Due giorni alla SIEP 2024
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Contributo presentato alla Riunione Scientifica SIEP tenutasi a Firenze il 28 e 29 novembre 2024 dal titolo “Quali risorse per la salute mentale? Alleanze tra Servizi, utenti, famiglie, agenzie del territorio”.
È il 28 novembre del 2024. Salto giù dal treno alle 9:46 e alle 9:55 sono al primo piano di un palazzo a ridosso di Santa Maria Novella. Ho le scorie di una brutta settimana addosso. Uno di quei giorni che pensi: ma quanto manca alla pensione?
Non l’avrei mai detto che sarebbe toccato pensarlo anche a me.
Non sarà mica un modo più dolce per dire quanto ho ancora da vivere?
Oppure: ma quanto sono stanco?
Non sono depresso. Se lo fossi non vedrei l’ora che arrivi questa sera. Invece questa mattina frizzante mi piace, ancora mi aspetto tanto da una giornata che sta iniziando.
Due giovani colleghe con cui lavoro hanno il cancro. Un’altra uno strano linfoma. Lo chiamano indolente. Un altro ne è uscito da poco. Lo vedo correre appresso ai pazienti, sempre affannato, invaso. Un altro ha problemi seri di salute, va e torna, cerca di ragionare, con tutto il suo buon senso e la sua innata gentilezza. Mi dice: sei stanco, hai gli occhi di chi ha passato la notte a lavorare. Ma no, è la separazione, gli dico io. Dopo gli incontri con gli avvocati non dormo.
È incredibile quanto va veloce il pensiero, ho solo due rampe di scale da salire.
Entro, una bella sala, sedie verdi, tavolo verde, grande schermo, audio un po’ fiacco.
Ha appena finito Fabrizio Starace, lungo applauso. Danno la parola a Bocchi. Mi siedo. La solita compulsione verso il telefono, guardo mentre parla. Messaggi, mail. Tutto subito, tutto urgente. Ma le parole di Bocchi mi avvolgono come miele, direbbe Guccini, e chiudo col mondo. Mi aspetteranno. Il mio mezzo cervello si impone all’altro, a quello che deve, che realizza, che mette tutto a posto. Giusto Bocchi, i due emisferi del cervello e la nascita dell’occidente, il libro che mette nel terzo millennio un po’ delle teorie fantasiose di un libro anni ottanta, il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza.
Questo congresso, che gli organizzatori hanno chiamato “riunione scientifica” si presenta con eleganza e sobrietà, quella che mi ha sempre affascinato della SIEP, l’unica società scientifica psichiatrica a cui mi sia mai iscritto.
Pietro Pellegrini non è da meno. Ha l’arte di parlare chiaro, fare capire perfettamente quello che pensa. Il futuro dei servizi di salute mentale. Il titolo è altisonante, ma lui si muove nel presente, di previsioni non ne fa, e fa bene.
Con un colpo si scena prende la parola un paziente, il sig Callori rappresenta una rete di utenti. Ha avuto una diagnosi sbagliata e poi una giusta. E la sua vita è migliorata. Mi ha fatto pensare. Tendiamo a sottovalutare la diagnosi, dimentichiamo le poche cose della medicina che ci sono utili, la diagnosi e la cura. Le confondiamo con i reparti, che fanno le loro diagnosi e poi quando il paziente esce le diagnosi del territorio e magari, se si hanno i mezzi, le diagnosi di qualche luminare privato. La cosa incredibile è che ognuno fa la propria diagnosi e raramente coincidono. Come dire, ognuno vede un paziente diverso, oppure semplicemente vede il suo paziente, la nostra psichiatria è affezionata alla proprietà privata. Giustamente nel suo intervento Callori ringrazia per essere in prima mattinata. ÈÈ abituato a chiudere i congressi, quando la sala è mezza vuota, la gente con i trolley, pronta a tornare a casa.
Qui invece sono tutti attenti. Silenziosi. Ecco che manca, penso adesso, la partecipazione. Ma ci può stare. Si viene qui ad imparare, si può stare zitti per un paio di giorni.
Gli interventi si susseguono, dimentico il mio telefono, mi guardo attorno, diverse facce amiche. Ci sono tre colleghi con cui condivido il privilegio di un primariato e la disgrazia di un primariato. Per circa 800€ al mese il SSN ci butta sulle spalle tutti i pazienti prevalenti, gli incidenti, gli autori di reato e tutte le responsabilità. Abbiamo realizzato il nostro sogno, diventare affermati professionisti. O il sogno di qualcun altro, padri, madri, nonni, chissà. Il carico è molto, troppo, abbiamo fatto un gruppo di autoaiuto. Esattamente sig. Callori, gli stessi gruppi che hanno aiutato lei. Ci vediamo online, abbiamo sviluppato un senso comune della nostra esistenza, abbiamo fatto gruppo. E quando si incrociano i nostri sguardi, tra noi del gruppo Ascoltiamoci, si sente l’appartenenza.
Un intervento dopo l’altro. Tutti interessanti, si sente la libertà del pensiero. Non ci sono interventi di schieramento, dí rappresentanza, chi parla ha qualcosa da dire, e parla fuori dai denti. A pranzo ci fermiamo con Angelita a ragionare sull’intervento che dobbiamo fare il giorno dopo. Io devo sostituire Andrea Narracci. Non mi sento a mio agio. Una volta che ero venuto senza impegni, solo per ascoltare. Decidiamo di fare una chiacchierata, a partire da alcune vignette cliniche. Pranziamo leggeri, un tavolo con tovaglia a quadretti bianchi e rossi su una vetrina che affaccia su Santa Maria Novella. Ma che meraviglia è questa città.
Pomeriggio un po’ stanco, mi distraggo appena. Ma il dialogo aperto e i dati di Pocobello e poi la performance di Quaranta mi ridestano. Possibile che basti così poco? Lui parla in piedi, lento, deciso, convincente. La complessità, ancora il tema di Bocchi. ÈÈ chiaro che ci servono i sociologi e i filosofi se vogliamo fare salute mentale. Come ha detto Borgna? La psichiatria se non è sociale non è psichiatria. Si arriva all’assemblea. Dove si farà il prossimo congresso? Tante idee, Milano, Roma, ma si, posso chiedere le corsie Sistine, ma no, facciamo Caltagirone. Ma costa un occhio! Macché, 30€ il volo e gli alloggi, una miseria. Potrebbe essere, vediamo, e la formazione? Se mettessimo ognuno qualcosa di quelli che siamo qui potremmo fare un corso di eccellenza, dice Starace. Nessuno replica. Secondo me stanno tutti zitti pensando quello che penso io: e chi ce la fa a fare ancora qualcosa, siamo tutti stracarichi.
La serata è deliziosa, una bella famiglia giovane che mi ospita, e la notte leggera che passa nel silenzio.
È il 29 novembre 2024.
Arrivo puntuale, con il taxi. Una bella luce. A Santa Croce sono in anticipo. Dico, si accosti che scendo. Faccio gli ultimi quindici minuti a piedi. Entro. Primo intervento. Gli ESP. Mi sforzo di pensare al buon senso delle proposte che coinvolgono gli utenti esperti nella gestione dei servizi. Ma ogni volta qualcosa non mi convince. A ognuno il suo. Perché restare impigliati nella salute mentale tutta la vita quando si è entrati dalla porta della malattia. Quanto è importante lasciare andare, separarsi, guarire se si può. Ma capisco il senso della presentazione, a cui fa seguito un rappresentante di associazioni di utenti. Ragionevoli, chiari, utili punti di vista. Ma c’è qualcosa che non mi convince.
Io e Angelita ce la caviamo, ci troviamo bene a parlare. Sento equilibrio. Poi arrivano i giovani di ponti di vista. Brillanti, sconvolgono gli schemi e la sala, le sedie in cerchio, lo schema del dialogo aperto, il team riflessivo. Basta con le ideologie, dicono bene. Ma le idee servono, o no? Che idea abbiamo sulla contenzione? Loro dicono che talvolta è indispensabile. E certo, penso. Ma quante volte.? Una all’anno o una al giorno?
Le reti, dice Riefolo, tele in cui nessuno vuole davvero tessere relazioni con gli altri. E il ragno chi è? Il barbone è il ragno. Interessante questa visione. Siamo i fili di bava di uno che sta nascosto e ci usa per acchiappare le sue prede. Il paziente è il ragno, i poveracci, migranti, rifugiati. Tutti ragni. Chissà. A me sembrano affamati, forse le reti sono bucate. Loro tessono e noi sfasciamo.
I dubbi aumentano, si viene ad imparare e si esce avvolti dalle incertezze. Come Picardi che ricorda i dati sulla schizofrenia nel mondo: migliora di più nei paesi a medio e basso reddito. Strano, dovrebbe andare diversamente. Allora non c’entrano tanto i farmaci più costosi o i trattamenti psicosociali più evidence based. Saranno fattori sociali aspecifici? Boh!
Raffaele si collega da Milano, con mascherina e cappello, è impegnato nelle sue cure. Ci fa stare a tutti un po’ preoccupati. Ricorda: dobbiamo occuparci della salute degli operatori. Ben detto, penso io ad alta voce. Nessuno mi ha sentito, spero. O penserà che parlo da solo. Maurano corre appresso a qualche sfrantumato nel rione Sanità di Napoli e Cardamone rianima il congresso in chiusura. Ma possibile che ci siano 127 gruppi etnici diversi a Prato? E come fanno? Festa il venerdì, e il sabato, e la domenica. Poi riti, celebrazioni varie, natali e capodanni spostati. Oggi il nostro, tra un mese quello cinese. Ahi voglia a curare le comunità multietniche. Ci vuole pazienza e fantasia. Mi sa che ho imparato questo. O già lo sapevo? Pazienza e fantasia.
Grazie a tutti, la fotografia del direttivo della SIEP è commovente. Tutti con le facce felici. Mi ci ero buttato dentro pure io. Poi mi sono reso conto. E io che c’entro? Eppure nessuno mi ha detto, levati, tu non sei uno di noi.