Volume 20 - 3 Giugno 2020

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L’impatto del disturbo alimentare sulle relazioni familiari e definizione dei percorsi di cura

Autori


Summary

In this work, we focus on the importance of including family members in the care for people with an Eating Disorder.
In a recent article [1] we presented the results of a research on family members of people suffering from an eating disorder (ED), studying the characteristics that expose them to the risk of high levels of anxiety, depression, stress and expressed emotion, factors that can contribute to maintain the ED symptoms of the loved one. We have observed that a past history of ED, being the primary carer, and taking care of a person with Anorexia Nervosa, seem to be the three characteristics that contribute most to aggravate the carers’ burden. Knowing these factors has guided our clinical work , and it has been important to develop and offer more effective treatments for Eating Disorders.


Riassunto

Nel presente lavoro vogliamo focalizzare l’attenzione sull’importanza di includere i familiari nei percorsi di cura per persone con Disturbo Alimentare.
In un recente articolo [1] abbiamo presentato i risultati di una ricerca sui familiari di persone che soffrono di un disturbo alimentare (DA), studiando le caratteristiche che espongono i familiari ad un alto rischio di avere livelli elevati di ansia, depressione, stress ed emotività espressa, fattori che possono configurarsi di mantenimento dei sintomi del DA della persona cara. Abbiamo osservato che una storia pregressa di DA, essere il carer primario, e prendersi cura di una persona con Anoressia Nervosa, sembrano essere le tre caratteristiche che maggiormente contribuiscono ad aggravare il carico sul ruolo di caregiver. Conoscere queste caratteristiche ha permesso di guidare il nostro operato nella clinica, ed è stato importante per mettere a punto e offrire, trattamenti di supporto nel percorso di cura dei DA, sempre più mirati ed efficaci.


Parole chiave

Disturbi Alimentari – Relazioni Familiari – Fattori di mantenimento


Oggetto

Nella pratica clinica quotidiana con pazienti adolescenti e giovani adulti, che soffrono di un disturbo alimentare, ci si accorge immediatamente dell’impatto che spesso questa condizione comporta per tutto il sistema familiare. Pertanto la necessità di includere nel percorso di cura i familiari, si rende imprescindibile per una buona aderenza da parte del paziente e una buona riuscita del trattamento stesso. Purtroppo in passato l’attenzione rivolta alle famiglie è stata spesso indirizzata al considerarle fucina e spesso fonte causale del problema. Fortunatamente, ad oggi, la comunità scientifica internazionale è concorde nel proporre il modello bio-psico-sociale alla base dell’eziopatogenesi del disturbo alimentare (DA), secondo il quale non esiste un’unica causa all’origine del DA, ma piuttosto una combinazione di fattori di rischio - individuali, familiari e socio-culturali - che interagendo tra di loro contribuiscono allo svilupparsi e mantenersi della malattia [2-4].

Nel XX secolo è stato al centro dell’attenzione della ricerca , il ruolo della famiglia come fattore che potesse contribuire allo svilupparsi della malattia, con il diffondersi di teorie lineari causa-effetto che miravano ad identificare una tipologia di famiglia “patogena”. Le ricerche correnti, al contrario, concordano nell’affermare che esiste una molteplicità di assetti familiari differenti nei quali troviamo una persona che soffre di DA e che pertanto, non si possa individuare un modello tipico di famiglia favorente l’esordio della malattia. Oggi piuttosto, osserviamo quanto il DA abbia un impatto significativo sulle relazioni all’interno del nucleo familiare, modificando l’assetto e l’organizzazione precedenti il disturbo. Uno dei fattori che amplifica tale impatto è legato al fatto che spesso la persona che si ammala di un DA è un adolescente o un giovane adulto e vive con i genitori. Un altro importante fattore che risulta pesare sul carico dei familiari è la lunga durata della malattia (6-7 anni in media) [5,6]. In seguito alla fatica di fronteggiare un disturbo così complesso e duraturo, spesso osserviamo nei familiari lo svilupparsi di problemi nella sfera psicologica, legati allo stress prolungato del prendersi cura del caro con DA [7].

Queste difficoltà possono favorire l’inasprirsi della relazione tra il genitore e il figlio con DA, contribuendo all’istaurarsi di un circolo vizioso che rafforza e sostiene i sintomi del disturbo alimentare [2,8].

In questa prospettiva, Schmidt e Treasure, hanno sviluppato un modello di mantenimento interpersonale del disturbo alimentare, secondo il quale la qualità della relazione tra il caregiver e la persona con il DA svolge un ruolo fondamentale sul mantenimento dei sintomi e sulla durata di malattia [3,4,9,10]. Queste osservazioni hanno contribuito allo sviluppo delle teorie alla base del New Maudsley Model [11], modello di lavoro che si propone di coinvolgere attivamente i familiari nel percorso di cura della persona cara affetta da disturbo alimentare. Secondo tale modello le reazioni emotive del caregiver al DA del familiare (caratterizzate da alti livelli di stress, ansia e emotività espressa) e la loro reazione disfunzionale alla malattia (comportamenti di adattamento ai sintomi, accomodamento e facilitazione) agiscono come fattori di mantenimento del disturbo.

Nell’ottica di sviluppare interventi sempre più mirati al supporto dei familiari, abbiamo analizzato in un precedente lavoro [1] le caratteristiche dei genitori che potessero avere un ruolo nel rendere il carico del prendersi cura, di un caro affetto di DA, molto difficile da sostenere. In questo modo, abbiamo cercato di identificare quelle caratteristiche che potessero esporre maggiormente i carers ad alti livelli di stress, ansia, depressione ed emotività espressa, favorendo l’accomodamento del sistema familiare ai sintomi del DA del figlio. Abbiamo osservato che questi fattori potevano essere legati alla diagnosi del paziente, ad una anamnesi positiva di disturbo alimentare nel genitore, e ad essere il carer primario, cioè quello maggiormente coinvolto nel prendersi cura. Grazie a questi risultati abbiamo potuto mettere a punto in maniera più specifica e clinicamente orientata al supporto di tali punti di fragilità, degli interventi mirati al lavoro con i familiari. Tutti i familiari degli utenti che si rivolgono al nostro servizio, vengono pertanto indirizzati immediatamente dopo la presa in carico del paziente, ad un percorso di gruppo basato sui principi del New Maudsley Model e mirato alla riduzione dei livelli di ansia, stress e depressione e dei fattori di mantenimento del DA. Quei familiari che rientrano nelle categorie a maggior rischio, rappresentati dalle caratteristiche emerse nello studio, vengono ulteriormente supportati con percorsi individuali e/o di coppia genitoriale e/o familiari.


Setting

Consideriamo il nostro soggetto di studio, non come il singolo individuo, ma come un campione rappresentativo dei familiari di persone con disturbo alimentare che accedono ai nostri ambulatori. I partecipanti che hanno aderito hanno composto un campione di 97 carers. Per valutarne le caratteristiche e fare una “diagnosi” che ci permettesse di indirizzare al meglio la nostra cura, tutti hanno compilato una scheda anagrafica che forniva informazioni relative alla loro età, genere, stato civile, titolo di studio, condizione lavorativa, tipologia di relazione con la persona con il DA, nucleo familiare, ore settimanali trascorse con il malato, storia personale di DA o altro disturbo psichiatrico. È stata inoltre proposta una batteria di questionari messa a punto in collaborazione con i colleghi del Maudsley Hospital. I questionari somministrati sono i seguenti:

  • AESED (Accomodation and enabling scale for eating disorder) [12]: è un test composto da 33 items su scala Likert a 5 punti (0=mai, 1=raramente, 2=a volte, 3=spesso, 4=sempre), che misura quanto il caregiver tollera o contrasta i comportamenti del figlio legati al DA e specificatamente: evitamento e modifica della routine, ricerca di rassicurazione, rituali al momento del pasto, controllo sulla famiglia e far finta di non vedere. Più i punteggi sono elevati più è presente l’accomodomento della famiglia ai sintomi del DA.
  • FQ (Family questionnaire) [13,14]: consiste di 20 items che indagano sentimenti e pensieri da parte del carer relativi alla persona con il DA, con lo scopo di valutare i livelli di emotività espressa in termini di criticismo (CC), cut off 23 e ipercoinvolgimento emotivo (EOI) cut off 27. Punteggi più elevati rappresentano una più elevata presenza di alti livelli di emotività espressa.
  • DASS-21 (Depression, anxiety and stress scale) [15,16]: consiste di 21 items su scala Likert a 4 punti (0=Non mi si addice per niente, 1=Si addice a me per alcuni aspetti, o a volte, 2=Si addice a me per alcuni aspetti, o per buona parte delle volte, 3=Si addice molto a me, o per la maggior parte delle volte). Il questionario misura depressione, ansia e stress nel carer, che risultano più elevate quanto più alti sono i punteggi ottenuti in ognuna delle dimensioni descritte.

Il gruppo di familiari era composto per il 58% da femmine e 43% da maschi (età media 49 anni) di 62 diversi pazienti di età media 17,5 anni. Di questi pazienti il 88% è di sesso femminile, con una durata di malattia media di 2,8 anni e senza diagnosi significative di comormidità. Un numero di 80 dei 97 partecipanti (80%) ha riferito di essere il carer principale nella gestione dei sintomi legati al DA. La maggior parte dei carers (94,8%) vive con il paziente e il 64,5% dichiara di trascorrere più di 21h/sett con lui/lei. Infine il 27,7% dichiara di aver sofferto, o che un altro familiare soffre, di un disturbo psichiatrico (5,5%), un DA (17,6%) o entrambi (6,6%).

Per quanto riguarda l’analisi dei risultati ottenuti ai questionari, abbiamo osservato che all’AESED, i familiari di soggetti con Anoressia Nervosa ottengono punteggi significativamente più alti nelle dimensioni evitamento e modifica della routine (p 0,02) e ricerca di rassicurazione (p 0,05), rispetto a quelli di una persona con Bulimia Nervosa. Non sono emerse altre differenze al FQ e DASS-21 rispetto alla diagnosi del paziente. Non abbiamo osservato differenze significative rispetto alla quantità di tempo trascorso con la persona cara malata di DA. Rispetto al definirsi carer primario o secondario, questo incide significativamente sui punteggi all’AESED (p 0,02) indicando un maggior accomodamento ai sintomi da parte dei familiari che si sentono più coinvolti nella gestione del paziente.

I familiari che hanno sofferto di un DA ottengono punteggi più elevati nei tre questionari rispetto a quelli che non hanno avuto in passato una storia personale di disturbo alimentare. Le differenze sono statisticamente significative per il punteggio totale del AESED (p 0,05), per la sottoscala ricerca di rassicurazione (p=0,03); la dimensione Criticismo del FQ (p 0,04) e la scala Stress della DASS-21 (p 0,05). Dai nostri dati, le caratteristiche che sembrano maggiormente correlate alla percezione di un grande carico da parte del familiare, sono il prendersi cura di una persona cara affetta da Anoressia Nervosa, la presenza di una storia personale di DA nel carer stesso (che correla con livelli di stress più elevati al DASS-21 , maggiore emotività espressa al FQ e presenza di adattamento al DA al AESED) e il definirsi carer primario (che correla con un maggior adattamento ai sintomi del disturbo alimentare al AESED, in particolare per quanto riguarda le dimensioni di evitamento e modifica della routine e la ricerca di rassicurazione). L’emergere dell’importanza di queste ultime due caratteristiche, risulta particolarmente importante in quanto entrambe le dimensioni non erano state prese in considerazione in studi precedenti.

Alla luce di queste osservazioni la “diagnosi” del nostro soggetto, ovvero il campione di familiari, ci dice che prendersi cura di una persona cara con AN, avere una storia pregressa di DA e essere il carer primario, contribuisce ad aggravare la percezione del carico sul familiare stesso, in termini di stress, ansia, depressione e adattamento ai sintomi. Questo, in un circolo vizioso, può rappresentare un fattore di mantenimento della malattia: un carer troppo sovraccarico non può essere di supporto, ciò può determinare l’inasprirsi dei sintomi e se i sintomi aumentano, il carico del carer aumenta [17].


Conclusioni

Dopo aver investigato come alcune caratteristiche dei carers di un membro della famiglia affetto da DA, possano influire sui suoi livelli di stress, ansia e depressione e di come questo possa contribuire ad aumentare i livelli di emotività espressa e di adattamento ai sintomi del disturbo alimentare favorendone il mantenimento, è stato possibile indirizzare la presa in carico in maniera personalizzata tenendo conto delle caratteristiche dei familiari e dei loro reali bisogni di supporto. Lo scopo del comprendere meglio la condizione generale dei familiari, è quello di poter contribuire allo sviluppo di modelli di intervento in ottica collaborativa che, nel coinvolgerli attivamente nella cura, possano essere utili a migliorare le loro strategie di coping e contribuire a favorire l’outcome positivo dei pazienti.

Come sottolineato in precedenza, i familiari possono essere una risorsa fondamentale nel percorso di cura di una persona affetta da DA, per questo è importante che ricevano il supporto adeguato per poter espletare la loro funzione nel modo più efficace possibile. In questa prospettiva, identificare i fattori che descrivono le caratteristiche del carer che lo espongono a maggior rischio di sentirsi sopraffatto dal carico, ha aiutato il nostro operato nell’offrire un adeguato trattamento ottenendo una ricaduta positiva su compliance e aderenza al percorso di cura da parte paziente con DA e della sua famiglia [18,19].


Riferimenti bibliografici

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Conflitto di interessi: Tutti gli autori dichiarano di non avere conflitto di interesse.