Volume 30 - 16 Aprile 2025

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Recensione a:
Una lunga sfida. Snodi nella psichiatria e nell’assistenza psichiatrica in Italia. A cura di L. Dell’Osso, Lorenzi P. Alpes, 2024

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“Una lunga sfida. Snodi nella psichiatria e nell’assistenza psichiatrica in Italia” é un libro volto a descrivere e ricordare alle generazioni più giovani le realtà cliniche e istituzionali di un passato di cui noi, psichiatri della nostra generazione, siamo stati testimoni, le criticità presenti nel momento attuale, e le prospettive che si cominciano ad intravvedere per il futuro. Le istituzioni psichiatriche hanno la caratteristica di evolversi continuamente, non solo in relazione al rinnovarsi continuo delle conoscenze scientifiche, ma anche ai cambiamenti culturali e sociali che ad un ritmo tumultuoso sono intervenuti in questi decenni modificando radicalmente il mondo in cui viviamo. Il libro, a mio parere, è molto bello, perché affronta in modo critico tutti i principali temi clinici, terapeutici ed organizzativo-istituzionali che oggi sono di attualità, trattati da alcuni tra i migliori esperti del settore. Psichiatri accademici e del servizio sanitario si alternano nella redazione dei vari capitoli in virtù delle specifiche competenze, uniti in un progetto conoscitivo e formativo comune, impensabile ai tempi in cui noi abbiamo iniziato a lavorare. Leggo i nomi della squadra convocata per l’operazione da Liliana Dell’Osso e Primo Lorenzi: oltre a quelli dei curatori e di chi parla vi sono contributi dei Prof.Andrea Fiorillo, Antonio Vita, Stefano Pini, Maria Rosara Muscatello,Liliana Lorettu, Maurizio Pompili e Daniele la Barbera, e dei colleghi Emi Bondi, Massimo Rabboni, Giuliano Casu, Luigi Ferrannini, Giuseppe Cardamone, Federico Meucci, Donatella Marazziti, Daniela Toschi, Dario Muti, Barbara Carpita, Stefano Pallanti, Giulia Amatori, Paolo Peloso, Riccardo Cioni e altri. Il parterre certamente garantisce la qualità della fotografia che il libro propone della transizione della psichiatria italiana dall’ieri, all’oggi, al domani.

La prassi della salute mentale ha fatto, negli ultimi 50 anni, dei passi enormi, sia sul piano istituzionale e assistenziale, sia su quello farmacologico, sia per quanto riguarda la lotta allo stigma e la consapevolezza di cosa significhi oggi curare ed essere curati. Questa realtà operativa, questo sapere complesso e articolato che i giovani psichiatri si trovano “già fatto” quando iniziano la loro carriera nei servizi, è stato costruito lentamente e faticosamente nel corso degli anni. I servizi si sono strutturati come strumenti di cura multi-professionale e multi-disciplinare, estremamente più potenti, nei pazienti che presentano disturbi gravi, di sia pure eccellenti interventi monoprofessionali, sostituendo le prassi riduzionistiche, coercitive e asilari molto povere dalle quali siamo partiti. Il libro offre un’ìmmagine precisa di questa “metamorfosi”, per citare un termine ovidiano usato da Ferrannini nel suo contributo, del sapere psichiatrico. Libri come questo potrebbero avere un ruolo fondamentale per la informazione e la divulgazione di cosa siano i disturbi mentale e di cosa effettivamente si può fare per curarli: dovrebbero contrapporsi alle banalità del psicologese dei social media, degli studi televisivi e dei palchi dei teatri e dei festival.

Tra i numerosi argomenti trattati voglio ricordare la crisi dei sistemi categoriali in psichiatria, sia per quanto riguarda la nosografia che la farmacoterapia. Per quanto riguarda la prima, affondata nelle secche della comorbidità trasversale e longitudinale, esiste ormai una crescente letteratura internazionale che vede nel dinamismo delle traiettorie psicopatologiche, a partire da quelle neuro evolutive e nella loro complessità multifattoriale, la struttura portante dei diversi quadri clinici che attraversano stadi diversi nel corso dell’intera vita del paziente. I quadri clinici che emergono come target terapeutico fanno parte quindi di percorsi processuali complessi che possono evolvere favorevolmente o meno anche a seconda dell’appropriatezza e della tempestività degli interventi. In questo campo la stessa Dell’Osso ha dato suggestioni e contributi fondamentali nell’ultimo decennio.

Per quanto riguarda la psicofarmacologia è ormai patrimonio comune considerare i farmaci per quelli che sono i loro diversi target neurorecettoriali ai vari dosaggi, anziché etichettarli come presidi specifici per determinati disturbi categoriali. L’uso dei farmaci, spesso in associazione tra di loro e con la psicoterapia, è ormai totalmente trans-categoriale nella maggior parte dei casi clinici. Questo nuovo modo di concepire classificazione e trattamento dei disturbi mentali, che implica una visione complessa e dinamica, costituisce l’ossatura scientifica “biopsicosociale” che giustifica il modello multi professionale e multidisciplinare, che sostiene ormai da alcuni decenni la prassi dei servizi.

Non mancano nel libro l’esame delle criticità attualmente in essere, quali quelle relative al progressivo definanziamento della salute mentale, che va di pari passo a cambiamenti che sono avvenuti senza un’adeguata e lungimirante programmazione da parte delle Istituzioni sanitarie, quali la mancanza di psichiatri con la vocazione a lavorare nel servizio pubblico, con la sua complessità e i sacrifici che comporta, e la difficoltà a misurare non solo quantitativamente, ma qualitativamente, quello che vi si “produce”. Anche la gestione finanziaria dei servizi dovrebbe essere misurata con una valutazione meno aritmetica dell’efficacia degli interventi terapeutici visto che questi hanno ricadute enormi sull’adattamento sociale e la qualità della vita, a volte sulla vita stessa, di milioni di individui e delle loro famiglie.

Nell’ultima parte i contributi affrontano alcuni spunti previsionali sul futuro, in particolare sul ruolo della comunicazione digitale e dell’intelligenza artificiale. Il tema del digitale dovrà essere affrontato seriamente dai servizi per non essere sorpassati dalle piattaforme di psicoterapia che a livello nazionale già da tempo propongono trattamenti online, ed anche da molti specialisti psichiatri privati che curano i loro pazienti conosciuti in videochiamata. Discorso diverso per la cosiddetta intelligenza artificiale: contrariamente a molte altre branche della medicina, l’IA potrà sicuramente diffondere la conoscenza delle linee guida, della buone pratiche, del miglioramento dei sistemi diagnostici, potrà sostituire gli psichiatri nello scrivere review e meta analisi, ma non potrà assolutamente migliorare l’essenza della psichiatria e della psicoterapia, che sono pratiche che nascono e si sviluppano nell’intersoggettività e nella relazione. La mente umana non sarà mai ridotta agli schemi logici dell’AI: per sua natura vi sfugge. Quello che noi chiamiamo “disturbo mentale” è in essenza costituito da un “deragliare” emotivo, cognitivo e pulsionale, ma anche un andare-creativamente oltre la logica aristotelica e binaria: l’o/o, il si/no non sono sufficienti a descrivere il funzionamento della mente umana, tantomeno quando presenta alterazioni che ne accentuano l’irrazionalità, quali i disturbi mentali. In questo la psichiatria come scienza e come prassi sarà sempre qualcosa di diverso dalla medicina generale e per questo ci sarà sempre bisogno di psichiatri disposti a mettere in gioco la propria soggettività al fine di comprendere intuitivamente e indiziariamente qualcosa di quello che l’altro ci propone nei vari stadi del suo disturbo.

Un lungo futuro ci attende, dunque, ma deve essere sostenuto dalla memoria storica costituita dalla conoscenza della strada percorsa da generazioni di psichiatri per giungere dove siamo adesso.