Volume 20 - 3 Giugno 2020

pdf articolo

EDITORIALE - Questioni di salute mentale al tempo del Covid 19

Autori


L'insegnamento più grande che ci deriva dall'emergenza Covid-19 è l'importanza fondamentale del territorio, prima ancora che del luogo ospedaliero per la gestione di un fenomeno così diffuso e complesso.

Questo richiama immediatamente per analogia l'impianto e l'organizzazione che nel tempo hanno deciso di darsi i servizi di salute mentale orientati in senso comunitario, attraverso teorie e pratiche di prossimità a zero distanza, domiciliarità, interventi intersettoriali di salute mentale di comunità.

Di un'eredità sedimentata nella storia della psichiatria e della salute mentale, spesso poco valorizzata ma estremamente attuale, tanto da essere poi mutuata da altri servizi e setting, sono le dimensioni che afferiscono alla “presa in carico” (o meglio alla “presa a cuore della persona”), rete, lavoro multiprofessionale e multidisciplinare, importanza dei sistemi e del contesto, senso e traiettoria esistenziale: elementi valoriali e orientanti le prassi e le organizzazioni dei servizi che in questo periodo Covid-19 assumono ancor più centralità e diventano tratto di permanenza in un momento storico ed emergenziale dove cambiano riferimenti, posture, prossimità, operatività e consuetudini.

Dentro un sistema di conflitti paradigmatici (tra società “chiuse” e società “creative”, solo per fare un esempio) e dei processi già strutturati, diventano questi gli assi ed i perni per continuare a garantire assistenza e cura ai nostri utenti, ma anche elementi cardine per poter riorientare nel medio lungo-termine i nostri servizi.

Laddove abbiamo sperimentato, in relazione a dinamiche istituzionali e al funzionamento dei gruppi di lavoro, prevedibili resistenze a cambiamenti via via proposti, l'attuale situazione che ci costringe a de-strutturare quanto già pre-esistente e a sperimentare modalità di intervento nuove può rappresentare un laboratorio dove i processi di cambiamento si rendano più facili.

Questo ci deve fin da ora costringere a pensare alla direzione, alla visione ad ai modelli operativi verso cui tendere e volgere lo sguardo.

Ora lo sforzo diventa quello di creare i migliori setting possibili all'interno dei nostri servizi adeguati alla situazione e appropriati nel saper rispondere ai bisogni di cura in qualsiasi forma si presenteranno.

Di fatto, insieme al migliore utilizzo e valorizzazione di tecnologie, finora quasi demonizzate, stiamo verificando come distanza fisica non significhi necessariamente distanza emotiva/relazionale e quanto invece la funzione alfa bioniana, il tenere in mente da parte dell'èquipe terapeutica i nostri utenti siano elementi terapeutici ancora più importanti del numero di visite erogate.

Verifichiamo nelle nostre realtà come la contrazione del tempo dell'azione, fattualità, produttività e performance stia lasciando spazio ad un tempo di pensiero e condivisione.

In termini di visualizzazione di priorità condividiamo la necessità di provare a disequilibrare e spostare l'attuale paradigma riduzionista bio-medico verso un paradigma che riconsideri la complessità, e che implementi il contributo per la costruzione della salute mentale di professionalità (psicologi, educatori, tecnici della riabilitazione, antropologi...) che hanno insiti nelle loro corde istanze di tipo evolutivo/trasformativo. Ma soprattutto, nel rispetto dei sistemi di appartenenza del soggetto, un lavoro che si sviluppi e ramifichi sul territorio, dalla prevenzione alla cura alla riabilitazione.

Altra cifra operativa importante a nostro avviso è la gruppalità. Come riprendere l'attività dei gruppi? Come favorire, ad esempio, la gemmazione di gruppi di auto-mutuo-aiuto indispensabili per una gestione sostenibile non solo delle difficoltà classiche ma anche dell'ondata dei disturbi emotivi e post-traumatici post epidemia?

In questi primi due mesi, l'attenzione prevalente dei Servizi di salute mentale è stata biderezionale. Da un lato monitorare e garantire le cure agli utenti più fragili e complessi, dall'altro sostenere e manutenere le èquipes degli operatori interni ai Servizi e soprattutto supportare gli operatori impegnati sul fronte Covid-19.

Probabilmente, in ragione di una maggiore capacità acquisita con l'esperienza dei nostri utenti a vivere in condizioni di incertezza, la risposta prevalente alle regole e restrizioni complessive è stata straordinariamente positiva nell'immediato e breve-periodo. Quello che verosimilmente però dobbiamo attenderci è che sul medo-lungo periodo la contrazione dei percorsi socio-riabilitativi possa andare ad incidere anche sulla dimensione clinica e sulle riacutizzazioni.

Rispetto all'offerta di sistemi di supporto psicologico-psicoterapico agli operatori socio-sanitari, è opportuno fare emergere come l'adesione degli stessi sia stata piuttosto bassa rispetto alle aspettative e alla valutazione dei bisogni.

La difficoltà più importante che abbiamo dovuto affrontare all'interno delle nostre èquipes è stata la gestione di un'alta emotività espressa (gli operatori sono più avversi all'incertezza dei cittadini utenti e per la dimensione della paura del contagio) e la necessità di produrre in tempi rapidi, sotto l'effetto di direttive contrastanti, procedure ed istruzioni operative.

Interessante anche come, pur nelle loro diversità i servizi si siano orientati secondo traiettorie sovrapponibili in ambito territoriale, maggiori differenze si sono invece riscontrate rispetto alla gestione dei percorsi in ambito ospedaliero.


Alla luce di quanto sopra esposto pensiamo sia questo un momento buono per generalizzare queste buone pratiche sapendo che dobbiamo mettere in campo una paziente e lucida consapevolezza e che è in gioco il servizio di salute mentale del futuro. Ciò potrà comportare una nuova ingegneria dei servizi pubblici di salute mentale (del tipo centro clinici di comunità con particolari competenze di salute globale) che riesca a mantenere una forte coerenza con la tradizione italiana comunitaria e al tempo stesso ispirarsi ai principi sopra descritti. Infine, pensiamo, che sia da condividere e diffondere l’appello che pubblichiamo curato da Roberto Mezzina, ovvero una linea di azione che si traduca in un forte ed energico sostegno ai servizi pubblici di salute mentale territoriale.



In questo numero della rivista, la sezione “Salute mentale in corso di pandemia” rappresenta un’operazione che ha assorbito moltissime delle nostre energie e si apre con il contributo di Gianluca Bocchi, professore ordinario di filosofia della scienza, che contestualizza l’attuale pandemia da Covid 19, in una più ampia prospettiva storica che ripercorre le grandi epidemie del passato. In questa logica il tema si arricchisce di complessità: nella biosfera i microrganismi costituiscono la norma, mentre gli organismi di maggiore complessità (tra cui l’uomo) sono l’eccezione e una mutualità di passaggi (frammenti di genoma) tra virus e specie superiori, determinano cambiamenti evolutivi in un groviglio inestricabile di distruzione e di creazione. Questo dovrebbe indirizzare esperti di varie discipline a lavorare insieme, partendo ad esempio dalla consapevolezza dell’interrelazione esistente fra rischi pandemici e rischi ambientali, poiché il futuro non è predeterminato, ma è bensì influenzabile dalle azioni e dalle scelte di ciascuno di noi. In questo contesto che indubbiamente amplifica la necessità di governance, adeguata leadership e responsabilità, il sistema sanitario nazionale costituisce un fondamento irrinunciabile del welfare e della vita stessa della nazione ed emerge con chiarezza la completa interconnessione tra salute, socialità ed economia.

Roberto Mezzina propone una complessa analisi dei cambiamenti prodotti dalla pandemia a livello individuale e sociale, attraverso una lettura critica dell’approccio centrato sugli stili di vita. L’autore considera come il concetto di salute e di qualità della vita implichino in sé una dimensione di relatività sia rispetto alla soggettività che rispetto ai contesti e alle culture, e come la salute sia interconnessa con i diritti sociali e influenzata dai determinanti sociali di salute e di malattia. In questo contesto viene esplorato il tema del rapporto tra norme e libertà, considerando come sia fondamentale un percorso aperto, piuttosto che teso ad omologare, dove vi sia spazio anche per stili di vita alternativi o marginali, ovvero come sostiene l’autore, dove sia superato lo stigma relativo alla diversità, favorendo l’esistenza sociale di “stili di vita non comuni”. La pandemia da Covid-19 costituisce un evento catastrofico che coinvolge l’individuo e la comunità a più livelli, che mette in discussione i legami sociali e rimanda necessariamente alla messa in gioco di aspetti quali vulnerabilità e resilienza. La “recovery” post-pandemia dovrà quindi declinarsi a livello interpersonale sociale, ovvero come diritto alla salute di comunità.

Giuseppe Corlito propone una riflessione su pandemia e salute mentale a partire da una citazione de “La ginestra” di Giacomo Leopardi e de “La peste” di Albert Camus. Di fatto, il COVID19 ci ha messo di fronte alla fragilità dell’essere uomini, non permettendoci più di agire un tentativo di negazione di fronte alla morte e alla finitezza dell’esistenza e ridimensionando il senso di onnipotenza che derivava dall’idea di poter colonizzare la terra senza tener conto dei suoi equilibri millenari. In questo contesto si pone la necessaria centralità del sistema di sanità pubblica e della rete dei servizi di salute mentale che devono essere adeguatamente sostenuti al fine di mantenere e promuovere salute.

Raffaele Barone, Elisa Gulino e Leonardo Barone propongono di utilizzare i termini di “famiglia, comunità, democrazia, dialogo, fiducia, lavoro, partecipazione, speranza, condivisione, responsabilità, formazione, difficoltà, modelli innovativi, esperienze internazionali” quale bussola per orientarsi creativamente nel presente e nel futuro dei Servizi, ma anche in termini molto più generali, per cercare di far fronte a due crisi planetarie convergenti: una ecologico-sanitaria e una sociale. In questo contesto gli autori sottolineano come sia essenziale apprendere dalle esperienze del passato e considerare fondamentale un approccio centrato sulla comunità, poiché “nessuno si salva da solo”. Questo contributo è arricchito da una sorta di dialogo intergenerazionale padre-figlio che esplora le opportunità derivanti dal necessario confronto con innovazioni quali il mondo digitale, la realtà virtuale, le recenti acquisizioni tecnologiche, ma anche con la storia, le innovazioni e i punti di forza dei nostri Servizi comunitari di salute mentale. Tale confronto potrà essere vincente solo se sarà utilizzato responsabilmente e creativamente per dare empowerment alle persone.

Francesco Bardicchia sottolinea come la pandemia da Covid 19 abbia fatto emergere le criticità del sistema sanitario, tra le quali emerge una progressiva riduzione dei modelli partecipativi a favore del decisionismo aziendalistico, centrato su logiche efficientistiche ed economicistiche. In questo contesto l’autore sostiene l’importanza di recuperare uno spirito comunitario di partecipazione e di riconoscimento dei fattori sociali e ambientali in quanto determinanti di salute, facendo riferimento all’”approccio ecologico sociale” (Metodo Hudolin) nato per affrontare le problematiche alcol correlate.

Augusto Iossa Fasano propone una riflessione storica sul Sistema Sanitario italiano, in tempo di pandemia, ma anche una riflessione sui bisogni psicologici che da quest’ultima derivano. L’autore sottolinea come sin d’ora, risulti essere fondamentale imparare a vivere il “durante” della catastrofe, ma anche pensare al “dopo”, quando potremmo doverci confrontare, ad esempio, con numerosi disturbi post-traumatici da stress. In questo contesto, sostiene l’autore, occorre cogliere l’opportunità di ritrovare la dimensione psichica dirigendo il cambiamento verso forme di pensiero nuovo.

Alessandro Pagliai propone un’esperienza nata a Prato in corso di pandemia, dalla collaborazione tra varie associazioni culturali e sociali (Università del tempo libero E. Monarca, Associazione culturale Linguaggi - percorsi nelle culture, Diapsigra, Coop Alice, Dipartimento dell’Unità Funzionale Salute Mentale Adulti) che propone di ascoltare, ma anche di partecipare attivamente e intervenire ad incontri via web centrati su temi quali letteratura, teatro, cinema, musica, psicologia, storia, tempo libero e proposti da registi, psicologi, musicisti, letterati. L’iniziativa, in un’epoca di necessaria riduzione dei contatti sociali, è rivolta a tutti, mantenendo però una particolare attenzione alle persone più fragili e agli utenti della salute mentale.

Salvatore Inglese e Valeria Bonifati propongono una riflessione su come le pandemie influenzino su larga scala e per tempi lunghi la vita delle popolazioni e gli ambienti naturali, evidenziando un’interdipendenza delle diverse aree geopolitiche. La pandemia implica anche il rischio di amplificare per lungo tempo le disuguaglianze sociali, alimentando rabbia e rancore; in questo contesto, la crisi economica determina la necessità di un valido supporto alle imprese strategiche (sanità, educazione, ambiente e infrastrutture, sicurezza sociale) purtroppo depauperate negli anni passati.

Emerge inoltre la necessità di promuovere la partecipazione (adeguatamente informata e responsabile) di ciascuno, relativamente alle scelte effettuate in ambito pubblico e privato, nonché di sviluppare un’assunzione di responsabilità collettiva. È infine essenziale agire sul disagio emotivo prodotto dalla pandemia, in termini di prevenzione psicologica per tutti i cittadini.

Dario Iozzelli, Edvige Facchi e Giuseppe Cardamone propongono la revisione di recenti pubblicazioni sulle conseguenze psicologiche della pandemia, anche attraverso contatti diretti di uno degli autori, con alcuni autori dei lavori internazionali. Ne deriva una riflessione sull’impatto psicologico della pandemia a livello di specifici gruppi vulnerabili, quali in particolare le persone che hanno vissuto su di sè l’esperienza dell’infezione da Covid 19 e gli operatori sanitari che lavorano a vari livelli con pazienti affetti da Covid 19. Si sottolinea quindi una necessaria contestualizzazione del disagio psicologico-psichiatrico in relazione alla traiettoria evolutiva individuale e alle risorse e reti sociali e la centralità di un approccio comunitario, con la conseguente necessità di sostenere e potenziare i servizi del territorio.


Nella sezione “Articoli originali”, Sergio Zorzetto esplora il tema dei richiedenti asilo e rifugiati nella prospettiva del confronto con il sistema di accoglienza, considerando come un appropriato funzionamento di questo sistema e di questa interazione, possa contribuire a produrre salute mentale in questa popolazione, ma anche come questa interazione possa influenzare l’espressione stessa del disagio psicopatologico.

L’accesso alle cure di richiedenti asilo e rifugiati è legato essenzialmente all’azione degli operatori dell’accoglienza e le richieste sono sia relative al riconoscimento del diritto alla protezione internazionale, sia relative alla promozione di funzioni acculturative e di controllo sociale. Tutto ciò inoltre si realizza nella cornice dei cambiamenti determinati dai recenti provvedimenti legislativi.

Ancora in tema etnopsichiatrico, Sara Gemignani, Valdo Ricca e Giuseppe Cardamone propongono una sintesi della letteratura relativa alle differenze etniche nella risposta alle terapie psicofarmacologiche, esplorando fattori farmacocinetici e farmacodinamici. L’argomento ha indubbia rilevanza pratica, tanto più se inserita nel contesto attuale dove obiettivo di tutti i trattamenti è la personalizzazione degli interventi.

Giuseppe Corlito propone un’ipotesi teorica unitaria ecologico-sociale degli stili di vita, dove i disturbi psichici possono essere considerati in rapporto con specifici stili di vita nell’ambito di una causalità circolare. Tale approccio viene interrelato con due acquisizioni che le neuroscienze hanno focalizzato negli ultimi due decenni: il circuito neuroanatomico della ricompensa e il concetto clinico-diagnostico di continuum, ovvero il superamento di un approccio diagnostico fondato su “categorie”, a favore di un modello “dimensionale”. Dopo la pandemia del COVID 19, sostiene l’autore, il tema degli stili di vita dovrà necessariamente acquisire maggiore centralità, considerando sia come alcuni stili di vita possano aver giocato un ruolo favorente, sia come specifici stili di vita possano essersi drammaticamente modificati nel corso del contagio.

Dario Lamonaca, Francesco Amaddeo, Valeria Donisi, Federico Tedeschi, Silvia Merlin, Laura Rabbi, Ileana Boggian esplorano il tema della recovery nel contesto dei centri diurni dei servizi di salute mentale, attraverso un lavoro sperimentale che indaga la presenza di recovery in un campione di utenti affetti da disturbi mentali gravi e la relazione tra recovery, qualità della vita, soddisfazione per gli interventi ricevuti e fattori ritenuti significativi nel percorso di recovery. Il lavoro evidenzia outcome positivi per gli utenti che ricevono un'assistenza orientata alla recovery e al paziente, nel contesto di relazioni collaborative e a lungo termine.

Paolo Mandolillo, Augusto Iossa Fasano e Giuseppe Cardamone conducono una riflessione, nel contesto dei servizi pubblici di salute mentale e delle vigenti normative, sul rapporto dinamico e sulle convergenze di azione tra Servizi di Comunità e Privato Sociale. Gli autori esplorano in particolare fattori terapeutici aspecifici quali l’alleanza terapeutica e il clima di gruppo e considerano la centralità della supervisione ad orientamento psicoanalitico che agisce in termini di governance per il monitoraggio di tali fattori terapeutici.

Andrea Giovannoni propone un lavoro sul trattamento psicoterapico dei disturbi di personalità, sottolineando come in particolare la psicoterapia dei disturbi borderline e dei disturbi narcisistici sia sempre stata fonte di discussione nei contesti della psicoterapia psicodinamica. Una chiave di lettura privilegiata della vita relazionale del soggetto, può essere di fatto rappresentata dalle dimensioni transferali e controtransferali del processo analitico, spesso con la necessità di integrare nel trattamento aspetti espressivi e supportivi. L’autore sottolinea inoltre la necessità di uno spostare l’accento dal rapporto individuale ad un continuum di interventi, dove centrale è la relazione.


Infine nella sezione “Discussioni cliniche”, Maria Rita Troiani, Maria Cristina Stefanini, e Stefano Lucarelli propongono un’esperienza originale di trattamento dei disturbi alimentari psicogeni che considera il carico emotivo dei caregivers e la sua influenza sull’outcome del disturbo. In un campione di utenti e familiari, gli autori osservano tre fattori capaci di incrementare il carico, ovvero essere il carer primario, una storia pregressa di disturbo alimentare e prendersi cura di una persona affetta da anoressia nervosa. In questo contesto, emerge la necessità di offrire trattamenti di supporto per i familiari utili a migliorare le loro strategie di coping.