Volume 14 - 6 Aprile 2017

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Omaggio a Charles Darwin

Autore

Nota introduttiva all’articolo di I. Hermann: Charles Darwin1

Riassunto

L’autrice presenta l’articolo di I. Hermann, Charles Darwin, scritto nel 1927, evidenziandone la linea di ricerca centrata sul rapporto del grande naturalista con la figura paterna; pone quindi a confronto l’opera su C. Darwin scritta dallo psicoanalista John Bowlby nel 1990, centrata sul lutto non elaborato per la morte della madre avvenuta quando lo scienziato aveva solo otto anni, evidenziando così il cambiamento dell’ottica psicoanalitica verificatosi negli ultimi sessanta anni.


Summary

The author reviews the article “Charles Darwin” which I. Hermann wrote in 1927. She argues how Hermann’s work is centered on the relationship between the great naturalist and his father figure. She compares this article to the work on C. Darwin written by the psychoanalyst John Bowlby in 1990. The latter centered on the unelaborated mourning for the mother’s death happened when the scientist was only eight years old. Hereby, the author shows a transition happened during the last sixty years of psychoanalysis history.


Autore dell’articolo Charles Darwin, il primo lavoro psicoanalitico scritto su questo scienziato innovativo che modernizzò la nostra concezione sull’origine delle specie, è Imre Hermann (1889-1984), psicoanalista ungherese, tra i più dotati e profondi allievi di S. Ferenczi. Nato in una famiglia della media borghesia ebrea di Budapest, città dove visse tutta la vita, la sua lunga esistenza è passata attraverso le drammatiche vicende di due guerre mondiali e della travagliata storia della psicoanalisi ungherese: è merito suo se la psicoanalisi ha potuto mantenere la sua continuità di studio e lavoro in Ungheria, unica tra i paesi dell’Est europeo. Coltissimo e dal sapere enciclopedico, scrisse numerosi lavori psicoanalitici: dieci libri e oltre centoventi saggi, alcuni tra i più significativi in lingua tedesca, ma molti in ungherese. E’ possibile che la scarsa diffusione di questa lingua, l'isolamento dei paesi dell'Est, le difficoltà incontrate nel suo paese d’origine in quanto ebreo unitamente al fatto che su certe questioni, la pulsione di morte, l’aggressività, il concetto di narcisismo primario e l’ambito della pulsione d’oggetto, non sia stato pienamente d’accordo con Freud, abbiano reso i lavori di Imre Hermann di difficile divulgazione e il loro autore quasi sconosciuto al pubblico italiano.

Hermann utilizzò il punto di vista psicoanalitico per ricerche che spaziavano in molte discipline affrontando campi pionieristici per l’epoca quali quelli relativi al rapporto madre-bambino, alla psicoanalisi infantile, studi sovente scritti insieme alla moglie Alice Cziner, morta nel 1975. Le principali direzioni del suo lavoro abbracciano quattro aree di attività scientifica: lo studio degli istinti, del pensiero, della metodologia psicoanalitica e, verso la fine della sua vita, della perversione.

Un altro campo di ricerca per il quale Imre Hermann nutrì sempre un forte interesse è quello riguardante il talento creativo nel campo artistico, scientifico e letterario, argomento sul quale scrisse numerosi saggi fin dagli anni ’20 In questo ambito, sulla scia dello studio di S. Freud (1910) su Leonardo da Vinci, scrisse anche alcune “patografie”, lavori nei quali esplorò gli aspetti psicodinamici di personaggi ricchi di talento, portatori di idee nuove nel campo artistico, letterario e scientifico collegandoli alle loro scoperte creative per illustrare come l’inconscio fosse una realtà vivente, sottostante ad ogni azione e creazione umana. Nel 1927, scrisse il saggio su Charles Darwin oggetto della presente introduzione, si occupò inoltre di Theodor Fechner, di Paul Gauguin, di Benvenuto Cellini, di W. Goethe e dei matematici Georg Cantor, János Bolyai, David Hilbert, Bertrand Russell, Luitzen Brouwer in varie epoche della sua vita, a volte rivedendo ed ampliando saggi pubblicati in precedenza.

Nelle sue ricerche patografiche Hermann portava avanti l’idea che le invenzioni sono necessariamente influenzate e determinate inconsciamente dalla psicologia dell'inventore per cui era possibile evidenziare un modello congruente, cioè una “similarità di configurazione strutturale”, nell’organizzazione psichica dello scienziato promulgatore dell’idea nuova e nella struttura della teoria che aveva concettualizzato. Nell'esperienza dell'inventore, nella natura dei conflitti vissuti rispetto alle figure genitoriali, in alcune esperienze intensamente affettivizzate, nella specifica patologia, nel destino di un istinto, in una particolare modalità percettiva, Hermann individuava una configurazione che rintracciava poi nella struttura teorica che informava l’invenzione stessa, struttura che poteva anche essere presente in talune correnti di pensiero che attraversavano i più svariati campi dello scibile umano, attuali all’epoca dell’inventore, con un interesse interdisciplinare che Hermann aveva mutuato da S. Freud, da S. Ferenczi, da C. Jung e che del resto era appartenuto agli psicoanalisti della prima generazione e alla psicoanalisi nel suo complesso.

Nel suo studio patografico su Charles Darwin, scritto nel 1927, I. Hermann prende in considerazione tre tematiche principali sulla personalità del grande naturalista: le caratteristiche psichiche, la teoria proposta sull’origine delle specie (Darwin, 1859) e l’origine del talento.

Le particolarità psichiche di Darwin che lo colpiscono, riguardano alcuni tratti di carattere molto marcati come il rapporto con il tempo, il rapporto con gli animali e quello con la malattia che lo accompagnò per tutta la vita. Darwin aveva un rapporto ambivalente con il tempo: ad una grande considerazione per il suo scorrere rapido che lo rendeva veloce e dinamico nei suoi movimenti, lo costringeva ad utilizzare ogni minuto e a vivere come “un meccanismo ad orologeria”, si contrapponeva una certa tendenza all’ozio come risulta dagli aspri rimproveri del padre per la sua vita scioperata quando studiava a Cambridge. Lo spreco di tempo provocava senso di colpa e ansia, stato psichico che aumentò lungo il corso della sua vita. L’ansia spingeva Darwin a lavorare sette giorni alla settimana e si manifestava anche nel timore che i suoi figli che non trovassero lavoro come il padre che lo credeva un buono a nulla e voleva che facesse il curato per potersi mantenere.

Parimenti ambivalente era il rapporto con gli animali che Charles amava, ma che uccideva nelle battute di caccia praticate con grande piacere. Anche in questo caso l’uccisione degli animali provocava un gran senso di colpa e il bisogno di farsi perdonare le sofferenze inflitte.

Hermann ritiene che l’ambivalenza verso il tempo e verso gli animali sia il risultato dello spostamento dell’ambivalenza che Darwin nutriva verso la figura paterna di carattere autoritario e piuttosto tirannico.

La dimenticanza della morte della madre e il ricordo commovente della sepoltura di un cavaliere dei Dragoni avvenute quasi contemporaneamente quando Darwin aveva circa otto anni, fanno supporre a Hermann che Darwin avrebbe desiderato la morte del padre piuttosto che quella della madre e che questo abbia generato un senso di colpa verso la figura paterna, il medico Robert Darwin. D’altro canto il padre, oggetto di rispetto e venerazione, costituiva per il figlio una sorta di ideale dell’Io, ma quando morì, Charles non partecipò al funerale poiché sofferente per uno dei sintomi ricorrenti della sua “malattia”. Questa malattia che accompagnò Darwin in tutto il corso della sua vita, misteriosa nella diagnosi e foriera di malesseri di ogni genere, palpitazioni, stati di acuta depressione, crampi, nuvole nere, nausea e dolori di stomaco, eczemi, attacchi di vomito, aveva una funzione secondaria in rapporto con l’ossessione del tempo: consentiva a Charles di sottrarsi facilmente alle richieste sociali e, attraverso la sofferenza, di alleggerire il senso di colpa per la sua ambivalenza verso il padre. Così non è difficile supporne un’origine psichica piuttosto che organica. Vari altri autori, successivamente allo studio di Hermann, fanno risalire la malattia di Darwin a fattori psichici legati al difficile rapporto con il padre.

Secondo Hermann queste sofferenze impedivano una continua applicazione agli studi ma, di converso, stimolavano la concentrazione intellettuale, solo rimedio che consentiva di dimenticare, se non diminuire, le sofferenze fisiche. Inoltre fornivano un motivo accettabile per condurre una vita ritirata e quasi asociale, dedita alle ricerche e agli studi intellettuali attraverso i quali, secondo Hermann, si esprimevano e si sublimavano le tensioni libidiche dello scienziato. Di fatto, alla fine della sua Autobiografia, C. Darwin scisse: “Perfino la malferma salute, che pur mi ha fatto perdere molti anni di attività, mi ha dato qualche vantaggio, proteggendomi dalle distrazioni della vita sociale e dei divertimenti”.

Hermann sviluppò in seguito il concetto di masochismo transitorio sia a proposito di J. Bolyai (Hermann, 1945) che di T.Fechner (Hermann 1969). Egli pensava che la sofferenza fisica che affliggeva questi studiosi, i tormenti ipocondriaci quasi quotidiani attribuiti a non meglio individuate “malattie”, a causa delle quali ricorrevano a continue cure mediche, ricoprivano un ruolo nelle loro capacità speculative nel senso che solo la forte concentrazione nel lavoro intellettuale permetteva di sopportarli e, quasi, di dimenticarli.

Hermann afferma che dinamica psichica riguardante la figura paterna si rispecchia nella teoria enunciata da Darwin sull’origine delle specie.

I pilastri principali dell’opera di Darwin, sono il concetto di variazione e di ereditarietà; egli proponeva una duplice tesi: le specie non sono state create una volta per tutte, ma si sono evolute da uno stadio primitivo attraverso lunghissimi periodi di tempo; inoltre, la loro evoluzione può essere interpretata come il risultato di variazioni casuali in una stessa specie e del maggiore o minore successo nel sopravvivere e nel riprodursi che hanno le diverse varianti. La prima affermazione- che la vita come la conosciamo oggi è il prodotto di un processo di evoluzione storica- non era nuova; era stata discussa da vari pensatori compreso il nonno di Charles, Erasmus Darwin, ma poiché non c’erano prove non era riuscita a soppiantare la teoria dominante: il creazionismo. La seconda affermazione – che le variazioni non hanno una direzione predeterminata e che quello che osserviamo è il risultato di un’aspra competizione tra le varianti per sopravvivere e per riprodursi- era stata anch’essa proposta, ma risultava ancor meno accettabile del concetto stesso di evoluzione.

Così entrambe le ipotesi, proposte in tono sommesso, erano naufragate sotto la forza del dissenso che avevano suscitato. Charles Darwin ebbe il coraggio di fornirne le prove e di difenderle contro le aspre critiche dirette verso di loro. Hermann ritiene che questa determinazione sia dovuta alla dinamica psichica di Darwin, rispecchiata nella sua teoria; riflette su come Darwin avesse una grande considerazione per il nonno Erasmus, con il quale condivideva l’interesse verso gli studi naturalistici, e su come si sentisse rampollo del nonno piuttosto che del padre. E’ quindi questa ambivalenza verso la figura paterna, secondo Hermann, che ha condotto Darwin a constatare quello che è un elemento importante della sua teoria cioè la “tendenza inerente gli esseri organizzati provenienti dallo stesso ceppo ad acquisire caratteri divergenti a favore di modifiche contingenti”, vale a dire la variazione e l’ereditarietà (le cui leggi all’epoca di Darwin erano ancora da scoprire). Inoltre le notazioni di Darwin sull’origine delle specie rispetto al passaggio del tempo ribadiscono l’importanza che aveva per lui questo fattore. Conseguenza importante nel concetto di selezione naturale è che l’uomo deve abbandonare il desiderio narcisistico di essere a somiglianza di Dio e accettare di condividere l’origine della sua esistenza con gli animali: altro elemento che diminuisce il senso di colpa per l’uccisione degli animali in quanto la caccia per Darwin è un aspetto della competizione naturale in cui il più forte raggiunge il successo. Questo tentativo di trasformare la caccia in una sorta di “competizione intellettuale” con la vittoria dell’essere superiore, costituisce un modo per diminuire il senso di colpa connesso ai sentimenti ambivalenti verso la figura paterna.

Infine Hermann riflette sull’origine del talento di Darwin. Dopo aver enunciato i tratti principali che predestinavano Darwin ad essere un uomo fuori dal comune, tratti che da soli però non garantiscono la produttività del ricercatore e l’approfondimento del mondo delle sue idee, passa a descrivere la manifestazione di un aspetto particolare: la sublimazione specifica dell’erotismo orale e dell’erotismo della mano, l’orientamento olfattivo e il “complesso del veggente” connesso con le notevoli capacità di osservazione e la memoria spaziale. Le manifestazioni della malattia provocavano e cacciavano i pensieri profondi: le sofferenze venivano bloccate attraverso il lavoro intellettuale che gli provocava eccitazione, ma, alternativamente, impedivano troppa concentrazione lasciando spazio all’immaginazione.

In questo lavoro scritto nel 1927, Hermann evidenzia in Darwin la presunte dimenticanza per la morte della madre, ma tratta piuttosto superficialmente questa problematica, molto diversamente rispetto all’attenzione che, dal 1936 in poi (Hermann, 1936), riserverà alla centralità della frustrazione dell’istinto di aggrappamento, base del rapporto madre-bambino, e che utilizzerà nei suoi successivi studi e nella rivisitazione del caso del Presidente Schreber (Hermann, 1980).

Può essere interessante ricordare un altro testo su C. Darwin scritto dallo psicoanalista, John Bowlby (1907-1990), Charles Darwin. A biography (Bowlby, 1990), un lavoro molto ampio e circostanziato di oltre 450 pagine, pubblicato nel 1990, anno della sua morte, circa sessanta anni dopo lo studio di I. Hermann.

Il testo rappresenta l’estremo omaggio di J.Bowlby verso colui la cui scoperta rivoluzionaria è alla base del suo pensiero: le idee evoluzioniste in materia di sviluppo infantile e il concetto di attaccamento. Bowlby si avvale della pubblicazione del libro di Ralph Colp jr. (1977), To be an Invalid: the illness of Charles Darwin, in cui l’autore, un medico, propone un’interpretazione psicologica dei sintomi di Charles Darwin, e della vastissima pubblicistica disponibile nel 1990: le lettere di Darwin e le varie biografie scritte da amici e parenti. Bowlby concentra il suo interesse sulle conseguenze del lutto vissuto da Darwin per la morte prematura della madre e attribuisce lo stato di malessere fisico che afflisse Darwin per la maggior parte della sua vita alla mancata elaborazione di questo evento luttuoso. Sembra probabile che la madre avesse una grave malattia gastrointestinale cronica, un’ulcera gastrica o un carcinoma allo stomaco, e che morisse in seguito a perforazione. Secondo le abitudini paterne tendenti ad evitare di parlare di qualunque evento spiacevole per non rinnovarne il dolore, di questo lutto non si parlò mai; le stesse sorelle maggiori che allevarono il piccolo Charles attuarono una specie di congiura del silenzio non parlando mai della madre morta. Pertanto dopo un fatto così traumatico per la sua vita, Charles non trovò mai un interlocutore con il quale condividere lo sconcerto e il dolore per questa perdita improvvisa senz’altro traumatica che non potette essere mai elaborata pienamente. Il riattivarsi del dolore in occasione di delusioni professionali, di morti di persone care e del ripresentarsi di anniversari luttuosi, provocava sempre in Darwin vari sintomi fisici alcuni dei quali (gonfiore di stomaco, nausea, vomito ecc.) sembravano riecheggiare i sintomi della malattia a seguito della quale era morta la madre.

Bowlby concentra la sua attenzione sulla “malattia” che afflisse Darwin per tutta la sua vita considerandola la conseguenza psicologica della mancata elaborazione del lutto e, pur se cita diversi passi in cui risulta la considerazione di Darwin per il tempo, non utilizza queste annotazioni in alcun modo. Parimenti, anche se da lettere scritte da Darwin e da ricordi e notazioni forniti dai figli, emerge che Darwin si sentiva considerevolmente meglio quando era al lavoro e che questo era il miglior antidoto alle sue sofferenze, Bowlby non prende in considerazione queste informazioni e anche descrivendo le caratteristiche spiacevoli del carattere del padre (Bowlby J. 1990, pag. 69-71), come elemento certamente responsabile di alcuni aspetti del carattere di Darwin, non si sofferma sull’ambivalenza di questo rapporto né lo collega alla struttura concettuale della Origine delle specie.

Come abbiamo evidenziato, Hermann riserva molta attenzione al rapporto del grande naturalista con la figura paterna, a scapito del medesimo rapporto con la figura materna, in quanto, all’epoca, risente dell’influenza dell’attenzione riservata da S. Freud all’importanza della figura paterna nello sviluppo del complesso edipico del bambino. In seguito, arriverà a considerare traumatica la separazione e/o la perdita brusca della figura materna e nel suo lavoro del 1936 (Hermann, 1936) Hermann focalizzerà il centro dei suoi interessi sull’unità duale madre-bambino e postulerà l’esistenza dell’istinto di aggrappamento, base del profondo legame madre-bambino da cui origina l’istinto filiale (Hermann, 1943). Al di là di ogni facile suggestione, quest’ultimo concetto concetto è radicalmente diverso da quello di attaccamento alla figura primaria di Bowlby. Per Hermann il rapporto madre-bambino costituisce un istinto nel senso freudiano del termine, cioè una pulsione di attaccamento, e propone una alternativa psicoanalitica al modello della teoria dell’attaccamento secondo Bowlby come giustamente rilevato da Geyskens (2003). Secondo Geyskens (2003), il modello concettuale del pensiero di I. Hermann “rimane nei limiti della prospettiva freudiana sulla psicopatologia nella quale differenti patologie sono concepite come esagerazioni di “posizioni” universali piuttosto che come potenzialità non realizzate”, mentre per Bowlby l’attaccamento su cui poggia il rapporto madre-bambino è un comportamento che si evoluto ed affermato per selezione naturale (Bowlby J., 1969) e la cui patologia non compare, neppure come traccia leggera, nello sviluppo normale dell’essere umano.

Il confronto tra i testi di Hermann, del 1927, e quello di Bowlby, del 1990, riguardo a Charles Darwin evidenzia altresì il profondo cambiamento di ottica avvenuto nella psicoanalisi in sessanta anni: il passaggio da una marcata attenzione, nello sviluppo psicosessuale, al rapporto padre-figlio, per lo più maschio, a quello madre-figlio/a. Mi fa piacere pensare che, paradossalmente, sia stato proprio Hermann, allievo di Ferenczi ed esponente di spicco della psicoanalisi ungherese che per prima focalizzò la sua attenzione sul rapporto madre-bambino, a contribuire a questo ampliamento del pensiero psicoanalitico, sebbene il suo apporto non sia stato pienamente riconosciuto.


Bibliografia

Bowlby J (1969) Attaccamento e perdita. Torino: Editore Boringhieri 1969

Bowlby J (1990) Charles Darwin. A biography. Hutchinson, Londra, 1990. Traduzione italiana: John Bowlby. Darwin. Una biografia nuova. Bologna: Editore Zanichelli. 1996

Burkhart F (1996) (a cura di): Charles Darwin. Lettere 1825-1859. Milano: Raffaello Cortina Editore, 1999

Barlow N (a cura di) (1958), The autobiography of Charles Darwin (1809-1882). With original omission restored. Edited with appendix and notes by his grand-daughter Nora Barlow. London, Collins, 1958. Trad. It. Charles Darwin. Autobiografia. Torino: Giulio Einaudi, 1962.

Colp R jr (1977) To be an Invalid: the illness of Charles Darwin, Chicago: University of Chicago Press,1977

Darwin C (1859) L’origine delle specie, trad. di Luciana Fratina, Torino: Bollati Boringhieri, 1967.

Freud S (1910) Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci. O.S.F. Vol. 6. Torino: Bollati Boringhieri

Geyskens T (2003) Imre Hermann’s Freudian theory of attachment. Int. J. Psychoanal. 2003 ; 84. 1517-1529. Trad.it. T. Geyskens:La teoria freudiana dell’attaccamento secondo Imre Hermann. In : Richard e Piggle . Vol.14 , n° 3, 2006. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore

Hermann I. (1936): Sich-Anklammern, Aluf-Suche-Gehen (Aggrapparsi, Andare-in-cerca) Int. Ztschr. f. Psa., XXII, 1936, pp. 349-370

Hermann I (1943): L’istinto filiale. Milano: Feltrinelli, 1974.

Hermann I (1945): Bolyai János. Egy uj gondolat keletkezsenek lelektana. (La nascita di un pensiero nuovo). Budapest: Anonymus

Hermann I (1969) G. Th. Fechner betegsege (La malattia di G.Th. Fechner). Orvosi Hotilap, 110

Hermann I (1980) Some Aspects of Psychotic Regression. A Schreber Study. Int. Rev. Psycho-Anal., 7:2-10


Avvertenza sulla traduzione dall’originale tedesco

I. Hermann riporta le citazioni sugli scritti di C. Darwin traendole dalla traduzione tedesca dell’originale inglese: Life and letters of Charles Darwin a cura del figlio Francis Darwin, edita nel 1887 in 3 voll. Il testo originale conteneva anche un capitolo con l’Autobiografia scritta da Charles Darwin negli ultimi anni della sua vita che, nel 1950, venne tradotto italiano, a cura di Luca Pavolini, editrice Universale Economica, come volumetto a parte: è un libro fuori catalogo e ormai irreperibile. È invece normalmente reperibile la traduzione italiana dell’autobiografia di C. Darwin a cura della nipote Nora Barlow (Barlow N, 1958).

Le frasi citate da I. Hermann presentano elementi di diversità nelle due traduzioni, quella del 1950 e quella del 1958, pur mantenendo ovviamente lo stesso significato, per cui si è preferito tradurre direttamente le citazioni così come si presentano nel lavoro di Hermann. Per questa ragione come indicazione bibliografica delle frasi riportate si è indicato:Autobiografia, Vita, Lettere (Burkhart F,1996) o Origine delle Specie omettendo l’indicazione della pagina.

L’articolo di Hermann è stato scritto originalmente in un tedesco un po’ arcaico che presenta alcune difficoltà di traduzione, difficoltà che si ripetono nella traduzione in lingua francese dello stesso articolo pubblicata nel 1980.

Alcune parole in lingua tedesca presentano significati diversi in vocabolari tedesco-italiano editi negli anni ’20 rispetto a quelli editi più recentemente a causa delle trasformazioni dell’uso comune della lingua tedesca.

La parola tedesca Acthung, che usualmente significa attenzione, in vocabolari meno recenti porta il significato di considerazione. La stessa parola è stata tradotta con respect nella traduzione francese per cui si è preferito rendere il termine in italiano con la parola considerazione.

Analoghe considerazioni ci hanno guidato nella traduzione della parola tedesca seher che in vocabolari degli anni ’20 presenta il significato di veggente, profeta. Sebbene il l’ultimo termine sia più consueto in italiano, abbiamo preferito scegliere veggente perché contenente la radice del verbo “vedere”.


Charles Darwin2 (1927)

Imre Hermann, (1889-1984), psicoanalista, allievo di S. Ferenczi e uno dei maggiori esponenti della Scuola di Psicoanalisi Ungherese, è autore di dieci libri e di oltre 120 saggi pubblicati in riviste e miscellanee, pochissimi dei quali tradotti in italiano. E’ noto per il suo testo: L’istinto filiale (1943), pubblicato nel 1994 dalla casa editrice Feltrinelli.

Riassunto

L’Autore illustra come la complessa relazione psichica che Darwin aveva con la figura paterna, abbia influenzato la sua considerazione sul tempo e i suoi misteriosi disturbi ipocondriaci, di cui il grande scienziato soffrì per tutta la vita, rispecchiandosi infine nella struttura della concezione teorica della sua famosa opera sulla Origine delle specie.


Summary

The author describes how the psychic relationship between Darwin and his paternal figure influenced Darwin’s concept of time and his mysterious hypochondria, which affected the great scientists throughout his life, and reflected in the theoretical framework of his famous work “On the origin of the species”.


….pertanto, sorge allora il terribile dubbio: le teorie

nate dallo spirito umano, spirito umano che si è

evoluto partendo dall’intelligenza di animali

inferiori, possono avere qualche

valore, sono delle favole?

Chi potrebbe fidarsi di convinzioni nate

da un’anima di scimmia, ipotizzando che

in un animo di questo tipo possano esistere delle convinzioni?

Charles Darwin, lettera del 1881


A

Peculiarità autobiografiche

Nel leggere l’autobiografia di Darwin, se lasciamo che la storia della sua vita si svolga e faccia i suoi effetti, come durante il trattamento psicoanalitico seguiamo il filo delle idee del paziente, alcuni dati vengono immancabilmente a collegarsi secondo un certo punto di vista (Gesichtspunkte). Emergono delle tematiche che collegano elementi apparentemente disparati, creando la possibilità di dare un senso analitico, cosicché possiamo capire molto meglio quello che nella vita da Darwin è stato essenziale.

Il fatto che questi punti di vista vengano poi confrontati con lo studio dei punti essenziali della teoria darwiniana rende questo lavoro (che consiste nel dare senso) immediatamente sospetto perché non si mancherà di supporre che abbiamo forzato i nostri punti di vista per sostenere le nostre tesi. Dunque chiedo a tutti voi di esaminare questi dati biografici: il significato degli aspetti che evidenzieremo salterà allora agli occhi e vincerà ogni dubbio.


1. Attenzione per il tempo

Primo tema che affronteremo: il tempo e la sua corsa rapida che svolse un ruolo straordinario nelle preoccupazioni di Darwin. Una considerazione (Achtung) non comune per il tempo l’obbligava ad una continua rapidità dei movimenti e al massimo utilizzo delle proprie giornate. Ecco, così come egli lo riferisce, un ricordo che risale ai suoi nove o dieci anni:

“Ero a convitto, ed ebbi perciò il grande vantaggio di vivere pienamente la vita scolastica; ma poiché la scuola era a poco più di un miglio dalla mia casa, molto spesso facevo una corsa fin là, negli intervalli fra la fine delle lezioni e la chiusura notturna..… Ricordo che nel primo periodo della mia vita scolastica, facevo gran corse per arrivare in tempo, il che generalmente mi riusciva perché ero un buon corridore, ma quando temevo di non farcela, chiedevo ardentemente aiuto a Dio, e ricordo di aver spesso attribuito il buon esito della corsa alle preghiere anziché alla mia velocità, e di essermi meravigliato di quanto spesso le mie preghiere fossero esaudite” (Autobiografia).

Questa stessa predilezione per la rapidità si manifesta nella sua passione per la caccia e per il tiro veloce. D'altronde questo argomento tornerà come un vero leit motif quando passeremo allo studio del nostro secondo capitolo. Accontentiamoci qui di citare un ricordo dei suoi sedici o diciassette anni:

“L’autunno va dedicato alla caccia... La mia passione era tanto grande che, quando andavo a dormire, mettevo sempre i miei stivali da caccia, pronti, di fianco al letto per non perdere neppure mezzo minuto a infilarmeli la mattina; una volta, il 20 agosto, raggiunsi prima dell’alba una zona lontana dalla tenuta di Maer, per andare a caccia al gallo cedrone…” (Autobiografia).

Aveva circa vent’anni quando fece la scoperta relativa ai grani di polline; corse immediatamente ad annunciare la prodigiosa scoperta al suo professore:

“Immagino che nessun altro professore di botanica si sarebbe trattenuto dal ridere a vedermi arrivare trafelato per comunicare una simile notizia …… decisi però di non comunicare più d’ora innanzi le mie scoperte in modo così precipitoso” (Autobiografia).

La scoperta infatti era già stata fatta. Darwin dunque si era seriamente interessato alle scienze già dall’epoca del suo soggiorno a Cambridge (dal 1828 al 1831), però riporta nelle sue Memorie, a proposito di questo stesso periodo di Cambridge, che aveva sciupato il suo tempo “tristemente ed in modo più che dannoso”.

Si era trovato coinvolto in una combriccola di giovani perdigiorno abituati a bere molto, cantare canzoncine allegre e giocare a carte. Suo padre respinse con violenza l’idea : “d’avere un figlio pigro che non si dedicava che al piacere”. Ma la passione per il lavoro, la disposizione che aveva ad utilizzare appieno il suo tempo, esisteva certamente già a quell’epoca, ma forse non dove il padre si sarebbe augurato di trovarla. In una lettera del 1830 Darwin scrive:

“Mi ero proposto di scrivervi durante gli ultimi quindici giorni, ma non ne ho avuto davvero il tempo. Ho lasciato Shrewsbury quattordici giorni fa e, da quel momento, ho lavorato senza sosta dalla mattina alla sera a catturare pesci o insetti. Questo è il mio primo giorno di pigrizia, dedicato a me perché quando piove vado a pesca e quando è bello mi occupo di entomologia”.

Dunque la passione per il lavoro sembra piuttosto associata alla collezione di animali.

In occasione del viaggio sulla Beagle che durò cinque anni (dal 1831al 1836) la sua considerazione per il tempo divenne ancora più marcata; è in questa occasione che ebbe inizio il percorso scientifico di Darwin. È interessante notare che non aveva avuto molto tempo per riflettere sull’invito che gli era stato fatto di intraprendere questo viaggio; suo padre si era opposto per delle ragioni che attenevano soprattutto alla insufficienza dei tempi necessari per l’organizzazione del viaggio:

“Certamente il ben poco tempo a disposizione per i preparativi costituisce un’obiezione molto seria, poiché non solo il corpo, ma anche la mente ha bisogno di prepararsi a una simile impresa” (Lettera del 1831).

D'altronde questo lasso di tempo troppo breve fu sciupato, dato che bisognava pensare a troppe cose contemporaneamente.

E ora la svolta: la spedizione scientifica in mare. Non a caso Darwin scrisse prima della sua partenza:

“Quale gloriosa giornata sarà per me il 4 novembre! La mia seconda vita partirà da questa data che sarà un giorno di rinascita per il resto della mia esistenza” (Lettera del 1831).

Nella sua autobiografia, Darwin racconta l’esperienza di questo viaggio per mare:

“Tutti i vari studi precedentemente elencati furono per me molto meno importanti dell’abitudine che acquisii a occuparmi con grande energia, attenzione e concentrazione, delle cose che intraprendevo” (Autobiografia).

Suo figlio (il biografo) scrive: “Mio padre sosteneva che era stata la necessità assoluta di ordine in uno spazio così ristretto a dargli le sue metodiche abitudini nel lavoro. La sua regola d’oro di: “economizzare i minuti” per guadagnare tempo l’aveva adottata anche a bordo della Beagle”.

Nel 1836, Charles Darwin scrive a sua sorella: “… un uomo che osa sprecare un’ora del suo tempo, non ha scoperto il valore della vita” (Lettere).

Di ritorno in Inghilterra, la sua considerazione per il tempo si accrebbe: “In confronto al mese appena trascorso, i momenti più agitati del viaggio furono calmi”, scrive nel novembre 1836.

Nel 1837 proposto segretario di una Società Scientifica, declinò l’onore che gli era stato fatto obiettando che quest’incarico gli avrebbe procurato una perdita di tempo: “Se semplicemente, rinunciando a ogni divertimento o lavorando più duramente di quanto abbia fatto, potessi risparmiare tempo, assumermi l’incarico di segretariato, non esiterei; ma vi prego di considerare se, data la mia lentezza nello scrivere - e per di più due opere nello stesso tempo - e la certezza che, se non riesco a completare la parte geologica entro un periodo prestabilito, la sua pubblicazione subirà un considerevole ritardo, la Società possa pretendere da me che mi accolli tre giorni di sgradevole lavoro ogni due settimane” (Lettere).

Apprendiamo ben presto, da una sua lettera, che di due giornate era solito farne una sola; in una altra lettera ci dice che egli viveva come un “ingranaggio ad orologeria”.

Crediamo importante sottolineare che una parte cospicua di questi propositi appartiene ad un’epoca in cui le sue idee sull’Evoluzione non potevano ancora influenzare il carattere di Darwin. Certo si potrebbe obiettare che i ricordi di Darwin, divenuto vecchio, avrebbero potuto essere alterati dalle sue idee – che si basano completamente sulla considerazione per il tempo – ma sarebbe tuttavia azzardato sostenere che le lettere scritte prima della formulazione della teoria abbiano potuto essere influenzate da questa.

Adesso riportiamo qualche caratteristica esteriore di questa ossessione del tempo, per dimostrare che questo tratto del carattere era profondamente radicato in Darwin, che non era né superficiale né semplicemente apparente.

Era rapido e dinamico nel suo lavoro:

“Un tratto del suo carattere era la sua considerazione per il tempo. Non dimenticava mai quanto fosse una cosa preziosa e lo dimostrava per esempio cercando sempre di accorciare le sue vacanze e, ancor più, cercando di utilizzare periodi brevi di tempo. Egli diceva spesso che, economizzando i minuti, si arriva sempre a fare quello che bisogna fare; questo amore per l’economia del tempo arrivava fino a poter distinguere un lavoro fatto in dieci minuti da quello che aveva richiesto un quarto d’ora; non rinunciava mai a sfruttare i pochi minuti che potevano rimanergli con il pretesto che era inutile mettersi al lavoro per così poco tempo. Fui spesso colpito di vederlo lavorare fino all’estremo limite delle sue forze; metteva all’improvviso termine alla dettatura e diceva: “Credo che bisogna che io mi fermi”. La vivacità dei suoi movimenti quando lavorava mostrava ancora una volta il suo ardente desiderio di evitare ogni perdita di tempo”.

Sembra che nel suo lavoro di scrittore abbia avuto la stessa avversione per ogni spreco di tempo. Egli racconta che in un certo periodo prima di mettere una frase nero su bianco, ci rifletteva; ma qualche anno più tardi si accorse che guadagnava del tempo scrivendo velocemente delle pagine intere con una scrittura rapida, abbreviando la metà delle parole per non sprecare tempo, correggendo solo dopo, riflettendoci meglio.

Tuttavia prima di cercare di collegare quello che noi sappiamo su questa considerazione per il tempo di Darwin con la sua malattia, vorremmo rivolgere l’attenzione sull’ambivalenza che trapela in questo tratto del carattere. Il giovane Darwin non aveva solo considerazione per il tempo, aveva anche una non dissimulata tendenza all’ozio. Non si può dire che studiasse molto a scuola e i suoi professori, come suo padre d’altronde, lo ritenevano un ragazzo “intellettualmente del tutto comune, un poco al di sotto della media.” Suo padre un giorno lo gettò nello sconforto dicendogli: “ Non fai altro che andare a caccia, occuparti di cani, e catturare topi e sarai perciò una disgrazia per te stesso e per tutta la famiglia” (Autobiografia).

Da bambino amava sopra ogni cosa delle lunghe passeggiate solitarie. Poi, molto più tardi descrivendo ad uno dei suoi corrispondenti la sua vita così attiva, si augurava che potesse essere sempre così e concludeva: “… benché, e Dio lo sa, ci siano molte serie delusioni in questo genere di vita, soprattutto se si pensa al poco tempo che rimane per vedere i propri amici”.

Egli comincia a dubitare che sua opera meritasse tutto il tempo che le aveva consacrato! Un piccolo incidente nella sua giovinezza avrebbe potuto privarlo di tutta la considerazione che aveva per il tempo pur costringendolo alla più grande velocità. In effetti un giorno durante una passeggiata, sprofondato nei suoi pensieri, cadde da un bastione di sette o otto piedi d’altezza. “…ma un grandissimo numero di pensieri attraversarono la mia mente in quella caduta rapida e inaspettata, e ciò non sembra d’accordo con quanto hanno dimostrato i fisiologi: che ogni pensiero richieda un tempo non indifferente” (Autobiografia).

Incontreremo nella vita di Darwin degli esempi ben più incisivi di questa ambivalenza; ci basti per ora riconoscere la natura ambivalente della sua “malattia”.

Questa malattia dominò buona parte della vita di Darwin; comincia al momento dei preparativi per il viaggio, si manifesta sulla nave e si sviluppa progressivamente, salvo qualche remissione, fino alla sua morte. Suo figlio ci dice:

“Se si vuol capire la vita faticosa di mio padre, deve essere sempre presente alla nostra mente lo stato precario della sua salute. Sopportava la sua malattia con una pazienza ammirevole, senza mai lamentarsi cosicché neanche i suoi figli potevano rendersi conto dell’entità delle sue sofferenze che quotidianamente doveva patire. Uno dei principali aspetti della vita di mio padre, lo ripeto, è che durante quaranta anni non ha avuto la fortuna, per un solo giorno, di svegliarsi in buona salute come gli altri: la sua vita non fu che una lunga lotta contro la fatica, un lungo sforzo per superare la malattia…”

Ma in che cosa consisteva questa malattia? Dunque, tutto quello che si può dire – almeno negli ultimi quaranta anni- è che si che si trattava di una malattia.

La descrizione dei sintomi era il più sovente elusa a vantaggio della sola evocazione delle conseguenze di questa afflizione; si ha proprio l’impressione di una malattia che si sarebbe radicata a seguito del beneficio secondario.

“Durante i tre anni e otto mesi che durò il nostro soggiorno a Londra (1839-1842) ho lavorato meno scientificamente rispetto ad altri periodi della mia vita, anche se mi sono sforzato, come solo io sono in grado di fare. Questo era dovuto alle mie frequenti indisposizioni e al ritorno di una lunga e seria malattia” (…).

“Il lavoro scientifico è stato il principale godimento e l’unica occupazione di tutta la mia vita, e nell’eccitazione che esso mi dà posso dimenticare, quasi annullare, il mio affanno quotidiano” (Autobiografia).

Più o meno ci possiamo fare una idea di ciò che dovevano provocargli quei sintomi quando si acutizzavano:

“Poche persone possono aver fatto vita più ritirata della nostra… Nel primo periodo della nostra residenza (1842) frequentavamo un po’ la società e ricevevamo alcuni amici, ma la mia salute risentiva quasi sempre delle conseguenze di questa eccitazione che provocava un violento tremore e attacchi di vomito. Perciò fui costretto a rinunciare per molti anni a tutti i pranzi, non senza risentire di questa privazione perché tali riunioni mi mettevano sempre di buon umore ” (Autobiografia).

Darwin scrive ancora che in età avanzata non riusciva a leggere neanche un solo verso di poesia e trovava Shakespeare, che aveva adorato, insopportabilmente noioso tanto da fargli venire la nausea.

Questi sintomi permettono di intravedere la funzione secondaria della malattia: questa gli eliminava ogni distrazione, gli forniva un alibi, per gli amici ed anche per se stesso, per la sua solitudine, ma gli forniva anche una scusa quando doveva rilassarsi. Era assolutamente necessario che il tempo fosse interamente utilizzato fino all’ultimo secondo, fosse anche al prezzo di una supposta nostalgia per quello che avrebbe potuto essere un programma più allegro. Si comprenderanno meglio di questo genere di annotazioni, tratte dal suo Diario:

“Durante il mio soggiorno a Maer, ho letto poco, la mia salute era pessima e sono stato scandalosamente pigro. Ma ho imparato che niente è così intollerabile quanto la pigrizia” (Lettera del 1939).

Che la malattia, i malesseri, abbiano avuto una funzione secondaria in rapporto con la considerazione per il tempo, merita di essere spiegato altrimenti. In una lettera Darwin scrive:

“Sono molto più forte fisicamente, ma non posso ancora sostenere fatiche mentali né forti emozioni e di conseguenza non posso partecipare a pranzi né ricevere ad eccezione dei parenti con i quali posso restare silenzioso per qualche momento dopo il pranzo”. (Lettera del 1843).

“Ma disgraziatamente per me l’ansia causata dall’interruzione della mia vita tranquilla e abitudinaria, mi sconvolge al punto che non sono capace di fare granché a Londra. Non ho potuto nemmeno assistere ad una sola riunione della Società di Geologia. A parte questo sto bene. (Lettera del 1843)

Alla fine della sua autobiografia egli dice chiaramente:

“Perfino la salute malferma, che pure mi ha fatto perdere molti anni di attività, mi ha dato qualche vantaggio, proteggendomi dalle distrazioni della vita sociale e dei divertimenti.” (Autobiografia)

Suo figlio ci riferisce che una mezz’ora di conversazione poteva più o meno decidere sulla notte: calma o insonne e, di conseguenza, dell’indomani: perduto o no, per quanto concerneva il suo lavoro.

L’espressione “considerazione per il tempo” è perciò debole per dare l’idea di quello che poteva essere la funzione secondaria della malattia. Non si trattava quindi neanche di assiduità, ma piuttosto di una fortissima avarizia per quanto concerneva il tempo, e questa espressione si impone se pensiamo al fondamento erotico-anale di questo tratto del suo carattere. Ma prima di passare allo studio di questo tema analizziamo la storia della malattia di Darwin.

Interessiamoci in primo luogo ad un’ altra origine della sua considerazione per il tempo cioè la persona del padre, Robert W. Darwin. Come rileva il suo biografo, Charles Darwin “conservava per la memoria di suo padre un sentimento molto vivo d’amore e di venerazione. Questa venerazione era toccante e senza limiti”. In un ritratto che ne traccia, egli fa l’elogio della capacità d’osservazione di suo padre e del talento che aveva nell’indovinare le cose; cita molti casi in occasione dei quali, suo padre, proprio grazie alla sua esperienza degli uomini, aveva potuto prevedere il comportamento di tale o tal’altra persona ed aggiunge:

“La sua acuta capacità d’osservazione gli faceva prevedere con notevole esattezza il corso di ogni malattia…. Mi riferirono che un giovane medico di Shrewsbury, che non provava simpatia per mio padre, diceva che egli non aveva nessun fondamento scientifico, ma che la sua capacità di prevedere il corso di una malattia era ineguagliabile”3 (Autobiografia).

Charles Darwin riferisce ancora un altro tratto del carattere paterno riguardante il tempo: la sua straordinaria memoria delle date:

“..cosicché, da vecchio, ricordava quelle della nascita, del matrimonio e della morte di moltissime persone dello Shropshire; una volta mi disse che tanta memoria gli dava molto fastidio, perché, sentita una data, non poteva più dimenticarla, e perciò molto spesso gli tornava alla mente la morte di qualche amico”4 (Autobiografia).

Ricordando tutte queste doti che il figlio ci riferisce, possiamo supporre che la considerazione di quest’ultimo per il tempo equivale alla considerazione per questo straordinario talento del padre, capace di padroneggiare il tempo, per il quale né il passato né l’avvenire avrebbero potuto porre dei problemi intellettuali insolubili. Da tutto ciò discende che la considerazione per il tempo non è altro che la considerazione per il padre. Questo ci introduce ad un altro tema, un'altra peculiarità del carattere del giovane Darwin. Si consideri che se si accetta la teoria che dietro l’avarizia di tempo si nasconda un fondamento erotico-anale, allora soltanto seguendo alcune tracce (a nostro avviso riguardanti la considerazione per il padre) questo può diventare avarizia di tempo. Davanti agli occhi del giovane Darwin si dispiegava questo Ideale dell’Io: il padre vincitore del tempo.


2. Gli animali vengono amati e uccisi

Non siamo noi a dirlo, ma Darwin stesso che insiste sul suo particolare comportamento nei confronti degli animali. Da bambino, amava già la pesca, ma dopo che gli era stato detto che poteva uccidere i vermi di terra con dell’acqua e del sale, non aveva mai più attaccato alla sua lenza vermi di terra vivi. Un ricordo forse anteriore ai suoi primi anni scolastici, testimonia la sua crudeltà nei riguardi di un cane:

“Picchiai un cucciolo, al solo scopo, credo, di assaporare un senso di potenza; ma le percosse non dovettero essere troppo forti perché il cucciolo non si lamentò. Di ciò sono sicuro e ricordo bene che il fatto avvenne in un punto molto vicino alla nostra casa. Questa azione pesò gravemente sulla coscienza e lo dimostra il fatto ch’io ricordo esattamente il luogo dove l’atto criminoso fu compiuto. Tanto più forte fu il rimorso in quanto il mio amore per i cani era già allora una vera passione e tale rimase per lungo tempo. I cani stessi sembravano capirlo, perché ero capace perfino di farmi amare più dei loro padroni” (Autobiografia).

Si divertiva a raccogliere delle uova d’uccello, ma mai prese da un nido più di un uovo per volta. Negli ultimi anni della scuola, era diventato cacciatore accanito e pensava che nessuno avrebbe potuto dimostrare passione per una santa causa maggiore di quella che lui aveva per la caccia agli uccelli.

“Ricordo molto bene l’uccisione del primo beccaccino; ero tanto eccitato che a mala pena, con mani tremanti, riuscii a ricaricare il fucile. Questo gusto durò a lungo e divenni così un ottimo cacciatore” (Autobiografia)

Nello stesso periodo Darwin era già un collezionista accanito di insetti; aveva cominciato col raccogliere tutti gli insetti morti che trovava perché, dopo averne parlato con sua sorella, aveva concluso che era ingiusto ammazzarli per collezionarli. Ecco come Darwin ci descrive questo periodo di passione per la caccia (al tempo di Cambridge):

“La caccia mi divertiva molto, ma in fondo provavo un po’ di vergogna per tanta passione, perché cercavo di persuadermi che si trattava di un’occupazione quasi intellettuale per la quale si richiedeva molto abilità nello scegliere i luoghi ricchi di selvaggina e nel seguire bene i cani”5 (Autobiografia)

Non si liberò di questa passione che con il viaggio sulla “Beagle”. L’emozione dovuta al sentimento di colpa è troppo evidente in tutti questi avvenimenti per non essere rilevata. Suo figlio (Francis) ci racconta una storia nella quale il padre (Charles), già in età adulta, aveva ucciso un crocere con una pietra:

“Fu così addolorato da avere ucciso inutilmente questo uccello che non ne parlò più per anni, e ci spiegò che aveva lanciato questa pietra soltanto perché era sicuro di avere perduto la sua abilità di una volta” (Vita).

Un giorno se ne andò proprio nel mezzo di uno spettacolo di cani ammaestrati dichiarando che non poteva sopportare il pensiero che questi cani fossero picchiati. Qui si delinea un’ambivalenza molto rilevante che poteva provocare un rimorso malgrado a volte il piacere fosse evidente e si mostrasse. Notiamo che egli non sopportava la vista del sangue; da giovane si recò due volte in una camera operatoria e ogni volta scappò via prima della fine dell’intervento: “Il ricordo di quei due casi mi ossessionò per lungo tempo” (Autobiografia). Quale poteva esserne la causa? Ecco che cosa possiamo leggere in una lettera del 1860:

“Vedo un uccello di cui ho bisogno per il mio nutrimento: prendo un fucile e l’uccido; lo faccio di proposito. Un uomo innocente e buono è in piedi sotto un albero ed è ucciso da un colpo di fulmine. Credete (vorrei veramente saperlo) che Dio ha ucciso quest’uomo di proposito?” L’associazione uomo-uccello non significherebbe nulla? Il desiderio di uccidere così come il sentimento di colpa dopo avere ucciso, non derivano dal rapporto che noi abbiamo con gli esseri umani?

Ora, la madre di Darwin morì quando egli aveva otto anni (1817), ma a questo riguardo egli non era in grado di ricordare niente se non qualcosa “del letto di morte, della sua lunga veste di velluto nero e del suo tavolo da lavoro, di singolare fattura” (Autobiografia) cosa che lui stesso trovava molto strana.

Più oltre egli evoca il ricordo della raccolta delle uova e della pesca, poi l’incidente del cane (agivo con crudeltà) e termina con queste parole: “Perché io avevo l’arte di rubare loro l’amore che portavano ai loro padroni”. Poi un ricordo molto diverso emerge:

“Degli anni trascorsi alla scuola del signor Case ricordo distintamente di un altro avvenimento: i funerali di un soldato dei Dragoni. Rivedo ancora con grande precisione il cavallo, con gli stivali e la carabina che penzolavano dalla sella; e risento la scarica di fucileria sulla tomba. Questa scena colpì profondamente quel po’ d’immaginazione poetica che era in me” (Autobiografia).

Egli non si ricorda della sepoltura di sua madre, si ricorda invece molto bene della sepoltura del soldato; ora questi due avvenimenti risalgono allo stesso anno. Riteniamo di poterci permettere una incursione nella serie dei ricordi: è il padre l’uomo forte e robusto che avrebbe dovuto morire e il desiderio relativo al buon padre innocente venne spostato sugli animali ugualmente amati. L’ambivalenza del sentimento nei confronti degli animali così come il sentimento di colpa deriverebbe dunque dal complesso di Edipo e gli animali non sarebbero altro che animali-totem. E’ significativo che Darwin non abbia assistito alla sepoltura di suo padre, in quanto era malato (1847).

Che inconsciamente negli anni della sua giovinezza, Charles Darwin abbia pensato alla morte di suo padre e che attendesse questa morte al più presto, era alla base della sua convinzione che un giorno avrebbe ereditato una grande fortuna e così non studiò seriamente per imparare un mestiere.

Il desiderio (inconscio) di morte concernente il padre, il sentimento di colpa che ne seguì, ci riporta alla malattia di Darwin, ed ora dobbiamo esaminare il rapporto che esiste tra questi due fenomeni.


3. La malattia

I sintomi della malattia si raggruppano intorno a due nuclei. Troviamo dapprima dei sintomi di angoscia (palpitazioni, tremore muscolare, tremolio delle mani, sensazione di freddo e di caldo, di perdita dei sensi, “una paura atroce di non aver raccolto abbastanza materiale per poter lavorare”, paura del futuro, paura che i figli possano ammalarsi, paura di malattie ereditarie trasmesse ai figli). Altri sintomi concernono la digestione: vomito, incapacità di digerire e, probabilmente - i consigli dei medici di far delle passeggiate al mattino, di montare a cavallo consentono di supporlo - costipazione. In rapporto ai due gruppi di sintomi, la malattia si manifesta attraverso due accessi. A Cambridge la salute di Darwin era ancora eccellente. Egli cominciò a lamentarsi al momento della preparazione del suo viaggio per mare: questi due mesi furono, a sentir lui, i più miserabili che avesse mai vissuto. Al pensiero che per parecchi anni avrebbe lasciato la sua famiglia e i suoi amici, si sentiva molto abbattuto, lo allarmarono delle palpitazioni e dei dolori precordiali: era convinto di avere un problema al cuore.

Abbiamo già detto che per Darwin questo viaggio fu una seconda nascita6. Questo pensiero e il fatto di dovere distaccare la sua libido dalle persone amate, potevano ben riprodurre l’angoscia della nascita in un quadro di nevrosi d’angoscia. Ma l’angoscia della nascita è sorella gemella dell’angoscia di morte. Darwin non aveva ragione di aver paura della morte? Apprendiamo che la nave aveva tentato due volte di levare l’ancora, ma che per due volte era stata respinta sulla costa da violente tempeste.

La nave era una di quelle piccole imbarcazioni vetuste alle quali veniva dato il nome di “cassa da morto” in ragione della facilità con la quale affondano quando il tempo è cattivo. L’angoscia di morte acuita dal vecchio sentimento di colpa, nato dall’uccisione degli animali (del padre), era dunque qui all’opera. Darwin stesso vi allude quando racconta in quale stato, più morto che vivo, aveva passato gli ultimi giorni a bordo della Beagle.

A bordo, Darwin soffriva il mal di mare. Questo forse non è di per sé notevole, ma quando lo racconta sembra essere preso da un vuoto di memoria che poco si rapporta con la benignità del malessere; in effetti sostiene che il mal di mare cessò dopo tre settimane. Ora il suo biografo, Francis Darwin, dice: “ A giudicare dalle sue lettere e dalle testimonianze di qualche ufficiale, egli sembra avere dimenticato di colpo l’intensità del malessere che lo aveva colpito” (Vita).

Uno dei suoi compagni di viaggio riferisce: “Soffriva terribilmente di mal di mare”. Darwin, non ha voluto dunque riconoscere né l’intensità del suo male né la sua durata; i disturbi che ebbe in seguito furono da lui attribuiti sia all’ereditarietà sia ad una certa malattia di cui aveva sofferto durante un viaggio in mare in Sud America, malattia che “ aveva colpito tutte le funzioni secretorie del suo corpo”.

I sintomi del mal di mare e la malattia in questione ci portano al tema dell’erotismo anale. Sin dalla sua infanzia Darwin era stato un appassionato collezionista e noi siamo soliti vedere in questo comportamento una sublimazione dell’erotismo anale. In primo luogo il viaggio non significava niente altro per Darwin che la possibilità di poter collezionare con ancora più passione e velocità. Ma non ci fu d’altra parte, qualche cos’altro? Qualcosa di particolare che impedì una sublimazione più pronunciata di questo erotismo anale e, al tempo stesso, possa spiegare la distorsione dei ricordi di Darwin ? Sì, si pensi al fatto che durante i cinque anni del suo viaggio, Darwin si è trovato senza esservi preparato nella stessa condizione di un soldato durante la Grande Guerra.

Egli scrive ad uno dei suoi amici:

“Per quanto riguarda le donne inglesi, ho quasi dimenticato cosa siano; sono simili agli angeli e sono qualcosa di buono. Qui le donne portano gonne e cappello, ma sono molto poche quelle carine, è tutto dire” (Vita).

D’altra parte Darwin, divideva spesso la sua cabina con un capitano, un giovane fine e distinto, “un bell’uomo, un gentleman dai modi educati e raffinati” che egli teneva in alta considerazione, ma con il quale anche litigava. Egli aveva subito riposto la sua fiducia in questo “beau ideal”7 di capitano (Lettera del 1831).

Un altro ricordo di Darwin forse ci dirà di più su questo argomento: il Capitano Fitzroy avrebbe voluto dapprima respingere Darwin per la forma del suo naso8. Questi dati ci fanno arguire che Darwin era inconsciamente tentato dall’omosessualità e che la repressione di questa omosessualità aveva come conseguenza un accumulo regressivo dell’erotismo e dei sintomi anali. Dobbiamo ora collegare la conclusione con il tema dell’avarizia di Darwin per quanto concerne il tempo. Se diamo credito a suo figlio, nessun segno nel suo aspetto fisico tradiva il malessere costante da cui era afflitto. E questo ci indica, a colpo sicuro, la natura nevrotica della “malattia”.

Percepiamo, con l’angoscia della morte, una nuova origine della “considerazione per il tempo”, della sua avarizia di tempo: la morte, che minaccia in permanenza, spinge lo studioso che cerca la gloria ad usare appieno il suo tempo. Di qui possiamo comprendere come Darwin, a questo punto, sia stato ossessionato dall’ansia che le sue idee fossero sfruttate da estranei prima della loro pubblicazione: “l’ansia che il progetto del 1844 potesse restare, dopo la sua morte, l’unica testimonianza del suo lavoro, sembra aver aleggiato a lungo sul suo spirito” (Vita).

B

A proposito della teoria di Darwin sull’origine delle specie

Le lacune del nostro metodo derivano dalla difficoltà di trarre chiarimenti analitici da un materiale morto, da una autobiografia, da lettere e non dal flusso vivo di un’analisi: queste lacune si avvertono particolarmente qui. Percepiamo chiaramente che la teoria di Darwin deve necessariamente essere il prodotto di tendenze inconsce di cui testimoniano l’analisi e la biografia, ma non siamo in grado di formulare con precisione questa sensazione e di presentare le prove dell’esistenza di questi presunti contesti. Siamo consapevoli, per esempio, che il nonno Erasmo Darwin, che attraverso la sua Zoonomia si occupava di evoluzione, favorì il sorgere nel nipote di idee analoghe: del resto lo dice lo stesso Charles. Apprendiamo che giovinetto aveva letto la Zoonomia del nonno e che questa lettura non aveva fatto alcun effetto; ora cinque righe dopo dice che a 17 anni aveva molto ammirato la Zoonomia. Il biografo attira la nostra attenzione sulla rassomiglianze di statura e di carattere dei due studiosi; a sostegno di questo si richiama alla descrizione che il nipote (Charles) fa della vita del nonno. Non ci resta per completare che un anello della catena. Se Charles venerava suo nonno, lo scienziato, forse è per meglio abbandonare inconsciamente l’immagine idealizzata del padre nella vita quotidiana e per esprimere meglio, indirettamente, le emozioni ostili nei confronti di suo padre9.

Charles si sentiva rampollo del nonno piuttosto che del padre, ed è già qui l’origine di una piccola parte della teoria, della dottrina: per l’esattezza dell’ultimo elemento della costruzione, cioè “della tendenza inerente gli essere organizzati, provenienti dallo stesso ceppo, ad acquisire caratteri divergenti a favore di modifiche contingenti”. Questa divergenza acquisita è conservata grazie “ al principio dell’ereditarietà” sotto forma di variazione10. Eppure una contraddizione sembra velarne il senso: la divergenza dei tratti del carattere del nonno e l’ereditarietà sembrano contraddirsi. Che il bambino manifesti dei tratti del carattere di suo nonno, di sua nonna o di antenati ancor più lontani, è per Darwin il marchio di una legge dell’ereditarietà che resta da chiarire, e vede in questo fatto (ritorno alla costituzione dei nonni) un fatto ugualmente significativo per l’origine delle specie. Perché questo fatto spiega la possibilità che i discendenti dei progenitori più vicini differiscano da questi per alcuni tratti di carattere. La non somiglianza con il padre e la somiglianza invece con il nonno, portano in sé il fatto della variazione.

È l’atteggiamento fortemente ambivalente di Darwin nei confronti di suo padre che l’ha condotto a questa constatazione. Abbiamo dunque contribuito alla spiegazione della genesi di due dei pilastri fondamentali della teoria darwiniana cioè l’ereditarietà e la variazione.

Possiamo ora comprendere più facilmente quest’altro aspetto della teoria darwiniana (che in verità non è né esplicitata né formulata da Darwin, come uno dei meccanismi che spiegano la formazione delle specie), ma che serve da sottofondo alla costruzione di tutto l’edificio e marchia della sua impronta caratteristica le idee di Darwin rispetto a quelle di Lamark. Si tratta della considerazione per il tempo. Abbiamo trovato molti esempi di questa caratteristica analiticamente accessibili; Darwin stesso esige per la sua dottrina la prova del tempo (“ …il tempo, solo il tempo lo dimostrerà…” ) (Lettera del 1860). Se si vuol comprendere a fondo la sua teoria, bisogna prima acquisire questa considerazione per il tempo:

“Chi volesse leggere la grande opera di Charles Lyell concernente le origini della geologia… senza prima ammettere che le ere trascorse sono state estremamente lunghe, può subito chiudere il libro” (Origine delle specie). Ben inteso, questo è certo, il semplice corso del tempo, di per sé, non favorisce né inibisce la selezione naturale. Questo viene espressamente precisato, dato che qualche critico avrebbe pensato per errore che l’elemento tempo svolgesse un ruolo essenziale in Darwin: “La corsa del tempo è importante nella misura in cui offre migliori prospettive per produrre modifiche utili così come la loro selezione, la loro accumulazione e la loro stabilizzazione. Essa ha anche una tendenza ad accrescere la parte dell’azione diretta delle condizioni fisiche dell’esistenza, per quanto concerne la costituzione degli organismi” (Origine delle specie).

Anche numerose sono le annotazioni come questa:

“La selezione naturale impiega incomparabilmente più tempo a compiersi della selezione umana praticata dagli allevatori” (Origine delle specie).

“Come sono futili i desideri e le aspirazioni dell’uomo! Come è breve il suo tempo! Come sono miseri i risultati se li si paragona a quelli della natura che si sono accumulati nel corso dei lunghi periodi geologici” (Origine delle specie).

“Noi non vediamo niente di queste lente modifiche sino a quando la mano del tempo non ci indica che il secolo è passato” (Origine delle specie).

Darwin crede che la selezione naturale avvenga nell’insieme molto lentamente. Dopo lunghi intervalli ella avrebbe, secondo la durata trascorsa, la tendenza al ritorno e ad altri cambiamenti, tendenza più o meno controllata. Certi processi comportano milioni di anni. Niente è più impressionante, per uno spirito che misura col nostro metro l’estensione del tempo, che le risultanze che provengono a questo proposito dai dati geologici.

“ L’idea che le specie siano state create una volta per tutte è stata mantenuta così a lungo che si è potuto credere che la storia della Terra non faceva che annunciare il suo breve cammino… lo spirito umano non può completamente abbracciare una durata di un milione di anni” (Origine delle specie).

In questa stessa lettera del 1856, mette il tema della selezione “in rapporto assolutamente diretto con il tempo”.

L’Origine delle specie ha un altro fondamento psicologico analizzabile che si è obbligati a sottoscrivere anche prima di avere aperto il libro. E’ l’idea che l’uomo non può assolutamente aspirare ad una posizione particolare tra le creature viventi: è dunque la rinuncia al desiderio narcisistico dell’uomo di essere a immagine di Dio. L’Origine delle specie richiama questo in una sola frase:

“Potrebbe accadere che sia necessario fare ancora molta luce sull’origine dell’uomo e sulla sua storia”.

Solo alla fine della sua opera Darwin, si occuperà di elaborare questo tema (L’origine dell’uomo e la selezione sessuale, 1871). Eppure dal 1837-38 Darwin, nei suoi appunti, annota:

“Se ci abbandoniamo alle nostre supposizioni, gli animali, nostri fratelli ed amici nella sofferenza, nella malattia, nella morte, nel dolore e nella fame- nostri schiavi dei lavori più pesanti, nostri amici nei piaceri- potrebbero far parte della nostra comune origine, potremmo essere un tutt’uno” (Vita ).

Questo lo comprendiamo bene; l’uomo e gli animali sono fratelli, fanno parte della stessa origine. Gli animali sono, come sappiamo, degli animali totem, sono al posto del padre (forse anche dell’unico fratello). E’ proprio questo il senso del rapporto che Darwin aveva nella sua infanzia con gli animali e di cui abbiamo parlato. Per motivi intimi, inconsci, repressi, gli animali erano vicini al ricercatore Darwin che doveva anche fare pace e farsi perdonare le molte sofferenze che aveva loro inflitto e pensava di poterlo fare abbattendo la frontiera tra uomo ed animale grazie a delle prove scientifiche11. Nel soddisfare questo desiderio, poteva allora rinunciare alla posizione narcisistica tipica dell’uomo.

Ora possiamo capire anche la ragione per la quale la lotta per la vita, questo pilastro scientifico fondamentale della dottrina maltusiana, si imponesse con tanta evidenza in Darwin. Questo principio di Malthus assunse per Darwin valore d’arbitro della vita e della morte. La natura, madre degli esseri viventi, sceglie i più forti e concede loro la vita mentre con la stessa mano (crudele o no) annienta i più deboli. Darwin insiste spesso su questo doppio aspetto della selezione naturale:

“Se nuove forme appaiono, molte altre devono scomparire” (Origine delle specie).

“La selezione naturale agisce per la vita e per la morte” (Origine delle specie).

“La teoria della selezione naturale lega strettamente l’apparire di forme più evolute con le estinzione delle più vecchie”

“Stupirsi della scomparsa di certe specie, è come essere sorpresi dalla morte di un malato e mettersi a cavillare sulla sua fine violenta” (Origine delle specie).

E infine:

“La comparsa di una specie evoluta, quand’anche si trattasse del migliore animale del mondo, è sempre il risultato di una lotta senza pietà tra la natura, la fame e la morte” (Origine delle specie).

Ricordiamo qui la posizione darwiniana nei confronti degli animali che abbiamo già analizzato: gli animali vengono amati ed uccisi. Darwin metteva in atto nella sua teoria scientifica proprio quello che imputava alla natura. Nella sua vita quotidiana si comportava analogamente nei confronti degli animali, solo i forti sopravvivono alla lotta (in questo caso la caccia) e la superiorità del vincitore (la sua abilità, la sua destrezza) resta sempre da dimostrare. Ancora una volta si libera dal senso di colpa: colui che agisce su piccola scala come la natura fa in grande, non può essere colpevole. D’altra parte è interessante notare che Darwin inaugura il suo insegnamento con un omicidio simbolico:

“ Io, scrive in una lettera del 1844, ho letto pile di libri di orticultura e agricoltura e non ho mai cessato di raccogliere fatti. Infine è giunto qualche barlume di luce, e sono quasi convinto (in totale contrasto con la mia opinione iniziale) che le specie non sono (è come confessare di aver commesso un assassinio) immutabili” (Lettere).

C

Origini primordiali dei talenti di Darwin

Tra i principali tratti che predestinavano Darwin ad essere un uomo fuori del comune, noi collocheremo l’ambizione “di raggiungere un posto di rilievo nel mondo degli scienziati”(Autobiografia), la pura gioia della ricerca (Autobiografia), l’amore per le scienze naturali, il dono per l’osservazione, lo zelo del collezionista, la coscienziosità nel lavoro (anche la ricerca di obiezioni ed eccezioni alla proprie tesi), la ricchezza dell’immaginazione (Vita, ricordi del figlio). Abbiamo notato che, bambino, tendeva a raccontare delle storie non sempre vere per sollecitare la curiosità degli ascoltatori (Autobiografia). Il ritardo deliberato che portava nel pubblicare le sue ricerche, gli consentiva un’autocritica severa.12

Ma, come sappiamo, tutte queste qualità rendono l’uomo prezioso, possono aprire la via della saggezza, tuttavia non ne garantiscono da sole la produttiva del ricercatore, l’approfondimento delle sue idee. È necessario ancora che un dono del tutto particolare si manifesti.

Raggruppiamo i sintomi che ci suggeriscono le origini primordiali del talento di Darwin. Naturalmente terremo ben presente il famoso detto: “Il genio è il lavoro”.

1) La bocca

Darwin se era a disagio, balbettava; da bambino non riusciva a pronunciare la w (Vita, ricordi del figlio). “Egli aveva conservato una passione infantile per i dolciumi; per sua disgrazia, perché gli erano proibiti. Non riusciva sempre a persistere nella buona intenzione di non mangiarne più e non si considerava legato alle sue decisioni di non mangiarne più se non quando la promessa era stata formulata ad alta voce” (Vita, ricordi del figlio).

Beveva poco, ma assaporava quel poco con delizia. A Cambridge, durante la sua giovinezza, aveva preso l’abitudine di bere in compagnia ed una volta si ubriacò. Fumava, ma solo quando aveva finito di lavorare. Soffriva di un eczema che gli screpolava violentemente le labbra. Non era portato per le lingue.

2) La mano

Maldestro, non sapeva disegnare, gesticolava molto e si serviva delle mani per spiegarsi.

“Egli lo faceva nei casi in cui qualsiasi persona al suo posto, avrebbe fatto uno schizzo” (Autobiografia)

Probabilmente soffriva anche di eczema alle mani, lo testimoniano anche le seguenti parole:

“Chiedi a mio padre se è d’accordo che io prenda dell’arsenico per qualche tempo perché le mie mani non stanno bene ed ho sempre notato che se cambio vita, quando sono riuscito a guarire il miglioramento persiste” (Lettere, 1931).

Un altro sintomo del suo nervosismo era il tremore delle mani. Egli conserva il ricordo del tremore delle mani che lo afferrò quando uccise la sua prima beccaccia- malgrado questo divenne un eccellente tiratore, cosa che in linea di principio esige sempre una mano molto ferma.

Se supponiamo, in virtù della nostra tesi, che una delle basi dell’arte della parola e dell’arte del poeta è la sublimazione specifica dell’erotismo orale, che quello dell’abilità manuale (sempre in realizzazioni artistiche) è la sublimazione specifica dell’erotismo della mano, noi otteniamo il seguente albero genealogico:

albero genealogico

Darwin dice del suo secondo figlio che aveva una forte inclinazione per la meccanica (mano) (lettera del 1853). Si deve quindi supporre in Darwin un sistema mano/bocca fortemente erotizzato, tendente ereditariamente alla sublimazione e generatore di sintomi nervosi13

3) Orientamento olfattivo

Bisogna ammettere che l’orientamento olfattivo svolge un grande ruolo nell’opera di Darwin. Abbiamo ipotizzato che certi stereotipi di lavoro potevano agire come deboli sollecitazioni delle facoltà operanti nella messa in atto delle attitudini. Nei momenti di distensione, Darwin fumava (eccitazione intellettuale14 che gli procurava letteralmente una sorta di piacere preliminare). Durante le ore di lavoro, quello che l’eccitava era il tabacco da fiuto. Periodicamente cercava di smettere di fiutare, ma allora si sentiva “letargico, privo di pensieri e melanconico” (Ricordi del figlio). Una sua piccola annotazione ci informa del piacere che provava sentendo certi odori:

“Ho preparato degli scheletri di anatra selvatica e di anatra domestica (oh! L’odore dell’anatra selvatica ben preparata!) …..(lettera del 1855)

4) Il complesso del veggente (seher)

Non riscontriamo in Darwin quello che abbiamo chiamato il complesso del veggente sotto la forma in cui lo troviamo di solito nei poeti. Questo complesso tuttavia era operante nel padre e- è la nostra tesi- nel nonno (anche lui poeta). Il dono dell’osservazione, quello che consente di rievocare con vivacità il volto delle persone che aveva conosciuto, infine la persistente tenacia dei ricordi relativa a dati spaziali - (“Mi ricordo molto bene della sua posizione”; “Mi ricordo esattamente del luogo dove è stato commesso il delitto”; “Mi ricordo perfettamente dell’aspetto di certi cespugli, di certi vecchi alberi e porti presso i quali ho fatto una buona pesca”; “Mi ricordo persino del luogo in cui ho trovato la soluzione a certi problemi”): tutto questo dimostra l’importanza del fondamento organico di questo complesso dell’occhio, del piacere di guardare. Abbiamo trovato nella considerazione per il tempo, una conseguenza di questo complesso, ma non possiamo ignorare che il complesso del veggente talvolta si manifesta in Charles Darwin, così come nel padre e nei poeti. Egli attribuisce a se stesso “l’amore per quello che è nuovo e meraviglioso”, e questo costituisce di per sé il marchio delle tendenza alla veggenza (profezia).

Si esprime così nella Origine delle Specie:

“Possiamo gettare uno sguardo profetico sul futuro nella misura in cui possiamo predire che gruppi dominanti ed importanti di ogni classe, saranno capi e saranno loro a produrre le nuove specie dominanti” (Autobiografia).

Si, la sua attività scientifica era sempre orientata verso “i motivi”, verso le cause. Darwin non tollerava nessun sentore di finalità nelle scienze naturali, eppure tutto quello che è causale non serve che a prevedere il futuro! Egli scrive a proposito di un articolo che lesse su un giornale:

“Eccellente articolo: alcune belle tesi sostengono che l’essenza propria della scienza è il prevedere..” (Lettera a Lyell, 1938)

5) Il complesso di morte

Il complesso di morte non appariva ancora sotto la forma che assume nei poeti che ricorrono all’analisi, ma in Darwin lo psichismo era orientato verso il complesso di morte che abbiamo descritto sotto il titolo: “Gli animali vengono amati ed uccisi.” Sia Richard, il padre, che il fratello Erasmus sembravano manifestare qualche tendenza alla malinconia; semplici incidenti erano sufficienti a metterli di cattivo umore15. L’ambivalenza nei confronti della vita (complesso di morte narcisistico) era presente in Charles e si rendeva progressivamente evidente, ma si manifestava soprattutto attraverso uno spostamento sugli animali. L’evento stesso della morte, legata alla perdita precoce della madre, svolse un ruolo nella vita di Darwin.

6) Base masochista di dolore transitorio

La base masochista di dolore transitorio dovuto all’approfondimento intellettuale viene descritta da Darwin con rara chiarezza durante quella traversata masochista che era per lui il lavorio intellettuale. Non ci riferiamo alle sofferenze fisiche dell’epoca che aveva immediatamente preceduto l’inizio della sua carriera scientifica e che lo obbligavano a lamentarsi quasi quotidianamente; quello che vogliamo sottolineare è che il lavoro intellettuale gli serviva per mantenere in tensione tutte le sue facoltà lottando contro sensazioni dolorose, malesseri e fatiche; il lavoro intellettuale era il suo narcotico. Quando Galton gli chiese: “ E l’energia fisica?” rispose: “Ho avuto l’energia per una grandissima attività finché sono stato in buona salute ed una gran resistenza alla fatica. Eravamo in due, un altro uomo ed io, ad essere ancora capaci di andare a cercare l’acqua per molti ufficiali e marinai totalmente esausti” (Vita)

Durante il viaggio sulla Beagle, torturato dal mal di mare, doveva stendersi sul tavolo per mettersi in grado di “riprendere il suo lavoro ancora per un po’, prima di doversi di nuovo stendere” (Vita). Sembra che in seguito le sole gioie, la sola occupazione della sua esistenza fossero quelle del lavoro scientifico: “L’eccitazione provocata da questo lavoro mi fa dimenticare per un po’ i miei malanni quotidiani e riesco perfino a superarli completamente” (Autobiografia).

È in mare, sulla Beagle, che apprese a concentrarsi e a prendere l’abitudine al lavoro accanito. E’ questo allenamento che durerà cinque anni che, sembra, gli permise in seguito di portare felicemente a termine la sua opera scientifica.

Oltre al nostro articolo Talento e libido d’organo di cui abbiamo già parlato, per sostenere le nostre affermazioni citiamo la seguente frase tratta dall’Autobiografia di C. Darwin:

“Durante i tre anni e gli otto mesi che passai a Londra, negli anni 1839-1842, ho lavorato meno scientificamente che in altri periodi di ugual durata, nonostante lavorassi con tutta l’intensità possibile. Ciò fu dovuto a frequenti malesseri e ad una lunga malattia, molto seria. La maggior parte del tempo, quando ero in condizione di fare qualche cosa, la dedicavo al lavoro sulle Scogliere coralline (Coral Reef) che avevo incominciato prima del mio matrimonio….. Questo libro, benché breve, mi costò venti mesi di duro lavoro”.

Per evitare malintesi, notiamo tuttavia che bloccare il dolore attraverso il lavoro intellettuale è possibile solo quando il dolore è debole; questo stesso livello di dolore può essere proprio quello che caratterizza il livello di concentrazione intellettuale tipica dell’uomo.

Quando Darwin aveva il mal di mare e si sentiva in uno stato miserevole, si consolava immaginando il futuro (Lettera del 1833), ma il dovere adattare questo pensiero alla realtà, faceva fallire l’effetto narcotico; bisognava dunque servirsi dell’immaginazione. La debolezza e le vertigini impedivano spesso a Darwin di riflettere logicamente; non poteva dedicarsi a nuovi argomenti di riflessione che esigevano troppa concentrazione. Si annuncia già l’atteggiamento ambivalente. La malattia provocava e cacciava al tempo stesso i pensieri profondi. E’ lo stesso fenomeno che osserviamo in Th. Fechner.

Anche nel più grande ricercatore della teoria dell’evoluzione, il sistema che ha raggiunto il livello più alto, ma che doveva fare i conti con le prime rinunce individuali (separazione dalla madre), il sistema mano-bocca, si dispiegò con tutta la sua forza capovolgendo tutto il modo di pensare e portandolo ad un livello più alto. Il ricercatore stesso acquistò così la consapevolezza del tempo. Si innalzò dalla sua stessa natura umana attraverso il superamento del dolore.

Allora, dopo aver compreso il senso biologico di questo fattore, ci dobbiamo sorprendere se nella vita di ogni scienziato che tende ad un fine elevato, troviamo implicati gli stessi elementi intrecciati, anche se diversamente raggruppati e collegati, (è sempre implicato il superamento del pensiero della morte, nelle sue differenti forme) con altre forze creative?

(Traduzione dal tedesco di Beatrice Piva)


note

[1] Ringrazio il dr. Jorge Canestri cui devo un’interessante scambio d’idee sul testo di I. Hermann.

[2] Testo originale in tedesco, pubblicato su Imago, XIII, 1927. Traduzione di Beatrice Piva

[3] Rispondendo ad una domanda di Galton, Charles dice a proposito di suo padre: “Grande capacità di prevedere”.

[4] Secondo la mia esperienza analitica, l’accento posto sulle relazioni temporali è legato a quello posto sull’orientamento acustico e specialmente sulla musicalità. Possiamo notare qui la strana ambivalenza di Darwin relativamente alla musica: “A Cambridge ho acquisito una forte inclinazione per la musica… mi riempiva di profonda gioia sino a darmi dei brividi lungo la schiena…. Ma non ho orecchio del tutto: non mi accorgo di una dissonanza, non tengo il ritmo, non so cantare o fischiettare correttamente una melodia; come la musica possa farmi piacere resta un mistero”.

[5] Corrispondenza e Autobiografia . Vol. I.

[6] Una delle ragioni per la quale questo viaggio in mare ebbe su Darwin un tale effetto non la conosciamo; forse esiste un’altra spiegazione in relazione al primo ricordo d’infanzia di Darwin che si colloca in una stazione balneare all’età di quattro anni.

[7] In francese nel testo

[8] Come seguace di Lavaters, trovava che il naso di Darwin era segno di poca energia e di mancanza di decisionalità.

[9] Per rafforzare questa tesi possiamo ricordare qui che il figlio (Charles) diceva che l’opera pubblicata dal padre (Robert Darwin) era in realtà del nonno (Erasmus Darwin).

[10] L’origine, la nascita di nuove specie attraverso la selezione naturale.

[11] È significativo che Darwin alla richiesta di Galton: “Ci elenchi alcuni suoi interessi che l’hanno appassionato”, risponda: “La scienza e durante la mia giovinezza mi appassionò molto la caccia (Vita III) . Come se la scienza sostituisse la sua passione giovanile.

[12] Darwin “rimuginava” molto (Winterstein: Note psicoanalitiche a proposito della storia della filosofia. Imago, 2, 1913, pag. 224) era tra quei ricercatori per i quali la preoccupazione primaria, caratteristica dei complessi della ricerca sessuale infantile, tiene per tutta la vita un posto notevole (Selazione naturale, ermafroditismo, ibridi, fecondazione delle orchidee, ecc)

[13] Erasmo, il nonno, canta in un poema il grande ruolo della mano e del suo raffinato senso del tocco:
“…la mano, primo dono di Dio! Appartiene all’uomo;
da dove meravigliosi organi del tatto ricava
la forma ideale, fonte di ogni arte;
tempo, moto, numero, luce del sole o tempesta,
ma marca le varietà delle forme della Natura”.
Eppure nei cagnolini e nei bambini le labbra sarebbero gli organi essenziali grazie ai quali creano una rappresentazione delle cose. (E. Krause, Erasmus Darwin).

[14] La parola tedesca è: Fakultogen.

[15] Il fratello Erasmus soffriva decisamente di melanconia (Nota degli A.A).