EDITORIALE - Pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà
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La celebre espressione di Romain Rolland, ripresa da Antonio Gramsci – “pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà” – rappresenta bene la nostra posizione di operatori impegnati nei servizi pubblici di salute mentale e lo sforzo, che proviamo a mettere in atto quotidianamente, per mantenere alte visione ed azione terapeutica in un contesto di cura in grande difficoltà e criticità.
Se da un lato è importante mantenere uno sguardo lucido e consapevole sulle carenze dei Servizi e sulle difficoltà nelle declinazioni pratiche della cura, dall'altro ci sembra importante sostenere la speranza e la fiducia in un cambiamento possibile.
È un equilibrio delicato tra ragione disincantata e passione nel nostro ruolo di curanti, tra consapevolezza dei limiti esistenti e desiderio di oltrepassarli.
L’intelligenza critica ci mostra i vincoli sempre più stringenti in cui operano i servizi: risorse ridotte, sovraccarico burocratico, frammentazione delle reti, crescente complessità dei bisogni. Ogni operatore ne fa esperienza quotidiana. Eppure, proprio da questa consapevolezza può nascere un nuovo modo di abitare la realtà, fondato sulla responsabilità condivisa e sulla capacità di mantenere viva una tensione etica e affettiva verso l’altro.
Ritrovare senso nel proprio agire professionale diventa allora necessario. Il “mestiere di vivere” consiste nel dare senso. Anche nei luoghi della sofferenza psichica, dove la parola rischia di perdersi e il gesto professionale di svuotarsi, dare senso significa restare fedeli all’idea che ogni incontro possa ancora produrre trasformazione, seppur minima, provvisoria, limitata.
Dobbiamo sempre tener conto che il senso non è dato una volta per tutte, si costruisce nel tempo dedicato, nel dialogo, nella reciprocità, nell’ascolto che riconosce la singolarità di ogni persona e di ogni storia.
La volontà è ciò che ci consente di non cedere alla stanchezza e al cinismo, è la forza silenziosa che sostiene la cura quando il contesto istituzionale sembra non riconoscerla più:
- proponendo pratiche dialogiche e democratiche, gruppalità, aperture e inclusioni comunitarie, sostenendo un linguaggio polifonico e creativo.
La creatività è la risorsa che permette di riaprire spazi di possibilità dentro sistemi rigidi, di inventare risposte quando procedure e protocolli non bastano, di dare forma a nuove connessioni tra persone, servizi e comunità. - mantenendo la speranza — la più fragile e insieme la più necessaria e etica postura per orientare il futuro: non una proiezione ingenua, ma l'unica possibilità di restare aperti al possibile anche quando tutto sembra definitivamente chiuso.
Nella pratica quotidiana dei servizi pubblici di salute mentale, queste parole non sono astrazioni. Esse costituiscono il tessuto vitale che tiene insieme professionisti, utenti e istituzioni in un’alleanza sempre da rinnovare.
La speranza diventa così un orientamento operativo; la creatività, una competenza organizzativa; la volontà, una risorsa politica; l’affettività, un linguaggio relazionale; e il senso, il filo che unisce e dà forma a tutto questo.
Ritrovare senso nel nostro operare significa allora custodire il nucleo originario della psichiatria di comunità: la fiducia nella possibilità di cambiamento, dell’individuo e del contesto, della sofferenza e delle istituzioni che la accompagnano. Solo unendo la lucidità della ragione al coraggio della volontà possiamo continuare, “insieme” a dare significato al nostro lavoro e, con esso, al mestiere umano della cura.
Il recente Piano di Azione Nazionale per la Salute Mentale, soprattutto relativamente all'indicazione di realizzare dipartimenti integrati (SMA-SMIA-Serd) e con équipe realmente multiprofessionali e multidisciplinari, potrebbe aiutare in questa direzione, ma solo se declinato in pratiche terapeutiche dialogiche e accompagnato da un congruo impegno in termini di sostenibilità finanziaria.
Anche in questo numero la Rivista ospita contributi ed articoli fortemente orientati alle pratiche di Salute Mentale di Comunità, nel tentativo di descrivere un lavoro complesso ma bellissimo, mai concluso e in dinamico divenire, nel desiderio di motivare e contagiare positivamente tutte le persone che a vario titolo e ruolo credono, da cittadini, utenti, operatori, amministratori all'importanza e all'urgenza della Salute Mentale come bene comune.
In questo numero Fedele Maurano, Caterina Nuzzo, Rosa D’Avino, Raffaella Del Vasto, Fernanda Iannoni, Gabriele Iovine, Mauro Migliazza, Teresa Perretta, Maria Antonella Pirone e Oriana Scicolone propongono l’esperienza di un Gruppo Aperto di Psicoterapia condotto da un Centro di Salute Mentale nel quartiere Sanità di Napoli. L’intervento, che si ispira al modello multifamiliare di J.G. Badaracco e integra riferimenti teorici gruppali, offre supporto psicologico in un contesto complesso, dove si evidenzia il valore trasformativo del gruppo come spazio di cura, condivisione tra pari e incontro tra soggettività diverse, ma anche il valore del gruppo come inclusione e contrasto allo stigma.
Questo intervento è stato pensato in un contesto urbano caratterizzato da molteplici criticità sociali, culturali e forti pressioni emergenziali per offrire, pur in carenza di risorse, un supporto psicologico ad un numero elevato di utenti, in uno spazio terapeutico accessibile e continuativo.
Il gruppo è coordinato, con un approccio multidisciplinare, da psicologi, psichiatri, educatori e infermieri del Centro di Salute Mentale. L’équipe attiva processi di pensiero complesso e supervisioni costanti, consentendo una lettura multidimensionale delle dinamiche gruppali. Per abbattere lo stigma sociale, promuovere un ruolo attivo all’interno della comunità e favorire la riflessione su tematiche specifiche, sono stati svolti incontri itineranti presso associazioni, centri culturali e contesti aggreganti presenti sul territorio. In particolare, sono stati svolti incontri itineranti presso la Chiesa Santa Maria Maddalena ai Cristallini del Rione Sanità, esempio concreto di rinascita comunitaria e bellezza condivisa; l’Associazione “Forti Guerriere”, che offre accoglienza, ascolto e supporto alle donne in difficoltà; il Centro “La Tenda”, che da anni si occupa di persone in condizione di fragilità, con una particolare attenzione ai senza fissa dimora.
Questa apertura alla comunità è centrale in termini di cura partecipata, ascolto reciproco, corresponsabilità, empowerment individuale e collettivo.
Marco Faldi, Salvatore Inglese, Ottone Baccaredda Boy, Sergio Zorzetto e Giuseppe Cardamone propongono il caso di un paziente che nella sua vita ha condotto una migrazione interna (tra Regioni italiane) e che presenta in età senile un deliroide di affatturamento (o di influenzamento stregonesco), ovvero un’area-limite relativamente alle concezioni deliranti, che appare “comprensibile” e sintonica rispetto a determinati contesti culturali.
Gli autori considerano quindi la necessità di utilizzare una chiave di lettura aggiornata di una configurazione relativamente frequente nella Grande emigrazione internazionale delle popolazioni dell’Italia meridionale. Si fa riferimento al termine Verhexungswahn coniato da Risso e Böker nel 1964, per definire in termini psicopatologici una condizione culturalmente ordinata diffusa nei migranti meridionali italiani incontrati nella clinica universitaria di Berna, che presentavano una peculiare sintomatologia psicopatologica, ricondotta dai pazienti a ritorsioni magiche (quali malocchio e fatture d’amore o di morte) per conflitti erotici e amorosi in corso di migrazione, spesso correlati all’incontro con la sessualità “moderna” delle donne straniere e al richiamo dell’originario mondo femminile e familiare. Nel caso riportato in questo lavoro, in cui emerge una peculiare costruzione delirante, gli autori sottolineano l’efficacia terapeutica derivante dal porsi in una posizione d’ascolto, necessaria per distinguere ciò che è delirio da ciò che è culturalmente determinato.
Stefano Costa e Valentina Roncaglia propongono la valutazione dell’efficacia dell’Individual Placement and Support – Young (IPS-Y), un modello di intervento attraverso il quale i giovani ricevono sostegno nella definizione e realizzazione dei propri obiettivi (scolastici e professionali). L’ IPS-Y è rivolto anche ad adolescenti con disturbi mentali gravi, ovvero ad una tipologia di utenza che in letteratura si associa ad un alto tasso di abbandono dei trattamenti psichiatrici. In questo contesto il fallimento del trattamento, più che alla gravità del quadro o a criteri diagnostici, si correla spesso a fattori quali l'ambiente di vita dei giovani, il modo in cui il trattamento soddisfa le loro esigenze, il coinvolgimento dei caregiver.
L’esperienza, condotta presso la UO di Psichiatria e Psicoterapia dell’Età Evolutiva di Bologna, rivolta a giovani utenti motivati a riprendere o proseguire gli studi e/o trovare un lavoro, documenta come l’approccio centrato sulla persona e integrato nel lavoro d’équipe favorisca un significativo miglioramento del funzionamento sociale e un’elevata adesione al trattamento. I risultati ottenuti — con oltre l’80% di esiti positivi e un tasso di drop-out sensibilmente inferiore ai dati di letteratura — confermano la fattibilità e l’efficacia del modello IPS-Y anche in età evolutiva, sottolineando il valore di percorsi che promuovono protagonismo, autonomia e continuità di cura.
Stefano Lucarelli, Giuseppe Cardamone, Giovanni Castellini, Giulio D’Anna, Simona Dei, Monica Marini e Valdo Ricca presentano il Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA) per i Disturbi dell’Alimentazione e della Nutrizione (DAN) recentemente approvato nella Regione Toscana che si ispira alle linee guida europee e nordamericane per i DAN e alle indicazioni ministeriali italiane. Frutto della collaborazione tra professionisti di area clinica e istituzionale, il documento definisce criteri condivisi per la gestione integrata di queste patologie complesse, valorizzando un approccio multidisciplinare e basato sulle evidenze.
Il Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA) regionale per i Disturbi dell’Alimentazione e della Nutrizione mira a ribadire la necessità di una presa in carico precoce, multidisciplinare ed integrata; uniformare i criteri di attivazione graduale (stepped care) dei livelli di cura; sottolineare l’importanza della continuità terapeutica.
Il PDTA organizza quindi il sistema dei cinque livelli di cura secondo un modello “hub and spoke”, che coniuga prossimità territoriale e centralizzazione dei casi più gravi, promuovendo la continuità terapeutica e la gradualità dell’intensità assistenziale (stepped care). Il lavoro rappresenta un passo importante verso la costruzione di una rete clinica regionale coerente e integrata, orientata a migliorare l’accessibilità, l’appropriatezza e la qualità degli interventi per i disturbi alimentari.
Alessandro Ridolfi, Valentina Panella e Chiara Ghetti propongono una riflessione sull’utilità di integrare la formazione fruita in posizione di discenti con la ricerca clinica come modello di sviluppo professionale per gli psicologi operanti nei servizi pubblici. Gli autori evidenziano come la ricerca applicata, ancora marginale rispetto alla formazione tradizionale, possa invece rappresentare un potente strumento di crescita, miglioramento della qualità delle cure e promozione della cultura istituzionale.
L’integrazione tra formazione sul campo e ricerca clinica è considerata strategica per migliorare la qualità delle prestazioni, l’efficacia clinica e l’efficienza organizzativa, in coerenza con i principi del Governo Clinico, dei Livelli Essenziali di Assistenza e dei Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali. Il contributo sottolinea quindi il valore etico e culturale della ricerca clinica come forma di autoformazione in prima persona, capace di coniugare la pratica assistenziale con la produzione di conoscenza applicata, promuovendo una maggiore accountability professionale e istituzionale.
In questo contesto viene infine presentata in forma riassuntiva una ricerca osservazionale condotta presso l’UOC Psicologia dell’Azienda USL Toscana Centro, relativa a aspetti dissociativi e maladaptive daydreaming nei giovani nel periodo post-pandemico. I risultati mostrano una forte correlazione tra sintomi dissociativi, disagio psicologico e compromissione del funzionamento riflessivo, evidenziando implicazioni rilevanti per l’inquadramento diagnostico e la progettazione di interventi terapeutici mirati.
Raffaele Barone, Vincenzo Messina, Rosario Furneri e Giacomo Sortino propongono un’analisi interdisciplinare dell’autismo, intrecciando prospettive storiche, neuroscientifiche e clinico-sociali, e presentando un modello di intervento innovativo sviluppato nel territorio calatino (ASP di Catania). Dopo aver ricostruito l’evoluzione del concetto di autismo e del “meccanismo di sistematizzazione” (Baron-Cohen), gli autori illustrano il modello Domiciliare–Laboratoriale–Riabilitativo–Multifamiliare, basato sull’integrazione tra servizi sanitari pubblici e cooperative sociali.
Elemento centrale del modello è il gruppo multifamiliare, dispositivo clinico e sociale ispirato alla psicoanalisi multifamiliare e alle pratiche dialogiche, che favorisce processi di soggettivazione, rinegoziazione dei legami e superamento delle simbiosi patologiche, promuovendo una cultura familiare condivisa e la corresponsabilità terapeutica.
L’esperienza calatina dimostra l’efficacia di un approccio comunitario e multidimensionale alla cura dell’autismo, capace di coniugare evidenze scientifiche, sostegno ai caregiver, interventi abilitativi e percorsi di inclusione sociale e lavorativa. Il modello integrato si configura come pratica replicabile di innovazione sociosanitaria, in cui la “virtualità sana” — le potenzialità inespresse del soggetto e della famiglia — diventa asse portante del processo di cura e di promozione della salute mentale.
Afef Hagi, Giuseppe Cardamone e Sergio Zorzetto affrontano la complessità delle esperienze migratorie negli adolescenti, dirette o transgenerazionali, e le implicazioni che esse pongono alla clinica transculturale e ai Servizi di salute mentale. Attraverso una prospettiva etnopsichiatrica e antropologica, gli autori analizzano come l’esperienza migratoria possa essere rimossa o ridotta a distanza culturale incolmabile nella relazione terapeutica, oscurando i costi soggettivi e collettivi del viaggio, nonché la dimensione transgenerazionale dell’evento migratorio, che incide sui processi di filiazione, discendenza e affiliazione, appartenenza e identità.
Particolare attenzione è rivolta alla dimensione linguistica e traduttiva dell’incontro clinico, dove la mediazione linguistico-culturale o l’auto-traduzione assumono valore di attraversamento simbolico tra mondi culturali differenti. L’adolescente migrante diventa così figura paradigmatica della tensione tra appartenenza e spaesamento, tra continuità e frattura, in un contesto sociale attraversato da crisi globali, precarietà e disorientamento generazionale.
L’articolo invita a riconoscere nella differenza culturale e nella molteplicità linguistica non un ostacolo, ma una risorsa per la comprensione psichica e per la costruzione di pratiche cliniche e istituzionali realmente inclusive.
Francesca Scafuto riflette sui temi emersi durante la 64ª Conferenza dell’Accademia di Psicoterapia della Famiglia, dedicata a “Guerre e migrazioni forzate – Perdite e trasformazioni familiari”. In un mondo attraversato da conflitti, genocidi e crisi umanitarie, la psicoterapia viene riletta come atto di resistenza e umanizzazione, capace di restituire dignità, ascolto e connessione. Attraverso le testimonianze di operatori internazionali — da Gaza al Tibet, dall’Ucraina alla Grecia — emerge quanto l’impatto dei conflitti sia devastante sul tessuto sociale, sui bambini e sulle comunità, per cui si rendono necessari interventi che vanno dalla cura di base e rafforzamento delle reti comunitarie, fino alla psicoterapia specialistica. Emerge quindi la necessità di un impegno etico e politico della salute mentale: umanizzare come gesto terapeutico e civile, per restituire voce, memoria e appartenenza a chi l’ha perduta. In questo contesto il perdono, distinto dal dimenticare, si propone come via per elaborare il dolore, favorire percorsi di riconciliazione e prevenzione del trauma transgenerazionale e costruire un futuro di giustizia e riconciliazione.
Maria Cristina Crescenti, Carmela Scala, Manuela Ricci, Federica Linari, Lorenzo Gottarelli, Alessandro Casolini, Carlo Venosa, Lucrezia Carra, Simona Vallata e Roberto Zanfini nel loro lavoro, considerano come negli ultimi anni, nei contesti di emergenza psichiatrica, si è osservato un incremento dei casi di agitazione psicomotoria grave e di delirio eccitato, spesso refrattari ai trattamenti convenzionali con benzodiazepine e antipsicotici. In tali situazioni, la ketamina si configura come un’opzione terapeutica off-label di particolare interesse per rapidità d’azione, sicurezza respiratoria e possibilità di somministrazione intramuscolare anche in pazienti non collaboranti. In uno studio retrospettivo condotto su ventisette pazienti, il controllo dell’agitazione è stato ottenuto nella maggior parte dei casi, con effetti collaterali minimi e transitori. I risultati dello studio, pur limitati dal disegno osservazionale e dall’esiguità del campione, suggeriscono che la ketamina possa rappresentare un presidio efficace e relativamente sicuro nella gestione dell’agitazione psicomotoria grave e del delirio eccitato, specie nei casi resistenti ai trattamenti standard. Sono tuttavia necessari studi prospettici e controllati per definire protocolli operativi standardizzati e ottimizzare l’impiego del farmaco in ambito psichiatrico ed emergenziale.
Claudio Coscarella propone una riflessione sui Disturbi del Neurosviluppo, suggerendo di superare un approccio puramente nosografico e sintomatologico ed evidenziando come lo sviluppo del bambino con Disturbo del Neurosviluppo sia un sistema complesso, dinamico e interattivo, che si modella lungo traiettorie filogenetiche e ontogenetiche influenzate dai contesti educativi e relazionali. La diagnosi, piuttosto che una fotografia statica del deficit, deve configurarsi come processo evolutivo e condiviso, centrato sull’assessment familiare e sull’empowerment dei contesti di vita (scuola, famiglia e gruppo dei pari). In questa prospettiva, l’intervento terapeutico diventa un atto di cura integrata orientato alla promozione dell’identità e del benessere, più che alla semplice eliminazione del sintomo. Questo approccio si inscrive nel contesto di una più ampia riflessione epistemologica che ridefinisce il concetto stesso di malattia mentale in età evolutiva: non entità fisse ma espressioni di neurodivergenze adattive, la cui comprensione richiede un paradigma relazionale, multifattoriale e prospettico, capace di coniugare scienza, educazione e umanizzazione della cura.
Riccardo Dalle Luche propone una recensione di “The Shrouds” (2024) di David Cronenberg che segna il ritorno del regista canadese a un cinema profondamente autobiografico, dove si esplora il lutto, la morte e la tecnologia dei corpi attraverso un prisma psicoanalitico. Il film segue Karsh, alter ego di Cronenberg, mentre elabora la perdita della moglie tramite sudari elettronici che permettono di osservare la decomposizione delle salme, intrecciando desiderio, trauma e reinvestimento libidico. Cronenberg riflette sul destino delle pulsioni, la memoria corporea e la difficoltà di superare un lutto traumatico, fondendo immaginario e reale in una narrazione inquietante e di notevole intensità visiva.
Ancora Riccardo Dalle Luche propone una recensione del “Manuale di tessitura del cambiamento. Un approccio connessionista alla psicoterapia” di Miriam Gandolfi (Giovanni Fioriti Editore, 2015; I ristampa 2022). Il testo di Miriam Gandolfi considera un approccio neo-sistemico e connessionista alla psicoterapia, centrato sul cambiamento come processo relazionale e contestuale piuttosto che sulla diagnosi statica. In questo contesto vengono offerti strumenti pratici e riflessioni teoriche per favorire interventi significativi e personalizzati, valorizzando il ruolo del paziente, della famiglia e del terapeuta nel co-costruire la cura.
Alfredo Sbrana propone una recensione di “Le depressioni invisibili” di Riccardo Dalle Luche e Sara Bargiacchi (Giovanni Fioriti Editore, 2025) osservando come il testo offra un’analisi esaustiva della depressione, integrando psicopatologia, clinica e strategie terapeutiche multimodali. Il testo valorizza il patrimonio della Scuola di Pisa, coniugando teoria e pratica, e propone una visione innovativa e operativa, utile sia agli psichiatri in formazione sia ai professionisti della salute mentale interessati a comprendere le molteplici sfaccettature dei disturbi depressivi contemporanei.
In questo numero vengono poi raccolti alcuni contributi relativi all’ultima Riunione Scientifica SIEP tenutasi a Firenze il 28 e 29 novembre 2024 dal titolo “Quali risorse per la salute mentale? Alleanze tra Servizi, utenti, famiglie, agenzie del territorio”.
Federico Russo propone un diario personale e riflessivo che accompagna il lettore tra le giornate del congresso SIEP tenutosi a Firenze a novembre 2024. Tra incontri scientifici, interventi di esperti e scambi con colleghi e utenti, l’Autore esplora la vita professionale e umana di chi opera in salute mentale, mettendo in luce le sfide cliniche, le complessità sociali e l’importanza del dialogo, della partecipazione e della formazione continua. L’Autore racconta, con uno sguardo personale e coinvolgente, il bilanciamento tra doveri professionali, relazioni interpersonali e la ricerca di senso nel quotidiano della psichiatria. Conclude osservando come nei contesti più complessi, per curare servano pazienza e fantasia ed esprimendo infine con il suo contributo l’apprezzamento migliore per il convegno, ovvero la percezione di essersi sentito coinvolto come parte attiva di un processo vitale e accogliente.
Giovanni Callori, Presidente della Rete Regionale Toscana Utenti Salute Mentale Odv, offre una testimonianza intensa e lucida sull’esperienza personale e collettiva di chi vive il disagio psichico, riaffermando il valore del sapere esperienziale come risorsa per la salute mentale di comunità. Il suo intervento è un appello alla costruzione di vere alleanze tra utenti, operatori e istituzioni, per superare stigma e paternalismo e rendere gli utenti protagonisti attivi nei processi di cura e partecipazione. Giovanni Callori invita a difendere il Servizio Sanitario Nazionale, a promuovere i gruppi di auto aiuto e la formazione degli ESP, ricordando che solidarietà e umanità restano le forze più potenti per costruire salute e civiltà.
Pietro Pellegrini riflette sul futuro dei Servizi pubblici di salute mentale in Italia, partendo dalla consapevolezza storica della riforma basagliana e del welfare pubblico universale. Denuncia i rischi di un ritorno a modelli neo-istituzionalizzanti e di una privatizzazione della sofferenza, in un contesto di crescenti diseguaglianze e crisi del patto sociale. Propone un rilancio della salute mentale di comunità come “bene comune”, fondato su diritti, partecipazione e capitale sociale, capace di integrare politiche sanitarie, sociali e ambientali. La sfida è costruire un nuovo modello solidale, generativo e olistico, in cui la cura resti umana, inclusiva e pubblica.
Andrea Narracci propone la Psicoanalisi Multifamiliare come approccio innovativo per integrare psichiatria e psicoterapia nei casi di patologia psichiatrica grave. I Gruppi di Psicoanalisi Multifamiliare coinvolgono pazienti, familiari e operatori di diverse professionalità all’interno dei Servizi di salute mentale, favorendo il miglioramento delle relazioni tra i vari attori coinvolti e colmando il tradizionale divario tra psichiatria e psicoterapia. Il Gruppo di Psicoanalisi Multifamiliare applicato in un Servizio di salute mentale, permette di utilizzare la psicoterapia anche nelle “crisi psichiatriche acute”, sia durante un ricovero che al di fuori di esso, come di fatto si verifica anche con l’Open Dialogue. Nella Psicoterapia Multifamiliare si realizza l’interazione tra livelli conscio e inconscio, contesto individuale e familiare e viene promossa la gestione dei traumi e dei lutti non elaborati. Il Gruppo di Psicoanalisi Multifamiliare sottolinea infine l’importanza della formazione analitica che richiede agli operatori di sperimentare su di sé l’esperienza di essere paziente.
Stefania Borghetti traccia il percorso degli ESP (Esperti in Supporto tra Pari) in Italia, con particolare riferimento all’esperienza lombarda, sottolineando l’importanza del coinvolgimento degli utenti nella progettazione e gestione dei Servizi di salute mentale, attraverso la valorizzazione del sapere esperienziale e la promozione dell’empowerment, della recovery e della collaborazione tra operatori e utenti.
Nonostante alcune criticità legate a contrattualizzazione, formazione e integrazione con i modelli istituzionali, gli ESP hanno consolidato una rete nazionale, introducendo innovazione e influenzando positivamente pratiche e cultura dei Servizi.
Francesco Del Monaco ed Elena Riccardi propongono uno studio che analizza l’esperienza del Servizio di Salute Mentale Adulti di Prato nell’ambito della ricerca multicentrica SIEP sui Trattamenti Sanitari Obbligatori. I dati locali mostrano un tasso di TSO significativamente inferiore alla media nazionale, attribuibile a un modello di intervento territoriale integrato, basato su prevenzione, continuità assistenziale e collaborazione con utenti esperti, associazioni e istituzioni. Nonostante ciò, il 43 % dei TSO riguarda persone al primo contatto con i servizi, segnalando la necessità di potenziare l’intercettazione precoce del disagio. Il lavoro conferma l’importanza di strategie condivise e relazioni di fiducia per ridurre l’uso della coercizione e migliorare la qualità della cura psichiatrica.
Marco Faldi esplora l’intreccio tra cultura e psicopatologia, sottolineando l’importanza di un approccio realmente biopsicosociale nella comprensione e nel trattamento dei disturbi mentali. L’autore evidenzia come la cultura influenzi la definizione stessa di normalità e patologia, la manifestazione dei sintomi e la risposta terapeutica. Attraverso il modello di acculturazione di Berry e l’analisi di disturbi come la depressione e i disturbi alimentari, Faldi mostra come il disagio psichico rifletta profondamente le trasformazioni socioculturali del nostro tempo. Il suo contributo invita a superare l’approccio etnocentrico delle classificazioni diagnostiche attuali e a sviluppare strumenti clinici più sensibili alle differenze culturali, essenziali in una società sempre più complessa e multiculturale.
Maria Inglese propone un contributo che nasce dal lavoro con un gruppo di operatrici del DAISM-DP di Parma cha ha deciso di firmarsi come CIM, Collettivo che Incontra le Marginalità. L’Autrice racconta un’esperienza di alleanza tra istituzioni sanitarie, enti locali e terzo settore per garantire accoglienza e tutela della salute mentale dei migranti e richiedenti asilo. Partendo dall’intervento nel Centro di Accoglienza Straordinario di Parma, il gruppo ha costruito un modello operativo di emersione delle vulnerabilità e di presa in carico multidisciplinare, che ha condotto alla stesura di un protocollo istituzionale condiviso. L’esperienza propone un approccio basato su “competenza e sicurezza culturale” e su una visione etica dell’accoglienza come pratica di ospitalità, superando la logica emergenziale e restituendo visibilità e dignità alle persone ai margini.
Maria Platter, rappresentante di Cittadinanzattiva, richiama la necessità di un cambiamento culturale e politico che restituisca centralità alla salute mentale come bene comune e diritto di cittadinanza. Denuncia la mancanza di investimenti e la deriva medicalizzante dei Servizi, sottolineando invece il ruolo fondamentale delle famiglie, dei gruppi e delle reti territoriali come risorse primarie di cura e inclusione. Invita a costruire alleanze tra cittadini, istituzioni e servizi, fondate su parità, rispetto e co-progettazione, affinché la salute mentale torni ad essere un ambito di partecipazione, solidarietà e comunità viva.