Volume 14 - 6 Aprile 2017

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Le complesse implicazioni della comunicazione umana tra relazione e disintermediazione nell'era del web

Autore
RIASSUNTO

Il web è la nuova frontiera della comunicazione umana. Errato vedere la comunicazione umana come una semplice competenza. Le implicazioni sono molteplici e complesse. A partire dagli assiomi della pragmatica della comunicazione umana della scuola di Palo Alto, il saggio intende dare la panoramica delle scienze che intervengono nella complessità degli studi sulla materia. L'auspicio è la cooperazione tra studiosi ed esperti finalizzata a definire regole e paradigmi del nuovo «sistema sociale» che il digitale oggi rappresenta.


ABSTRACT

The Web is the new frontier of human communication. Human communication should not be seen as mere competence since there are many complex implications. Starting with the axioms of the pragmatics of human communication of Palo Alto studies, this essay provides an overview of the science involved in the complexity of research in this field. The hope for the future is cooperation between scientists and experts aimed at defining rules and paradigms of the new "social system" that digital technology represents in this era.


Quando Umberto Eco, filosofo e semiologo (1), insieme ad altri, propose di istituire il corso di laurea in "scienze della comunicazione" nel 1992 a Siena, Torino e Salerno, avrebbe voluto che da concetto «filosofico» della comunicazione si passasse ad un consolidamento composito degli studi sulla comunicazione, prendendo, appunto, da alcune «scienze» quali la linguistica, la semiotica, l'informatica, la sociologia, la psicologia, la psichiatria, l'antropologia culturale, la neurolinguistica, e da altre affini, gli approfondimenti che determinano il mondo della comunicazione stessa. I piani di studi di questo corso di laurea dovrebbero servire a comprendere la complessità del tema che, se conosciuto attraverso gli aspetti multidisciplinari di cui è costituito, offre sicuramente prospettive diverse.

Cercherò di rappresentare quanto sia complesso il mondo della comunicazione e, soprattutto, quanto, nell'era che stiamo vivendo, il combinato disposto tra tecnologia e mente umana sia un fenomeno da approfondire, studiare e mediare al fine di preservare non solo la vera libertà individuale di vita ma anche la "sicurezza sociale".

La storia della comunicazione fa partire gli approfondimenti dagli studi sull'oralità e la scrittura, perché in effetti qualsiasi atto comunicativo parte dalla parola, scritta o parlata, letterale o simbolica, fatta di segni o di rappresentazioni, consapevoli che «l'incastro armonico tra nome e verbo diventa la spina dorsale del linguaggio e del pensiero umano».(2)

La prima vera rivoluzione teorica sulla comunicazione, però, ha inizio dagli studi sul campo di Gregory Bateson, Paul Watzlawick, Janet Helmick Beavin, Don D. Jackson ed altri (3), che negli anni sessanta a Palo Alto, realizzarono approfondimenti e osservazioni sul campo riguardanti la pragmatica della comunicazione, vale a dire, in estrema sintesi, la capacità di provocare degli eventi nei contesti di vita attraverso l’esperienza comunicativa, sia nella sua forma «verbale» che in quella «non-verbale».

Partire dalla Scuola di Palo Alto, permette di descrivere gli «assunti» fondanti la comunicazione umana per introdurre tutte le implicazioni che altre scienze o discipline analizzano e teorizzano.

L'analisi degli studiosi di Palo Alto si concentrò sui sistemi relazionali caratterizzati dalla comunicazione patologica in ambito familiare (quindi un contesto con relazioni molto stringenti) per poi allargare l'orizzonte all'interno di un qualsiasi contesto interpersonale. Dalle osservazioni comportamentali, ne scaturirono alcune teorizzazioni, tra cui la definizione di cinque assiomi che ben rappresentano il complesso groviglio del mondo della comunicazione umana.

L'aver codificato il primo assioma nel «non si può non comunicare», vale a dire qualsiasi comportamento, in situazione di interazione tra persone, è ipso facto una forma di comunicazione (non esiste un non-comportamento), è prorompente. Pensiamo al silenzio: è esso stesso comunicazione. E la sua interpretazione è legata al contesto e alla referenza. «Il silenzio è parte integrante della comunicazione e senza di esso non esistono parole dense di contenuto (...)» (4). Anche nei nostri «non detti», con i nostri atti mancati c'è inevitabilmente significato, percepibile a un interlocutore, non a caso Roland Barthes parlava di semiotizzazione di una realtà quotidiana che si fa testo da interpretare, nelle sue più diverse forme e funzioni.(5) Quindi la comunicazione può essere anche involontaria, non consapevole e non intenzionale ma sempre di un comportamento si deve prendere atto.

Nell'atto comunicativo esistono un aspetto di contenuto e uno di relazione: questo concetto rappresenta il secondo assunto. Dal punto di vista della comunicazione tra due persone, ogni atto, oltre a trasmettere informazione, implica un impegno tra i comunicanti e definisce la natura della loro relazione. E' qui che per la prima volta si teorizza il concetto di «meta-comunicazione», che ha un'importanza fondamentale per tutti i processi comunicativi interpersonali, in quanto determina il grado di coerenza tra ciò che viene detto e come viene detto: affermazione verbale (comunicazione) e comunicazione non verbale (esempio il tono della voce rispetto al contenuto dell'affermazione) . Nella meta-comunicazione si esplicita la relazione tra i comunicanti. E attraverso la meta-comunicazione, si sviluppa la consapevolezza del Sé, la coscienza degli individui coinvolti nell’interazione. È essenziale che ognuno dei comunicanti sia consapevole del punto di vista dell’altro e del fatto che anche quest’ultimo possieda questa consapevolezza (concetto di percezione interpersonale). Questo assunto è fondamentale, dicevo, soprattutto per l'analisi delle relazioni patologiche tra persone. È al tempo stesso molto utile nell'ambito della comunicazione strategica, in quanto, non tenendone conto, ne conseguono i maggiori errori di strategia comunicativa perché qui si gioca gran parte di una relazione costruttiva e fiduciaria «uno a uno» e «uno a molti».

Il terzo assioma si può così riassumere: «il modo di interpretare una comunicazione dipende da come viene punteggiata la sequenza delle comunicazioni fatte». La comunicazione è un continuo alternarsi di flussi comunicativi da una direzione all’altra, è una circolarità di informazioni, le variazioni di direzione del flusso comunicativo sono scandite dalla punteggiatura e il modo di leggerla è determinato dal tipo di relazione che lega i comunicanti. Questa tende a differenziare la relazione tra gli individui coinvolti nell’interazione e a definire i loro rispettivi ruoli. L'assioma appena descritto si lega agli studi sulla percezione e, in particolare, della psicologia cognitiva, altro pilastro delle scienze della comunicazione. Nel cosiddetto «cognitivismo» vi sono confluiti i contributi di diverse discipline quali la psicologia sperimentale di impronta neocomportamentista, la linguistica, la teoria dell'informazione e la cibernetica, le neuroscienze e la filosofia della mente. Tutte discipline oggi come oggi più attuali che mai e di fondamentale importanza soprattutto per gli studi sul comportamento in particolar modo riferito all'interazione uomo-macchina, il comportamento umano in rapporto al web inducendo a considerare aspetti molto profondi come il potere che quest'interazione mediata può avere nel plasmare la nostra attività cerebrale.(6) Su questi argomenti il dibattito è agli inizi e non ha una sua sistematizzazione. (7)(8)(9)(10)

Il quarto assioma definisce la comunicazione in modo «numerico» (verbale) e «analogico» (non verbale). Le parole (comunicazione verbale scritta o parlata) sono segni arbitrari e privi di una correlazione con la cosa che rappresentano e permettono una manipolazione secondo le regole della sintassi logica che le organizza. Gli esseri umani comunicano però anche per immagini (comunicazione non-verbale): pensiamo al linguaggio dei sordo muti, ad esempio, o semplicemente alla gestualità attraverso le mani, il corpo, gli occhi o le espressioni del viso. Non solo. Questo assioma si lega agli studi della linguistica e della semantica. La semantica è quella parte della linguistica che studia il significato delle parole ed è una scienza in stretto rapporto con altre discipline, come la semiologia, la logica, la psicologia, la teoria della comunicazione, la stilistica, la filosofia del linguaggio, l'antropologia linguistica e l'antropologia simbolica.

È importante, a questo punto, far presente che i fenomeni comunicativi vengono classificati ugualmente da semiologi, logici e linguisti secondo tre livelli a cui corrispondono tre diversi campi disciplinari:
- la sintassi, che studia l'ordinamento dei codici e delle lingue, la loro organizzazione e combinazione
- la semantica, che si occupa del rapporto tra le lingue, i codici e i segni e gli oggetti; si distingue a sua volta in semantica referenziale o logica in quanto studia il riferimento dei segni e le nozioni connesse con quella di verità; e altre forme di semantica (componenziale, strutturale, concettuale etc) che si occupano del vero e proprio significato in senso concettuale
- la pragmatica, che si concentra sul rapporto fra comunicazione, interlocutori e ambiente (contesto).

Il quinto e ultimo assioma della pragmatica della comunicazione derivante dagli studi della scuola di Palo Alto, è l'assioma che definisce come tutti gli scambi comunicativi sono simmetrici o complementari, a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza. Su questo assioma si giocano i ruoli tra gli interlocutori ed è importante considerare il contesto in cui si svolgono i comportamenti.

Elencando gli assiomi e i loro significati è venuto naturale elencare anche quelle «scienze» che hanno un'implicazione forte nei processi comunicativi e, primo tra tutti l'uso della parola e dei segni.

schema comunicazione

È comprensibile, inoltre, che ogni atto comunicativo debba essere contestualizzato e che ogni strategia comunicativa debba tenere conto di un'analisi attenta degli attori in campo (emittente e ricevente), degli strumenti di comunicazione (mezzi o canali), del linguaggio e della sua codificazione o strutturazione che sarà diversa a secondo del ricevente, del mezzo usato e del contesto in cui si agisce. (11)
Che si comunichi in modo interpersonale o che si usi un qualsiasi strumento di comunicazione, compreso il web e le sue forme di «autocomunicazione di massa» (12) (twitter, facebook, blog, etc) la «parola» o il «segno» e quindi l'immagine, risultano essere il comune minimo denominatore.

Le parole sono potenti, hanno un peso, rappresentano un significante e un significato e vanno usate con cura. Passare dalla parola alla strutturazione del linguaggio è ancora più complesso perché, in primis, entrano in gioco processi cognitivi importanti tra gli interlocutori che partono da mappe mentali diverse e rappresentazioni della realtà secondo l'esperienza (sistema concettuale) e la percezione.

«Un testo è un prodotto la cui sorte interpretativa deve far parte del proprio meccanismo generativo: generare un testo significa attuare una strategia di cui fan parte le previsioni delle mosse altrui - come d'altra parte in ogni strategia. Nella strategia militare o scacchistica, diciamo in ogni strategia di gioco, lo stratega si disegna un modello di avversario. Se io faccio questa mossa, azzardava Napoleone, Wellington dovrebbe reagire così. Se io faccio questa mossa, argomentava Wellington, Napoleone dovrebbe reagire così. (...) L'analogia può essere inficiata solo dal fatto che, in un testo, l'autore vuole di solito far vincere, anziché perdere, l'avversario.»(13)

Nel processo comunicativo, entra anche in gioco lo strumento o canale attraverso il quale vogliamo far passare il messaggio e qui, tenendo conto della teorizzazione del linguista canadese Mc Luhan che "il mezzo è il messaggio" si apre il mondo dei media e dell'efficacia comunicativa attraverso gli stessi. L'aver intuito questo passaggio fondante delle teoria e tecnica delle comunicazioni di massa stabilisce, per chi comunica, che ogni strumento ha il suo linguaggio e la strutturazione dello stesso segue logiche che sono in stretto collegamento con le caratteristiche dello strumento e con le capacità di interpretazione dell'interlocutore, fermo restando che molto spesso l'intenzione mediata è finalizzata alla manipolazione o comunque induce all'interpretazione.

Quanto sopra descritto è una sintesi molto estrema che pure rende l'idea degli intrecci tra discipline che aiutano a comprendere le implicazioni dei fattori e la portata degli effetti della comunicazione nel contesto in cui l'atto comunicativo si verifica.

Per questo motivo studiarne i fenomeni che la interessano è «vitale». Ho usato questo termine non a caso. Tra i suoi significati (cito l'enciclopedia Treccani) vitale ha il seguente: « che dà e mantiene la vita, necessario per la vita, per la sopravvivenza»: per una sana sopravvivenza della specie umana, ritengo di aggiungere.

Negli anni in cui la televisione aveva soppiantato la radio e non c'era ancora internet, i massmediologi e in particolar modo studiosi di pedagogia (Popper è il primo tra questi) hanno insistito come essa abbia la capacità di influenzare i comportamenti soprattutto dei bambini e dei giovani. Dall'osservazione sul campo, Popper aveva, infatti, gridato l'allarme dell'aumento di cattiveria e violenza nei bambini che guardavano molta tv, a tal punto da essere appellata «cattiva maestra» e da auspicare addirittura una scuola per produttori televisivi al fine di renderli più consapevoli e responsabili delle conseguenze dell'educazione di massa che la tv realizza.(14)

L'attenzione più che sui programmi televisivi e sui produttori, si è concentrata su codici di autoregolamentazione delle emittenti, nulla a che vedere con la produzione di contenuti che, anzi, hanno riscontrato soprattutto negli ultimi vent'anni un'escalation di produzione di serie tv che propongono temi sempre violenti e subliminali.

Nell'era di internet si realizza la convergenza degli strumenti di comunicazione di massa (crossmedialità). Qui tv e radio ritrovano un proprio spazio, si intrecciano con i blog e soprattutto i social. Siamo passati dall'era delle comunicazioni di massa a quella dell'«auto-comunicazione di massa» ed i pericoli si sono moltiplicati e si moltiplicano a dismisura.

Oggi più che mai è opportuno riflettere sull'educazione all'utilizzo del mezzo che porti ad una doppia consapevolezza: quella di fruitore e quella di comunicatore, in particolar modo per le giovani generazioni.

Per comprendere quello che intendo dire, ma soprattutto la posta in gioco, ritengo fare un passo indietro e riportare una riflessione espressa da Nicholas Carr: «A un certo punto mi accorsi che la rete esercitava su di me un'influenza molto maggiore rispetto a quanto non facesse il mio vecchio computer privo di connessioni. Non era soltanto perché trascorrevo così tanto tempo a fissare lo schermo di un computer. Non era nemmeno solo perché ormai le mie abitudini e i miei ritmi di lavoro stavano cambiando, a mano a mano che mi abituavo ad usare il web ed ero più sempre dipendente dai siti e dai servizi della rete. Sembrava cambiato il modo stesso in cui il mio cervello funzionava. E' stato allora che ho cominciato a preoccuparmi della mia incapacità di prestare attenzione a un'unica cosa per più di due minuti. All'inizio pensavo si trattasse di un tipico rimbambimento di mezza età. Ma mi accorsi che il mio cervello non stava semplicemente andando alla deriva. Era affamato. Chiedeva di essere alimentato nel modo in cui la rete lo alimentava, e più veniva alimentato e più aveva fame. Anche quando ero lontano dal computer bramavo di controllare le e-mail, di cliccare sui link, di usare google. Volevo essere connesso. (...) intuivo che internet mi stava rendendo qualcosa di molto simile ad una macchina per elaborare dati ad alta velocità, una sorta di Hal umano»(8).

La riflessione di Carr pone una questione importante per il dibattito tra gli addetti ai lavori. E' un punto di vista molto interessante se consideriamo che, nella realtà dei fatti, siamo già oltre questa situazione. Superato l'approccio degli studi mente-computer, l'era di internet e soprattutto l'introduzione di strumenti quali lo smartphone in cui converge tutta la tecnologia utile alla comunicazione che usa immagini e parole, la disponibilità del mezzo «illimitata» (oltre lo spazio e il tempo), dei social e dei milioni di canali nelle piattaforme web, sta facendo emergere problemi di vario genere che meritano attenzione e riflessione da parte di studiosi, psichiatri e autorità.

È compito dei vari studiosi delle discipline della comunicazione, infatti, comprendere l'ambito educativo efficace per creare consapevolezza per l'utilizzatore-protagonista dello strumento. La self-communication ci pone di fronte a un dato incontrovertibile: tutti siamo internauti, non esiste un luogo per imparare, ci si approccia con estrema superficialità e avventura e poca prudenza e conoscenza. Come accade quando si prende il porto d'armi per andare a caccia, che si studiano le regole e gli ambienti, gli animali cacciabili e non cacciabili, e non ultimo il fucile in sicurezza e nella consapevolezza che qualsiasi deviazione provoca un reato perché si può uccidere o essere uccisi, così per navigare in internet ed essere protagonisti della propria comunicazione mediata attraverso i canali che il web offre, l'auspicio è che questo accada attraverso un minimo di preparazione e conoscenza basata su regole comuni e condivise.

Ormai è appurato che anche l'uso di internet crea dipendenza(15) come è altrettanto appurato la consapevole o inconsapevole violenza che le persone fanno a sé stesse e agli altri attraverso violazioni di privacy, di immagine, di attacchi verbali e non solo, che se denotano la degenerazione dell'etica comportamentale da una parte, dall'altra sono la conseguenza di una totale ignoranza delle insidie dello strumento (come il fenomeno del Deep Web non molto conosciuto) e dei suoi canali, delle trappole, delle manipolazioni occulte e dei pericoli rispetto alla propria libertà personale di cui è impregnato internet. È forse tra i compiti di psichiatri e psicologi comprendere la portata deviante del comportamento umano di fronte all'abuso incondizionato del web e delle sue forme di relazione? È una domanda.

Infine, non ultimo, è il caso di porsi altre domande a cui non necessariamente è da dare una risposta immediata, ma solo per il fatto di strutturarle viene dato avvio a un percorso per arginare le conseguenze di una realtà sottovalutata.

Alcune riguardano come difendersi dalle informazioni bufala che si trovano sul web e quindi come cercare informazione corretta e riconoscerne il valore. Come evitare di entrare nel mirino di qualcuno e poi di molti in un atto di cyberbullismo. Come evitare di essere controllati negli spostamenti quotidiani. Come evitare di perdere la propria identità. Come non diventare il logorroico blogger che tutti offende e calunnia o che riporta fatti in contrasto con un codice di comportamento ed etico. Come evitare di diventare un video o foto virali. Come vincere la dipendenza dal web. E così via.

Sono solo una minima parte delle domande che è possibile formulare di fronte all'inconsapevolezza del mare magnum che rappresenta il web sulle quali, oggi come oggi, le autorità possono poco.

In realtà ciò che si sta prefigurando è la strutturazione del nuovo mondo in cui vivremo. Se c'è chi ha realizzato Google, Facebook e twitter, sicuramente da qualche parte del mondo spunterà fuori chi sta studiando il modo di realizzare un sistema per aiutare a riconoscere i siti autorevoli, offrire a pagamento servizi di certificazione della fonte dell'informazione, controllare sull'eventuale manipolazione e monitorare sulla sicurezza dei canali, una specie di «Fort Knox», metaforicamente parlando. Dall'altra chi avrà qualcosa di sensato da dire troverà di suo interesse aderire ad un servizio del genere. Il fruitore dell'informazione di primo impatto avrà quindi certezza di uno scambio sicuro di comunicazione per acquisire ciò che sta cercando nel rispetto di un codice etico e comportamentale condiviso, che, peraltro in rari casi sporadici esiste già.

Tutte le misure di sicurezza che saranno prese, tutte le certificazioni che acquisiranno i siti in fatto di corretta informazione e sicurezza, non salvaguarderanno mai in toto l'azione umana non consapevole.

Con il web la comunicazione è passata ad una relazione “molti a molti” e siamo solo all’inizio di un nuovo paradigma in cui la disintermediazione è il cardine e i cui contorni si muovono e cambiano velocemente.

Il digitale rappresenta il «nuovo mondo»: si va oltre la convergenza tra mezzi di comunicazione. Si va verso la considerazione che il web è e sarà sempre di più un «sistema sociale».

L'unica mediazione utile è quella ragionata ed educativa.
Nel web tutto intorno a quello che potremmo considerare Fort Knox è e resterà il far west. Nel far west le strade sono infinite e non tutti i sentieri battuti sono sicuri, pertanto meglio essere armati.

L'uso della metafora a questo punto dell'articolo è voluta. (16) È chiaro: l'«armamento» è la conoscenza che dà la possibilità di rendere l'individuo «coscienziosamente e consapevolmente» libero di agire.

Ecco che su questi temi si apre la prospettiva della «filosofia della comunicazione» che «consiste nell'interrogarsi sul senso e sull'importanza dei fenomeni che chiamiamo comunicazione rispetto alla condizione umana, nel comprenderli come particolarmente rilevanti rispetto a ciò che ci definisce come specie e come possibilità di pensiero, tenendo presente però la dimensione storico-culturale, più che quella biologica, dell'umano.»(17)

La visione di Umberto Eco e degli altri che contribuirono a fondare una facoltà così composita quale è o dovrebbe essere considerata Scienze della comunicazione non ha avuto ancora tempo e modo di realizzarsi, almeno nel nostro paese. Era una visione molto consapevole e forgiata su una sofisticata conoscenza dei mondi della comunicazione che va contro al sentire diffuso e comune in cui si banalizzano tutti i processi comunicativi nella visione riduttiva della semplice competenza individuale.

La realtà dei fatti sta dando ragione a quell'intuizione visionaria. E' quindi opportuno, ora come ora, dare forza cooperativa agli studi, alle riflessioni, alle conoscenze di quei mondi, sottolineando che non perché la comunicazione è una competenza individuale siamo tutti esperti di comunicazione.


BIBLIOGRAFIA

1. U. Eco, Trattato di semiotica, Bompiani, Bompiani, 1975

2. A. Moro , Parlo dunque sono, Adelphi, 2012

3. P.Watlawick e altri, Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, 1978

4. D.E. Viganò, Fratelli e sorelle buonasera, Carocci Editore, 2016

5. R.Barthes, Elementi di semiologia, Einaudi 1966

6. M. Castell, La nascita della società in rete (UBE), 2008

7. J.Assange, Internet è il nemico, Feltrinelli, 2012

8. N. Carr, Internet ci rende stupidi? ,Cortina editore, 2011

9. E. Pariser, Il Filtro, Il saggiatore, 2011

10. G.Rizzolatti - C. Sinigaglia, So quel che fai, Cortina Editore, 2006

11. R. Jakobson, Saggi di linguistica generale, Feltrinelli, 2008

12. M. Castells, Comunicazione e potere, ETAS, 2014. Castells teorizza con il nuovo termine «auto-comunicazione di massa» ciò che avviene attraverso i canali del web, spiegando così questa fusione di termini: da una parte è comunicazione di massa, perché va da molti verso molti; dall’altra è “auto-comunicazione”, perché il mittente elabora in modo autonomo il messaggio e lo trasmette alle sue reti di destinatari.

13. U.Eco, Lector in fabula, Bompiani Milano, 1979

14. K. Popper, Cattiva maestra televisione, Marsilio editore, 2002

15. Cantelmi T. Talli M. Del Miglio C. D’Andrea A. (2000) La mente in Internet Padova:. Piccin Cantelmi T. (2000) Cyberspazio e rischi psicopatologici: osservazioni cliniche in Italia", in: Gruppi nella clinica nelle istituzioni, nella società Il giornale della COIRAG, gennaio-giugno 2000, F. Angeli, Milano Oliverio Ferraris A. e Malavasi G. (2001). La Maschera dei Desideri. Psicologia Contemporanea Young K. S. (2000) Presi nella Rete Calderoni, Bologna

16. G. Lakoff, M. Johnson , Metafora e vita quotidiana, Bompiani, 1998. George Lakoff e Mark Johnson analizzano la forza simbolica e performativa della metafora, usata per stabilire un contatto immediato con l'interlocutore, grazie alla considerazione che i processi cognitivi sono per la maggior parte metaforici, cioè il sistema concettuale umano è strutturato metaforicamente.

17. U. Volli, Lezioni di filosofia della comunicazione, Laterza, 2008