Volume 25 - 23 Dicembre 2022

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Comunità dialoganti e sistemi inclusivi
Il convegno del progetto SPRINT 2

(Firenze, Auditorium Ente Cassa di Risparmio, 11 novembre 2022)
Autori

Rivevuto l’8/12/2022 – Accettato l’11/12/2022



Riassunto

Il Progetto SPRINT 2, nato in continuità con le attività del Progetto SPRINT già presente nel 2018 e 2019, ha operato tra il 2021 e il 2022 sul territorio regionale al fine di rinforzare una strategia complessiva di sostegno alla presa in carico psicologica di richiedenti asilo, titolari di protezione internazionale e Minori Stranieri Non Accompagnati (MSNA).
Il convegno Comunità dialoganti e sistemi inclusivi si pone a consuntivo dell’esperienza nel tentativo di offrire un’occasione per una riflessione condivisa, nell’ottica di possibili progettualità future. Temi d’apertura sono stati sanità di prossimità e outreaching nel dialogo tra servizi e comunità del territorio (Caredda), proseguendo poi con un approfondimento sul concetto di alfabetizzazione sanitaria e le sue specifiche nel periodo della pandemia da Covid 19 (Zanobini), per chiudere la prima parte dei lavori con la presentazione del progetto di ricerca sull’attività svolta da SPRINT 2 (Hagi). Nel pomeriggio due interventi di taglio antropologico (Faranda e Cutolo) aprono prospettive sull’etnografia della crisi e sulle identità sospese quali strumenti metodologici per una lettura multidisciplinare della sofferenza che contrasti la tendenza patologizzante di certa clinica. Assumendo il dialogo dell'elemento antropologico con la psicopatologia è forse anche possibile ripensare certe categorie (Inglese), prima fra tutte quella della migrazione e, parallelamente, interrogarsi sui processi di cambiamento che investono le pratiche terapeutiche. Una prospettiva ulteriore potrà essere fornita, in questo senso, dall’intervento multidisciplinare e integrato sulle REMS regionali di Empoli e Volterra cui saranno dedicati i mesi conclusivi del progetto SPRINT 2 (Mamone).


Abstract

The SPRINT 2 Project, born in continuity with the activities of the SPRINT Project, which is already present in 2018 and 2019, operated between 2021 and 2022 on the regional territory in order to reinforce an overall strategy of support for the psychological care of asylum seekers, holders of international protection and Unaccompanied Foreign Minors.
The conference Dialoguing communities and inclusive systems is a final balance of the experience in an attempt to offer an opportunity for shared reflection, with a view to possible future projects. Opening topics were proximity healthcare and outreaching in the dialogue between local services and communities (Caredda), continuing then with an in-depth analysis of the concept of health literacy and its specifics in the period of Covid 19 pandemic (Zanobini), to close the first part of the work with the presentation of the research project on the activity carried out by SPRINT 2 (Hagi). In the afternoon, two anthropological interventions (Faranda and Cutolo) open perspectives on the ethnography of the crisis and on suspended identities as methodological tools for a multidisciplinary reading of suffering that contrasts the pathologizing tendency of certain clinics. Assuming the dialogue of the anthropological element with psychopathology it is perhaps also possible to rethink certain categories (Inglese), first of all that of migration and, in parallel, to question oneself on the processes of change that affect therapeutic practices. A further perspective can be provided, in this sense, by the multidisciplinary and integrated intervention on the regional REMS of Empoli and Volterra to which the final months of the SPRINT 2 project (Mamone) will be dedicated.


Il Progetto SPRINT 2, nato in continuità con le attività del Progetto SPRINT già presente nel 2018 e 2019, ha operato tra il 2021 e il 2022 sul territorio regionale al fine di rinforzare una strategia complessiva di sostegno alla presa in carico psicologica di richiedenti asilo, titolari di protezione internazionale e Minori Stranieri Non Accompagnati (MSNA).

Con l’edizione precedente il progetto ha condiviso il perseguimento di alcuni obiettivi fondamentali. In prima istanza, tentando di accrescere negli operatori dei servizi sanitari e delle strutture di accoglienza la consapevolezza delle problematiche di salute mentale della popolazione target. Ciò risulta importante per due ordini di motivi. Da un lato perché la maggior formazione degli operatori favorisce a sua volta l’individuazione precoce delle problematiche di salute mentale e quindi l’attivazione delle procedure di prima valutazione e di intervento in collaborazione con gli operatori dei Dipartimenti di Salute Mentale e con gli altri operatori del servizio pubblico. Dall’altro, perché promuove un’azione di filtro nei confronti dei servizi pubblici di salute mentale, facilitando l’accesso secondo modalità e criteri concordati a livello regionale e locale ma anche rendendo possibile l’attivazione di interventi specifici di assistenza per la presa in carico di categorie particolarmente vulnerabili quali vittime di tortura, di tratta a scopo di sfruttamento sessuale e lavorativo, di problematiche psicopatologiche caratterizzate culturalmente.

Rispetto alla prima edizione del progetto le attività di SPRINT 2 si sono ulteriormente diversificate e stratificate, andando a costituire una serie di interventi articolati nell'ottica del potenziamento di servizi esistenti ma anche della sperimentazione di approcci innovativi, per rispondere a differenti bisogni. Sono stati potenziati gli interventi di secondo livello come leva di prevenzione, ovvero di sostegno e consulenza agli operatori dell’accoglienza per contenere situazioni prima che si manifestino casi conclamati di disagio psichico, attraverso modalità che si sono declinate di volta in volta nel tentativo di rispondere ai bisogni specifici di ciascuna situazione e territorio.

Oltre a sostenere le prese in carico dirette di pazienti segnalati da enti pubblici e privati non in carico precedentemente, è stato intensificato il servizio di consulenza, che prevede l’affiancamento del clinico, dell’antropologo e/o dell’educatore alla presa in carico già in essere presso il Servizio o la struttura di accoglienza. Allo stesso tempo sono stati avviati percorsi di supervisione sia sui casi singoli che sulle équipes per fornire supporto alle organizzazioni e agli operatori coinvolti nelle prese in carico, spesso impegnati nella gestione di complesse relazioni emotive e di adempimenti istituzionali pressanti. Infine, sono stati avviati lavori con i gruppi per il sostegno a specifiche vulnerabilità e progetti trasversali di promozione e integrazione sociale presso alcuni Comuni del territorio regionale.

Nel tentativo di offrire un’occasione per una riflessione condivisa a consuntivo dell’esperienza, ripensandone anche le potenzialità nell’ottica di possibili progettualità future, il convegno Comunità dialoganti e sistemi inclusivi ha riunito i principali soggetti pubblici e privati coinvolti nel progetto SPRINT 2 oltre a ospiti della comunità scientifica e della scena istituzionale italiana.

L’intervento di Emanuele Caredda (Ministero della Salute) ha aperto sul tema complesso e sfaccettato dell’accesso alla salute da parte della popolazione migrante inquadrandone alcuni aspetti da una prospettiva più ampia.

Partendo da un inquadramento epistemologico che pone il fondamento nella visione sistemica della salute globale, in cui la prossimità emerge come dimensione etico-pratica che deve informare i programmi di sanità pubblica, Caredda ha sottolineato come sia la continuità della pratica a concretizzare tale dimensione e come questa, a sua volta, possa essere garantita solamente attraverso la sostenibilità economica e istituzionale.

Cruciale, in quest’ottica, il concetto di sanità di prossimità, che rimanda al complesso delle relazioni tra istituzioni pubbliche, organizzazioni del privato sociale e comunità presenti sul territorio, volte a promuovere l’accesso alle risorse di prevenzione e di cura, mediante l’offerta attiva di prestazioni e l’orientamento alle strutture sanitarie.

Si possono individuare tre elementi caratterizzanti il modello della sanità pubblica di prossimità: l’outreaching, la mediazione di sistema e il dialogo attivo con le comunità.

L’outreaching rimanda al complesso delle attività realizzate dalle istituzioni sanitarie pubbliche in collaborazione con le organizzazioni del privato sociale e volte a garantire l’accesso alle opportunità di prevenzione e di cura, mediante l’offerta attiva direttamente nei luoghi di vita delle persone. È una strategia di prossimità in cui si chiede agli operatori di “proiettarsi verso”, sia fisicamente che concettualmente, per raggiungere coloro che altrimenti non riuscirebbero a fruire dei servizi. Questo concetto riguarda le popolazioni “hard to reach” e si integra con il modello di intervento del Progetto SPRINT 2, che fungendo da sistema-ponte ha consentito di connettere i servizi territoriali a un target di popolazione che altrimenti sarebbe potuto rimanere escluso. Il concetto di outreaching implica ricadute positive per tutta la popolazione, non solo per quella più distante e di difficile raggiungimento, in quanto è proprio pensando e costruendo un ponte che favorisce le modalità di accesso alla salute delle popolazioni più difficilmente raggiungibili e intercettabili dai servizi che si ottengono a cascata effetti positivi nell’accesso alla salute di tutta la popolazione intermedia e più facilmente raggiungibile.

Un secondo elemento caratterizzante è la mediazione di sistema, che include tutte le attività volte alla riorganizzazione e al riorientamento dei servizi sociosanitari nell’ottica di una loro maggiore permeabilità e fruibilità. Si tratta, in questo caso, di una strategia che coinvolge più direttamente l’assetto dei servizi e che richiama la prossimità, in quanto capacità di riconoscere i bisogni degli utenti e di predisporsi alla loro presa in carico.

Infine, un ruolo decisivo è riservato al coinvolgimento delle comunità presenti sul territorio e al dialogo tra esse e i servizi, in quanto solo dalla conoscenza che un servizio ha del territorio e delle sue peculiarità e problematiche specifiche possono nascere progetti di prevenzione o d’intervento mirati. Il tema del dialogo tra servizi e le comunità che compongono il tessuto sociale di un territorio riguarda entrambi i poli del discorso, poiché solo se una comunità si sente raggiunta e compresa nelle sue particolarità potrà partecipare e collaborerà ai progetti messi in campo dai servizi. Questo dialogo costante e quindi la comprensione e l’avvicinamento reciproco che ne scaturiscono consentono di creare una positiva sinergia fra tutti gli attori coinvolti, evitando fenomeni di drop out o di mancata intercettazione dei bisogni.

L’intervento di Patrizio Zanobini (Università di Firenze) ha descritto i principali strumenti di valutazione del livello di alfabetizzazione sanitaria, concentrandosi in particolar modo sul periodo della pandemia da Covid 19.

Con il termine health literacy (alfabetizzazione sanitaria), si intende la capacità di accedere, valutare e comprendere le informazioni sulla salute. Un ulteriore senso del termine rimanda alla capacità di mettere in atto azioni per la cura e la prevenzione delle malattie, nonché più in generale della promozione della salute. L’interesse per l’alfabetizzazione sanitaria riguarda tanto i singoli individui quanto i gruppi e le comunità, sia nel loro rapportarsi con le organizzazioni sanitarie che con quelle non sanitarie.

L’alfabetizzazione sanitaria presenta alcuni ambiti specifici che sono diventati centrali negli ultimi anni come la vaccine literacy, divenuta centrale con la pandemia da Covid19.

Un campo centrale di indagine è la misura del livello di health literacy di individui, gruppi, comunità, popolazioni e organizzazioni, nonché la validazione e adattamento al contesto italiano di strumenti di misura della health literacy individuale e organizzativa, in particolare le cosiddette COVID-19 health literacy, la vaccine literacy e la health literacy delle organizzazioni sanitarie.

Sara Funaro, Assessora all’educazione, al welfare e all’immigrazione del Comune di Firenze ha parlato delle ricadute che il Progetto SPRINT 2 ha avuto sul territorio fiorentino. Attraverso la sinergia con Comune e Regione si è lavorato per accrescere la sensibilità culturale degli operatori dei servizi sanitari e dell’accoglienza, diffondendo e promuovendo conoscenze e competenze tecniche atte a ridurre e prevenire le situazioni di vulnerabilità.

Il Comune di Firenze si è speso molto nel sostegno alla vulnerabilità e in quest’ottica i numeri dell’accoglienza in Toscana mostrano come ci si identifichi in un modello di welfare che andando incontro ai più vulnerabili produce a cascata vantaggi e ricadute positive su tutta la popolazione. A fronte di numeri e risultati decisamente incoraggianti è emerso come le sinergie tra il Comune di Firenze e le buone pratiche messe in campo dal Progetto SPRINT 2 abbiano favorito una presa in carico di popolazioni vulnerabili, senza la quale avrebbero patito una più forte esclusione sociale e potenziale cronicizzazione. Tali interventi sono invece divenuti nel tempo elementi che hanno favorito la prevenzione di fenomeni di marginalità e vulnerabilità.

Per questi motivi è stato sottolineato come per poter proseguire nella loro efficacia di riduzione e prevenzione, progetti come SPRINT 2 debbano godere di continuità e di radicamento sia nelle pratiche e nella forma mentis di chi opera, che nei servizi del territorio.

La ricercatrice Afef Hagi ha presentato il progetto di ricerca sull’attività svolta dal Progetto SPRINT 2, volta a mettere in evidenza i punti di forza e di criticità del progetto, nonché comprendere come questo abbia coadiuvato la collaborazione e la coordinazione dell’intervento delle varie professionalità nel processo di cura dei richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale con disagio psicologico.

La ricerca verrà condotta da Afef Hagi e Arianna Faes e supervisionata da Giuseppe Cardamone (AUSL Toscana Centro), dalla Coordinatrice del progetto SPRINT 2 Barbara Mamone e da Sergio Zorzetto (AUSL Toscana Centro).

Un aspetto interessante per la platea dei servizi è come la ricerca indaghi il lavoro svolto da SPRINT attraverso tre dimensioni, distinte ma correlate, che rispecchiano la funzione del Progetto nel suo costituirsi come ponte e come coadiuvatore delle interazioni tra utenza, territorio e servizi di salute mentale, proponendo metodologie innovative e comprovate. Una prima dimensione sarà l’analisi quali-quantitativa dell’attività svolta nell’ambito del progetto SPRINT 2. Una seconda dimensione è l’analisi istituzionale relativa ai punti di forza e di criticità dell’interazione fra sistema sanitario e sistema di accoglienza. Infine una terza dimensione sarà l’analisi multidimensionale del vissuto soggettivo della persona richiedente asilo e rifugiata in sofferenza psicologica.

I dati raccolti dagli operatori attivati sui casi e provenienti da varie istituzioni (Servizio Sanitario, Salute Mentale, Servizi Sociali, scuola, Enti di accoglienza, Tribunale dei minori), dagli utenti beneficiari dell’intervento del progetto SPRINT 2 e dai clinici di SPRINT 2, hanno evidenziato come la presa in carico abbia riguardato soprattutto la popolazione maschile, di origine nigeriana (27%), pakistana (22%), afghana (14%) e del Bangladesh (7%).

La maggior parte delle segnalazioni è stata inviata dagli enti gestori (60%), ma si rileva anche un discreto numero di segnalazioni provenienti dalle ASL (20%). Inoltre circa un 20% delle segnalazioni sono arrivate dalle commissioni territoriali (9%) e da avvocati, associazioni, scuole e altre strutture e servizi del territorio (11%), dimostrando un’ampia capacità del Progetto SPRINT 2 di raggiungere tutti gli attori coinvolti nella presa in carico di una persona migrante.

La raccolta dei dati si svolgerà in due momenti: da prima attraverso un questionario inviato agli operatori che hanno maggiormente interagito con le équipe di SPRINT 2 e successivamente attraverso la realizzazione di quattro focus group composti da un massimo di 10 operatori provenienti da varie istituzioni che abbiano attivamente collaborato su un caso. I focus group avranno come obiettivo di stimolare una meta-riflessione sui punti di forza e le criticità del lavoro di rete nei processi di cura e di accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati in sofferenza psicologica.

Di grande interesse risulta anche la parte relativa all’approfondimento del vissuto soggettivo degli utenti. Per trattare questa parte l’équipe della ricerca sottoporrà 15 utenti a delle interviste semi-strutturate, allo scopo di ottenere una restituzione della percezione e del vissuto degli utenti che hanno usufruito di un intervento psicologico, antropologico-culturale ed educativo.

Una terza anima della ricerca riguarda l’approfondimento metodologico, un aspetto caratterizzante il Progetto SPRINT 2 da altri progetti analoghi. Attraverso le interviste con i clinici saranno infatti indagate le declinazioni della metodologia etnopsichiatrica e transculturale che sono state messe in atto dai vari professionisti nelle varie aree. Insieme a questo verranno analizzate le innovazioni e le criticità emerse nella pratica clinica e nell’interazione con il sistema di accoglienza e con i servizi di salute mentale.

Infine verranno analizzati, tramite focus group e interviste agli operatori coinvolti, le buone pratiche promosse dal Progetto SPRINT 2 nelle attività di consulenza e formazione rivolte agli operatori del REMS di Volterra, nella partecipazione a tavoli di dialogo inter-istituzionali per le soluzioni di abitare supportato a Prato, nonché nelle interazioni con le Commissioni Territoriali di Firenze e Livorno.

Questa ricerca, resa possibile dal lavoro sul campo di SPRINT 2, può costituirsi come un tassello importante per la continuazione sui territori delle buone pratiche proposte dal progetto e come modello per il miglioramento costante delle interazioni tra territorio, potenziale utenza e servizi sanitari.

Laura Faranda antropologa e professore ordinario alla Sapienza di Roma, esplora in un’ottica autobiografica e interdisciplinare le risorse di un’antropologia che sappia tradursi in una etnografia dei momenti di crisi e che dunque possa applicarsi proprio in quei contesti della sofferenza e della fatica identitaria nei quali il progetto ha operato per oltre un anno e mezzo. Dall’osservatorio dell’esperienza nelle scuole multietniche della capitale, avviata all’inizio del Duemila e proseguita per alcuni anni, Faranda annota con la formula tradizionale del diario di campo il vissuto degli studenti stranieri nelle ore di lezione ma anche negli spazi e nei tempi sospesi tra i corridoi, tra una campanella e l’altra, durante la ricreazione, cercando di cogliere le tracce di quel processo di patologizzazione del disagio migratorio che spesso resta a lungo, pericolosamente, sommerso.

In questo senso, Faranda propone la riattualizzazione del concetto di violenza fondativa dello psichiatra algerino Mhafoud Boucebci, che preconizzava la profonda frattura cui sono esposti i figli di migranti, apparentemente integrati ma in realtà divisi tra due mondi, esseri ibridi non appartenenti completamente né all’una né all’altra identità (quella dell’origine e quella del mondo di accoglienza). Sono, di fatto, identità sospese: termine familiare al discorso clinico, contaminazione feconda di lessici propri anche alla psichiatria fenomenologica che l’antropologa utilizza per aiutarci a ripensare alcune nosografie dell’esperienza psicopatologica: quelle, in particolare, che condannano l’individuo a una condizione permanente di attesa, di sospensione, di non pienezza identitaria (e che non assumendo propriamente le caratteristiche della psicopatia conclamata sono forse tanto più rischiose e destrutturanti in quanto si insinuano ad un livello ontologico interstiziale).

Mutuando la riflessione di Abdelmalek Sayad ne La doppia assenza Faranda ci invita a leggere l’insorgenza della malattia nel soggetto migrante come smascheramento di una menzogna sociale: prima di tutto di quella riferita al raggiungimento di un presunto benessere, di un traguardo di status, di sicurezza vera o immaginata, di garanzie economiche o politiche effimere; ma, poi, anche di una salute fisica e psicologica come condizione garantita dall’essere inseriti in un sistema assistenzialista. A contraddire questa narrazione, i corpi dei migranti forzati raccontano spesso, invece, un’altra storia e si fanno i primi strumenti di espressione di una sofferenza che non trova altra lingua per poter essere detta.

Da qui l’interrogazione mai scontata sul corpo, proprio a partire dal suo valore differenziale, cioè singolare, culturale, quale oggetto di rappresentazione dell’unicum umano: corpo-vissuto, ricorda Faranda, che prima ancora di quello anatomico porta iscritti i segni di quella identità sospesa la cui decifrazione diventa presupposto di una clinica che non può che essere, inevitabilmente, politica, cioè sensibile (antropologicamente) alla funzione antropopoietica della cultura.

Armando Cutolo, antropologo e professore associato dell’Università di Siena, approfondisce il tema presentando l’esperienza di una consulenza dell’équipe multidisciplinare mobile di SPRINT 2 svolta presso il Servizio di Salute Mentale Adulti di Prato. Il caso riguarda un uomo ghanese afflitto da un odore nauseabondo che lo segue ovunque vada e che lo espone, costantemente, all’emozione del disgusto, della vergogna, ma anche a una condizione esistenziale più pericolosa che ha a che fare con l’aggressione, l’effrazione e, di nuovo, la sospensione di un’identità che passa qui dall’impossibilità di ottenere una cittadinanza.

Nella possibilità di restituire un senso alla storia del paziente in modo da renderne leggibile la sofferenza, la prospettiva antropologica diventa allora fondamentale non solo come esercizio narrativo ma come base conoscitiva, esplorativa indispensabile alla definizione di ogni percorso di cura: di più, può divenire quella leva potentissima che finalmente separa la persona dalla nosografia, dallo statuto psicopatologico, restituendogli dignità di soggetto narrante esperto rispetto a una sofferenza che lo abita (ma forse, non lo possiede).

La conquista di uno sguardo sensibile all’altro che sappia di volta in volta colmare oppure sopportare il divario tra ciò che a volte separa la patologia e il paziente, permettendo alle determinanti culturali di prendere corpo (letteralmente) nella pratica clinica, è tanto più indispensabile quanto più quest’ultima trova il suo campo d’azione nella presa in carico dei soggetti maggiormente vulnerabili. Cutolo porta ad esempio l’esperienza del gruppo con le donne migranti avviato a Grosseto a partire da aprile 2022 e condotto dall’etnopsicologa con la partecipazione e co-conduzione dell’antropologa, che ha tenuto un diario degli incontri.

In questo caso il diario, strumento d’eccellenza del lavoro di terreno dell’antropologo, permette di arricchire di una dimensione innovativa il contributo della disciplina andando a costituirsi come oggetto dinamico e terapeutico del setting gruppale consentendo di mantenere il continuum narrativo tra gli incontri, preservando la presenza, conservando la memoria, opponendosi alla frammentazione e alla fragilizzazione del vissuto traumatico.

Il contrasto alla tendenza patologizzante attraverso l’ottica multidisciplinare si è declinata anche un’azione che Cutolo ha definito, provocatoriamente, quasi nei termini di un’antropologia militante. Utilizzando un setting flessibile che ha mantenuto la sua sede elettiva nella biblioteca del CSM, l’équipe ha organizzato periodicamente delle incursioni concordate in luoghi esterni della città: questo ha reso possibile una conoscenza mediata culturalmente degli spazi cittadini, dunque la possibilità protetta di ripensare quegli spazi come abitabili (habitus). Al tempo stesso, attraverso un’azione sociale (gruppale), ogni donna ha potuto sperimentare l’emersione dal vissuto di emarginazione e di isolamento che spesso rappresenta il nucleo iatrogeno della quotidianità dell'esperienza del migrante, spesso confinato in strutture distanti dalla città, permettendo al tempo stesso di esplorare e conoscere gli spazi cittadini con sguardo nuovo.

Assumendo il dialogo dell'elemento antropologico con la psicopatologia, Salvatore Inglese, psichiatra e Direttore della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Sagara di Pisa, riflette su come oggi il concetto di salute debba fare un passaggio dalla salute globale alla prospettiva ecocosmica. Questa prospettiva si appoggia sulle ricerche e sulle analisi della scuola canadese (Kirmayer su tutti ma non solo): in particolare le loro analisi partono e includono i saperi e le visioni (ecocosmiche appunto) dei nativi indiani. Derivano cioè dalla loro concezione antropologico-culturale del mondo, della natura e dell'uomo, dalla loro ontologia si potrebbe dire connettendosi a Descola, Latour e Stengers. Di sottofondo c'è anche il riferimento alla proposta di una cosmopolitica della Stengers (in interazione intellettuale con Latour). Nel suo intervento Inglese propone di passare dalla salute globale alla salute ecocosmica, superando a sinistra la prospettiva (di sinistra) della salute globale, che conserva l'impronta monoculturale ed etnocentrica della parola globale: globale è tutto l'uomo nel suo essere biopsicosociale. Ma è anche il globale politico-economico a universo unico. Il globale è solo questo mondo. La salute ecocosmica invece propone innanzitutto di considerare che le ontologie nel mondo sono plurali, così come le costituenti della persona e plurali sono pure i mondi.

Lasciare la dimensione globale per assumere quella ecocosmica, comporta agire nella prospettiva di un’universalità che recuperi gli elementi frammentati per ricondurli a sintesi sempre conflittuali che ci permettano di seguire gli orientamenti delle principali comunità scientifiche mondiali.

In questo senso l'esperienza del progetto SPRINT 2 può essere letta come un laboratorio multidisciplinare, una rete di pensiero e di azione che è tanto più efficace quanto capace di orientare il proprio discorso sul versante critico. Recuperando il senso di un'antropologia della crisi evocato da Faranda, Inglese sottolinea la necessità di un rinnovamento del lessico e delle categorie che naturalmente invita a esplorare nuove pensabilità.

Un esempio fra tutti è proprio la categoria della migrazione, che la si voglia intendere come invariante antropologica strutturale del genere umano o come processo facoltativo, che andrebbe sostituita da quella di strategia dinamica delle popolazioni, ovvero come processi di lungo periodo che hanno mutato radicalmente la propria natura e che pongono questioni istituzionali ineludibili. La strategia di popolazione rappresenta, di fatto, un accelerante evolutivo: consente cioè secondo Inglese di saltare quello che Marx chiamava il momento di accumulazione primitiva, sottoponendo il già accumulato della società occidentale a una nuova annessione nella misura in cui proprio il sistema occidentale è il primo espropriatore di quella ricchezza.

In risposta alle strategie di massa delle popolazioni, la nostra società dovrebbe contrapporre un nuovo ethos, un nuovo ventaglio di valori che orizzonti una nuova politica e, a cascata, nuove cliniche. Alcuni tentativi si stanno in effetti già costituendo, eppure troppo spesso nel taglio della contingenza e della crisi dove strutturalmente c'è minor spazio per il negoziato e dove invece si rischia, come ricorda Inglese in chiusura di intervento citando gli eventi recenti della vicenda catanese, di incorrere in pericolose derive burocratiche di funesta ispirazione.

Una revisione delle categorie significa anche, forse, mutare la direzione dello sguardo clinico per interrogarsi sui processi di cambiamento che, parallelamente, investono le pratiche terapeutiche insieme a quelle strategie e a quelle popolazioni, nella misura in cui si sposti il focus psicopatologico dal migrante alla vittima di violenza intenzionale di massa sistematica.

La tavola rotonda vede avvicendarsi le Equipe Multidisciplinari Mobili (EMM) delle tre aree vaste che, di concerto con gli operatori dei servizi socio-sanitari, in particolare della salute mentale nelle figure dei loro responsabili, presentano il lavoro svolto nei diversi territori toscani in termini di presa in carico coordinata, interventi di secondo livello, supervisioni e formazione agli operatori, attività di gruppo con gli utenti. La descrizione delle situazioni cliniche permette di avere un’immagine più puntuale della tipologia di intervento.

Gli ultimi tre mesi di progetto, da dicembre a marzo, saranno dedicati a interventi specifici mirati sul territorio. Tra questi, come illustra la Coordinatrice clinica del progetto SPRINT 2 Barbara Mamone, c'è il progetto di un intervento multidisciplinare e integrato sulle REMS regionali di Empoli e Volterra. L'intervento è volto a cercare di trovare una risposta innovativa al problema comune della mancanza del ricambio e dell'impossibilità di nuovi ingressi nelle strutture, che rappresenta un elemento di estrema criticità per almeno due ordini di motivi.

Da un lato vi è infatti il nodo problematico di coloro che sono in attesa di entrare in REMS, soprattutto se detenuti in carcere; non solo perché la legittimità giuridica della carcerazione in questo caso è incerta ma anche e soprattutto, per la dimensione della sofferenza psicologica che non può essere presa in carico nella forma ottimale per la mancanza nel sistema carcerario di un livello elevato di intensità di cura, e che anzi può trovare nella condizione detentiva le circostanze favorevoli per un aggravamento.

Dall'altro, tra le criticità legate ai ricoverati vi è quella del loro status giuridico, in particolare nel caso di migranti, spesso sprovvisti di una residenza sul territorio e quindi, di fatto, esclusi dall'accesso ai servizi del territorio. Ne deriva l'impossibilità, per queste persone, di pianificare una progettualità al termine del percorso in REMS, nella misura in cui è loro preclusa una regolarità, una stabilità sul territorio che poi ne giustifichi la presa in carico. Il problema sociale in questo caso si complessifica per comprendere anche aspetti legali e istituzionali ed evocando fantasmi di contenzione prebasagliani, perché in alcuni casi questa condizione determina, di fatto, una durata della permanenza in struttura che sopravanza quella prevista dalla condanna.

Vi è poi la questione legata al rapporto con i consulenti tecnici e il sistema giudiziario, laddove la diagnosi peritale ha un peso decisivo nella valutazione della imputabilità dell'autore di reato e di conseguenza nel suo transito dal sistema di pena detentiva a quello della misura di sicurezza delle REMS territoriali. L'assenza di strumenti diagnostici tarati per una popolazione non occidentale, così come una scarsa o assente formazione specialistica alla diagnosi etnopsichiatrica potrebbero rendere gli esiti peritali non sempre capaci di restituire l'esatto quadro nosografico della situazione in esame, determinando valutazioni non congrue del livello di rischio che la condizione del paziente esprime e impedendo anche l'individuazione del percorso terapeutico e riabilitativo più adeguato.

In chiusura Daniela Materrese, responsabile di settore Assistenza Sanitaria Territoriale della Regione Toscana, sostiene la necessità di sostenere progetti come SPRINT 2, deputati alla presa in carico multidisciplinare dei soggetti migranti, ponendo l’accento del valore aggiunto nell’introdurre figure professionali come i mediatori linguistico culturali e gli antropologi nei contesti sanitari, ad esempio l’ospedale. Inoltre, sottolinea la sensibilità della Regione rispetto al delicato tema della REMS.