Volume 31 - 4 Novembre 2025

Autismo: Il gruppo multifamiliare nell’approccio integrato domiciliare, laboratoriale, riabilitativo e socio-sanitario

Autori

Ricevuto il 25/08/2025; Accettato il 10/09/2025



Riassunto

L’autismo, definito come Disturbo dello Spettro Autistico (ASD), è una condizione neuroevolutiva complessa che influenza lo sviluppo sociale, comunicativo e comportamentale. L’articolo ricostruisce prospettive storiche e rappresentazioni culturali del fenomeno, dalle narrazioni medievali ai casi moderni, fino alla sua definizione clinica autonoma nel XX secolo. Viene analizzato il concetto di Meccanismo di sistematizzazione (Baron-Cohen), che spiega l’orientamento di molte persone nello spettro verso schemi logici e sistemi complessi, evidenziando basi genetiche, ormonali e implicazioni evolutive. Il contributo illustra lo UK Brain Types Study e la distribuzione dei cinque profili cognitivi (E, B, S e forme estreme), con particolare attenzione alla correlazione tra ipersistematizzazione e autismo.
La seconda parte si concentra sul modello di intervento integrato sviluppato nel territorio calatino, frutto della sinergia tra ASP di Catania e cooperative sociali. Tale approccio coniuga interventi domiciliari, laboratori esperienziali, centri abilitativi e gruppi multifamiliari. Il modello Domiciliare-Laboratoriale-Riabilitativo-Multifamiliare mira a potenziare autonomie, competenze sociali e lavorative, sostenendo parallelamente caregiver e famiglie. Il gruppo multifamiliare, dispositivo clinico e sociale unico in Italia per l’autismo, promuove rinegoziazione dei legami, superamento di simbiosi patologiche, condivisione di esperienze e sviluppo di una “cultura familiare condivisa”.
Le attività laboratoriali e i percorsi abilitativi, includono interventi ABA, arteterapia, training sulle autonomie e laboratori professionalizzanti. La prospettiva di “virtualità sana” orienta il lavoro clinico, valorizzando le potenzialità inespresse e favorendo l’inclusione sociale e lavorativa. L’esperienza calatina dimostra l’efficacia di un modello replicabile di presa in carico globale, basato su corresponsabilità istituzionale e radicamento comunitario, capace di integrare scienza, diritti e pratiche cliniche ed educative innovative.


Abstract

Autismo, defined as Autism Spectrum Disorder (ASD), is a complex neurodevelopmental condition that affects sociale, communicative, and behavioural development. The article reconstructs historical perspectives and cultural representations of the phenomenon, from medieval narratives to modern cases, up to its autonomous clinical definition in the 20th century. The concept of the Systematizing Mechanism (Baron-Cohen) is analyzed, explaining the orientation of many people on the spectrum towards logical schemes and complex systems, highlighting genetic, hormonal bases, and evolutionary implications. The contribution illustrates the UK Brain Types Study and the distribution of the five cognitive profiles (E,B,S, and extreme forms), with particular attention to the correlation between hypersystematization and autism. The second part focuses on the integrated intervention model developed in the Calatino area, the result of the synergy between the ASP of Catania and social cooperatives. This approach combines home interventions, experiential laboratories, habilitation centers, and multifamily groups. The Home-Laboratory-Rehabilitation-Multifamily model aims to enhance autonomy, social and work skills, while simultaneously supporting caregivers and families. The multifamily group, a unique clinical and social device in Italy for autism, promotes the renegotiation of bonds, overcoming pathological symbioses, sharing experiences, and developing a “shared family culture”. The laboratory activities and habilitation paths include ABA interventions, art therapy, autonomy training, and professionalizing laboratories. The perspectives of “health virtuality” guides clinical work, enhancing unexpressed potential and promoting social and work inclusion. The Calatino experience demonstrates the effectiveness of a replicable model of global care, based on institutional co-responsibility and community rooting, capable of integrating science, rights, and innovative clinical and educational practices.


Parole chiave: Autismo, Multifamiliare, Virtualità sana, Socio-sanitario, Innovazione, Abilitazione, Sistematizzazione, Empatia, Ricerca, Sperimentazione, Inclusione.


Introduzione

L'autismo, oggi formalmente riconosciuto come Disturbo dello Spettro Autistico (ASD), costituisce una condizione neuroevolutiva complessa che interessa in maniera pervasiva lo sviluppo sociale, comunicativo e comportamentale. Sebbene la nosografia psichiatrica ne abbia delineato i contorni diagnostici solo a partire dalla metà del XX secolo, è possibile individuare nella storia, nella letteratura e nella cultura occidentale numerose narrazioni che descrivono comportamenti e tratti compatibili con la fenomenologia autistica. Tali descrizioni, pur non traducibili retroattivamente in diagnosi formali, contribuiscono alla costruzione di una prospettiva storica e antropologica utile alla comprensione del fenomeno.


Prospettive storiche e rappresentazioni culturali

Numerosi racconti pre-moderni, spesso trasfigurati dalla mitologia o dalla religiosità popolare, restituiscono immagini di soggetti marginali o “anomali” che presentano tratti oggi associabili allo spettro autistico. È il caso dei cosiddetti bambini verdi narrati da Guglielmo di Newburgh nel XII secolo, o della figura di Frate Ginepro nei Fioretti di San Francesco, la cui incapacità di comprendere le regole implicite della convivenza sociale rispecchia difficoltà tipiche del disturbo.

In ambito russo, tra il XVI e il XIX secolo, si affermò la figura del jurodivyj o "folle sacro", il cui comportamento disorganizzato, l’ecolalia, la scarsa responsività emotiva e l’insensibilità agli stimoli nocivi costituiscono un interessante antecedente culturale della sintomatologia ASD.

A partire dal XVII secolo, in Europa e Nord America, proliferano narrazioni sui bambini selvaggi – soggetti cresciuti in condizioni di isolamento sociale estremo – che mettono in luce l’interdipendenza tra sviluppo sociale, linguaggio e interazione umana. Tra i casi documentati più noti vi sono quelli di Victor de l’Aveyron, reso celebre da Jean Itard e dal film L’enfant sauvage, e di Kaspar Hauser. Pur trattandosi di condizioni deprivative piuttosto che genetiche, il parallelismo con alcuni quadri comportamentali dello spettro resta oggetto di riflessione.

Anche la letteratura moderna ha proposto personaggi la cui eccentricità, ipercompetenza settoriale, rigidità comportamentale e apparente distacco emotivo possono essere interpretati, retrospettivamente, in ottica ASD. È il caso di detective come Sherlock Holmes o Hercule Poirot, le cui abilità deduttive convivono con una difficoltà marcata nell’intelligenza sociale.


Evoluzione della classificazione e dei modelli interpretativi

Fino alla metà del Novecento, i soggetti con tratti oggi riconducibili all’autismo erano spesso ascritti alla categoria del “ritardo mentale”. John Langdon Down, nel 1887, descrisse i cosiddetti idiot savant, individui con disabilità cognitive generali ma competenze eccezionali in ambiti ristretti. Analogamente, Alfred Tredgold documentò comportamenti stereotipati e fissazioni oggettuali, anticipando alcune osservazioni oggi centrali nella clinica ASD.

Il termine autismo fu coniato da Eugen Bleuler nel 1911 per descrivere il ripiegamento autistico come sintomo della schizofrenia. Solo a partire dagli anni Quaranta il concetto si distacca dalla psicosi: Leo Kanner (1943) definisce l’autismo infantile precoce come una condizione neurobiologica innata, mentre Hans Asperger, parallelamente, descrive una sindrome con profili di funzionamento più elevati, oggi inquadrata all’interno dello spettro.

Negli anni Settanta, Michael Rutter sistematizza i criteri diagnostici su base comportamentale, contribuendo alla definizione dell’autismo come entità nosografica autonoma. Nel 1980, con il DSM-III, l’American Psychiatric Association riconosce formalmente l’autismo come “Disturbo pervasivo dello sviluppo”, distinto dalla schizofrenia.


Etiologia e approcci interpretativi

L’eziologia dell’autismo è oggi considerata multifattoriale, con una componente genetica predominante ma non esclusiva. Studi condotti su gemelli monozigoti mostrano alte percentuali di concordanza, ma non è stato identificato un singolo gene responsabile: piuttosto, si configura un’architettura genetica complessa, poligenica e a penetranza variabile.

Nel corso del Novecento, modelli psicodinamici hanno ipotizzato un’origine relazionale del disturbo, facendo riferimento a teorie come quella della “madre frigorifero”, sostenuta da Bruno Bettelheim. Tali ipotesi, oggi ampiamente superate, ignoravano l’evidenza empirica disponibile e contribuivano allo stigma delle famiglie. Il superamento del paradigma relazionale ha aperto la strada a una concezione neurobiologica dell’autismo, seppur non esente da rischi riduzionistici.

Il confronto tra approcci comportamentisti e neuroscienze ha evidenziato la necessità di integrare modelli di intervento centrati sull’ambiente con l’attenzione ai processi neuro-cognitivi sottostanti. La riflessione di Temple Grandin – persona con autismo e autrice di contributi significativi – offre uno sguardo originale su queste dinamiche. Grandin evidenzia come il pensiero per immagini, tipico di molte PcASD, consenta una forma di “empatia visiva” con il mondo animale, e auspica un’integrazione tra osservazione comportamentale e studio dei processi cerebrali, superando la dicotomia tra “scatola nera” e ambiente.


Il Meccanismo di Sistematizzazione

Il Meccanismo di sistematizzazione, proposto da Simon Baron-Cohen, descrive la tendenza a comprendere e costruire sistemi identificando schemi, regole e relazioni di tipo se-e-allora. Questo stile cognitivo, presente in misura variabile nella popolazione, è spesso accentuato nelle persone nello spettro autistico, che mostrano un’elevata attenzione ai dettagli, ordine e coerenza logica. La sistematizzazione può riguardare ambiti disparati — dalla meccanica alla musica, dalla grammatica alla cucina — e, secondo l’autore, costituisce un continuum: alcune persone sono più orientate alla sistematizzazione, altre meno.

Lo UK Brain Types Study (oltre 600.000 partecipanti) ha valutato empatia ed inclinazione alla sistematizzazione attraverso due strumenti: il Quoziente di Empatia (EQ) e il Quoziente di Sistematizzazione (SQ). I risultati hanno confermato che la capacità di riconoscere e manipolare schemi si manifesta precocemente, già nei bambini in età prescolare, ed è probabilmente in parte innata. L’essere umano, grazie al ragionamento se-e-allora, ha sviluppato la capacità di inventare, trasformare e ottimizzare sistemi, competenza che 70–100 mila anni fa ha favorito l’evoluzione culturale e tecnologica. Ebbene lo UK Brain Types Study è stato un ambizioso studio sui diversi tipi di cervello, realizzato nel Regno Unito, in cui si è tentato di misurare i livelli di empatia e di sistematizzazione. In questa vastissima ricerca, la prima nel suo genere, è stato chiesto ai soggetti di rispondere a versioni brevi di due questionari: il Quoziente di Sistematizzazione (SQ) e il Quoziente di Empatia (EQ). L’SQ indaga il livello di interesse per i sistemi, che sono di tipo molto diverso, come, per esempio, la lettura delle mappe, la musica, il lavoro a maglia, le regole grammaticali, la meccanica della bicicletta, la cucina, la medicina, la genealogia, gli orari dei treni e la salute pubblica. Tutti questi sistemi seguono regole se-e-allora.

Anche i bambini di due anni possono sistematizzare usando la logica di base del se-e-allora. Questo indica che noi (e nessun’altra specie) abbiamo un cablaggio in parte innato che ci porta a cercare questi schemi. I bambini in età prescolare si chiedono perché un oggetto nuovo si comporti in modo inaspettato e cercano spiegazioni (cause). Ancora più impressionante è che eseguono “test” per capire cosa sta causando cosa, tenendo traccia di quando ci sono anomalie, e possono identificare diversi tipi di catene causali. Così, i bambini in età prescolare possono distinguere tra diversi meccanismi, come il fatto che un interruttore possa azionare una ruota dentata invece di un’altra, o far girare la ruota dentata per muoverne un’altra; e mentre lo fanno cercano prove che supportino diversi schemi se-e-allora. La sistematizzazione sembra, dunque, in parte cablata nel cervello umano.

Ci sono tre modi diversi di testare uno schema se-e-allora. Il primo è tramite l’osservazione, il secondo è la sperimentazione ed il terzo è la modellazione e quando si guarda alla straordinaria prontezza dei forti sistematizzatori umani di oggi e ci si chiede come siano in grado di individuare schemi e richiamare fatti così rapidamente, diventa evidente che stanno costruendo dei fogli di calcolo mentali, usando schemi se-e-allora, dove se è la riga, e è la colonna e allora è il punto in cui si intersecano.

Determinati comportamenti osservati negli animali, potrebbero tuttavia suggerirci che anch’essi siano capaci di compiere ragionamenti se-e-allora, come quando osserviamo, ad esempio, i corvi che hanno imparato a far cadere le noci sulla strada in modo che le auto ci passino sopra, spaccandole, sì da potersene cibare, od addirittura hanno imparato a farle cadere sugli attraversamenti pedonali, in modo da cibarsene, questa volta, quando il semaforo diventa rosso, o quando fanno cadere dei sassolini in un bicchiere per alzare il livello dell’acqua, sì da potere afferrare un pezzo di carne che vi galleggia.

Tuttavia ogni volta che vediamo un esempio di un comportamento animale simile, dobbiamo tenere conto della storia di quel comportamento, che potrebbe essere avvenuto per caso, imparando in modo associativo che A è seguito da B (per esempio, colpire la maniglia della porta con una zampa e l’aprirsi della porta). In seguito l’animale avrebbe ripetuto l’azione poiché essa aveva portato ad una ricompensa (il cane esce per una corsa in giardino). Dato che quel particolare cane non ha mostrato altri esempi di apparente invenzione o sperimentazione, l’interpretazione prevalente è che il suo comportamento di apertura della porta sia stato solo il risultato di un apprendimento associativo, non un segno di reale capacità di invenzione o sperimentazione. Anche quanto appreso dagli animali nei circhi, sono apprendimenti di sequenze associative, che non equivalgono ad una capacità di inventare.

Che cosa, allora, nell’uomo, avrebbe determinato la capacità di inventare? Se, infatti, la scienza sostiene che dovremmo sempre usare la legge della parsimonia (nota anche come “rasoio di Occam” o principio di economia) per scegliere tra due spiegazioni, ebbene dobbiamo sempre chiederci se esista una spiegazione più semplice che spieghi un comportamento, senza ricorrere ad una più elaborata. Se allora, l’apprendimento associativo è probabilmente la spiegazione più semplice per il comportamento animale, il Meccanismo di sistematizzazione è quella più semplice per la capacità di inventare nell’umano.

Così, 70000-100000 anni fa, il pensiero se-e-allora ha conferito all’essere umano la capacità di riorganizzare le variabili all’interno di qualsiasi sistema: “Se prendo un attrezzo a lama dritta, e ne cambio la forma in una curva, allora può diventare un amo da pesca”. Il Meccanismo di sistematizzazione ha permesso – e permette ancora oggi – una magia potente: l’invenzione infinita. Come vantaggio collaterale, il pensiero se-e-allora ci ha permesso di eseguire operazioni come la ricorsività e la sintassi. Queste, a loro volta, avrebbero trasformato un linguaggio semplice in un linguaggio complesso. Indubbiamente era una strada a doppio senso, con il linguaggio che facilita il ragionamento se-e-allora permettendoci di mettere nuove idee in parole, e poi di giocare con le parole per far nascere nuove idee.

Ma l’esistenza stessa dei savant autistici, alcuni dei quali hanno un linguaggio molto minimale, ma sono dei super sistematizzatori e possono inventare, suggerisce che la sistematizzazione e il linguaggio siano indipendenti l’una dall’altro. Due bellissimi esempi di savant autistici di questo tipo sono Nadia, una ragazza autistica che sapeva disegnare i cavalli da qualsiasi prospettiva, nonostante fosse quasi priva del linguaggio, e Stephen Wiltshire, che sapeva disegnare gli edifici con notevole precisione e da qualsiasi prospettiva, anche da bambino e quando aveva un linguaggio molto limitato. (Sia Nadia che Stephen alla fine hanno sviluppato una qualche forma di linguaggio). Secondo Baron-Cohen, il linguaggio è potente di per sé, ma non costituisce una spiegazione rivale dell’invenzione umana.


Cinque tipi di cervello

Lo studio ha identificato cinque profili cognitivi:

  1. Tipo E – Empatia superiore alla sistematizzazione (circa 1/3 della popolazione, più comune nelle donne).
  2. Tipo B – Equilibrio tra empatia e sistematizzazione (circa 1/3, distribuzione simile tra i sessi).
  3. Tipo S – Sistematizzazione superiore all’empatia (circa 1/3, più comune negli uomini).
  4. Tipo E estremo – Empatia molto sviluppata e scarsa sistematizzazione (raro, più frequente nelle donne).
  5. Tipo S estremo – Elevata sistematizzazione e bassa empatia (raro, più frequente negli uomini; include molte persone autistiche e savant).

L’analisi evolutiva suggerisce che la specializzazione in empatia o sistematizzazione possa aver garantito vantaggi adattativi in contesti diversi: interazione sociale e gestione di sistemi complessi.


Legame tra sistematizzazione e autismo

I dati dello UK Brain Types Study mostrano che una quota significativa di persone autistiche ha cervelli di tipo S o S estremo (62% dei maschi autistici, 50% delle femmine autistiche, contro valori molto inferiori nei gruppi tipici). Altri studi confermano che adolescenti autistici ottengono punteggi superiori nei test di ragionamento meccanico e di rilevamento di schemi visivi.

Le discipline STEM (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica) attraggono più persone autistiche e sistematizzatori forti rispetto alle discipline umanistiche. Ampi studi, come il Big AQ Study e il Cambridge University Autistic Traits Study, confermano che i soggetti con elevata sistematizzazione hanno più tratti autistici.


Sistematizzazione ed empatia: gioco a somma zero?

L’analisi statistica mostra una correlazione negativa moderata (-0,2) tra empatia e sistematizzazione, indicando che chi eccelle in un’area tende ad avere performance più basse nell’altra. Questa relazione suggerisce l’esistenza di fattori biologici condivisi che influenzano entrambe le dimensioni.


Il possibile ruolo del testosterone prenatale

Un possibile ruolo significativo potrebbe essere rappresentato dal livello di testosterone prenatale, ormone prodotto in quantità doppia nei feti maschi. Lo UK Prenatal Testosterone Study ha seguito 600 bambini dalla vita fetale all’adolescenza, rilevando che livelli più alti di testosterone prenatale predicono:

  • Maggior sistematizzazione (punteggi SQ alti)
  • Minore empatia (punteggi EQ bassi)
  • Maggiori tratti autistici

Studi successivi, come il Danish Prenatal Testosterone Study, hanno confermato livelli prenatali più alti di testosterone ed estrogeni nei futuri bambini autistici, suggerendo un legame ormonale tra autismo e ipersistematizzazione. Abbiamo il dovere di precisare che su questi studi e dati non c’è consenso unanime tra i ricercatori.

La componente genetica

Oltre agli ormoni, la sistematizzazione e l’empatia hanno una base genetica. Il Genetics of Empathizing and Systemizing Study, in collaborazione con 23andMe, ha coinvolto decine di migliaia di partecipanti, dimostrando che:

  • L’empatia (misurata con il test “Reading the Mind in the Eyes” e l’EQ) è in parte ereditabile (28% nei gemelli).
  • Alcune varianti genetiche comuni influenzano i punteggi sia di EQ che di SQ.
  • La sistematizzazione presenta varianti genetiche specifiche, indipendenti da quelle per l’empatia.

Studi sui gemelli confermano la componente genetica, distinguendo tra satisfier (soluzioni rapide, “abbastanza buone”) e massimizer (ricerca della soluzione ottimale, tipica dei super sistematizzatori).


Genetica condivisa tra sistematizzazione e autismo

Ricerche mostrano che il 26% delle varianti genetiche associate a punteggi alti nello SQ è condiviso con quelle legate all’autismo. Ciò significa che una parte dei geni che favoriscono l’ipersistematizzazione sono gli stessi che contribuiscono all’autismo. Questo spiega perché super sistematizzatori e molte persone autistiche condividano un “sistema operativo mentale” orientato più agli schemi e alle cose che alle persone, con punti di forza e fragilità a seconda del contesto.

Il Meccanismo di sistematizzazione è una competenza cognitiva umana potente, radicata in fattori biologici e genetici, con profonde implicazioni evolutive. Comprendere le basi di empatia e sistematizzazione aiuta non solo a spiegare l’autismo, ma anche a valorizzare i talenti di chi ha un cervello di tipo S estremo.

La diagnosi di Disturbo dello Spettro Autistico (ASD) non dipende quindi da un’unica causa, ma è il risultato di un’interazione complessa tra fattori genetici, biologici e ambientali.

Oggi le evidenze scientifiche indicano che l’autismo è una condizione neuro-evolutiva con origini precoci, in cui la predisposizione genetica si combina con altri fattori che influenzano lo sviluppo cerebrale quali: Fattori genetici (familiarità), sindrome genetiche associate (Sindrome dell’X fragile, Sindrome di Rett, Sclerosi tuberosa, Neurofibromatosi); fattori biologici e neurobiologici (alterazioni nello sviluppo cerebrale precoce, complicazioni perinatali, possibili alterazioni delle risposte immunitari materne o fetali) e fattori ambientali che possono aumentare la probabilità in individui geneticamente predisposti (età avanzata dei genitori, esposizione prenatale ad inquinamenti ambientali, infezioni in gravidanza, complicazioni ostetriche).


La prospettiva dei diritti e il progetto di vita

Con la ratifica della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (Legge 18/2009), l’Italia ha riconosciuto il diritto alla piena inclusione e partecipazione delle PcASD alla vita sociale, culturale e lavorativa. In tale prospettiva, la Legge 134/2015 ha tracciato un quadro normativo per la promozione di percorsi personalizzati e dinamici, integrando interventi sanitari, educativi, abilitativi e sociali.

Il fulcro di tale approccio è rappresentato dal progetto di vita: una progettazione esistenziale individualizzata, fondata sull’autodeterminazione, il rispetto dei valori e delle preferenze della persona. La valutazione funzionale, per essere efficace, deve basarsi su strumenti diretti e standardizzati, capaci di cogliere i bisogni e le potenzialità al di là della sola osservazione clinica.


Vita adulta, occupazione e qualità della vita

La transizione verso l’età adulta rappresenta una fase critica per le PcASD, in particolare per l’inserimento lavorativo. Le difficoltà relazionali e comunicative rappresentano spesso una barriera maggiore rispetto alle competenze tecniche. I modelli “place ,and train” e “train and place” offrono due strategie alternative, entrambe richiedenti supporti specialistici e una rete territoriale integrata.

Per le PcASD con bisogni di supporto elevati, le attività occupazionali rappresentano una risorsa utile per l’acquisizione di competenze professionali e relazionali. La scelta abitativa, a sua volta, incide fortemente sulla qualità della vita, richiedendo soluzioni personalizzate e flessibili, in grado di favorire l’autonomia e prevenire l’isolamento.

Comorbidità psichiatriche – come ansia, depressione e disturbo ossessivo-compulsivo – sono altamente prevalenti e influenzano negativamente il benessere soggettivo e familiare. Gli interventi psicoeducativi risultano fondamentali anche in età adulta, ma la letteratura è ancora lacunosa rispetto a quella sull’infanzia.


Famiglie e caregiver: interventi e sostegni

I caregiver delle PcASD sono esposti a elevati livelli di stress, che incidono sulla salute mentale e sulla qualità delle relazioni familiari. Gli interventi più efficaci sono stati classificati in tre ambiti principali:

  1. Psicoeducazione e gruppi multifamiliari, per aumentare consapevolezza e competenze.
  2. Supporto psicologico individuale, per la gestione dello stress.
  3. Training educativo-comportamentale, per migliorare la gestione dei comportamenti disfunzionali.

Pur mostrando efficacia sul piano del benessere soggettivo e delle abilità educative, questi interventi necessitano di ulteriori evidenze per quanto riguarda esiti a lungo termine su autodeterminazione, inclusione e qualità della vita.

L’autismo rappresenta una condizione paradigmatica per ripensare il rapporto tra neurodiversità, diritto all’inclusione, modelli scientifici e pratiche educative.


Interventi innovativi e integrazione socio-sanitaria nei servizi per l’autismo a Caltagirone: il modello del territorio Calatino

Nel territorio del Calatino, storicamente riconosciuto per l’eccellenza nei servizi di Salute Mentale, a partire dal 2016 e potenziata nel 2022 con la convenzione con le cooperative sociali si è sviluppata una metodologia d’intervento rivolta a persone nello spettro autistico che si configura come un modello di buona pratica. Tale approccio, basato sulla sinergia tra istituzioni pubbliche e Terzo Settore, integra diversi orientamenti teorici e operativi (cognitivo-comportamentale, sistemico-relazionale, psicoanalisi multifamiliare, pratiche dialogiche), proponendosi come risposta articolata e personalizzata al disagio individuale e familiare.


Interventi domiciliari e laboratorio sociale: il modello “Terra Nostra”

Dal 2022 la cooperativa sociale Terra Nostra, in convenzione con l’ASP di Catania, coordina interventi domiciliari psicoeducativi e riabilitativi destinati a giovani adulti nello spettro autistico. L’attenzione si focalizza sulla fase di transizione adolescenza-età adulta, momento critico per la ridefinizione dei ruoli e delle dinamiche familiari. Tale fase richiede un investimento significativo da parte del sistema familiare per affrontare la complessa riorganizzazione successiva al termine del percorso scolastico.

Gli interventi attivati, di matrice cognitivo-comportamentale, si integrano con un lavoro clinico rivolto all’intero sistema familiare, nella prospettiva della co-costruzione di un nuovo modello emotivo e cognitivo-relazionale. Questo processo mira alla ristrutturazione delle rappresentazioni familiari implicite e alla promozione del benessere psicosociale del nucleo.

Nel 2023 il progetto si amplia con l’attivazione di laboratori esperienziali presso la Fattoria Sociale (es. “Green Care”, “Opera dei Pupi”), finalizzati a favorire l’autonomia personale e l’esercizio delle competenze acquisite in contesti ecologici, in un’ottica di generalizzazione e inclusione. Le attività sono orientate all’acquisizione di abilità tecnico-prassiche, relazionali e organizzative, funzionali all’inserimento socio-lavorativo.

Nel 2025 viene inaugurato il Centro Abilitante per Giovani Adulti nello Spettro Autistico HERAEI, frutto della collaborazione tra le cooperative Terra Nostra, Fare-rete Lino Zappia. Il Centro, che accoglie 12 utenti, propone interventi evidence-based ispirati al paradigma cognitivo-comportamentale, finalizzati al potenziamento delle life skills: consapevolezza di sé, regolazione emotiva, abilità relazionali, comunicazione efficace, problem solving ed empatia.

In un’ottica di apprendimento permanente (lifelong learning), tali interventi mirano a incrementare l’autonomia e le competenze adattive, a favore dell’inclusione sociale e della qualità della vita. Tra le attività più significative vi sono i laboratori professionalizzanti, come il Laboratorio Bar e quello delle Eco-borse. Fin dalla fase di avvio del progetto è stato attivato un gruppo multifamiliare.


Il Centro Abilitativo per minori e l’intervento precoce: la Cooperativa “Zeno Saltini”

Dal febbraio 2025, la Cooperativa Zeno Saltini gestisce un Centro Abilitativo per minori con diagnosi di disturbo dello spettro autistico, di età compresa tra i 7 e i 16 anni. Le attività si svolgono in orario pomeridiano (14:30–18:30), in convenzione con l’ASP di Catania. Il progetto prevede un approccio multimodale che integra:

  • percorsi di socializzazione e apprendimento cooperativo (es. gioco simbolico, giochi da tavolo, lettura guidata);
  • laboratori di arteterapia per lo sviluppo della motricità fine, l’esplorazione sensoriale e l’espressione emotiva;
  • interventi sulle autonomie di base (igiene personale, gestione del tempo, cura di sé);
  • supporto psicologico per i caregiver, con incontri bisettimanali individuali.

Anche in questo contesto è stato attivato un Gruppo Multifamiliare, con il coinvolgimento di genitori e figli, operatori e terapeuti. Gli incontri promuovono la riflessione sul vissuto legato alla diagnosi, le trasformazioni della rete relazionale e le sfide legate all’autonomia, favorendo un cambiamento nella rappresentazione dei ruoli familiari e nel modo di vivere la diversità.


Interventi basati sull’ABA e parent training

Parallelamente, a partire dal 17 febbraio 2025, la cooperativa ha attivato trattamenti individualizzati basati sui principi dell’Applied Behavior Analysis (ABA), rivolti a bambini dai 4 ai 7 anni. I programmi, supervisionati da analisti del comportamento e condotti da tecnici ABA, prevedono 6 ore settimanali per utente. Le strategie includono:

  • insegnamento di abilità funzionali (es. mand training, functional communication training);
  • riduzione dei comportamenti problema; parent training per il potenziamento delle competenze educative e relazionali dei genitori.

La fase di transizione dalla Neuropsichiatria Infantile alla Psichiatria per Adulti
  1. Governance del processo clinico e abilitativo
    Il Dipartimento di Salute Mentale garantisce la governance del processo clinico e abilitativo, in collaborazione con le cooperative sociali e con la Neuropsichiatria Infantile (NPI). La transizione dalla NPI alla Psichiatria per Adulti rappresenta una fase particolarmente delicata e spesso problematica, sia per i pazienti che per le famiglie e i Servizi. Le criticità, ampiamente documentate in letteratura e riscontrabili nella pratica clinica, riguardano aspetti organizzativi, clinici, relazionali e sociali, emergendo a diversi livelli. Il passaggio comporta un cambiamento che può generare ansia, regressione o crisi, sia nel giovane sia nella famiglia. La rottura del rapporto di fiducia con l’équipe di NPI può risultare destabilizzante. Inoltre, l’adolescenza e la prima età adulta sono periodi critici per l’esordio di disturbi dell’umore, disturbi d’ansia, disturbi alimentari o abuso di sostanze: senza un follow-up strutturato, tali problematiche rischiano di essere trascurate o affrontate in maniera inadeguata.
  2. Continuità assistenziale
    Molti servizi di Psichiatria per Adulti non sono strutturati per prendere in carico persone nello spettro autistico, soprattutto quando non presentano disabilità intellettive gravi o disturbi psichiatrici concomitanti. Ciò può determinare il rischio di “vuoti di cura”: il giovane, una volta uscito dalla NPI, può trovarsi privo di un servizio di riferimento. Nel nostro contesto, applicando l’approccio dialogico, garantiamo la continuità assistenziale per tutti gli adolescenti in esordio che arrivano in SPDC, attraverso una presa in carico congiunta che coinvolge operatori del DSM, della NPI e, quando necessario, altri enti interessati. Tale modalità è applicata anche nei casi di autismo. In questi, è prevista una procedura formale che comprende una relazione clinica e sociale redatta dagli operatori della NPI che hanno seguito il caso per anni, e un incontro di gruppo con tutti gli operatori coinvolti del DSM, NPI, cooperative sociali e con la partecipazione attiva della famiglia e del paziente, per favorire un passaggio strutturato e condiviso.
  3. Differenze di modelli operativi
    Le divergenze tra i modelli organizzativi e operativi della NPI e della Psichiatria per Adulti, unite all’assenza di una pianificazione della continuità degli interventi, possono determinare una fase di “vuoto”, con conseguente perdita di interventi riabilitativi, psicoeducativi e di supporto sociale fondamentali.
  4. Formazione congiunta e preparazione specifica
    Non sempre gli operatori della Psichiatria per Adulti hanno una formazione specifica sull’autismo, in particolare sull’autismo ad alto funzionamento con bisogni complessi ma non immediatamente psichiatrici. Questo comporta il rischio di diagnosi errate o riduttive: ad esempio, rigidità comportamentale interpretata come disturbo ossessivo-compulsivo, oppure difficoltà relazionali lette come schizofrenia.
    La formazione congiunta, avviata negli anni nel nostro contesto territoriale, ha contribuito a creare una cultura di base comune. Si organizzano regolarmente eventi di formazione specifica sull’autismo, con relatori di livello nazionale e locale. A ciò si affiancano percorsi formativi sulle pratiche dialogiche, la psicoanalisi multifamiliare e la comunità terapeutica democratica, rivolti congiuntamente a operatori del DSM, della NPI, enti locali, cooperative sociali, istituti scolastici e utenti esperti.

Sintesi

La criticità maggiore della transizione è il rischio che la persona con autismo e la sua famiglia si trovino “in mezzo al guado”, senza continuità né adeguatezza di cure. La presa in carico rischia così di concentrarsi solo sull’aspetto clinico, trascurando autonomia, abitare, relazioni e progetto di vita.

Il modello “Domiciliare–Laboratoristico–Riabilitativo–Multifamiliare”, con l’integrazione dei gruppi multifamiliari, e la formazione continua di tutti gli attori coinvolti costituisce un esempio concreto di innovazione sociosanitaria con il coinvolgimento attivo e da protagonisti delle famiglie.

Il Gruppo Multifamiliare come dispositivo clinico e sociale

Elemento cardine del modello di intervento è l’attivazione dei Gruppi Multifamiliari, condotti da Raffaele Barone e Roberto Pezzano, che rappresentano un unicum a livello nazionale per il target specifico delle famiglie con soggetti autistici. Il dispositivo, ispirato alla psicoanalisi multifamiliare e alle pratiche dialogiche, funge da “comunità terapeutica allargata” e dà spazio di elaborazione e trasformazione relazionale.

I gruppi attivati sono tre, rispettivamente nel servizio domiciliare, nel servizio abilitativo per adulti e nel servizio per i minori. In media partecipano 20 famiglie a gruppo e tutti i pazienti e gli operatori. È previsto un post-gruppo chiamato Ateneo con una funzione di apprendimento continuo. La durata del gruppo è di 1 ora e mezza e si svolge una volta al mese.

Il gruppo consente la rinegoziazione degli schemi familiari, rompe la simbiosi disfunzionale genitore-figlio, promuove processi di soggettivazione e responsabilizzazione condivisa, e favorisce la costruzione di una “cultura di gruppo” che contrasta l’isolamento e l’auto-referenzialità della sofferenza individuale. Il gruppo promuove inoltre la costruzione di una “cultura familiare condivisa”, che sostiene l’uscita dall’isolamento e la ridefinizione delle rappresentazioni individuali e collettive. Gli effetti trasformativi si manifestano nella maggiore tolleranza della frustrazione, nella crescita della consapevolezza e nella co-responsabilizzazione dei partecipanti nel processo di cura.

Nel setting protetto, regolato da norme semplici ma efficaci, (ognuno parla a titolo personale, senza un atteggiamento giudicante, rispettoso della riservatezza e con un atteggiamento di ascolto responsivo) i vissuti possono essere espressi e ri-significati nel qui e ora, con effetti trasformativi sia a livello cognitivo (insight) che affettivo (empatia, identificazione). Le funzioni terapeutiche del gruppo includono:

  • la creazione di esperienze emozionali correttive;
  • la possibilità di ridefinire la propria storia familiare attraverso la narrazione e l’ascolto;
  • il sostegno reciproco tra famiglie in una cornice di autenticità e rispetto;
  • la promozione del distacco progressivo da meccanismi di interdipendenza patologica.
  • la rinegoziazione dei legami, la decostruzione delle simbiosi disfunzionali, la promozione dell’autonomia e l’emersione della soggettività.

Riflessioni sul gruppo multifamiliare

L’esperienza maturata nell’ambito dell’autismo attraverso il dispositivo del gruppo multifamiliare ci consente di trarre alcune considerazioni significative, sia sul piano clinico che sociale.

Le riflessioni sono il frutto di una nostra partecipazione al gruppo in un clima vivenciale e con una conversazione densa, ogni volta, di emozione e com-passione.

Avere in mente la “virtualità sana” – ovvero la possibilità di lavorare non solo sui limiti, ma anche sulle risorse inespresse – ci ha permesso di focalizzarci sulle potenzialità evolutive dei pazienti e delle loro famiglie. Con gli utenti adulti, l’attenzione si è concentrata sull’inclusione sociale e lavorativa, promuovendo una progressiva emersione del desiderio e della progettualità. Con le famiglie, si è lavorato per valorizzare le capacità di partecipazione attiva alla vita sociale e il ruolo trasformativo nella lotta allo stigma. Il concetto di virtualità sana si riferisce all’insieme delle potenzialità evolutive latenti che un soggetto (o una famiglia) possiede, anche in presenza di disabilità o sofferenze psichiche. È l’insieme di possibilità non ancora espresse ma già presenti in potenza, che possono essere attivate in un contesto relazionale favorevole.

Nel lavoro con l’autismo, questo significa non focalizzarsi solo sul deficit o sul sintomo, ma saper cogliere, sostenere e nutrire tracce di desiderio, creatività, curiosità, capacità di relazione che emergono anche in modo marginale o disorganizzato. Il gruppo multifamiliare e i laboratori espressivi o occupazionali sono spazi privilegiati in cui questa virtualità può manifestarsi e consolidarsi.

L’adozione di una prospettiva di “mente ampliata” ha favorito un ripensamento del sistema dei servizi, immaginando progressivamente risorse e opportunità che, fino a pochi anni fa, sembravano irrealizzabili nel contesto territoriale. Questa trasformazione ha portato alla creazione di nuovi dispositivi abilitativi e all’attivazione di progettualità innovative.

La simbiosi è una condizione relazionale in cui due identità risultano confuse o indistinte, senza chiari confini psicologici. In ambito psicoanalitico, è una fase naturale dello sviluppo nei primi mesi di vita, ma può diventare patologica se si cronicizza o si ripropone in età successive.

Nel contesto della disabilità, e in particolare nei disturbi dello spettro autistico, la simbiosi patologica tra genitore e figlio è spesso una risposta all’angoscia di perdita, alla paura del mondo esterno o alla mancanza di alternative. Tale condizione può ostacolare l’autonomia del soggetto e la sua possibilità di costruire una propria identità. Il lavoro psicoeducativo e il dispositivo multifamiliare aiutano a riconoscere e decostruire le dinamiche simbiotiche, promuovendo separazione, autonomia e ridefinizione dei ruoli familiari.

All’interno del gruppo multifamiliare, il parlare in prima persona, senza giudizio, ha facilitato il superamento di difficoltà relazionali sia nell’ambito familiare che nel contesto dei centri abilitativi. Abbiamo osservato cambiamenti rilevanti nella dimensione corporea e comunicativa: i pazienti hanno progressivamente acquisito maggiore libertà di movimento, espressività e capacità di articolare i propri pensieri, desideri e bisogni. Tra i temi emergenti, si sono imposti con forza quelli dell’amicizia, dell’affettività, della sessualità, del lavoro, dello studio e della partecipazione alla vita sociale.

L’interdipendenza patogena si riferisce a dinamiche relazionali rigide, simbiotiche o fusionali, in cui due o più soggetti (es. genitore e figlio) diventano reciprocamente dipendenti in modo disfunzionale. In queste relazioni, la sofferenza di uno alimenta quella dell’altro, impedendo processi di separazione-individuazione e ostacolando l’autonomia.

In ambito autismo, questa condizione è frequente quando, in assenza di reti di supporto e servizi adeguati, il caregiver (tipicamente il genitore) sviluppa un controllo totalizzante sulla vita del figlio, annullando ogni spazio di soggettività. Il gruppo multifamiliare può rappresentare un contenitore trasformativo, in grado di rompere tali dinamiche attraverso l’esposizione a esperienze altrui, il riconoscimento delle proprie rigidità e l’attivazione di nuove modalità relazionali.

Le famiglie, nel tempo, hanno trasformato un atteggiamento inizialmente rivendicativo in una postura più costruttiva e cooperativa. Attraverso la condivisione dei vissuti con altre famiglie, è stato possibile sviluppare una visione più accogliente e realistica della propria condizione, accedendo a emozioni di fiducia, accettazione e speranza.


Conclusioni

In sintesi, il modello “Domiciliare-Laboratoriale-Riabilitativo-Multifamiliare” con l’inclusione dei gruppi multifamiliari costituisce un esempio concreto di innovazione sociosanitaria integrata, orientata alla promozione della salute mentale in contesti comunitari con il coinvolgimento attivo e da protagonisti dei familiari.

Il modello integrato attuato nel territorio calatino rappresenta un esempio virtuoso di presa in carico globale, multi-professionale e inter-istituzionale, delle persone nello spettro autistico. L’originalità dell’approccio risiede nella capacità di coniugare rigore metodologico, orientamento scientifico e radicamento comunitario, valorizzando il ruolo attivo delle famiglie, delle cooperative sociali e delle istituzioni sanitarie in un’ottica di corresponsabilità educativa, clinica e sociale. Tale modello si propone come pratica replicabile e adattabile ad altri contesti territoriali.


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