Una nuova sfida per i Servizi di salute mentale: lavorare in rete con la comunità per proteggere e promuovere la salute mentale nei giovani
Nuova sfida per i Servizi salute mentale: proteggere e promuovere la salute mentale nei giovani1 IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, Milano
2 Unità Funzionale Salute Mentale Adulti di Grosseto, Azienda USL Toscana sud est
3 Dipartimento di Salute Mentale, ASST Rhodense, Garbagnate Milanese
4 Gruppo di lavoro Progetto CCM 2013: M. Luisa Abbinante, Evita Barbera, Alice Bizzozero, Serena Boni, Agnese Canali, Micaela Corio, Elena Criconia, Francesaca Fauci, Maria Teresa Gris, Monica Maggi, Simonetta Oriani, Mauro Percudani, Silvia Pinotti, Katia Prato, Chiara Primati, Maria Teresa Rivetti, Maria Teresa Rossi, Valentina Scavelli, Monica Soffientini, Daniele Tuso, Zaira Xodo (ASST Rhodense, Garbagnate Milanese); Barbara D’Avanzo, Alberto Parabiaghi (Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri); Aglaia Banis, Mariano Bassi, Elisa Buratti, Patrizia Conti, Maria Meliante, Anita Montanari, Emiliano Monzani, Piero Rossi(ASST Grande Ospedale Metropolitano “Niguarda”, Miano); Irene Anzani, Maria Teresa Asti, Giuseppina Badia, Giuseppe Cardamone, Nadia Magnani, Stefano Milano, Maria Grazia Petruzziello, Silvia Sordini, Gian Paolo Sammarco, Annalisa Spampani (Azienda USL Toscana sud est, Grosseto); Alberto Corbetta, Alessandra Ferrara; Antonio Lora, Ottaviano Martinelli; Donatella Puccia; Vittorio Rigamonti; Elisa Stucchi, Marina Zabarella, Sabrina Zanetti (ASST di Lecco); Alessandra Barni, Emanuela Butteri, Deborah Fiocca, Ornella Giardina, Teodoro Maranesi, Claudio Monaci, Silvia Olivieri, Antonella Perri, Manuela Pintori, Caterina Roncoroni, Michele Santi, Annapatrizia Stipcovich, Raffaella Zanaschi (ASST Fatebenefratelli-Sacco, Milano); Maria Pia Angelatos, Paola Arnuzzo, Cristina Bonzani, Selene Cammarata, Miriam Cantatore, Patrizia Capurro, Michela Davi, Margherita Dolcino, Lorenza Ferrari, Marta Germoglio, Laura Grondona, Maria Guelfi, Lidia Lagomarsino, Alessandro Lanza, Alessandra Lombardo, Eleonora Lusetti, Patrizia Marinelli, Claudia Masala, Emanuela Mirrione, Diana Monachesi, Lucia Pacini, Sara Patti, Elisa Peloso, Laura Penco, Maria Franca Petrigni, Giulia Piccinini, Sara Pignatelli, Valeria Puppo, Cristina Rambelli, Daniela Ratti, Alessandra Ravecca, Rossana Roveda, Rita Schenone, Lucia Sciarretta, Gianluca Serafini, Irene Serio, Simonetta Sommariva, Lucia Tacconi, Alessandra Tauriello, Ludovica Tognoni, Fabrizia Tomasi, Simona Traverso, Giovanna Trompetto, Serena Unia, Marco Vaggi, Cristina Venturino, Alessandra Zaccone, Monica Zambonini, Franca Zanelli (ASL 3 Genovese)
A settembre 2016 si è concluso il progetto: "Interventi integrati per favorire il riconoscimento e il trattamento precoce dei disturbi psichici gravi in età giovanile (15-24 anni) in gruppi di popolazione a rischio”, finanziato dal Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie, e coordinato dal Dipartimento di Salute Mentale di Garbagnate. Il progetto ha coinvolto i Dipartimenti di Salute Mentale di Milano Niguarda, Milano Sacco, Lecco, Genova e Grosseto.
Questo percorso, negli ultimi due anni, ci ha permesso di attivare équipe integrate multiprofessionali che si pongono come obiettivo l’individuazione di stati mentali a rischio di psicosi e il trattamento precoce dei disturbi psichici gravi in età giovanile, e di lavorare in sinergia con le risorse del territorio, promuovendo un percorso di sensibilizzazione ed empowerment della comunità.
Nei sei territori dei diversi servizi coinvolti sono state quindi attivate localmente coalizioni comunitarie, con la finalità di favorire invii precoci ai servizi e di promuovere percorsi inclusivi per i giovani che presentano disagio psichico. Le coalizioni di comunità hanno coinvolto diversi stakeholders (associazioni, scuole, organizzazioni religiose e etniche, ecc.) e sono stati costituiti boards di coordinamento delle coalizioni di comunità. I boards, cui è stato offerto un percorso di formazione sui temi del progetto, hanno dato vita localmente a diverse iniziative. Una survey indirizzata ai partecipanti dei boards ha permesso di evidenziare alcuni punti di forza e difficoltà del progetto. Emerge comunque in tutti i contesti il valore positivo derivante dall’attivazione di nuove reti in sinergia con i servizi e dal rendere più consapevole la comunità della presenza di un problema e della possibilità/necessità di affrontarlo con percorsi di prevenzione e interventi precoci.
In September 2016 we closed the project: "Integrated interventions to enhance identification and early intervention in serious mental disorders in young people (15 - 24 years) in at risk population groups", funded by the National Centre for Disease Prevention and Control, and coordinated by the Mental Health Department of Garbagnate. The project has involved the Mental Health Departments of Milan Niguarda, Milan Sacco, Lecco, Genoa and Grosseto, located in three different Italian regions.
This pathway, during the past two years, has enabled us to establish integrated multi-professional teams that have as an objective the detection of mental stares at risk of psychosis and early treatment of severe mental disorders in young people, and to work in synergy with local resources, promoting awareness and empowerment of the community.
In the six areas of the various services involved, local community coalitions were then activated, with the aim of promoting early referral to appropriate services and inclusive pathways for young people experiencing mental difficulties. Community coalitions have involved different stakeholders (associations, schools, religious and ethnic organizations, etc.) and boards have been set up for coordination of the community coalitions. The boards, to whic training sessions on project issues were offered, implemented several local initiatives. A survey addressing boards participant experiences highlighted some of the strengths and difficulties of the project. However, in all contexts, emerged the positive effect of new networks in synergy with the services, and greater awareness of the problem and of the possibility/need to address it in the community, through prevention and early interventions.
Costituisce oggi dato di evidenza che la prevalenza dei disturbi psichici insorgono in età giovanile (Jones 2013) e che individuare precocemente tali situazioni di disagio permette di modificarne sensibilmente il corso, con interventi non necessariamente a carattere psicofarmacologico (Das et al 2016).
Attraverso l’intervento precoce è possibile agire positivamente sia sul decorso psicopatologico che sull’outcome funzionale, anche per disturbi psichici gravi quali le condizioni di rischio ed esordio psicotico (McGorry 2015), contenendo gli aspetti correlati ad una eventuale vulnerabilità biologica, favorendo e sostenendo il mantenimento dei normali percorsi di integrazione sociale, essenziali per un appropriato sviluppo della persona in età adolescenziale e giovanile.
Per rilevare precocemente le situazioni di disagio è quindi essenziale per i Servizi, disporre di un accesso a “bassa soglia”, sufficientemente attrattivo per i giovani, che permetta di individuare più precocemente il disagio ed effettuare interventi appropriati. E’ inoltre essenziale sviluppare strategie che permettano di lavorare in sinergia con la comunità, nella convinzione che la salute è il prodotto complesso dell’interazione tra individuo e ambiente sociale, per cui è indubbia la possibilità di promuovere salute attraverso azioni collaborative basate sulla comunità (Anderson et al 2015). Sappiamo infatti che anche in salute mentale, molti fattori che influenzano la salute sono di fatto esterni al campo della salute, ad esempio vi sono oggi molte evidenze che una vulnerabilità biologica può essere amplificata da eventi di vita stressanti in età infantile e adolescenziale, dall’assenza di un adeguato supporto sociale (Sheikh et al 2016), dall’uso di sostanze, frequentemente associato a condizioni di rischio ed esordio psicotico (Carney et al 2016; Buchy et al 2015), dal percepire una condizione di stress (Chaumette et al 2016) ed esclusione. In questo senso recenti dati della letteratura evidenziano tra l’altro che lo stigma percepito è tra i fattori che favoriscono il passaggio da una situazione di rischio psicotico ad una condizione di esordio psicotico (Rüsch et al 2015).
Agire in termini di prevenzione, attuare interventi precoci e favorire percorsi di inclusione e partecipazione sociale, può di fatto modificare l’outcome dei disturbi mentali gravi, inclusi i disturbi psicotici, la cui etiologia è il prodotto dell’interazione tra molteplici fattori biologici e ambientali, quali una vulnerabilità legata a ereditarietà, fattori epigenetici, possibili fattori di rischio pre e perinatali, stress ed esperienze traumatiche, uso di sostanze (Perez et al 2016).
E’ necessario quindi rovesciare la prospettiva che considera il coinvolgimento della comunità solo come una tra le tante possibili azioni di salute pubblica, pensando piuttosto che la comunità è parte essenziale del sistema pubblico di salute (South & Phillips 2014). In questo senso abbiamo il dovere di favorire percorsi di sensibilizzazione, informazione, formazione (sia condotta da esperti, sia formazione tra pari) e di promuovere l’attivazione delle “persone risorsa” della comunità, perchè risorsa” della comunità, perchèo ai trattamenti psicofarmacologici non sia una sorta di "' abbiano lavorato con impegno esempla di fatto una comunità più consapevole di quelli che sono i determinanti sociali della salute acquista maggior controllo sulla propria condizione di salute e sui fattori che possono influenzarla. Questo percorso virtuoso di lavoro intersettoriale, che promuove l’espansione e la diversificazione delle reti sociali, generando empowerment di comunità, costituisce a sua volta una risorsa, una scoperta e una ricchezza per i Servizi che possono ridefinirsi e migliorare, considerando le istanze e le richieste della comunità, attivare nuove sinergie, scoprire nuovi linguaggi, meno tecnici e più capaci di raggiungere i diversi contesti, ma anche rinnovare la propria motivazione e realizzare in collaborazione con la comunità, progetti creativi e innovativi.
In questo contesto si inserisce l’azione di “coalizione comunitaria”: lacommunity coalition ha i suoi antecedenti in esperienze quali la “health promotion and disease prevention coalition” (Green 1990), i “community development models” (Chavis 1992); si fonda su teorie di comportamento organizzativo quali “network” and “open-system theories” e su teorie quali ilcapitale sociale, l’empowerment di comunità e l’ecologia sociale (Kreuter 2002, Stokols 1996; Wandersman 1996). La teoria dell’ecologia sociale indica che gli interventi di coalizione generano empowerment di comunità e costruiscono capitale sociale, attraverso un’espansione e diversificazione delle reti sociali che si traduce a sua volta in maggior fiducia e condivisione.
Nel modello proposto da Butterfoss (2002, 2007), una coalizione di comunità realizza una collaborazione strutturata tra numerosi soggetti che rappresentano diversi gruppi di interesse, agenzie, organizzazioni e istituzioni; alcuni membri della coalizione possono essere singoli cittadini o volontari interessati, ma molti membri rappresentano organizzazioni.
Il modello della Community Coalition è stato utilizzato tra l’altro per la prevenzione di comportamenti a rischio e devianti, per prevenire l’uso di alcool e tabacco nei giovani a livello di comunità (Hawkins et al., 2012) e per ridurre le disparità di salute nelle minoranze etniche (vedi revisione Cochrane, Anderson et al 2015. La discussione sugli effetti, a vario livello, del modello della coalizione e della mobilitazione comunitaria è piuttosto ampia, e affronta anche il tema della quantificazione di tali effetti (Glanner e Sharpe, 2004; Lippman et al, 2016).
Le coalizioni di comunità coinvolgono di fatto molteplici soggetti, che condividono in modo collaborativo e sinergico un obiettivo comune; in esse organizzazioni di natura diversa e con interessi diversi si coalizzano su un obiettivo comune esterno. Di fatto la coalizione di comunità può costituire quindi un luogo di progettazione creativa e partecipata di azioni e soluzioni a problemi complessi quali il riconoscimento e il trattamento dei disturbi psichici gravi in età giovanile, in popolazioni a rischio, attraverso la messa in gioco, il confronto, la diffusione di saperi, competenze, linguaggi e risorse. I Servizi di salute mentale possono definire il problema, ma gli obiettivi, i mezzi e le modalità di lavoro dovranno essere definiti dalla coalizione (Percudani et al, in press).
Attivare percorsi di coalizione comunitaria implica però anche indubbie difficoltà operative derivanti sia dalla complessità di contaminare diverse culture e differenti saperi, cambiando concretamente la “prospettiva” dei Servizi (da una dimensione più “clinica e riabilitativa” ad una più ampia dimensione “comunitaria e preventiva”), sia dalla necessità di mantenere elevata la motivazione e la partecipazione dei componenti della coalizione comunitaria, lavorando sistematicamente su progetti realizzabili e concreti e verificando i risultati, per orientare obiettivi e strategie.
D’altro lato, verificare le coalizioni di comunità in termini di efficacia non risulta però affatto semplice, perchè come si sottolinea nella revisione della Cochrane (Anderson et al 2015), non disponiamo di validi strumenti di misura che possano essere utilizzati per misurane l’efficacia in coalizioni diverse e non abbiamo certezza che gli esiti relativi agli interventi attuati, riescano a catturare l’efficacia reale della coalizione. Possiamo comunque considerare che alcuni aspetti delle coalizioni correlano con la loro efficacia(Mizrahi 2001), quali la chiarezza della mission, la leadership, strutture di governance definite, la formazione ed il supporto tecnico, le modalità di comunicazione e la soddisfazione dei partecipanti. La qualità di tali fattori può favorire o limitare la probabilità che una coalizione possa mobilizzare risorse e realizzare interventi (Kadushin 2005; Mitchell 2000; Roussos 2000; Zakocs 2006). Tra i limiti possibili sono da considerare la difficoltà di armonizzare conoscenze e linguaggi tra professionisti e membri della comunità, la disparità reale o percepita di potere decisionale tra i diversi membri della coalizione, l’inadeguato reperimento di fondi per implementare e rendere sostenibili i progetti (Anderson et al 2015).
Di fatto comunque l’attivazione delle coalizioni di comunità offre punti di forza generalizzabili in diversi ambiti sanitari e sociali, e tra questi anche in salute mentale, sia perchè favorisce cambiamenti positivi dei Servizi che riflettono ed integrano la prospettiva comunitaria, sia perché permette l’utilizzo di persone risorsa della comunità, promuovendo percorsi di educazione alla salute.
In questo ambito si situano esperienze di sensibilizzazione e attivazione comunitaria condotte in vari contesti e finalizzate a favorire interventi precoci nelle situazioni di rischio e/o esordio psicotico (sia per ridurre la DUP – durata di psicosi non trattata -, sia per favorire percorsi di integrazione e partecipazione sociale). Alcuni autori (Schiffman et al. 2015) sottolineano ad esempio, a questo fine, il notevole potenziale derivabile da un coinvolgimento di contesti quali la scuola, per offrire programmi di riduzione dello stigma, fornire percorsi psicoeducativi al personale scolastico, sensibilizzare ed educare la comunità, individuare precocemente i soggetti “a rischio”, ridurre le barriere nell’accesso al trattamento. D’altro lato i Servizi che promuovono interventi per i rischi e gli esordi devono sempre più favorire la costruzione di sistemi di salute basati sulla comunità (Srihari et al 2016), interpretando un ruolo di “integratore” tra i diversi attori che costituiscono le risorse comunitarie, e favorendo quindi la creazione di network che includano i vari stakeholders (insegnanti, sacerdoti o altre figure di riferimento religiose, associazioni di utenti e associazioni con finalità sociali, ecc.). Ciò consente una serie di ricadute indirette, quali: dare risposta a diversi problemi di salute mentale nei giovani, anche oltre le situazioni di rischio e/o esordio psicotico; costruire network stabili tra risorse della comunità e servizi capaci di produrre salute mentale (Brown et al. 2015); promuovere la costruzione di una comunità più competente nel definire bisogni e obiettivi di salute.
In questa ottica proponiamo, nel presente lavoro, la nostra esperienza relativa all’attivazione di coalizioni comunitarie nell’ambito del Progetto "Interventi integrati per favorire il riconoscimento e il trattamento precoce dei disturbi psichici gravi in età giovanile (15-24 anni) in gruppi di popolazione a rischio”, finanziato dal Centro per il Controllo delle Malattie del Ministero della Salute con il bando del 2013, e coordinato dal Dipartimento di Salute Mentale di Garbagnate, e coinvolgente i DSM di Milano Niguarda, Milano Sacco, Lecco, Genova e Grosseto.
Il progetto partiva dall’assunzione che alla creazione di équipe di lavoro integrate (“Equipe Giovani”) di neuropsichiatria infantile e servizi di salute mentale per gli adulti (e dei servizi per le dipendenze se facevano capo al Dipartimento di Salute Mentale), si accompagnasse il lavoro di costruzione di una rete di coalizione comunitaria che costituisse la base del lavoro di prevenzione. Questo esprimeva un'attitudine "proattiva" secondo cui i servizi "escono" dalle loro sedi e competenze rigidamente definite e si mettono in contatto loro stessi con i contesti di vita della comunità. Come detto, tale attitudine può cambiare il linguaggio dei servizi e permettere una informazione più efficace e una traduzione più incisiva delle conoscenze sui disturbi mentali e i loro fattori di rischio, rendendo la comunità non solo più informata, ma anche più consapevole del ruolo dei determinanti sociali nell'insorgere delle malattie mentali, e potenzialmente più attiva rispetto ad essi. L'abbandono di un paradigma per cui i soggetti della comunità sono recettori/latori di un sapere specialistico è premessa alla assunzione di responsabilità rispetto alla salute e al benessere della comunità da parte dei soggetti stessi attivi nella comunità.
Su questa base, il progetto CCM si è dotato di competenze e risorse in grado di collegare i servizi a questi soggetti. Il processo di coinvolgimento della comunità si è avviato in modi diversi nei sei centri partecipanti al progetto. Il personale del progetto ha lavorato alla costruzione o all'ampliamento di una mappa del territorio che ha portato all'individuazione di un numero elevato di organizzazioni che sono state invitate ad una prima riunione di presentazione del progetto. Il lavoro si è quindi articolato nelle seguenti fasi:
1. Censimento delle organizzazioni – i sei DSM coinvolti hanno indicato mediamente tra le sei e le 33 organizzazioni presenti sul territorio (giugno-settembre 2014);
2. Incontro e presentazione delle organizzazioni – esplorazione, ascolto, elaborazione; confronto sulle esperienze di gestione di situazioni di disagio, rapporto con le agenzie di trattamento (ottobre-dicembre 2014);
3. Le persone che avevano presenziato a una o due delle riunioni sono state invitate a costituire in ciascun centro un organismo, che abbiamo definito il Board, che si facesse promotore di azioni informative, di sensibilizzazione e progettazione di attività volte alla prevenzione delle malattie mentali gravi, facendo leva sul concetto di stati mentali a rischio e condizioni e comportamenti che segnalino fattori di rischio importanti. Esso andava costituito da non più di dieci persone che avessero interesse ed esperienza adeguati e che potessero fare da cinghia di trasmissione con un pool più ampio di organizzazioni e soggetti interessati (la Coalizione Comunitaria) (primo semestre 2015).
I compiti del Board erano definiti come: stimolo alla creazione di occasioni di mobilitazione comunitaria, svolgimento di un ruolo di riferimento per gli altri soggetti del territorio rispetto al tema degli stati mentali a rischio e della malattia mentale grave in genere. Secondo la filosofia della coalizione comunitaria, il Board non deve rappresentare associazioni e non deve essere un raggruppamento politico o decisionale. Deve piuttosto essere formato da singoli individui che si impegnano come tali, pur facendo riferimento a, e utilizzando, le associazioni o le istituzioni in cui operano.
4. Il progetto prevedeva, anche sulla base di quanto richiesto dal bando del CCM, attenzione specifica per gli immigrati di seconda generazione, per la marcata e nota maggiore incidenza di psicosi in questo gruppo di popolazione, e per la necessità di entrare in contatto con esso con modalità più incisive ed adeguate. Pur ritenendo impossibile rivolgersi in modo esclusivo a questo gruppo di popolazione, il progetto ha rivolto attenzione particolare a coinvolgere associazioni di minoranze etniche e associazioni che hanno tra gli obiettivi primari quello dell’inclusione sociale delle minoranze etniche. Alcuni centri hanno tuttavia ritenuto di concentrarsi prevalentemente su questo gruppo di popolazione, come a Lecco.
5. Il coordinamento del progetto si è posto come guida iniziale agli operatori che in ciascun centro hanno poi coltivato e seguito i lavori del Board e ha fornito una formazione iniziale ai componenti. La formazione ha trattato che cosa sono le psicosi e gli stati mentali a rischio; i rischi associati ai periodi di psicosi non trattata; la prevenzione; la natura primariamente non farmacologica degli interventi per la psicosi e il rischio di psicosi; le competenze comunicative; le differenze etniche e culturali nella manifestazione della malattia e nella sintomatologia.
Nel corso dello svolgimento del progetto, ed in particolare a partire dal 2015, i Board dei diversi centri hanno tenuto una media di dieci incontri. I gruppi erano numerosi all’inizio, con circa 20 persone motivate a lavorarvi, per poi ridursi in tutti i centri fino ad un minimo di 4-5 persone in due centri, con un massimo di 14 persone in un centro.
In tutti i centri vi erano limitate ma persistenti rappresentanze delle scuole, delle associazioni delle minoranze etniche e delle chiese o comunità religiose.
I bisogni formativi indicati dai partecipanti sono stati:
- riconoscere i disturbi emotivi e mentali dei giovani con cui sono in contatto, mettersi in relazione con essi: a questo aspetto è stato dedicato ampio spazio di formazione strutturata e interattiva;
- paura di “sostituirsi” agli specialisti competenti;
- strumenti carenti nel dialogo con le famiglie, spesso portate a rifiutare l’idea della malattia e della ricerca d’aiuto, soprattutto, ma non solo, nelle famiglie immigrate;
- difficoltà nella traduzione delle competenze e delle informazioni acquisite in azioni e progetti;
- difficoltà con la specificità delle manifestazioni del disagio in culture diverse, a cui si associavano l'emergere e l'interferire di bisogni specifici della popolazione dei rifugiati.
Alcuni Board hanno trovato difficile ideare fin dall'inizio delle attività, mentre per altri l'avvio è stato più facile.
Le azioni che più hanno caratterizzato le attività dei Board sono state:
- creazione di un leaflet di presentazione del servizio per gli stati mentali a rischio (Garbagnate, Niguarda, Grosseto);
- concorso indetto nelle scuole superiori sulla percezione e l'immagine del disagio mentale (Grosseto);
- attività di formazione e sensibilizzazione delle comunità delle minoranze etniche, normalmente a cura dei componenti del Board appartenenti a minoranze etniche (Niguarda, Lecco);
- organizzazione di momenti ricreativi volti all'inclusione delle minoranze etniche (Garbagnate);
- momenti ricreativi centrati sul tema della salute mentale, con attenzione ai temi delle minoranze etniche (Grosseto, Niguarda);
- creazione di uno spazio di ascolto per i giovani (Garbagnate);
- interventi formativi nelle scuole (Genova, Grosseto, Niguarda, Sacco);
- creazione di un Gruppo giovanile specificamente dedicato alla vicinanza al disagio mentale (Niguarda).
Ci siamo dotati di due momenti di verifica di quanto fatto. Riportiamo qui le indicazioni tratteggiate da una pur limitata survey condotta con i partecipanti alla riunione conclusiva dei Board tenutasi nel giugno 2016 e gli argomenti emersi nel corso della riunione stessa.
La survey condotta in occasione dell’incontro dei Board del giugno 2016, oltre ad alcune caratteristiche personali e sull'organismo di affiliazione, indagava, utilizzando una scala Likert da 1 a 10, la valutazione delle persone coinvolte rispetto a:
- chiarezza su che cosa s’intende per “stato mentale a rischio” di psicosi;
- chiarezza degli obiettivi del progetto;
- chiarezza su che cosa il progetto si aspettava dalla collaborazione dei partecipanti;
- realizzazione di attività significative, in linea con quello che il progetto indicava;
- utilità per la comunità del lavoro svolto finora;
- percezione di essere coinvolti e parte attiva del progetto;
- utilità della formazione ricevuta sugli stati mentali anche rispetto al lavoro di singoli partecipanti;
- soddisfazione della formazione ricevuta sugli stati mentali a rischio in età giovanile;
- utilità dei contatti con l’Equipe Giovani del territorio di riferimento;
- interesse a proseguire l'attività del Board;
- attività ritenute più importanti;
- stimoli ritenuti più importanti;
- difficoltà ritenute più importanti.
La survey ha messo in evidenza che l'età dei partecipanti era 51 anni: essa rispecchia l'età media delle persone attive nel terzo settore, ma indica anche la scarsa capacità del progetto di coinvolgere i ragazzi tra i 15 e i 24 anni, diretti interessati.
Gli aspetti che sono stati visti più favorevolmente sono stati la comprensione degli obiettivi del progetto, e il sentirsi parte attiva nel progetto, entrambi con punteggi superiori a 8. Gli aspetti giudicati meno favorevolmente erano relativi alla formazione ricevuta sugli stati mentali a rischio e l'utilità dei contatti con l'équipe giovani.
L'attività più spesso menzionata come significativa era l'attività di rete, seguita a distanza dal miglioramento delle conoscenze sulla malattia mentale grave. Gli stimoli indicati più di frequente come importanti erano l'attenzione al disagio giovanile e agli stati mentali a rischio e una maggiore comprensione di come è possibile attuare interventi di prevenzione nell'ambito della salute mentale. Infine, le difficoltà più importanti sono state ravvisate nelle poche opportunità di incontrare ragazzi con stati mentali a rischio e la brevità o l'incompletezza della formazione ricevuta sugli stati mentali a rischio e sulla malattia mentale.
Molte delle indicazioni derivate dalla survey sono state riscontrate e approfondite nel corso della riunione dei Board tenutasi nel giugno 2016. I partecipanti hanno vissuto il progetto come “un progetto più difficile di altri”, indicandone la novità e l’interesse, ma anche la significativa quota di impegno necessaria. Hanno anche sottolineato con forza l'importanza dei contatti con i servizi di salute mentale e gli specialisti al di fuori di un contesto legato alla cura o all'insorgenza di problemi, che ha giovato molto sia alla comprensione reciproca che alla attenuazione dell'autoreferenzialità che caratterizza talvolta l'attività delle organizzazioni di volontariato. Il Board è stato descritto come "qualcosa di cui si sentiva la mancanza" nel mondo del terzo settore, per la funzione di stimolo, orientamento, arricchimento delle competenze, e i volontari delle associazioni hanno definito “salutare” il rapporto con competenze “più alte”.
Nel corso della riunione è stato messo a fuoco il tema dell’incertezza degli obiettivi concreti da darsi e come questo possa avere ostacolato l’impegno su un obiettivo – l’accostamento più consapevole alla malattia mentale grave e il supporto ai giovani a rischio – ritenuto cruciale. Tale difficoltà, il fatto che siano occorse diverse riunioni per maneggiare il tema e imboccare la strada per la realizzazione di azioni coerenti con l’obiettivo, si è combinato con una sorta di sovraffollamento/saturazione del terzo settore, che si scontrava con i tempi e le incertezze di un percorso "da inventare”. Questo spiegava le non poche persone “perse per strada”. Dobbiamo osservare a questo proposito che l’utilizzo del modello della Coalizione Comunitaria è stato descritto per comportamenti eclatanti, riconoscibili, disturbanti e spesso inaccettabili socialmente, quali l’abuso di sostanze o altri comportamenti a rischio, mentre è stato qui proposto su un problema caratterizzato proprio dal suo essere più nascosto e meno immediatamente riconoscibile.
E’ stato anche chiarito come sia importante disporre di luoghi e punti di riferimento, necessari ad un lavoro che è per sua natura composto e composito e in cui è necessario che il coordinamento, i tempi e i luoghi siano il più possibile definiti.
Abbiamo qui combinato le indicazioni derivanti da due strumenti diversi, una survey e una riunione, a cui hanno partecipato sostanzialmente lo stesso gruppo di individui.
Come spesso accade nelle survey di questo tipo, i giudizi erano largamente favorevoli e concentrati intorno a valori mediamente positivi, con i valori sotto il 5 erano di fatto inesistenti.
Non è tuttavia possibile assumere questi risultati come indicazioni certe dei punti di forza e di debolezza del progetto poiché si basano su un totale di solo 22 soggetti. E' inoltre possibile che i soggetti che hanno risposto alla survey siano un piccolo gruppo particolarmente "fedele" al progetto. Dobbiamo tenere presente che molte persone inizialmente interessate hanno poi interrotto la loro collaborazione. Proprio per questo motivo, anche se debole dal punto di vista statistico, la survey offre spunti di critica e di ripensamento di cui intendiamo fare tesoro. Fra questi, la difficoltà di offrire una formazione adeguata su un problema complesso. Benché questa difficoltà sia in parte attribuibile alla natura stessa del problema, è necessario pensare a sessioni formative diverse (utilizzo di esempi, nozioni più chiare di psicopatologia, tra le molte cose ipotizzabili). La relativa scarsa frequenza di ragazzi con stati mentali a rischio e quindi la poca "concretezza" del problema è un altro aspetto importante, collegato alla impossibilità di farne esperienza diretta, e di mettere in campo, testare e affinare competenze, idee e progetti. A questo si collega la poca utilità dei contatti con le Equipe Giovani del progetto, dovuta anche ai pochi o nulli contatti avuti. Anche su questo è necessario un ripensamento dei rapporti tra le due componenti e che superi realmente la separazione tra di esse.
Il lavoro di rete, aspetto positivo più citato nella survey, suggerisce inoltre l'importanza di un fattore che possiamo considerare aspecifico e consistente nello spazio di partecipazione sociale offerto, indipendentemente dall’obiettivo identificato. Riteniamo che questo dato meriti una riflessione approfondita, che intendiamo condurre a breve con gli stessi partecipanti ai Board. E’ possibile che esso vada collegato al bisogno dei soggetti della comunità di impegnarsi e di identificare tematiche che giustifichino la loro mobilitazione. In questo senso, la finalizzazione all’obiettivo può essere stata ritenuta meno importante. Se da una parte questa sorta di “dispersione” delle risorse è intrinseca del lavoro di mobilitazione comunitaria e di prevenzione primaria, ci invita tuttavia a lavorare ad una più chiara definizione degli obiettivi e ad una maggiore focalizzazione delle azioni su di essi. Va quindi riconosciuto che il progetto non si è dotato di modalità di verifica per valutare se la formazione fornita permettesse di raggiungere gli obiettivi di conoscenza desiderati, né per capire in quale misura il Board ha potuto contribuire all’identificazione e all’invio alle Equipe Giovani di casi ritenuti a rischio.
Le comunità delle minoranze immigrate hanno testimoniato la preoccupazione crescente per la gestione del vissuto di un’identità incerta, doppia e comunque sempre da costruire e proteggere, con i possibili rischi di disgregazione e violenza, oltre che di disagio mentale. Queste comunità hanno visto la partecipazione al progetto come un’occasione di sensibilizzare ai temi della salute mentale, trascurati e temuti dalle famiglie, e come un’occasione per l’integrazione e quindi per la prevenzione della deriva dell’isolamento e dell’aggregazione a gruppi estremisti.
La scuola è stata una grande protagonista di questa esperienza. E’ stata colta la necessità di essere più attrezzati nel riconoscimento delle persone con disturbi mentali o che ne presentano segnali non trascurabili e nel supporto ad essi, senza una delega immediata e completa ai servizi di salute mentale. Il mondo della scuola ha mostrato qui tutta la sua ricchezza e complessità, con risposte e livelli di partecipazione diversi.
I giovani sono stati invece i grandi assenti. Nonostante abbiano mostrato di raccogliere con serietà l’invito a ragionare sul disagio mentale e nonostante alcuni giovani delle minoranze etniche abbiano lavorato con impegno esemplare, non è stato fatto uno sforzo sufficiente per coinvolgerli nella programmazione e nell’orientamento del progetto fin dal suo inizio.
Sono emersi numerosi aspetti critici del lavoro condotto, di cui vorremmo avere la maggior consapevolezza possibile. Inoltre, non disponiamo di strumenti per quantificare l’entità e gli effetti della mobilitazione comunitaria legata al progetto. E’ difficile anche capire, al momento, che cosa abbia contribuito alla maggiore o minore attivazione del Board e alla creazione di attività nei diversi centri. E' noto, d’altra parte, quanto difficile sia questa sfida, che riguarda molta attività preventiva. Eppure, molti elementi hanno reso “indimenticabile” e fondamentale questa esperienza. In tutti i centri sono state attivate nuove realtà, costruite nuove reti, rese consapevoli più persone, fatto del tema della malattia mentale grave un tema accostabile al di fuori dei contesti specialistici. E' stata data ai giovani la possibilità di esprimersi sul disagio mentale grave. Riteniamo che questo passaggio sia stato fondamentale. Ad esempio, il concorso indetto nelle scuole superiori di Grosseto ha prodotto un video in cui è stata presentata una breve storia di isolamento, sofferenza, malattia. Il video parlava di una dialettica tra visibile e invisibile della sofferenza, del suo linguaggio incomprensibile, ma a piccoli tratti decifrabile, di una comprensione approssimata della malattia ma sufficiente a vederla come richiesta di aiuto, nonché della speranza, della prospettiva sul futuro e dell'importanza della vicinanza tra le persone.
Vi è poi l’asse rappresentato dai servizi coinvolti, ciò che i servizi stessi hanno guadagnato da questa esperienza. Riteniamo che anche per molti operatori si sia trattato di un’esperienza “indimenticabile”, l’occasione di "realizzazione di un sogno". E’ stata opportunità di contaminazione, di visione della sofferenza nella prospettiva dei non esperti, un toccare con mano le difficoltà della malattia mentale o dei suoi prodromi quando questa si muove nella realtà quotidiana, tra paura, stigma, mancanza di competenze e di risorse anche da parte di chi vuole aiutare. In ultima analisi, i servizi hanno sperimentato come modificare la propria “prospettiva” spostando l’asse verso la prevenzione con la comunità, e lavorandosistematicamente su progetti realizzabili e concreti, verificando i risultati ed orientando conseguentemente obiettivi e strategie.
Questa breve esperienza ha aggiunto, anche se in modo non strutturato, nuove e dirette conoscenze e indicazioni per il rafforzamento del lavoro preventivo nella comunità e per l’empowerment di comunità. Gli aspetti di cui riteniamo si debba lavorare meglio sono: il rafforzamento dei contatti tra i soggetti della Coalizione Comunitaria e i servizi specialistici; una formazione più intensa e che faccia uso di esperienze, esempi, con incursioni negli aspetti di psicopatologia; la creazione di una leadership chiara, come anche indicato dalla letteratura scientifica (Anderson et al 2015) e la strutturazione del percorso, in modo che i gruppi sostengano meglio i tempi lunghi di gestazione delle idee; la quantificazione dell’entità della mobilitazione e i risultati dell’azione della mobilitazione stessa; il coinvolgimento più ampio in fasi più significative del progetto dei giovani.
Abbiamo percorso qui un breve tratto di una strada ormai aperta, ma sulla quale molti si avviano per poi abbandonarla presto a causa degli ostacoli che vi si incontrano e dell’incertezza del suo punto di arrivo. Non possiamo far altro che raccogliere e organizzare esperienze ed elementi di riflessione per tentare di nuovo, confidando di poter fare passi avanti.
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