Integrazione socio-sanitaria, cooperazione sociale e benessere mentale di comunità.
La sfida di una rinnovata epistemologia della complessità
Autori
Ricevuto il 24 marzo 2025 Accettato il 28 marzo 2025
Riassunto
Gli autori propongono una riflessione sull'attuale contingenza critica che segna in maniera profonda lo stato dei servizi pubblici di salute mentale, che per sostanziare la loro tenuta devono stringere un 'alleanza con enti locali, terzo e quarto settore. Questi quattro pilastri- tenuti insieme dal connettivo vitale della complessità- rappresentano la prospettiva per un rilancio autentico del benessere mentale di comunità.
Summary
The authors propose a reflection on the current critical contingency that profoundly marks the state of public mental health services, which to feed their resilience must forge an 'alliance with local authorities, the third and fourth sectors. These four pillars-held together by the vital connective of complexity-represent the perspective for an authentic revitalization of community mental well-being
Questi ultimi anni ci pongono dinnanzi cambiamenti rapidi e turbolenti degli ordinamenti giuridico-istituzionali, dei rapporti geopolitici internazionali, delle concezioni politico-sociali e dei rapporti interpersonali. Sembra in procinto di rompersi lo stesso patto sociale alla base dello stato-nazionale fondato su principi democratici e liberali. Queste trasformazioni hanno preso forma sulla base di numerosi fattori – a loro volta multideterminati – che esercitano la loro azione su scala globale e fra cui spiccano la pandemia, le migrazioni internazionali e i cambiamenti climatici.
Le trasformazioni segnalate impongono a loro volta un cambiamento di visione e di organizzazione dei servizi socio-sanitari – e di salute mentale, in particolare – chiamati a rispondere ai bisogni di salute di un’utenza – specie quella delle nuove generazioni – che presenta molteplici visioni di persona, di salute e di malattia e corrispondenti nuovi stili di vita.
In questo scenario, la complessità e la diversità delle singole situazioni problematiche appaiono quanto mai difficilmente riducibili – e risolvibili – all’interno dei confini definiti dal modello biomedico, fondato sulla diagnosi di natura e sulla conseguente terapia monodimensionale (sia questa di tipo biologico o psicologico). Pazienti con la stessa diagnosi sono infatti profondamente diversi fra di loro e l’esito della terapia – lungi dal dipendere dalla diagnosi psicopatologica o del funzionamento di personalità – è la risultante multideterminata di una serie di fattori ulteriori rispetto a quelli strettamente individuali, che riguardano in particolare le risorse familiari, socioculturali e comunitarie. Appare fondamentale spostare il nostro sguardo proprio su queste variabili sovraindividuali: i valori e le concezioni culturali, le relazioni all’interno della famiglia e quelle esterne a essa e intessute con la rete sociale e con la comunità locale. Le opportunità che quest’ultima può offrire in termini di spazi di socializzazione, di lavoro e di sostegno abitativo possono fare la differenza, ma solo se a far da cornice agli interventi vi è una visione lungimirante e integrata capace di mettere in relazione la dimensione personale e interna (biologica e psichica), quella delle interazioni prossimali e distali e quella culturale.
Queste ci appaiono le indicazioni – e le implicazioni – delle attuali sfide terapeutiche e assistenziali cui i servizi sono chiamati a far fronte e che per altro sono ben conosciute dagli operatori di salute mentale. Si tratta dell’incremento dei disturbi gravi di personalità, degli effetti di processi migratori internazionali mal governati, della gestione delle persone con problemi di salute mentale gravate da misure di sicurezza, delle crisi delle relazioni in adolescenza, delle crisi relazionali intrafamiliari con sempre più gravi episodi di violenza, dell’uso passivo e non critico dei social media che incrementano processi di solitudine e slatentizzano sofferenza psichica, dell’uso massivo di sostanze stupefacenti e alcol come auto-medicamento per far fronte a tali problemi. Tali sfide ci impongono un mutamento nel modo di pensare i nostri servizi di salute mentale e socio-sanitari; implicano una visione della loro organizzazione e della loro funzione maggiormente aderente e al passo con i cambiamenti più sopra segnalati.
La trasformazione dei Servizi per altro non può prescindere dai mutamenti delle forme del lavoro e dell’organizzazione sociale e istituzionale nell’ambito della cura della salute e delle persone, con l’incremento del peso e del ruolo del Terzo Settore. A questo riguardo, la riflessione sui Servizi di salute mentale deve considerare la rilevante riforma del Terzo Settore finalizzata a promuovere e rafforzare il ruolo delle organizzazioni non profit e di volontariato in Italia (nota 1).
In generale, l’obiettivo della Riforma del Terzo Settore è stato quello di rafforzare il ruolo delle organizzazioni non-profit nella società, facilitando la loro attività, aumentando la trasparenza e promuovendo la partecipazione attiva dei cittadini. Di fatto stiamo assistendo allo sviluppo di una miriade di enti non-profit a livello locale che si occupano di tutta l’area della fragilità sociale con una frammentazione tale degli interventi da richiedere una governance a livello locale sempre più urgente. Lo sviluppo più interessante riguarda il mondo della cooperazione sociale e il suo difficile rapporto con il sistema sanitario pubblico sempre più smantellato.
Cooperazione sociale e salute mentale
La cooperazione sociale e i Servizi pubblici di salute mentale sono strettamente interconnessi, poiché le cooperative sociali svolgono un ruolo cruciale nel supporto, nell’integrazione e nella riabilitazione delle persone con disturbi mentali. Queste cooperative sono imprese che perseguono obiettivi di utilità sociale e di inserimento lavorativo per persone svantaggiate, tra cui coloro che soffrono di disturbi psichici. La loro missione è duplice: da un lato, fornire servizi socio-sanitari e assistenziali (residenze protette, centri diurni, servizi domiciliari, ecc.); dall’altro, promuovere l’inclusione lavorativa offrendo opportunità di impiego in contesti abilitanti e adattati alle esigenze delle persone con fragilità psichica. Nel tempo, la cooperazione sociale ha ampliato il proprio raggio d’azione, occupandosi anche di servizi residenziali, semiresidenziali e domiciliari per minori e adolescenti, nonché di interventi nell’ambito dell’autismo, del ritardo mentale, della disabilità e delle fragilità sociali, fino all’accoglienza di senza fissa dimora, richiedenti asilo e rifugiati e migranti economici. In molte aree d’Italia, il numero delle cooperative sociali è cresciuto in modo esponenziale e diffuso. Si rende necessaria una riflessione sulla natura e l’essenza stessa di questo modello di impresa: sulla rispondenza delle loro effettive pratiche decisionali e di funzionamento ai principi democratici; sui modi attraverso cui contribuiscono ai processi di partecipazione dei cittadini allo sviluppo sociale e locale; sulla misura incrementale di empowerment dell’utenza e dei familiari che garantiscono rispetto ai soli processi in tal senso attivati dai Servizi pubblici di salute mentale; sul natura e la qualità delle loro interazioni con la committenza pubblica (aziende sanitarie, enti locali e governativi, organismi europei e internazionali).
Dalle risultanze analitiche intorno a simili elementi derivano gli elementi decisivi nella determinazione delle possibilità di co-programmazione, co-progettazione, co-gestione e co-produzione a livello locale. A partire da esse, inoltre, è possibile iniziare a interrogarsi intorno ai temi della leadership e della governance a livello locale. In mancanza di un chiarimento, invece, il rischio è quello di uno sviluppo frammentato e autoreferenziale del settore, senza la possibilità di fornire risposte efficaci ai bisogni reali, né di contribuire a una revisione migliorativa della normativa sul welfare.
Crisi dei servizi di salute mentale e cambio epistemologico
La crisi dei servizi territoriali di salute mentale è un fenomeno ampiamente discusso negli ultimi anni, correlato a una pluralità di fattori interni ed esterni. Sul versante esterno hanno un peso preponderante il depauperamento progressivo delle politiche di welfare e lo spostamento sempre maggiore dalla centralità della sanità pubblica a forme privatistiche di sanità (e quindi verso l’assenza di risposte di cura per porzioni più o meno ampie di popolazione). Sul versante interno occorre interrogarsi su un doppio processo: da un lato, la crescente centralità che negli ultimi decenni hanno assunto la psichiatria biomedica moderna e in generale le prospettive basate sulle evidenze e, dall’altro, la difficoltà a rispondere efficacemente alle domande di salute mentale poste da un’utenza sempre più composita, articolata e vasta. Di fatto, il ricorso ai farmaci psicoattivi non arriva nella clinica reale dei Servizi (e neanche in quella degli studi privati) a risolvere efficacemente e soddisfacentemente i problemi posti dai disturbi psichici all’esistenza individuale e i modelli neurobiologici che dovrebbero costituire il fondamento razionale del loro utilizzo non ne saturano autonomamente i dilemmi eziopatologici, patomorfosici e terapeutico-riabilitativi. La diminuzione dei finanziamenti pubblici mette in pericolo la qualità della ricerca e di conseguenza la disponibilità di cure innovative. I problemi di salute mentale richiedono sempre l’articolazione delle dimensioni ulteriori rispetto a quella biologica: psicologica, sociologica e antopologico-culturale. Si evidenzia una tendenza alla standardizzazione delle cure, incapaci così di tenere conto delle differenze individuali e culturali nella manifestazione dei disturbi mentali. La personalizzazione delle cure in salute mentale non può esaurirsi nei profili genetici, nelle configurazioni neuropsicoendocrinologiche o patobiografiche o in minimi fattori sociologici (come il genere). Occorre uno sguardo diacronico che consideri gli eventi e i contesti di vita, la storia individuale e quella collettiva, i valori individuali e le visioni culturali di riferimento. La semplificazione biomedica dei disturbi mentali, soprattutto se eccessivamente enfatizzata e considerata come autonoma e autosufficiente, sembra costituire un limite per i Servizi di salute mentale, riducendone la capacità di comprendere l’interazione fra i fattori biologici, psicologici, sociali, ambientali e culturali in gioco e di articolare una risposta diagnostica, terapeutica e riabilitativa adeguata. Il ricorso opportuno ai farmaci psicoattivi, temperato dalla considerazione dei loro effetti collaterali a breve e a lungo termine – non sempre insignificanti – non può essere disgiunto dalla loro articolazione con altre forme di intervento terapeutico capaci di esaltare la partecipazione e l’expertise degli utenti, dei loro familiari e dei loro gruppi culturali di riferimento; così come di valorizzare le risorse personali e gruppali di rispondere ai bisogni di salute mentale.
In sintesi, la crisi della psichiatria biomedica riflette una serie di sfide che le discipline psicologiche-psichiatriche si trovano ad affrontare nel rispondere ai cambiamenti strutturali della società. È necessario un approccio integrato e olistico alla salute mentale, che riconosca la complessità dei fattori implicati nei disturbi mentali ed un cambio epistemologico. L’esperienza psicopatologica rappresenta l’espressione di un campo relazionale e mentale che coinvolge la sua famiglia, il contesto in cui vive e ha vissuto, nonché le esperienze accumulate, sia direttamente sia attraverso le tracce genetiche ed epigenetiche. La mente non corrisponde semplicemente al cervello: è il frutto di una storia personale, di relazioni, emozioni ed esperienze, sia coscienti che inconsce, nell’ambito di uno specifico contesto ecologico e culturale. Questa complessità rende difficile ottenere risposte univoche. D’altra parte, si possono apprezzare gli sforzi compiuti e in corso da parte delle neuroscienze per avanzare lungo una visione complessa del loro oggetto di studio. Lungo questa direzione si può citare ad esempio Gallese che scrive: “Le ricerche antropologiche stanno rendendo conto del paradosso di considerarci individui, cioè indivisibili, e della necessità di considerarci espressione delle relazioni e dei contesti culturali in cui nasciamo e viviamo. Se da individui ci riconosciamo condividui, ne derivano conseguenze importanti riguardo alla nostra interdipendenza con gli altri e ai processi di cooperazione e conflitto che stabiliamo nelle nostre comunità di vita. Da tanti ‘io’ che pensavamo di essere ci accorgiamo di derivare dai ‘noi’ di cui siamo parte” (Gallese, pag 7). “I risultati della ricerca testimoniano che sono proprio la relazione e la intersoggettività a fondare i processi di individuazione mediante i quali ognuno di noi diviene quello che è”.(Gallese, pag 13)
Applicare in psichiatria i principi evidence-based (EB) della medicina rappresenta, di fatto, una risposta parziale. Guardando le esperienze riportate nelle ricerche evidence-based con esiti positivi, si riscontra una focalizzazione su terapie farmacologiche, interventi cognitivo-comportamentali e psicoeducativi. Questi studi sono spesso limitati al breve termine e, quando producono risultati positivi, sono quasi sempre correlati e integrati con trattamenti psicosociali, il coinvolgimento attivo della famiglia, della rete sociale e un’accoglienza adeguata da parte del sistema di cura, ovvero condotti dopo un significativo filtraggio diagnostico che distanzia quegli studi dalla clinica reale. La psichiatria si occupa di fenomeni complessi, spesso influenzati da fattori biologici, psicologici, sociali e culturali. Gli approcci EB tendono a ridurre questa complessità a modelli lineari che rischiano di trascurare dimensioni importanti della sofferenza psicologica. Le ricerche sono spesso orientate verso la valutazione di interventi farmacologici, mentre trattamenti psicoterapeutici o psicosociali, che richiedono tempi e metodologie diverse, sono meno frequentemente oggetto di ricerca sistematica. Mancano standard chiari per la valutazione delle psicoterapie, rendendo difficile confrontarle con trattamenti farmacologici. Inoltre l’implementazione delle linee guida basate sull’evidenza nella pratica clinica può essere ostacolata da risorse limitate, barriere organizzative o mancanza di formazione specifica. Soprattutto in simili condizioni, gli approcci EB presentano il rischio di condurre verso una medicina protocollare, che limita la creatività e la flessibilità del clinico nell’adattare il trattamento alla singolarità del paziente e del suo contesto di vita.
È possibile individuare tutta una serie di pratiche cliniche e terapeutiche che si muovono al contrario nella direzione di un’epistemologia della complessità in salute mentale e che provano a rendere conto della molteplicità intrinseca all’idea di malattia e di cura e al rapporto di cura. Pensiamo ad approcci quali la psicoanalisi multifamiliare, le pratiche dialogiche, le pratiche etnocliniche e la comunità terapeutica democratica. Tutti, nella loro diversità, permettono di non confinare la malattia “nella persona”, rinviandola ad un processo che si produce “tra le persone” e fra queste e loro contesti storico-culturali. Ci pare che arricchendo la pratica dei servizi con simili risorse operative sia possibile perseguire un cambio di paradigma nei Servizi di salute mentale, superando semplificazioni e iper-specializzazioni che sostengono pratiche cliniche sempre più tecnicistiche e frammentarie.
Principi fondamentali di questi approcci
- Un cambio epistemologico
Gli interventi si spostano dall’individuo che esprime la sofferenza mentale alle relazioni che lo circondano, quindi alla famiglia e ai gruppi. I gruppi familiari e le reti sociali di riferimento, con le loro risorse affettive, operative e conoscitive, diventano protagonisti della cura, perdendo la qualifica e lo statuto di semplici destinatari/utenti. Essi attivano risorse e capacità terapeutiche proprie (le loro “virtualità sane”), contribuendo al processo trasformativo. - Una postura diversa dell’équipe curante
Gli operatori abbandonano la tradizionale asimmetria, che li vede come dispensatori di risposte e interventi “alla persona”, per inserirsi attivamente nel campo terapeutico. Nella cultura dominante, il terapeuta o clinico è spesso considerato colui che è in possesso del sapere ed è capace di decidere autonomamente le risposte adeguate. Questo approccio - sostanzialmente psicoeducativo – è rassicurante, ma mantiene il potere nelle mani dei curanti. Nei gruppi multifamiliari, nelle pratiche dialogiche ed etnocliniche, invece, il cambiamento è co-costruito attraverso il gruppo, con la partecipazione attiva di tutti. - Un’evoluzione dei servizi pubblici di salute mentale
Questi approcci possono trasformare i servizi in luoghi più accoglienti e gentili, in cui utenti e operatori trovano un clima migliore per operare. Promuovono un’interdipendenza positiva tra pazienti, famiglie e operatori, rendendo il sistema più umano e sostenibile.
Strumenti per sostenere questo cambiamento:
Nella formazione sui GPMF, sulle pratiche dialogiche, sulle pratiche etnocliniche e sulle comunità terapeutiche democratiche, utilizziamo modalità dialogiche e pratiche volte a favorire l’ascolto responsivo e la riflessione. Tra gli strumenti impiegati figura anche la costruzione del genogramma familiare per ogni operatore, svolta in modo relazionale con il gruppo, per esplorare interdipendenze e traumi personali e professionali. Queste pratiche creano un clima di collaborazione e fiducia tra colleghi, migliorando il benessere istituzionale e favorendo una cultura clinica più accogliente e centrata sulla relazione. La sofferenza mentale non è mai solo individuale, ma riguarda un campo mentale e relazionale condiviso. Sta a noi, come operatori, accogliere questa complessità per prenderci cura degli altri, mentre impariamo a prenderci cura anche del nostro benessere. Perché lavorare per una clinica ecologica presuppone “… la costruzione di dispositivi generativi, in cui vi sia un influenzamento reciproco dei soggetti che vi partecipano... Tutto questo concorre alla definizione di comunità generative, che promuovono guarigione e che chiedono ai loro rappresentanti (soggetti che curano e soggetti della cura) di essere disponibili alla trasformazione e di accettare di essere parte di una dinamica di cambiamento” (Zorzetto S., Mamone B., Cardamone G., 2024).
Una nuova vision dei Servizi socio-sanitari per il benessere mentale e la sfida della complessità
I cambiamenti delle relazioni nella famiglia e nel sociale sono caratterizzati sempre più da comportamenti violenti. Quando una ragazza di 16 anni arriva al pronto soccorso o ai servizi territoriali con abuso di sostanze, rifiuto di alimentarsi, tentativo di suicidio, self cutting, in conflitto con i genitori, con relazioni sociali turbolente o violente, chi dobbiamo curare? La ragazza, i suoi genitori, i fratelli e sorelle, gli amici, i compagni di classe? Queste riflessioni ci interrogano su quali approcci siano più utili ed efficaci. Se la sofferenza è nella relazione interpersonale possiamo ancora proporre interventi individualistici e frammentati?
Qui trovano spazio le riflessioni sui gruppi multifamiliari, sull’open dialogue, sulle pratiche etnocliniche nonché sulla comunità terapeutica democratica. Tali approcci configurano significative opportunità per valorizzare le risorse familiari, sociali e della comunità in genere, essendo strumenti che valorizzano il dialogo, la relazione e la democrazia al fine di perseguire il benessere mentale di comunità. Il dialogo fra le parti, il rispetto dell’altro nella sua complessità, inteso come una persona unica e mai completamente conoscibile, sono principi comuni a tutti questi approcci. All’interno di queste cornici terapeutiche viene enfatizzato il valore della democrazia in quanto ognuno di noi, operatore o utente, può esprimere la propria idea, la propria visione del mondo, riconoscendo a ciascuna uguale dignità e quindi la necessità di un continuo confronto e scambio di idee e di punti di osservazione.
Questo tipo di iniziative dovrebbero diventare prassi quotidiana. Occorrerebbe poi istituire un continuo confronto fra servizi, per potenziare i rispettivi interventi attraverso l’intelligenza collettiva maturabile a partire dalla rete creata. Tutto ciò è reso possibile attraverso modalità che permettano di includere l’uso delle nuove tecnologie nella nostra attività, così come individuare stili di lavoro che incrementino il senso di agency negli utenti e nelle famiglie.
Si tratta, dal nostro punto di vista, di una modalità di rilancio dei servizi socio-sanitari, proprio in questa fase storica caratterizzata dalla riduzione delle risorse e degli investimenti nella sanità pubblica. In questo senso, a nostro avviso, può essere utile riprendere operativamente la teoria della complessità di Edgar Morin. Essa si basa sulla concezione della realtà come sistema complesso e interconnesso. In questo senso, il nostro mondo non può essere compreso attraverso l’approccio riduzionista della scienza classica, ma richiede un’analisi globale che tenga conto delle molteplici interazioni tra i differenti elementi che lo compongono: il sistema sanitario pubblico di salute mentale, gli enti locali, le cooperative sociali e il mondo imprenditoriale profit e no-profit che gestisce servizi di salute mentale (per esempio le residenze), il mondo associativo di promozione sociale, le associazioni delle famiglie e degli utenti, le scuole di vario grado rispetto agli adolescenti, la Magistratura rispetto alle persone con misure di sicurezza, gli avvocati, gli amministratori di sostegno, gli istituti penitenziari, il mondo delle imprese e le organizzazioni di inclusione socio-lavorative.
In sintesi, la teoria della complessità di Morin ci invita a considerare la realtà come un sistema globale e interconnesso, nel quale l’analisi dei singoli elementi non può prescindere dalla comprensione dell’intero. Questo approccio ci permette di abbracciare la molteplicità e la diversità della realtà, e di comprendere la complessità dei problemi che dobbiamo affrontare nella nostra vita quotidiana.
Una riflessione sulla governance
Nella prospettiva appena delineata, la governance del sistema e i relativi processi decisionali non possono più essere ridotti a un rapporto asimmetrico e unidirezionale tra il “vertice” e la “base”. Al contrario, la governance diventa il risultato di un insieme di interazioni tra cittadini, organizzazioni, società civile e Stato.
Essa si configura come un processo di collaborazione, partecipazione e co-gestione delle risorse, fondato su principi essenziali quali trasparenza, responsabilizzazione, partecipazione, decentralizzazione, efficacia e legittimità. Questi principi mirano a garantire processi decisionali chiari, accessibili e trasparenti, promuovendo una maggiore partecipazione sociale.
La teoria della governance è fondamentale perché rappresenta un’alternativa alla centralizzazione decisionale, favorendo il coinvolgimento della società civile nella gestione dei processi decisionali. Questo approccio consente una maggiore inclusione e rappresentatività dei bisogni della comunità, rafforzando la legittimità delle decisioni e migliorando l’efficacia delle politiche sanitarie pubbliche.
Poiché la salute mentale e il benessere sono influenzati da fattori multidimensionali e complessi, la governance diventa uno strumento cruciale per coordinare l’azione tra diversi settori, come il sistema sanitario, l’istruzione, la sicurezza sociale, il lavoro e la comunità. Un approccio multisettoriale e partecipativo può migliorare l’accesso equo ed efficace ai servizi di salute mentale, aumentando il coinvolgimento degli interessati e promuovendo una maggiore consapevolezza sulle problematiche di salute mentale. Ciò contribuisce anche a ridurre la stigmatizzazione e a diffondere una cultura della salute mentale come elemento fondamentale del benessere collettivo.
La collaborazione tra i diversi attori consente di sviluppare politiche pubbliche più efficaci e rispondenti ai bisogni della comunità attraverso tre strumenti chiave: co-programmazione, co-produzione e co-gestione.
- Co-programmazione: serve a individuare le esigenze della comunità in tema di salute mentale e a sviluppare politiche e programmi adeguati.
- Co-produzione: permette di progettare servizi socio-sanitari più attenti alle specificità locali e culturali, rafforzando il legame tra i servizi e i cittadini.
- Co-gestione: favorisce la collaborazione tra enti pubblici e società civile nella gestione di risorse e beni comuni.
L’integrazione di questi approcci può risultare determinante per la promozione della salute mentale, garantendo politiche e programmi mirati e migliorando l’accesso ai servizi a livello locale.
Immaginiamo il "tavolo della complessità" come un’organizzazione articolata, multi-professionale e multi-istituzionale che, a livello locale, si occupa del benessere mentale delle comunità. Questa struttura poggia su quattro pilastri fondamentali:
- Il servizio pubblico di salute mentale;
- Gli enti locali;
- La cooperazione sociale e il terzo settore;
- La rete degli utenti e dei familiari, nota anche come "quarto settore".
Già oggi sono attive numerose risorse umane, economiche e strutturali. Per essere efficace, questa organizzazione deve essere reticolare e interconnessa, dotata di una visione comune, obiettivi condivisi, una formazione e intervisione continua congiunta.
Il ruolo del Servizio Sanitario e del DSMD
Le Aziende Sanitarie e i Dipartimenti di Salute Mentale e Dipendenze (DSMD) gestiscono i servizi sanitari su un determinato territorio, occupandosi di prevenzione, cura e riabilitazione. Qui operano diversi specialisti: psichiatri, neuropsichiatri infantili, tossicologi, psicologi, assistenti sociali, infermieri, educatori, tecnici della riabilitazione, operatori socio-sanitari e amministrativi.
Il Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze (DSMD) coordina vari servizi, tra cui:
- Centri di Salute Mentale (CSM),
- Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (SPDC),
- Servizi per le Dipendenze (SERD),
- Neuropsichiatria Infantile (NPI),
- Strutture residenziali e semiresidenziali,
- Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS),
- Servizi per i disturbi alimentari e della nutrizione.
Il ruolo degli Enti Locali e delle Società della Salute
Gli enti locali e le Società della Salute svolgono un ruolo cruciale nell’integrazione sociosanitaria, con competenze che includono:
- Pianificazione e finanziamento dei servizi socio-assistenziali, spesso in collaborazione con le ASL;
- Promozione di interventi di prevenzione e inclusione sociale;
- Coordinamento delle politiche abitative e lavorative per il reinserimento sociale.
Le Società della Salute (SdS), presenti in alcune regioni come la Toscana, gestiscono in modo integrato i servizi sanitari e sociali, promuovendo il dialogo tra istituzioni e sostenendo progetti di autonomia e inclusione lavorativa.
Il ruolo degli Enti Locali e delle Società della Salute
Le Case di Comunità rappresentano punti di riferimento territoriali per l’assistenza primaria, con l’obiettivo di:
Gli Ospedali di Comunità garantiscono ricoveri a bassa intensità, assistenza infermieristica h24 e supporto medico, riducendo il sovraccarico ospedaliero e favorendo la riabilitazione post-acuzia.
Anche la magistratura svolge un ruolo rilevante, con implicazioni nel diritto minorile e nelle misure di sicurezza. In questo ambito operano assistenti sociali, educatori, psicologi, avvocati e magistrati.
Il contributo della cooperazione sociale e del terzo settore
La cooperazione sociale e il terzo settore forniscono servizi essenziali, integrando il sistema pubblico. Le cooperative sociali (tipo A e B) si occupano di assistenza, inclusione lavorativa e supporto domiciliare. Gli enti del terzo settore promuovono l’autonomia dei pazienti, l’integrazione sociale e la sensibilizzazione sulla salute mentale.
Negli anni si sono sviluppati progetti innovativi come:
Tuttavia, il settore affronta sfide significative, tra cui:
Il ruolo delle associazioni di utenti e familiari
La rete delle associazioni di utenti e familiari promuove i diritti delle persone con disturbi mentali, combatte lo stigma, favorisce l’auto-mutuo aiuto e partecipa attivamente alla definizione delle politiche sanitarie. In Italia, numerose associazioni operano a livello regionale e nazionale per migliorare la qualità della vita delle persone con disturbi psichici e delle loro famiglie.
Questa rete articolata e interconnessa rappresenta un modello di governance innovativo, capace di rispondere alle sfide della salute mentale contemporanea con un approccio integrato e collaborativo.
Sfide e prospettive
Nonostante i progressi, permangono importanti criticità, tra cui:
- Frammentazione dei servizi e tendenza all'autoreferenzialità;
- Difficoltà nella definizione chiara della governance, sia a livello locale che nella gestione dei singoli casi;
- Carenza di risorse e investimenti nel settore pubblico, nonché ritardi nei pagamenti per il terzo settore;
- Mancanza di formazione congiunta e momenti di intervisione tra istituzioni e professionisti di diverse discipline;
- Persistenza dello stigma legato alla malattia mentale.
Un maggiore coordinamento tra tutti gli attori coinvolti si rende necessario e strutturale, poiché potrebbe migliorare significativamente i processi di guarigione, la qualità dell’assistenza e favorire un approccio più inclusivo alla salute mentale. Ciò contribuirebbe anche allo sviluppo locale e ai processi di partecipazione e democrazia.
In questa prospettiva, è possibile delineare una nuova visione della salute mentale, accompagnata da una lettura antropologica approfondita dei cambiamenti epocali in corso.
Questo approccio consentirebbe di affrontare tali trasformazioni con maggiore consapevolezza, fiducia e speranza.
Note
Nota 1 La riforma del Terzo Settore è stata realizzata con la legge n. 106/2016, nota anche come “Legge delega per il riordino del Terzo Settore”. Da tale provvedimento legislativo è stato poi estrapolato il Codice del Terzo Settore (attuato con il Decreto legislativo 3 luglio 2017 n.117). Quest’ultimo ha avuto lo scopo di unificare la normativa relativa al Terzo Settore, includendo e ordinando tante realtà tra le quali associazioni di promozione sociale (APS), le associazioni e le reti associative che svolgono una o più attività con finalità civiche solidaristiche e di utilità sociale, le società di mutuo soccorso, gli enti filantropici, le fondazioni e gli altri enti di volontariato. Oggi, tutti questi enti si chiamano Enti del Terzo Settore (ETS), una nuova forma giuridica istituita dalla Riforma.
Bibliografia
Gallese V, Ugo Morelli. “Cosa significa essere umani?” Raffaello Cortina Editore Milano 2024 pagina 7 e 13.
Zorzetto S., Mamone B., Cardamone G. “Per un rinnovamento delle pratiche di cura in salute mentale. Il contributo dell’etnopsichiatria” in Barone L. e Barone R. (a cura di) “La scintilla dialogica”. Pensa Multimedia, Lecce,2024 pagina 83.