows for an in-depth exploration of the ideas, meanings, horizons of meaning, and socio-culturally informed reference models that characterize the subjective experiences of suffering and disorder.   A number of workshop meetings, led to revisit the MINI according to the experiences and skills of all health and social care professionals involved in the project. However, it became necessary to develop a further tool specifically constructed to open up further narrative and cognitive space inclusive of aspects of life in the country of origin, socio-familiar ties, education, work, reasons for migrating, experiences suffered during the journey, on  landing and the overall impact produced by the context of migration in peoplÈs lives. Once such thematic traces were set up, in-depth interviews took place within the services, in a clinical setting composed of social and health professionals working alongside the anthropologist and the linguistic-cultural mediator. The interviews revealed the impact for some of pre-migratory sufferings, in case of oppression and abuse, within a continuum of violence, and marginality. This is even truer for those who arrive in Italy through the Sicilian Channel route, where the risk of being exposed to forms of violence torture and abuse (experienced in onÈs own body or witnessed), is constant. Listening to and collecting stories of violence and abuse means including in the process of diagnostic assessment the multiple factors that have contributed to the production of suffering, disorder, and illness. Where possible, interviews were audio-recorded and subsequently transcribed. The oral and transcribed texts become documents and testimonies that allow a careful analysis of emerging elements in an increasingly person-centered treatment as well as furthering a meta-reflection on the clinical impact of articulate qualitative tools. A step towards reflecting the complexity of subjective experiences and the multiple ways of experiencing them, giving dignity to the perspectives of all subjects involved in the process: patients, health and social care profesionals, anthropologists and mediators.
Listening, analyzing and comparing these themes helped to promote greater awareness of the relational modalities between immigrants and health and social care professionals, including awareness of power assymetries between people with different positions in the healthcare space, while furthering focus on the peculiarities of the clinical settings and on professionals' emotional and culturally informed reactions. This process eventually included the comparison of different parental models of care, and of different psycho-traumatological approaches in order to further explore the factors furthering or hindering connection.


Introduzione

Nonostante i servizi si attivino per promuovere percorsi di inclusione finalizzati a favorire l’interazione con l’utenza immigrata, si ripropongono alcune tematiche: differenze linguistiche e socio-culturali; difficoltà legate alle condizioni di esistenza; mutamenti socio-relazionali, marginalità sociale, assenza in molti casi di una rete socio-familiare di riferimento; problemi di comunicazione; difficoltà di accesso ai servizi (1;2).

“Tali questioni in qualche misura condizionano le relazioni di cura e orientano i percorsi di salute e malattia” (1: 247).

Le patologie che sovente si manifestano nei migranti sono spesso connesse a condizioni di esistenza quali, sradicamento dal proprio contesto di origine, difficoltà di adattamento, inserimento e marginalità socio-economica, stati psichici connessi a stress prolungati e a eventi di vita potenzialmente traumatizzanti.

Un primo incontro, svolto in fase di costruzione del progetto con alcuni operatori dell’UFSMA, ha messo in luce specifiche problematiche. È emersa uno distanza tra gli accessi al Pronto soccorso a causa di disturbi psichici e la presa in cura da parte dei servizi (3). Gli operatori hanno inoltre evidenziato la difficoltà a intercettare bisogni, la problematicità nel comprendere significati diversi attribuiti alla malattia, in particolare a quella psichica (ad esempio, come vengono compresi e vissuti il disagio psico-emotivo e la patologia psichica dai singoli e all’interno del contesto sociale di origine), la difficoltà a formulare una diagnosi.


1. Interviste in profondità

L’intervista in profondità (o colloquio in profondità) è una tecnica di indagine utilizzata nella ricerca qualitativa (4), in particolare quando l’obiettivo conoscitivo è volto a rilevare giudizi di valore, convinzioni, rappresentazioni, significati espliciti o impliciti e / o ricomporre memorie a partire dalla viva voce dei soggetti intervistati.

Essa permette di indagare i significati attribuiti dalle persone all’esperienza di sofferenza e/o di malattia.

Ogni intervista ha come premessa la motivazione a conoscere, per approfondire, per afferrare significati, per ricomporre eventi e risignificarli, per aprire e offrire spazi narrativi (5:8).

I colloqui in profondità si svolgono con l’ausilio di uno strumento di indagine, chiamato temario. Esso rappresenta una traccia, un insieme di temi e sotto-temi da approfondire, inerenti uno specifico ambito. Consente inoltre di condurre l’intervista mantenendo un focus e rende comparabili le informazioni raccolte.

Il MINI è suddiviso in cinque sezioni, tre sezioni principali e due facoltative. La prima sezione consente di descrivere i sintomi e ricomporre l’esperienza di malattia, la seconda di far emergere i prototipi sugli attuali problemi di salute a partire dalle precedenti esperienze dell’intervistato, dei componenti della sua famiglia, degli amici, dei mezzi di comunicazione di massa e altre rappresentazioni “popolari”, la terza sezione consente di esplorare i modelli esplicativi del paziente. Le ultime due sezioni esplorano gli itinerari di presa in cura, l’aderenza alle prescrizioni terapeutiche, l’impatto dell’esperienza sulla percezione di sé, sulle relazioni familiari e con altre persone (6).


2. Calibrazione del Mini e conduzione delle interviste in profondità

Il percorso laboratoriale ha incluso l’elaborazione collettiva di tre diversi strumenti per la rilevazione della prospettiva dell’utenza, punto metodologico essenziale nell’approccio antropologico alla presa in cura. Esito di questo processo sono tre differenti tracce (temari) per lo svolgimento delle interviste in profondità con le/gli utenti: una per la salute mentale adulti (UFSMA), una per il servizio per le dipendenze (SERD) e una specificamente costruita per raccogliere la storia di viaggio, di emigrazione e immigrazione. Quest’ultima traccia, ad integrazione delle altre due, consente di aprire uno spazio narrativo e conoscitivo sulla vita al paese di origine, sui legami socio-familiari, l’educazione ricevuta, il lavoro, le ragioni della migrazione, il viaggio, l’approdo e l’impatto prodotto dalle condizioni di immigrazione nella vita delle persone.

Le tracce elaborate consentono di esplorare, nella narrazione del paziente, le condizioni esistenziali e le esperienze significative che concorrono e / o hanno avuto un peso nel generare condizioni di sofferenza.

Le interviste si sono svolte in un setting clinico caratterizzato dalla presenza dell’antropologa e della mediatrice / mediatore linguistico-culturale in affiancamento alle figure che operano stabilmente all’interno dei servizi. Laddove gli intervistati hanno acconsentito, le interviste sono state audio-registrate e successivamente trascritte letteralmente. I testi delle interviste sono stati collettivamente analizzati con le équipe coinvolte.

L’interdisciplinarietà emerge qui come fondamentale al fine di ampliare lo sguardo alla prospettiva dell’utenza e intervenire tenendo conto della multidimensionalità dell’esistenza umana, in termini bio-psico-sociali.


3. Trascrizione interviste in profondità. Limiti e potenzialità

Attraverso la trascrizione, la parola orale diviene testo scritto. Il colloquio dovrebbe essere trascritto da chi lo ha svolto, in modo da segnalare nel testo elementi significativi, oltre le parole: il setting in cui si realizza l'intervista, il linguaggio non verbale, para verbale e la prossemica. La trascrizione dovrebbe avvenire in tempi brevi, quando le impressioni sono ancora vivide nella memoria. Prima dello svolgimento del colloquio sarebbe auspicabile un momento di condivisione tra équipe sanitaria e antropologo per ripercorrere la storia clinica dell'intervistato dentro e fuori i servizi e per stabilire insieme quali argomenti approfondire nell’intervista. I testi trascritti nel progetto Samedi forniscono una visione complessiva di quelli che sono i temi e le ricorrenze nelle varie interviste. Tuttavia, esse mettono in luce come scelte e percorsi individuali non siano sovrapponibili con altri, ogni storia porta a scoprire elementi non generalizzabili. La trascrizione dei precedenti colloqui andrebbe sempre riascoltata o riletta prima di apprestarsi ad un successivo incontro, non prestare attenzione alle risposte, non rivedere in fase preliminare i colloqui precedenti, o non dare credito alla ricostruzione degli eventi fatta dal nostro interlocutore può rappresentare un limite e potrebbe compromettere il processo di costruzione di una relazione terapeutica basata sulla fiducia. Al contrario, tenere a mente racconti e particolari apre inediti canali di fiducia. In questo senso può essere utile, prima di passare alla domanda successiva, ricapitolare gli elementi precedenti, sia per facilitare una narrazione coerente sia per valorizzare quanto dice l'intervistato e accogliere il suo punto di vista.

La narrazione della propria storia di vita è di per sé un atto terapeutico. Lo scopo è supportare l’intervistato nella ricerca di senso e nel focalizzare gli elementi centrali della sua storia. Per questo il colloquio può anche rivelarsi elemento di crisi: nel ricostruire i nodi determinanti nel suo percorso esistenziale l’intervistato rielabora l'accaduto e conferisce talvolta inediti significati a passati accadimenti. Nel ricostruire la visione soggettiva dell’interlocutore è importante assecondare il flusso narrativo, malgrado si raccolgano talvolta racconti parziali e non sempre coerenti.


4. Il MINI dal punto di vista del setting clinico

Secondo una prassi consolidata, il setting clinico è composto da spazio, tempo, regole di comportamento, definizione della richiesta della committenza.

Questo approccio presuppone che gli interlocutori parlino la stessa lingua e utilizzino un codice semantico comune. Tale presupposto implicito, negli incontri con persone migranti, non è scontato. Esso comporta il confrontarsi con la questione della lingua, quindi, con la mediazione linguistico-culturale (MLC).

Mediazione che talvolta l’utenza potrebbe rifiutare, ad esempio perché il mediatore presente è lo stesso precedentemente coinvolto in una valutazione delle competenze genitoriali fatta presso altro servizio per conto del Tribunale per i Minorenni.

Oppure si è proposto, come mediatore, una figura importante della comunità d’appartenenza del paziente che, non svolgendo questa delicata funzione come professione, ha portato in seduta atteggiamenti propri, introducendo personali punti di vista, suggerimenti o veri e propri interventi sui comportamenti e stili di vita dell’utenza.

La variabile spazio: spesso è necessario avere a disposizione spazi fisici appropriati per accogliere adeguatamente famiglie intere piuttosto che piccoli ambulatori adatti al rapporto duale.

La variabile tempo: l’idea dell’importanza della puntualità non è necessariamente condivisa; a questa si aggiungono fattori logistici, non da ultimo che alcune famiglie non sono auto-munite oppure vivono in zone scarsamente servite da mezzi pubblici.


5. La relazione operatore sanitario-paziente

Partendo dal concetto di Compliance, ovvero la condotta del paziente rispetto al grado di adesione alle raccomandazioni dell’operatore, si pone la questione dell’influenza delle asimmetrie di potere, ad esempio in situazioni in cui l’intervistatore è un operatore che ha il mandato di poter convocare l’intervistato in un servizio pubblico a seguito della richiesta di un’autorità giudiziaria.

Ci si riferisce non solo alle ordinanze dei Tribunali richiedenti una valutazione psicodiagnostica, ma anche a quelle che “invitano” la persona a farsi curare presso il servizio di salute mentale adulti.

Se nel primo caso il committente richiede esplicitamente l’esito scritto della valutazione a cui l’intervistato si deve sottoporre, nel secondo, pur non richiedendo tale documentazione, è inevitabile che si attivino nell’intervistato timori di vario tipo che inevitabilmente riducono, se non bloccano, la disponibilità a scambiare informazioni. Mentre la Concordance implica che terapeuta e paziente raggiungano un accordo sul regime che il paziente dovrà assumere, implicando la partecipazione attiva di entrambi i poli della relazione.

Da questo punto di vista il MINI si avvicina maggiormente al concetto di Aderenza, non essendo “(…) un colloquio clinico, in cui l’intervistatore ha il ruolo di esperto, ma piuttosto un colloquio etnografico, in cui l’intervistato si trova nella posizione di esperto” (6:680) e le decisioni che verranno prese sono il risultato di un processo di negoziazione condiviso tra operatore e paziente.


6. Transfert e Controtransfert

Senza dilungarci ad analizzare gli sviluppi del concetto di transfert e controtransfert nel tempo, possiamo dire che così come attraverso il transfert si sviluppa il processo del rapporto tra paziente e terapeuta a livello razionale ed affettivo, il controtransfert è l’insieme delle reazioni del clinico, esplicite o implicite, in rapporto al suo paziente.

Moro & Nathan (7) affermano che in questi tipi di consultazione risulta necessario sviluppare non solo l’analisi della dimensione affettiva, ma una modalità specifica di analisi del controtransfert legata alla dimensione culturale. Questo implica lo sforzo di esplicitare il proprio controtransfert, gli stati affettivi provati e gli impliciti, “(…) le teorie che l’hanno portato a pensare una certa cosa (inferenze) o a formulare un tale atto terapeutico… Il controtransfert culturale riguarda il modo in cui il terapeuta si pone rispetto all’alterità del paziente, al suo modo di fare, di pensare la malattia, rispetto a tutto ciò che costituisce il suo essere culturale” (8:145-146).

Quindi pensarsi come terapeuti esseri culturali. Il paziente e il terapeuta hanno le proprie appartenenze, s’iscrivono in storie collettive che permeano le loro reazioni, di cui è importante avere consapevolezza.

Michel (9:33), parlando di transfert e controtransfert, usa il termine meta-transfert interculturale, ovvero “(…) ciò che definisce i rapporti tra i rispettivi gruppi d’appartenenza dei protagonisti della relazione”.

Senza l’analisi del contro-transfert culturale si rischia di compiere passaggi all’atto aggressivi, affettivi, razzisti.


7. Il MINI dal punto di vista psico-traumatologico

Senza entrare nella controversia sulla universalità della responsività sensibile del caregiver (10), all’interno della teoria dell’attaccamento della Ainsworth (11), quale fattore correlato allo sviluppo positivo del bambino nella sua traiettoria di sviluppo, vi sono autori che evidenziano come in diverse società non occidentali, l’attenzione è rivolta maggiormente al benessere del gruppo piuttosto che all’individuo (12).

“È stato persino suggerito che in molte culture non occidentali i bambini sono addestrati a non aspettarsi una responsività sensibile da parte di chi si prende cura di loro, poiché l’obiettivo genitoriale è promuovere obbedienza, conformità e rispetto dell’autorità” (10:3), non autonomia, individuazione e sviluppo di un sé coeso.

Detto ciò si pone il quesito di come aiutare il migrante quando si ravvede la presenza di ciò che chiamiamo “traumi relazionali dello sviluppo” e quando questo rischio si declina nell’esercizio delle responsabilità genitoriali, nei modelli d’accudimento della prole.

Un primo dilemma si pone, ad esempio, nel lavoro con una paziente nata in Italia da genitori provenienti da un paese terzo. La paziente presenta, in comorbilità, vari disturbi psicopatologici, con storia evolutiva di violenza fisica subita come metodo educativo correttivo, violenza assistita intra-familiare e maltrattamento emotivo. Si prova a lavorare sulla genitorialità, in setting multipli integrati. Il modello educativo della famiglia di origine interpreta i comportamenti della figlia come mancanza di rispetto e di adesione ai comportamenti attesi e come provocatoria offesa all’autorità familiare, mentre nel nostro modello interpretativo essi sono espressione di un disagio emotivo collocabile all’interno di un accudimento carente in responsività sensibile verso i bisogni di protezione e nutrimento affettivo della figlia.

L’altro tema riguarda come aiutare il migrante quando è vittima di eventi potenzialmente destabilizzanti.

Non analizziamo la controversia sulla legittimità dell’estensione della categoria diagnostica PTSD nelle società non occidentali.

Nel presentare un secondo dilemma relativo alla gestione degli effetti di eventi avversi, si prende a prestito Edwards (13:121) che, riferendosi ad un lavoro di Eagle del 2004 (14) dice che “(...)descrive il dilemma creato dall’ingiunzione di essere sensibili alla comprensione culturale e alle spiegazioni. Una ragazza è stata portata in clinica dalla madre e c’erano prove di abusi sessuali in corso da parte di un vicino o un familiare. Tuttavia, il padre aveva consultato un guaritore tradizionale il cui focus era sul perché questa disgrazia avesse colpito la famiglia, piuttosto che sul disagio emotivo della figlia. Il padre preferiva seguire il guaritore nella ricerca di cause soprannaturali e non avrebbe poi permesso alla ragazza di tornare per le cure psicologiche. In questo caso ci si chiede se e come le attribuzioni in termini di credenze tradizionali alla stregoneria servissero a perpetuare l’angoscia piuttosto che ad alleviarla” (13:121).


8. Il MINI e la fenomenologia dell’incontro

Quest’esperienza mostra la necessità di un cambiamento insito proprio in ciò che appare come un limite del MINI, ovvero il bisogno di avere spazi ampi e tempi lunghi, che si traduce nella necessità di costruire spazi e tempi mentali diversi, introducendoci alla fenomenologia dell’incontro con l’altro.

“Martin Buber (15) ha parlato di esistenza come incontro e di lacerazione nell’esistenza, rappresentata da un incontro fallito, “Vergegnung”) (16:44).

Dal latino incontra, in rafforzativo e contra, contro, dirimpetto, di fronte; l’incontro è letteralmente trovarsi di fronte a.

Si può condividere l’assunto secondo cui l’incontrarsi non equivale necessariamente a sperimentare una precisa corrispondenza di idee o a manifestare un’eroica sopportazione dell’altrui diversità, ma vivere l’esperienza del rispetto nell’interezza del suo significato, un “guardarsi negli occhi (repicere) secondo trasparenza e verità” (16:44).

Disponendosi autenticamente nella relazione terapeutica, si instaura un processo di reciprocità in cui l’accoglienza dell’altro non significa “annessione”, poiché paziente e terapeuta resteranno fedelmente uno “di fronte” all’altro, non “dentro” l’altro, difendendo l’irriducibilità incontrata (16).

“E Questa reciproca alterità è dimensione strutturale dell’incontro, per cui due soggetti si alterano reciprocamente, ovvero ciascuno è segnato nella sua esistenza dall’incontro dell’altro” (16:44).


Conclusioni

L’ascolto di narrazioni, storie di vita di persone provenienti da mondi non occidentali rimanda alla necessità, sempre più impellente, di dotarsi di strumenti conoscitivi e competenze interculturali che permettano agli operatori sanitari di comprendere gli accadimenti e le condizioni esistenziali che hanno contribuito a produrre sofferenza, al fine di ridurre il rischio di errori diagnostici e favorire la promozione di cure più appropriate ed efficaci. In questo processo “La conoscenza di modelli culturali in generale, tradizionali o etnici in particolare, può e deve essere per il terapeuta un aiuto per tentare di entrare in situazioni che si presentano inaccessibili, ma il cui obiettivo è sempre lo stesso: la risoluzione dei problemi o di parte di essi che il disturbo psichico pone” (17:166).

A tal fine l’inclusione della prospettiva antropologica, negli spazi sanitari pubblici, consente l’applicazione di una dialettica permanente tra il livello della ricerca, della formazione e dell’operatività. L’interconnessione necessaria tra l’esplorazione continua di orizzonti di significati diversi dai propri e la ricerca di strategie operative che tengano conto della molteplicità di stili del ragionare e di attribuire senso agli eventi nel mondo, permette di costruire piattaforme conoscitive volte a scardinare diffuse convinzioni su storie di vita che non sono le nostre e ad ampliare i criteri di raccolta delle anamnesi di persone provenienti da svariati altrove, con l’obiettivo condiviso della cura dell’individuo nella sua interezza e con la propria dignità.


Bibliografia

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4) Pistacchi M; (a cura di) Vive voci. Roma: Ed. Donzelli. 2010.

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