Covid-19, salute mentale e ruolo dei Servizi: una review sull'impatto della pandemia
* Psicologo, Specialista in Psicologia Clinica e Psicoterapia Psicoanalitica, psicologo dirigente presso DSM-U.F. SMA - Servizio di Neuropsicologia, U.F. AC, UOC Psicologia, Azienda USL Toscana Sud Est
** Medico, Specialista in Psichiatria e Psicoterapia, Direttore ff. UOC Psichiatria, Responsabile U.F. SMA amiata, colline metallifere, zona grossetana, Azienda USL Toscana Sud Est
*** Medico, Specialista in Psichiatria e Psicoterapia, Direttore U.F.C. SMA Prato, Direttore Area Salute Mentale Adulti DSMD, Azienda USL Toscana Centro
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L’impatto psicologico-psichiatrico della pandemia COVID-19 sulla popolazione in generale e su particolari gruppi di persone è ancora tutto da determinare. I sistemi di salute mentale si trovano davanti ad una sfida cruciale che richiede nuove modalità di lettura degli eventi e di organizzazione dei servizi, che riesca a mettere a frutto anche quanto di importante è stato sperimentato e acquisito in tutti questi anni di lavoro. In questo articolo, strutturato in una forma particolare di review, dopo aver presentato una cornice di significato degli eventi psicologici connessi agli eventi pandemici, gli autori presentano e si soffermano su una serie di ricerche e articoli nazionali e internazionali, realizzati in questi primi mesi del 2020, sull’impatto psicologico che COVID-19 potrebbe avere sui pazienti, sugli operatori sanitari, su gruppi particolarmente a rischio, sui sistemi di cura e sulle comunità.
The psychological impact of the COVID-19 pandemic on the entire population and on some of its particular groups is still yet to be determined. Mental Health Systems are facing a crucial challenge that requires new ways of looking at emergency events and new organizing services management, also managing to use crucial experiences acquired in all these years of work. In this article, structured as a particular form of review, after introducing a frame to which psychological events related to pandemic acquire meaning, the authors present and focus on a series of national and international researches and works, carried out in these first early 2020s. The aim of this paper is then to focus on the psychological impact that COVID-19 could have on patients, healthcare professionals, target groups particularly at risk, on health care systems and on the general population.
Nel giro di pochissimi mesi dalla sua comparsa nel nostro mondo globalizzato e iper-connesso COVID-19 ha letteralmente stravolto le vite di tutti noi, facendo ammalare milioni di persone, uccidendone ad oggi più di 280.000 (1) e causando una vera devastazione sanitaria, economica, sociale e psicologica la cui ampiezza è ancora tutta da determinare. Si è trattato di un impatto impressionante sulla salute della popolazione, sui sistemi sociali, sanitari, educativi e economici. Alcuni documenti usciti recentemente da parte di alcune importanti istituzioni internazionali quali la World Psychiatric Association, il Royal College of Psychiatrists del Regno Unito e la American Psychological Association sottolineano tutto questo (2).
Dal punto di vista delle eterogenee scienze della salute mentale (3) non si era preparati ad una crisi di tali dimensioni. Non abbiamo molti dati circa gli effetti di una pandemia sulla salute mentale degli individui, dei gruppi, delle organizzazioni e delle diverse comunità sociali. Cosa determinerà nello specifico questa attuale pandemia? Alcune ricerche del recente passato indicano un impatto psicosociale, decisamente significativo, sulle persone infettate, sulla popolazione generale e sugli operatori sanitari coinvolti. Parliamo di scenari molto diversi da quello attuale. Abbiamo deciso, nonostante tutto, di partire da questo livello di analisi: dall’impatto psicosociale della pandemia su individui e gruppi particolari di persone (persone che hanno contratto l’infezione, operatori, popolazione a rischio), dai servizi di salute mentale di fronte alla sfida lanciata loro da COVID-19, dalle criticità che si presentano e dalle risorse da attivare per poterle affrontare. La nostra sarà una forma di review di articoli e ricerche sul tema che cercheremo di tenere insieme in una cornice di significato.
Un articolo classico di Maunder et coll., “Applying the Lessons of SARS to Pandemic Influenza. An evidence based approach to mitigating the stress experienced by healthcare workers” (4), scritto sulla base dell’esperienza dell’outbreak SARS nel 2003-2004 (5) si concludeva sottolineando come “Prepararsi per affrontare una influenza pandemica richiede una particolare attenzione ai processi ospedalieri di macro e di micro livello, e una attenzione sia ad aspetti individuali che organizzativi. Le evidenze ci suggeriscono che occorre andare ben al di là dei pur necessari percorsi di formazione e di consulenza. Infatti, le evidenze ci indicano la necessità di potersi dotare di un obiettivo più ampio, il costruire e mantenere una cultura organizzativa della resilienza. Questo sforzo non sarà infatti vano, indipendentemente dai tempi di comparsa, diffusione e severità di una futura pandemia. Questo perché, in un ambiente ospedaliero resiliente, sia i pazienti sia gli staff saranno più a loro agio (con un evidente riferimento allo specifico del lavorare in ambiente ospedaliero o di esservi momentaneamente ricoverati. NdA), anche durante il loro vivere quotidiano.” (TdA). Nella nostra analisi partiremo dall' individuale psicologico (il paziente, l’operatore sanitario, il cittadino) passando poi ai gruppi di interesse (gruppi maggiormente a rischio o fragili), ai sistemi organizzativi (i servizi di salute, gli ospedali) e alla comunità (popolazione) con un movimento circolare di back and forth motion.
Nel suo saggio “Panic and Pandemics” (6) Mario Perini ci ricorda come ”accanto all’essere un fantasma inquietante, una terribile memoria del passato, le epidemie sono diventate nei tempi recenti anche un incubo presente e attuale, una fonte di paure individuali e collettive così difficili da sostenere poiché rappresentano simbolicamente sia tutte le insicurezze, le complessità e le fragilità non viste o disconosciute proprie della nostra vita moderna (a un livello che potremmo definire sociale. NdA), sia le ansie arcaiche o il “terrore senza nome” appartenenti all’esperienza emozionale che ogni essere umano fa nel corso della sua primissima infanzia” – qui s’intende, invece, un livello psicodinamico profondo, inevitabilmente individuale e il riferimento va al lavoro dello psicoanalista inglese W.R. Bion (7). L’impatto di una malattia a un livello che si dispiega su scala globale non è solo un evento medico – sanitario quanto anche un evento psicologico, sociale ed economico. Questo perché parliamo di eventi capaci di dimostrare in modo spesso violento quanto vulnerabili e fragili possano essere i nostri stessi sistemi sociali di convivenza e quanto spesso inadeguate possano essere le nostre conoscenze e risposte scientifiche, tecniche e in senso più ampio socio-comunitario. L’impatto di una malattia su scala globale genera un clima generalizzato di paura, panico, stigma, effetti psicologici ed affettivo-emotivi a livello individuale e di massa. Sono eventi, quindi, con amplissima e profonda portata psicosociale. Essi hanno la facoltà di innescare quello che Philip Strong (8) definiva come la versione medica di un incubo hobbesiano – la guerra di tutti contro tutti – che si accompagna ad una equivalente epidemia psichica di paura, panico, isolamento, afflizione, sospetto e stigma, ricerca dei colpevoli/responsabili. Sempre nell’ottica dell’analisi proposta da Strong e poi ripresa successivamente da Perini, una psicologia degli eventi epidemici si articola dapprima in un’epidemia psichica di paura, poi in una iperproduzione di spiegazioni e moralizzazioni, infine in un proliferare di azioni o proposte d’azione. Nel citare sempre Strong “…in ogni società attanagliata da una forma florida di epidemia psichica si fa un’esperienza simultanea di ondate di panico individuale e collettivo, esplosioni interpretative sul perché e sul come possa essere avvenuta e possa essersi sviluppata l’epidemia infettiva, sfoghi di controversie morali/moralizzanti, inondazioni di strategie competitive di controllo che mirano o a contenere l’infezione stessa o a controllare ulteriori sviluppi epidemici di paura e di disgregazione sociale” (Strong, 1990. TdA). Va da sé che l’epidemia psichica contagia quasi chiunque dentro i sistemi sociali, gli individui, i gruppi e le diverse organizzazioni. E questo sembrerebbe essere maggiormente vero e pregnante quando l’evento epidemico/pandemico che si dispiega è un evento nuovo, non conosciuto prima, come quello attuale. Anche se dovremmo chiederci se davvero parliamo di qualcosa che è completamente sconosciuto o se invece incrociamo qualcosa di ben conosciuto (da alcuni), ma non adeguatamente pensato (da tutti), per utilizzare qui una felice espressione dello psicoanalista Christopher Bollas (9) e riferendoci all’ormai celeberrimo lavoro di David Quammen (10).
Due recentissimi sondaggi effettuati nel Regno Unito – IPSOS-MORI e MQ: Transforming Mental Health (11) – uno rivolto alla popolazione generale e l’altro ai rappresentanti di associazioni di persone con disagio mentale o psichico, hanno entrambi rivelato grandi preoccupazioni riguardo agli effetti negativi sul benessere psicologico causati dalle misure rese necessarie per fronteggiare la pandemia (isolamento e distanziamento sociale) e dagli aspetti economici, preoccupazioni superiori anche al timore di contrarre l’infezione virale stessa: aumento di ansia, depressione e stress, timori riguardo le implicazioni pratiche della risposta collettiva alla pandemia, comprese quelle economiche. La prospettiva di potersi ammalare con il COVID-19 si colloca molto al di sotto di tutte queste. Lo stesso gradiente di preoccupazione crescente dal virale al sociale lo si troverebbe anche tra le persone che vivono un disagio mentale o psichico: prevale la preoccupazione di una esacerbazione di problematiche psichiche preesistenti, riguardo la difficoltà nell’avere accesso ad un supporto specialistico adeguato, agli effetti del COVID-19 sulla salute mentale dei familiari soprattutto bambini e anziani. Questi risultati, combinati con quanto pubblicato a livello di letteratura internazionale, ci aiutano nell’indicare alcune priorità nelle iniziative di azione e di ricerca. Queste prime indagini britanniche rappresentano così una fotografia dinamica della situazione attuale, ma hanno bisogno di essere ripetute altrove e in modo più rigoroso nel corso dell’evolversi della pandemia, insieme con una conseguente e necessaria revisione delle priorità d’azione.
Non abbiamo ad oggi dati che ci informino in modo chiaro e univoco su quali possano essere le problematiche psichiche individuali innescate dalla pandemia COVID-19. Durante circostanze straordinarie come quella attuale ci si aspetta un accrescimento di sintomi ansiosi e di risposte di coping di fronte allo stress causato dalla situazione, c’è la probabilità che possa aumentare la prevalenza di un numero clinicamente rilevante di persone con disturbi d’ansia, depressivi e con comportamenti a rischio. Le domande che ci poniamo sono: quale può essere l’impatto della pandemia COVID-19 sul rischio di poter sviluppare problematiche psichiche? Quali possono essere le conseguenze psicologiche nei pazienti infettati e sugli operatori sanitari che li hanno avuti in cura? In che modo è possibile mantenere un equilibrio psichico ed emotivo ottimale nel contesto pandemico, sia esso collegato al rischio infettivo sia alle conseguenti misure per contrastarlo e alla loro interrelazione? Quali possono essere le conseguenze del lockdown e dell’isolamento sociale necessario per contrastare COVID-19 sulla salute mentale di gruppi particolarmente a rischio e come poterne mitigare gli effetti durante il periodo pandemico? Queste domande possono avere risposta solo se le collochiamo in specifici contesti di significato. Dobbiamo quindi declinarle su: le persone ammalate che affrontano una degenza ospedaliera, spesso drammatica nel suo impatto e nella sua evoluzione, le conseguenze del processo infettivo sul loro fisico e sulla loro psiche (iniziano ad arrivare anche evidenze del coinvolgimento dei processi cognitivi come conseguenza della infezione); i loro familiari, compresi coloro che hanno perso un loro caro senza averlo potuto sostenere durante la malattia e la degenza ospedaliera; gli operatori e gli staff sanitari impegnati nella cura di questi pazienti. Inoltre vanno considerati alcuni gruppi di persone più fragili, quali i bambini/adolescenti (con l’interruzione della vita di relazioni sociali tra pari e del percorso scolastico), gli anziani (che vivono il maggior rischio sanitario e le conseguenze dell’isolamento sociale), le persone con problematiche psichiche o neurologiche preesistenti (siano essi adulti o minori con problemi di neuro-sviluppo, disabilità o a rischio sviluppo psicopatologico), senza dimenticare tutte quelle persone che, a causa delle misure generali finalizzate al contrasto della pandemia, stanno affrontando sconvolgimenti socio-economici personali e familiari drammatici. Saper contestualizzare il dato clinico psicologico ci informa sulle iniziative da intraprendere e ci consente di comprenderne significato e una possibile traiettoria.
Un recente documento del Laboratorio sulla Vulnerabilità, Trauma, Resilienza e Cultura della Scuola di Psicologia dell’Università di Ottawa, “Guide d’intercention psychologique. Intervenir en cas d’èpidemie de maladies infectieuses” (12), ci aiuta nel provare a contestualizzare una serie di possibili interventi psicologici sulla crisi innescata da una epidemia/pandemia per i pazienti, i familiari e gli operatori sanitari impegnati. Sono passaggi interessanti, ben strutturati e che partono da un lavoro interdisciplinare e transculturale, che tiene conto di interventi su altri eventi epidemici e pandemici recenti. Questo può essere un modello utile dal momento che tiene insieme almeno tre vertici di lettura e di possibile azione: a) lo specifico del contesto epidemico/pandemico; b) l’intervento psicologico dalla crisi emergenziale ai possibili suoi sviluppi per particolari gruppi di persone; c) il contesto socioculturale specifico. Si tratta allora di riuscire a strutturare i primi interventi psicologici sulla crisi, di valutare e definire i possibili successivi piani di intervento, delineare gli aspetti psicoeducativi, permettere una prima elaborazione del lutto, favorire un lavoro sulla regolazione emozionale e permettere l'attivazione di sistemi psicosociali di resilienza. Tutto questo declinato individualmente, a livello dei diversi gruppi di appartenenza (siano essi il sistema famiglia o la comunità di riferimento) e dei sistemi organizzativi (ad es. quelli sanitari, di soccorso, educativi).
Abbiamo anche bisogno di una Road Map che indichi e guidi gli interventi contestualizzati e la ricerca. In questa direzione il lavoro “Multidisciplinary research priorities for the COVID-19 pandemic: a call for action for mental health science” (13) delinea in modo chiaro e rigoroso una serie di azioni da realizzare per contrastare COVID-19 nel campo della salute mentale a livello psicologico e sociale. Vengono individuati e suddivisi per area, molti dei temi di ricerca e di azione necessari per comprendere gli effetti sulla salute mentale della crisi pandemica COVID-19 a livello individuale e sociale: dall’impatto sulle strutture psichiche individuali dello stress pandemico in persone diverse appartenenti a contesti diversi, alle indagini e raccolta di dati qualitativamente rilevanti sui diversi gruppi interessati dal fenomeno, alla revisione di protocolli di intervento psicologico già in utilizzo e all’individuazione di nuovi, alla riorganizzazione delle infrastrutture e servizi dedicati alla salute mentale, fino alla valutazione delle possibili conseguenze cognitive nei pazienti COVID-19. Un lavoro denso di spunti e di riflessioni che a nostro parere è necessario conoscere e che indica con chiarezza quali possono essere le aree di forza e quelle di maggiore fragilità dei servizi di salute mentale davanti a questa sfida.
Abbiamo avuto modo in questo periodo di confrontarci con molti clinici e ricercatori in Italia e all’estero che hanno lavorato e stanno ancora studiando gli aspetti psicologici e di salute mentale in rapporto alla pandemia COVID-19. Abbiamo deciso, quindi, di selezionare alcuni contributi integrandoli con alcune nostre riflessioni.
Per quanto concerne gli aspetti piscologici ed emotivi che riguardano le persone infettate da COVID-19 dobbiamo operare delle stratificazioni a seconda dei diversi livelli di gravità del processo infettivo: dal paziente asintomatico/paucisintomatico a quello con gravi insufficienze d’organo causate da COVID-19 o conseguenze dirette sul sistema nervoso centrale (14). Rispetto al paziente ospedalizzato in reparti di isolamento e ad alta intensità di cura possiamo fare riferimento a tutta un’ampia letteratura presente sull’argomento (15). Sono da tempo ben conosciute, a livello clinico e di letteratura scientifica, le conseguenze psicologiche nel medio e lungo termine di malattie a rischio vita, associate ai trattamenti intensivi necessari, che sono equiparabili a disturbi post traumatici da stress. Un lavoro sistemico sperimentato da uno degli autori in équipe multidisciplinare in reparti ad alta intensità di cura, su pazienti, familiari e operatori ha dato alcuni risultati significativi nei termini di mitigazione degli outcome di disagio psichico nei pazienti (16). Lo stesso approccio è stato utilizzato rispetto al tema del cambiamento dei processi organizzativi che può consentire anche in un reparto ad alta intensità di cura di realizzare al meglio non solo interventi clinici ma anche psicologico-relazionali (17). Sull’argomento, i recenti lavori dei ricercatori cinesi confermano, pur con le dovute differenze, l’efficacia di questo approccio.
In un lavoro del Dipartimento di Psichiatria della China Medical University di Shenyang, “Psychological interventions for people affected by the covid-19 epidemic” (18), che prende spunto dal testo classico di Roberts “Crisis intervention handbook” (19), si propongono una serie di interventi psicologici sulla crisi pandemica rivolti alle persone infettate da COVID-19. Nonostante varie criticità riscontrate, tra le quali la mancanza di coordinamento tra i diversi dipartimenti di salute mentale, la scarsa comunicazione e valutazione dei risultati, si apprezza la costruzione di linee guida specifiche di intervento per differenti target group: pazienti, familiari/amici/colleghi di lavoro, personale sanitario, gruppi a rischio (ad esempio anziani, bambini e donne in gravidanza) e popolazione generale. Nell’affrontare questioni operative emerge come centrale la necessità di calibrare gli interventi in modo appropriato e specifico; per i pazienti, ad esempio, nel coniugare la conoscenza della progressione dei sintomi clinici del COVID-19 con i luoghi di degenza e di trattamento (reparti di terapia intensiva, reparti infettivi in isolamento, isolamento domiciliare), aspetti in costante cambiamento, ma fondamentali per individuare correttamente i possibili fattori di rischio di distress psicologico. Altro spunto interessante è il suggerimento di competenze integrate dei team di cura: la formazione sulle competenze psicologiche per gli operatori sanitari di front line, che nelle situazioni di isolamento sono gli unici interlocutori relazionali dei pazienti, e l’inserimento di professionisti della salute mentale nei team medico-infermieristici che si occupano dei pazienti COVID-19 isolati a casa, ai fini di un’individuazione precoce dei fattori di rischio per il benessere psicologico.
In un interessante scambio d’informazioni tenuto con uno degli autori, il professor Gang Zhu, sono state messe a nostra disposizione le linee guida elaborate in Cina per l’assistenza psicologica negli ospedali COVID-19 dedicati, “Guideline for Psychological Assistance and Social Work Services in Designated Hospitals for COVID 19” (20). In questo documento si delineano una serie di interventi psicologici da realizzare per ridurre il distress psicologico per i pazienti COVID-19 ricoverati in ospedale e per il personale sanitario, impegnato anche in altri setting di intervento; inoltre viene consigliata la presenza di un coordinamento tra ospedali COVID-19 ed i professionisti della salute mentale per realizzare piani terapeutici integrati. Nonostante le differenze di contesto pandemico e di setting organizzativo degli ospedali cinesi COVID-19 dedicati, caratterizzati da isolamento totale e con personale che lavora per lunghe settimane al suo interno senza mai uscire, è comunque possibile individuare molte similitudini con quanto realizzato anni fa anche nell’esperienza sopra citata, in particolare la presenza di professionisti della salute mentale all’interno di un setting ospedaliero di area critica, intervento multi-professionale integrato con il team medico infermieristico e rivolto ai pazienti, ai familiari e agli operatori sanitari.
Un passaggio necessario è l’attenzione per il personale sanitario impegnato nella gestione della pandemia COVID-19. La Cina è stato il primo paese coinvolto dall’epidemia poi tramutatasi in pandemia e quindi il primo ad aver sviluppato per una necessità oggettiva un piano d’intervento psicologico sulla crisi a livello nazionale (21).
Gli operatori sanitari in prima linea nella gestione medica e infermieristica della crisi pandemica da COVID-19 sono esposti ad uno stress psicofisico combinato ad un elevatissimo rischio di contagio e ad un carico di lavoro estremamente intenso. Inoltre sono spesso operativi in settori ospedalieri dove lavorano in isolamento temporaneo o di lunga durata con possibili conseguenze sul loro assetto psicologico, emotivo, familiare e socio-relazionale. È inoltre frequente anche una forma di stigma sociale associato alla paura della popolazione di essere da loro infettati, aspetto purtroppo confermato da alcuni episodi occorsi anche nel nostro paese. Perciò possono essere soggetti a distress psicologico ed emozionale intenso e complesso che potrebbe perdurare anche dopo che gli eventi più critici della crisi pandemica vengono superati (22).
Una interessante ricerca riguarda l’impatto psicologico sugli operatori sanitari del lavoro con i pazienti COVID-19 ricoverati in ospedale, “Factor associated with mental health outcomes among health workers exposed to the 2019 coronavirus disease”, sviluppata anch’essa da un team cinese (23). Questo lavoro offre numerosi spunti di riflessione, anche per le possibili similitudini e differenze con quanto accade nei nostri servizi sanitari. Il razionale della ricerca parte da quanto rilevato nell’esperienza del 2003-2004 con l’epidemia di SARS (24) e ha come obiettivo identificare la presenza e il livello di disagio psicologico (ansia, depressione, disturbi del sonno e distress psicologico) negli operatori sanitari ospedalieri di pazienti COVID-19, afferenti sia a strutture COVID-19 dedicate sia no (25). Attraverso l’utilizzo di piattaforme quali WeChat sono stati coinvolti più di 1200 operatori, ai quali è stata somministrata una batteria di questionari, che ha fatto emergere dati interessanti: il 50,4% dei soggetti riporta livelli di deflessione del tono dell’umore; il 44,6% livelli significativi di ansia; il 34% disturbi del sonno e addirittura il 71,5% distress psicologico. Dalla ricerca emergono come probabili fattori di rischio il sesso femminile, l’essere impiegati in professioni infermieristiche, un’istruzione di livello medio e la operatività nella città di Wuhan. Sebbene ci siano alcune differenze tra operatori di ospedali di secondo e terzo livello, un fattore di rischio trasversale e indipendente risulta il diretto coinvolgimento con pazienti COVID-19.
Ci sono tuttavia alcuni aspetti evidenziati dagli stessi autori che andrebbero valutati con attenzione (composizione del campione, informazioni su follow up successivi allo studio). In uno scambio diretto tra uno degli autori ed il professor Shaohua Hu, Direttore del Dipartimento di Psichiatria della Zhejiang University School of Medicine, è emerso il desiderio da parte del team di approfondire e valutare nel medio termine i dati raccolti. Probabilmente la finestra temporale in cui si è svolta la ricerca, immediatamente successiva all’esplosione epidemica con epicentro a Wuhan e al conseguente lockdown totale del paese, ha avuto un effetto amplificante sull’assetto emotivo dei partecipanti, e contestualmente non ci sono dati di follow up che possono chiarire se questa imponente reazione di stress psicologico si strutturi poi in forme clinicamente stabili o se invece si risolva in modo più o meno fisiologico. Inoltre la ricerca si riferisce ad un contesto specifico, ovvero strutture di terzo livello in completo isolamento per i pazienti ma anche per gli operatori sanitari, che lavorano in turni d’ingresso/uscita che durano in media due settimane ininterrotte e in setting equiparabili a reparti di Terapia Intensiva. Questa organizzazione del lavoro ha una ripercussione sia rispetto ad interventi psicologici che possono essere offerti, ad esempio da team di specialisti di salute mentale che permangono dentro le strutture, sia su alcuni specifici fattori di protezione/rischio psicologico degli operatori connessi con il loro lavoro. Analoghe riflessioni sono emerse durante l’incontro con il Prof. Jun Chun del Mental Health Center della Jiaotong University di Shanghai.
Altre ricerche sono state effettuate sempre a Wuhan come viene ad esempio illustrato in “COVID-19 in Wuhan: Immediate Psychological Impact on 5062 Health Workers” (26), con il coinvolgimento di un solo ospedale di terzo livello, e dove si evidenziano livelli di disagio sicuramente presenti ma di minore intensità complessiva. A rischio maggiore sono sempre gli operatori infermieristici poiché a maggiore contatto diretto con i pazienti, di sesso femminile (ma ricordiamo che il personale infermieristico in Cina è costituito da donne nell’85-90% del totale e coincidente con quella dello studio citato), con anzianità di servizio maggiore ai 10 anni (in relazione ad aspetti del ciclo della vita familiare degli operatori), con figli e con le conseguenti preoccupazioni per l’isolamento dal nucleo familiare e per timore di contagio intra–familiare. Anche in questo studio per l’analisi dei livelli di disagio psichico sono stati utilizzati questionari online e nelle medesime aree della precedente ricerca. Le percentuali che indicano possibile disagio psichico, tuttavia, sono decisamente diverse: 29,8% per il distress psicologico (vs. il 71,5% della ricerca pubblicata sul JAMA), 13,5% per la deflessione (vs. il 50,4%) e il 24,1% sull’area dell’ansia (vs. il 44,6%). Sembrerebbe un impatto sicuramente significativo, ma di ben altra intensità. I due lavori testimoniano sicuramente un impatto psicologico di rilievo, anche se niente ci dicono sull’evolversi dello stesso nel tempo.
Un altro gruppo di ricerca ha realizzato un’analisi cross sectional sugli operatori della città di Wuhan, “Impact of mental health and percpetion of psychological care among nusing staff in Wuhan during the 2019 novel coronavirus disease outbreak: a cross sectional study” (27), suddividendo il campione in sottogruppi a seconda del livello di distress psicologico rilevato, dal sotto soglia al severo. Il primo dato che emerge è che il livello di distress sembra essere direttamente correlato all’esposizione ai pazienti COVID-19. Inoltre, il sottogruppo che presenta maggiori difficoltà è anche quello che ha avuto minore accesso ad aiuti psicologici e di salute mentale. Infine l'aiuto psicologico sembra che riesca a mitigare solo in parte il rischio dell’esposizione.
“The mental health of medical workers in Wuhan, China dealing with the 2019 coronavirus” (28), propone invece una chiave di lettura e d’intervento che per la realtà cinese rappresenta una svolta rispetto alla percezione dei problemi di salute mentale ed alle possibili soluzioni operative. Per contrastare le possibili difficoltà psicologiche degli operatori sanitari nel contesto di un lavoro in isolamento, un team d'ntervento psico-sociale ha affiancato il management sanitario per la dimensione organizzativa, un team psicologico per individuare modelli d’intervento specifici ed elaborare linee guida, un team psicologico-medico è intervenuto con interventi clinici diretti su operatori e pazienti e con assistenza psicologica online. Questa esperienza ha contribuito allo sviluppo, da parte della National Health Commision of China, di linee guida nazionali sugli interventi psicologici per la crisi pandemica COVID-19 e dove per la prima volta vengono inserite sezioni dedicate alla tutela psicologica del personale sanitario.
“Mental Health Care for Medical Staff in China during the COVID-19 outbreak” (29) descrive un'organizzazione dei reparti COVID-19 secondo un modello d’intensità crescente. In questo contesto un gruppo di professionisti della salute mentale (30) ha elaborato un piano con tre livelli d'intervento: formazione online per il personale sanitario rispetto alla gestione delle problematiche psicologiche comuni nei pazienti COVID-19; interventi psicologici tramite una hot line dedicata agli operatori; interventi psicologici diretti ai gruppi di lavoro per la riduzione del distress psicofisico. In relazione ad uno scarso utilizzo dell'offerta ed esplicita resistenza da parte degli operatori il progetto è stato poi rimodulato, con l’inserimento di un team di psicologi/psichiatri nelle aree dedicate ai pazienti COVID-19 e con la riorganizzazione degli spazi di riposo e relax per i sanitari. Questa esperienza fa riflettere circa la questione del rapporto tra analisi del bisogno, domanda esplicita ed offerta istituzionale.
“Perceived social support and its impact on psychological status and quality of life on medical staffs after outbreak of SARS-CoV-2 pneumonia: a cross sectional study” (31) indaga sul differente impatto psicologico dell’epidemia COVID-19 sul personale sanitario rispetto alla popolazione generale. Centrale è la percezione del supporto sociale, dimensione che influenza sia il benessere psicologico che la qualità della vita negli operatori e nella popolazione in generale. Emergono livelli di ansia e di depressione simili nei due gruppi, mentre gli operatori mostrano migliori livelli di funzionamento fisico e maggiore percezione di supporto sociale. Da un confronto tra operatori a contatto con pazienti COVID-19, operatori non a diretto contatto e popolazione generale, gli operatori di front line presentano livelli di ansia e depressione maggiori rispetto agli altri due gruppi. Inoltre nel gruppo generale degli operatori, esposti o meno ai pazienti infetti, emergerebbe una correlazione negativa tra distress psicologico e percezione soggettiva di ricevere supporto sociale. Nei sanitari, quindi, la salute mentale sembrerebbe positivamente influenzata dal supporto sociale percepito, che risulta un fattore protettivo sul rischio di distress psichico, mentre la presenza di fenomeni di stigma sociale agirebbe in senso negativo.
“Differences between health workers and general population in risk perception, behaviors, and psychological distress related to COVID-19 spread in Italy” (32), lavoro italiano in corso di pubblicazione, indaga la percezione del rischio e le preoccupazioni sull’infezione da COVID-19 sia negli operatori sanitari sia nella popolazione generale e prova a correlare questa percezione con variabili demografiche e fattori psicologici quali stress, ansia, paura della morte. Il campione è suddiviso in due sottogruppi: medici/infermieri e popolazione generale di diverse regioni italiane ai cui è stato inviato un questionario piuttosto ampio. La quasi totalità del campione (97%) riferisce di aderire alle indicazioni riguardanti le misure d’igiene e di distanziamento sociale, (per contro solo il 6% dei sanitari è convinto che il comportamento della popolazione sia adeguato alla situazione) e ritiene le misure attuate dal governo come giuste e necessarie, se non addirittura da rendere maggiormente severe e restrittive (98%). I livelli più alti di stress e ansia sono riferiti alla popolazione che risiede nel nord Italia, con i livelli maggiori nel sottogruppo dei sanitari di quest’area del paese, per cui la professione e l’area di residenza, con conseguente maggiore probabilità di esposizione al virus, sono indicatori attendibili del livello di distress esperito. In questo senso i dati raccolti da questa ricerca si avvicinano a quanto rilevato dai colleghi cinesi (33) per l’area di Wuhan in rapporto ad altra aree del loro paese secondo la massima “the closer to the risk of infection, the higher the risk of acute psychological distress”. Ad analoghe conclusioni erano arrivati i ricercatori in Asia ed in Canada per quanto riguardava SARS e H1N1. Sebbene emerga un aumento considerevole di ansia e stress nel campione di soggetti coinvolti dalla ricerca, gli autori, dopo aver evidenziato gli alti livelli di ansia e stress nel campione, si soffermano sulla importanza e necessità di monitorare nel medio e nel lungo termine gli effetti psicologici dell’outbreak pandemico e delle misure di quarantena adottate per fronteggiarlo. Quest’ultimo aspetto è stato evidenziato in modo esaustivo dal gruppo del King’s College di Londra, Brooks et al. (34).
Proviamo adesso ad individuare cosa si sta muovendo ad un macro livello per i servizi di salute mentale nel tentativo di affrontare la sfida presentata dal COVID-19. Anche qui partiremo da alcuni lavori di team asiatici appena pubblicati.
Il team della Macau University, nello studio “Progression of Mental Health Services during the Covid-19 outbreak in China” (35), ha provato ad analizzare come i Servizi di Salute Mentale in Cina stanno rispondendo allo outbreak pandemico. Lo studio individua tra i fattori di rischio le misure preventive adottate per contenere la trasmissione del contagio, la sovraesposizione mediatica a informazioni riguardanti la pandemia e l’impossibilità di seguire congiunti malati in ospedale, o di organizzare esequie per quelli deceduti. Uno degli autori, il Prof. Yu–Tao–Xiang, durante un recente confronto, ci ha ben illustrato quali azioni prioritarie si è dato il suo gruppo di ricerca nello strutturare il lavoro: comprendere come viene influenzato dall’outbreak di COVID-19 lo stato mentale in differenti gruppi di popolazione; riuscire ad identificare i soggetti a rischio (suicidario, di agiti aggressivi o di disregolazione comportamentale); fornire interventi psicologici appropriati. Altra azione importante consiste nell’operare una stratificazione della popolazione target in relazione alla vulnerabilità: a) i soggetti più vulnerabili e più a rischio di sviluppo di problematiche psicologico-psichiatriche come le persone infettate ricoverate e il personale impiegato nel front-line sanitario; b) i pazienti positivi in isolamento domiciliare; c) i soggetti in stretto contatto con i gruppi sovra menzionati, come i familiari, i colleghi, gli amici, e il personale sanitario non in prima linea; d) la popolazione generale coinvolta nelle misure restrittive della quarantena, nelle misure di prevenzione e in quelle di controllo.
Per gli utenti in carico ai servizi di salute mentale invece è stato realizzato un documento nazionale sul rafforzamento delle misure terapeutiche e di management (“Notice on Strengthening the Treatment and Management of Patients with Severe Mental Disorders during the Outbreak of the New Coronary Pneumonia”), in cui sono indicati i trattamenti in caso di infezione da COVID-19 e gli interventi domiciliari territoriali da far realizzare a unità integrate con operatori della salute mentale. A seguire, la Società Cinese di Psichiatria ha realizzato un documento di Consensus sullo stesso tema (“Expert Consensus on Managing Pathway and Coping Strategies for Patients with Mental Disorders during Prevention and Control of Infectious Disease Outbreak Novel Coronavirus Pneumonia”). Questo documento contiene suggerimenti operativi ed indicazioni sulla gestione sanitaria COVID-19 nei reparti di psichiatria degli ospedali generali, come ad esempio la riduzione delle visite per i pazienti ricoverati, il restringimento dei criteri di ammissione/ricovero, la riduzione delle degenze ospedaliere e l’isolamento dei pazienti all’ingresso per ridurre il rischio delle infezioni. Inoltre viene sottolineata l’importanza dei servizi telematici, delle piattaforme online e delle App per migliorare e garantire una maggiore efficienza dei servizi di salute mentale.
È interessante un confronto con quanto è accaduto nei Servizi di Salute Mentale in alcune zone d’Italia. Sulla rivista JAMA Psychiatry un team di psichiatri dei servizi pubblici della Lombardia, area che più di tutte è stata colpita dalla pandemia COVID-19, descrive il cambiamento organizzativo dei servizi in piena crisi pandemica, “Mental Health in the Coronavirus Disease 2019 Emergency— The Italian Response” (36). A livello ospedaliero alcuni spazi in cui erano ubicati SPDC sono stati convertiti in aree COVID-19 dedicate e gli stessi staff che vi operavano sono stati dirottati sul management terapeutico dei pazienti COVID-19. L’impatto maggiore ha riguardato i servizi territoriali, con confinamenti obbligati per i pazienti già interni alle strutture residenziali, drastica riduzione degli home visiting e delle visite dei familiari, e chiusura dei centri diurni. Per contro, in alcuni contesti d’abitare il contatto stretto con i familiari ha determinato un incremento esponenziale di conflittualità ed emotività espressa difficilmente modulabile e contenibile. È risultato imponente l’impatto sui servizi per le dipendenze, salute mentale infanzia e adolescenza, in particolare rispetto al lavoro con problematiche quali ADHD, Disabilità Intellettiva o i Disturbi dello Spettro Autistico. Una nota particolare è stata riservata al supporto per l'elaborazione del lutto ai familiari di persone decedute per COVID-19 in relazione alla mancata possibilità di vicinanza nella fase di malattia e di un rito funebre. Viene sottolineata l'importanza e l'efficacia dei dispositivi tecnologici e della telemedicina.
Vengono suggerite infine alcune azioni di livello dipartimentale, dove viene lasciata ai servizi territoriali la leadership per la gestione psicosociale delle situazioni emergenziali: in Italia sono ancora pochi quei DSM in possesso di conoscenze, skills, training specifici e personale capaci di intervenire in situazioni di maxi-emergenza, di dare supporto attraverso una comunicazione chiara, di pianificare e dispiegare strategie preventive e d’intervento che siano realmente efficaci. Queste indicazioni sono in linea con quanto emerge da una Cochrane Systematic Review (37) e con le linee fornite dalla Academic of Royal Medical Colleges del Regno Unito (38): supporto tra pari, leadership organizzativa e situazionale forte e chiara, attenzione sui possibili sviluppi di disagio psicologico nel medio e lungo termine. A nostro parere andrebbe anche garantito e strutturato in modo stabile il supporto psicologico ed emotivo al personale sanitario coinvolto.
Nel lavoro irlandese, “Mental Health in the Covid-19 pandemic” (39) si evidenziano alcuni aspetti che rischiano di passare sottotraccia. L’aspettativa di vita delle persone con disturbi mentali, rispetto alla popolazione generale, è ridotta in termini di durata e di qualità di vita. Per molte persone la situazione pandemica nel suo dispiegarsi, tra diffusione del virus, rischi di contagio, misure di contenimento e d’isolamento, potrebbe essere un fattore che amplifica considerevolmente problematiche psichiche sotto soglia o presenti in modo latente, o facilitare l'espressione di forme psicopatologiche nell’area del trauma. Infine riorganizzare i servizi in modo da personalizzare gli interventi in relazione alle caratteristiche ed ai bisogni delle varie fasce, soprattutto quelle più vulnerabili, della popolazione.
Anche i professionisti della salute sono di fatto una categoria a rischio, con particolare riferimento a quelli che operano nei contesti pubblici, nelle cure primarie, nell’alta intensità di cura e nell’emergenza – urgenza. Viene sottolineata l’importanza del benessere psicologico degli operatori sanitari, specialmente quelli di front line e in relazione a questo viene fortemente sconsigliato dislocare in altri contesti di lavoro i professionisti della salute mentale, per lo specifico e competente contributo che possono garantire in termini di supporto anche agli altri sistemi sanitari. Prendendo spunto dalle indicazioni dei Centers for Disease Control and Prevention statunitensi viene ribadita la necessità di implementare azioni protettive che possano contrastare il rischio di sviluppo di reazioni da stress traumatico secondarie: fornire una migliore conoscenza della sintomatologia collegata al COVID-19, ridurre al minimo il sovraccarico informativo dei media, favorire il supporto tra pari, ridurre i turni prolungati al lavoro, permettere momenti di decompressione emotiva, in quella che si prefigura come la più intensa e devastante pandemia dei nostri tempi.
Una proposta articolata d’intervento sul sistema comunità per fronteggiare la crisi da COVID-19 viene da “Recommended psychological crisis intervention response to the 2019 novel coronavirus pneumonia outbreak in China: a model of West China Hospital” (40). Viene rappresentato un modello – il West China Hospital Model o WCH – realizzato nella Sichuan University di Chengdu- composto da articolati e differenziati interventi psicologici di comunità, nel quale le piattaforme e le tecnologie di rete mobile (4G e 5G) hanno un ruolo predominante e in cui si è cercato di integrare le diverse professionalità mediche, psichiatriche, psicologiche e socioassistenziali. Gli interventi psicologici sono diretti ai pazienti, ai familiari e agli staff medico infermieristici. È un modello dinamico, modulabile sui diversi stadi della progressione epidemica e post-epidemica. L’intervento psicologico si articola su due temi: sulla paura della malattia e sulle difficoltà di adattamento. Vengono identificati i fattori di rischio psicosociali e contestuali connessi con lo sviluppo di difficoltà psicologiche in reazione all’outbreak epidemico: la mancanza di corretti stili di vita e di conoscenza sulle caratteristiche dell’infezione da COVID-19, la mancanza di strategie di coping psicologico adeguate, la difficoltà nella comprensione dei propri stati psicologici, emotivi e fisici (meta-cognizione carente), strategie di adattamento scarse o francamente inadeguate, il contatto con pazienti COVID-19 o con aree a rischio di contagio, l'essere sintomatici, l’isolamento socio-relazionale. Il modello sviluppato (WCH Model) è costruito su una struttura piramidale ed è stato ripreso e riadattato in alcune realtà italiane.
La base della piramide è rappresentata dagli interventi di supporto psicosociale comunitari; ad un livello successivo è attivo un servizio di assistenza psicologica attraverso hot line dedicate e consulenze online per target group specifici. Salendo di livello troviamo i Team di Intervento Psicologico, che effettuano interventi rivolti a pazienti positivi COVID-19 ed allo staff medico infermieristico di front-line. All’apice della piramide un team di esperti garantisce attività di training formativo, tecnico e di educazione alla salute (comportamenti, stili di vita corretti e strategie di prevenzione del contagio). Il punto di forza di questo modello è rappresentato dall’interconnessione e collaborazione tra diverse professionalità (medici, psicologi e psichiatri), in diversi spazi (hot line, App e Social Networks) e per differenti target di popolazione interessata, dai professionisti sanitari ai pazienti COVID-19 positivi e ai loro familiari, dalle categorie a rischio alla popolazione generale. Una parte fondamentale dell’intervento psicologico in questo modello è riuscire ad identificare correttamente e precocemente nella popolazione i soggetti a rischio di sviluppare difficoltà emotive e distress piscologico.
A parere degli autori, lo staff medico infermieristico che interagisce con i pazienti in isolamento/quarantena è un gruppo che richiede una particolare attenzione, supporto sociale e lavoro di manutenzione psicologica; il modello d’intervento utilizzato è l’APD (Anticipated, Plan and Deter Responder Risk and Resilience Model), Modello di Anticipazione, Pianificazione e Allontanamento del Rischio per il Soccorritore e Sviluppo della Resilienza, che utilizza un training sullo stress management e per l’individuazione di possibili strategie di coping individuali o di gruppo.
Il modello del West China Hospital ha ispirato le proposte dell’Istituto Superiore di Sanità per i Dipartimenti di Salute Mentale (41). Il programma italiano prende spunto anche dal documento “Mental health and psychosocial considerations during COVID-19 outbreak” dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (42).
In sintesi, in Cina il modello adottato è stato tempestivo e ha integrato gli interventi di medici, psichiatri, psicologi e assistenti sociali attraverso una piattaforma Internet. È stato pensato come un modello flessibile, adattabile alle varie fasi dell’epidemia, e al periodo immediatamente successivo. Il modello italiano pone anche attenzione alle conseguenze dell’isolamento sociale in termini di salute fisica e psicosociale della popolazione generale e di quella a maggior rischio. Nel modello proposto dall’ISS viene individuato un Nucleo Direzionale responsabile della preparazione del materiale, del programma, del monitoraggio e del coordinamento degli interventi. Per ogni Centro di Salute Mentale dei vari DSM viene inoltre suggerito di costituire una Équipe Territoriale interprofessionale per l’Intervento sulla Crisi Psicologica/Psichiatrica da COVID-19 (ETI-PsiCO). Le linee d’intervento devono essere quindi rivolte alla popolazione generale e alla popolazione a rischio.
Non è certo possibile proporre conclusioni esaustive e che siano in grado di rappresentare una prospettiva unica nel campo delle discipline della salute mentale in tema di COVID-19. Ciò nonostante l’analisi della letteratura sin qui svolta ci pone nella condizione di proporre alcune provvisorie conclusioni con cui il lettore si troverà a confrontarsi e a coglierne nessi e prospettive interessanti. Avvertiamo, infatti, una duplice esigenza:
- la prima riguarda l’urgenza di riflettere su come affrontare le sfide che la pandemia ha messo in campo e quali modelli organizzativi adottare e sperimentare nel campo della salute mentale di comunità
- la seconda consiste nel tentativo di realizzare, secondo una prospettiva di salute pubblica, un approccio critico e attento alla costruzione e al finanziamento del servizio pubblico di salute mentale del futuro.
Tenendo conto di queste due esigenze riteniamo che la letteratura consultata ci ribadisce la centralità del territorio e quindi la necessità del suo potenziamento. Questo deve essere decisamente orientato in senso comunitario sia sul piano teorico che nelle prassi, puntando su azioni di maggiore prossimità, a bassa densità di concentrazione di persone, domiciliarità ed interventi strutturati di comunità. La storia e la tradizione dei servizi pubblici italiani in questo ci possono essere di grande aiuto per diventare gli assi intorno ai quali riorganizzare l’assistenza e la cura delle persone con problemi di salute mentale.
Anche l’Organizzazione delle Nazioni Unite, nel recentissimo documento del suo Segretario Generale Guterres “Covid-19 and the Need for Action on Mental Health” (43), ha posto l’accento sulla costruzione di servizi pubblici di salute mentale su base comunitaria. Pertanto è nostra opinione essere uniti nello sforzo con tutti i professionisti della salute mentale, per richiedere un energico finanziamento dei servizi e delle risorse necessarie che si traduca nel loro rilancio, teorico ed operativo, nel breve, medio e lungo periodo.
1. Questo dato sui decessi complessivi a livello mondiale ufficialmente ascrivibili a COVID-19 è riferito al 10 Maggio 2020.
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3. Utilizziamo il termine scienze della salute mentale per riferirci a molte e differenti discipline che includono, ma non si limitano a, la psicologia, la psichiatria, la medicina clinica, le scienze del comportamento, le scienze sociali e le neuroscienze. Che, per meglio delineare obiettivi e priorità, hanno bisogno di lavorare in multidisciplinarietà insieme anche con le persone che realmente vivono problematiche di salute mentale e disagio psichico.
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25. Nello specifico della ricerca erano 34 ospedali di secondo e di terzo livello: 20 dislocati nella città di Wuhan epicentro fino ad ora riconosciuto della diffusione epidemica/pandemica, 7 nella provincia dello Hubei dove si trova la stessa città Wuhan e altri 7 fuori da questa provincia ma sempre sul territorio cinese in aree con un’alta incidenza di casi COVID-19.
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