Crisi parossistiche non epilettiche (PNES): considerazioni su una patologia a ponte fra psichiatria e neurologia
Autori
(1) Università degli Studi di Firenze, Dipartimento di Psichiatria. Largo Brambilla, 3 – 50134 Firenze.
(2) Centro Disturbi Alimentari, IOT Palagi, Firenze. Viale Michelangiolo, 41-50141 Firenze.
(3) Dipartimento di Salute Mentale Adulti AUSL Toscana Centro, Prato. Via Cavour, 87 – 59100 Prato.
(4) Università degli Studi di Firenze, Dipartimento di Neurologia. Largo Brambilla, 3 – 50134 Firenze.
(4) Dipartimento di Neurologia AUSL Toscana Centro, Prato. Via Suor Niccolina 20/22 – 59100 Prato.
Ricevuto il 27 maggio 2024; accettato il 14 giugno 2024
Riassunto
Le crisi parossistiche non epilettiche sono fenomeni di grande rilevanza clinica che faticano a trovare dei riscontri esaustivi in termini diagnostici, di trattamento e di prognosi. La loro collocazione all'interno della pratica medica rimane argomento di discussione, anche all'interno delle specializzazioni di pertinenza. Il presente report discute lo stato dell’arte sull’argomento e, in assenza di linee guida condivise, propone alcuni elementi potenzialmente utili per migliorare il processo di comprensione ed inquadramento della patologia e garantire un approccio terapeutico appropriato. Inoltre, fornisce un opuscolo accessibile gratuitamente, volto ad informare sia i medici che gli utenti sul tema trattato.
Summary
Paroxysmal non-epileptic seizures represent clinically significant phenomena that struggle to find their place in terms of diagnosis, treatment, and prognosis. Their integration within medical practice remains a topic of discussion, even within the specialties that most commonly deal with them. This report presents the state-of-the-art on the subject and, in the absence of shared guidelines, proposes potentially useful elements to enhance the understanding and framing of the pathology, ensuring an appropriate therapeutic approach. Additionally, it provides a freely accessible brochure aimed at informing both physicians and users about the discussed topic.
Introduzione
Le transitorie perdita di coscienza (TPC) si configurano variamente nelle sincopi, nelle crisi epilettiche e nelle crisi non epilettiche; in tempi relativamente recenti queste ultime sono state rinominate PNES, stante per “paroxysmal non-epileptic seizures” (LaFrance & Schachter, 2010). Il termine PNES, utile per esigenze di brevità, serve in realtà a raggruppare un folto numero di entità cliniche e di quadri diagnostici che hanno visto diverse ri-formulazioni nel corso degli anni (Kurcgant & Ayres, 2011). “Funzionale”, “dissociativo”, “pseudocritico” sono solo alcuni dei termini utilizzati per caratterizzare le PNES (Scull, 1997), che riuniscono la connotazione “non epilettica”; in certi casi, viene usato il termine “evento” piuttosto che “crisi”, per creare ulteriore separazione.
Da un punto di vista psichiatrico il punto di origine non è così recente come si potrebbe credere: i primi celebri accenni si osservano nella casistica descritta da Charcot - ed ancor prima da Whytt e Sydenham - nel mare magnum di reazioni isteriformi che venivano studiate alla Salpêtrière. Già allora era stato coniato il termine “isteria epilettiforme”, che definisce una separazione abbastanza netta, riconoscendo anche dei punti di somiglianza. Un altro termine rilevante è “epilettoidia”, coniato da Minkowski per designare gli aspetti istintivo-affettivi e comportamentali di alcuni soggetti affetti da epilessia; elementi pervasivi, in un rapporto di interdipendenza con il sintomo primario, che confluiscono in assetti di personalità ben definiti (Minkowski, 1927). Il concetto di “personalità epilettica” era già diffuso, ne è un esempio il principe Myškin ne “L’idiota”: Dostojevskij, attingendo anche alla sua esperienza personale (Hughes, 2005), lo descrive come un uomo condizionato nelle sue azioni dalla vulnerabilità derivante dalla sua malattia, in uno stato di “incessante ansia di sperimentare il momento” (Fung, 2017).
Proseguendo la disamina sui punti di unione e di separazione tra epilessia e patologia psichiatrica, Schneider differenzia l’epilessia “genuina” dalle cosiddette psicosi su base somatica (Schneider, 1959); la necessità di questa distinzione nasce dall’osservazione di crisi temporali, che si distinguono per fenomenica da altre forme, predisponendo anche ad assetti di personalità differenti (Ballerini, 1961).
Con l’introduzione dei moderni sistemi di classificazione dei disturbi mentali, si è cercato di ricondurre i quadri descritti finora a delle radici comuni; gli attacchi non epilettici sono stati idealmente collocati nel capitolo dei disturbi somatoformi e, successivamente - nell’ultima versione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, in quello dei “disordini da sindromi neurologiche funzionali” (American Psychiatric Association, 2022). Tale scelta, volta ad enfatizzare l’assenza di danno fisico primario a determinare la malattia, è utile ai fini categoriali, ma rischia di essere eccessivamente semplificativa; esclude infatti alcuni elementi propri della patologia che invece costituiscono dei tratti fondamentali costitutivi (e.g., i sintomi dissociativi, che vengono fatti afferire ad una categoria differente, nonostante venga menzionata la possibilità di attribuire entrambe le diagnosi) (Brown & Trimble, 2000). L’obiettivo di questo articolo è di proporre un modello integrato che permetta di riconciliare le varie interpretazioni date finora a questi sintomi, partendo da quanto già è stato riportato in termini di epidemiologia, diagnosi e trattamento.
Epidemiologia
All’interno del gruppo dei disturbi funzionali, le PNES sono l’entità più rappresentata: ne soffrono dalle 2 alle 33 persone su 100.000 individui (Bompaire et al., 2021). L’incidenza però sale notevolmente quando parliamo di soggetti affetti da epilessia: circa il 10% di PWEs (people with epilepsy) può presentare PNES. Allo stesso modo, fra il 10 e il 50% di pazienti con PNES ha anche una forma di epilessia (Benbadis et al., 2001).
Non è tutto: è molto frequente che pazienti con PNES vengano erroneamente etichettati come PWE, e viceversa (Peköz et al., 2022). In certi casi, la PNES può perfino sembrare uno status epilepticus (Jungilligens et al., 2021); per dare un’idea dell’entità del problema, il 10% degli accessi in codice rosso per sospetta epilessia e fino al 30% delle visite nei centri di terzo livello per epilessia coinvolgono, in realtà, pazienti con PNES (Popkirov et al., 2019).
Nell’epilessia, soprattutto in quella temporale, è stata riscontrata da numerosi Autori una maggior prevalenza di disturbi di tipo psichiatrico (Keezer et al., 2016; Pakalnis et al., 1991); tuttavia, nessun’altra patologia psichiatrica ha un tasso di comorbilità nell’epilessia come le PNES.
Nei pazienti con PNES si registra un'alta incidenza di disturbi d’ansia ed affettivi, tendenze suicidarie, schizofrenia e disturbi di personalità, talvolta prima dell'insorgenza degli attacchi (Rady et al., 2021); punteggi di MMPI anormali in pazienti con PNES sono frequenti nelle scale dell’isteria, dello psicoticismo, e in modo minore della depressione (Vanderzant, 1986; Kalogjera-Sackellares, 1997).
La stragrande maggioranza dei pazienti con PNES è di sesso femminile, e di giovane età (Asadi-Pooya & Sperling, 2015). L’esordio delle PNES si colloca di solito nella prima età adulta, fra i 20 e i 30 anni di età. Il 70% dei soggetti ha un’anamnesi psichiatrica positiva, e circa la stessa percentuale di soggetti presenta una storia di trauma. Oltre al tasso di comorbilità psichiatrica, è anche importante sottolineare come quasi il 60% lamenti deficit cognitivi (Driver-Dunckley et al., 2011).
Nel 50% dei casi, l’esordio coincide con un evento che potrebbe dare luogo a convulsioni, come per esempio un trauma cranico (Bompaire et al., 2021).
Presentazione clinica
La semeiologia delle PNES è stata descritta approfonditamente da vari autori; una buona base è fornita da Devinsky et al. (2011), che approcciano la questione descrivendo ciò in cui le PNES si discostano dalle crisi epilettiche (Tabella 1).
Altri criteri utili sono quelli temporali: le PNES si presentano solitamente con una TPC tendenzialmente più duratura di una crisi epilettica; l’esordio è spesso insidioso, graduale.
Il pattern può essere variabile, laddove la clinica della crisi epilettica è invece spesso stereotipata, con minima variabilità tra una crisi e l’altra. Di recente, è stata pubblicata una metanalisi che identifica gli elementi maggiormente dirimenti per la diagnosi differenziale (Muthusamy et al., 2022): in tal senso, sono stati identificati due sintomi, l’iperventilazione ed il “rocking” (l’ondeggiare avanti e indietro) che raggiungono un sufficiente “grado di confidenza”.
Risulta evidente il tentativo di caratterizzare il fenomeno sulla base delle caratteristiche dei sintomi “somatici”, da correlarsi con i dati epidemiologici e la storia di disturbo psichiatrico o di trauma (Devinsky et al., 2011). Tale impostazione fornisce degli strumenti indubbiamente utili, ma viene da chiedersi se la mancata inclusione di sintomi esclusivamente “mentali”, come per esempio la presenza di fenomeni dissociativi, non rischia di portare a un difficile riconoscimento della reale portata della sintomatologia osservata. Inoltre non prende in considerazione i fattori culturali, che possono modificare la presentazione sintomatologica e anche il vissuto del paziente circa la propria malattia (Kanemoto, LaFrance, et al., 2017).
Diagnosi neurologica
Di fronte a una TPC, i primi passi clinici da effettuare sono: esame obiettivo neurologico e cardiovascolare, ecodoppler o angiografia, elettrocardiogramma o ecocardiografia, TC o RM encefalo per escludere attacchi ischemici transitori (del circolo anteriore, posteriore o di entrambi), ed infine l’elettroencefalogramma (EEG). Tutto ciò dev’essere coadiuvato da un’attenta raccolta anamnestica, sia in termini di storia personale del paziente sia riguardo alla crisi; se non ci sono registrazioni dell’episodio ictale, è fondamentale ottenere informazioni di prima mano per dare contesto e valutare i possibili trigger (Leibetseder et al., 2020).
Le PNES sono crisi che mimano generalmente una sincope od una crisi epilettica e, in quest'ultimo caso, si possono manifestare a carico di qualsiasi apparato (visivo, motorio, sensitivo, gastrico, etc.). Si osservano anche reazioni di più difficile interpretazione, come per esempio gli spasmi affettivi, particolarmente frequenti nella prima infanzia e potenzialmente predittori di patologie dell’area psichiatrica in età adulta (Nagliero & Montecchi, 1987). Il sospetto di PNES viene formulato quando tutti gli esami di cui sopra si rivelano essere negativi o comunque non dirimenti.
Attualmente, il gold standard è la presenza della registrazione di una crisi con un video-EEG negativo correlata alla storia psichiatrica positiva (LaFrance et al., 2013). Criteri meno solidi ma comunque utili nel processo diagnostico sono: la registrazione di un video o l’osservazione in prima persona della crisi, basandosi sulla semeiologia, in assenza di EEG negativo; il pattern delle crisi (se sono più di due a settimana, è più probabile che siano PNES) e la mancata risposta alla terapie anticomiziali (Davis, 2004); una sufficiente conoscenza dell’argomento da parte del clinico, unitamente a ripetuti EEG negativi in assenza di elementi suggestivi quali il rialzo dei lattati, l’assenza di possibili noxae organiche che avrebbero motivato l’esordio dell’epilessia. In certi setting specifici è possibile tentare di indurre le crisi durante la registrazione dell’EEG; tuttavia, tale pratica è chiaramente poco ortodossa e scarsamente replicabile sistematicamente.
È importante ricordare che la natura delle crisi epilettiche fa sì che spesso sia molto difficile registrare un EEG dirimente anche in soggetti effettivamente affetti dal disturbo. L’’EEG può essere un’arma a doppio taglio: dal momento che si registrano EEG positivi anche in soggetti sani - seppur raramente (Noachtar & Rémi, 2009), non possiamo escludere che anche un paziente con PNES possa far registrare un EEG positivo. Ulteriori tentativi per distinguere epilessia e PNES vedono nell’interpretazione dell’EEG inter-ictale una possibile risposta; tuttavia, ad oggi tale metodica non sembra essere del tutto risolutiva (Ahmadi et al., 2020).
Diagnosi psichiatrica
Il dato clinico principale delle PNES è la transitoria perdita di coscienza, ma nella definizione di disturbo funzionale del DSM-5 viene specificato come “i sintomi non possano essere spiegabili per via di un’altra condizione neurologica o psichiatrica”. I disturbi in diagnosi differenziale per transitorie perdite di coscienza più comuni in psichiatria sono: Disturbo Funzionale o di Conversione, Disturbo di Panico, Disturbo Dissociativo dell'Identità, Disturbo Post-traumatico da Stress (American Psychiatric Association, 2022).
Fra questi, il disturbo da attacchi di panico è quello che condivide più caratteristiche con le crisi epilettiche e, di riflesso, con le PNES: a partire dai sintomi neurovegetativi (sensazione di soffocamento, tachicardia, iper-sudorazione), passando per quelli più “psicologici” (vissuti di derealizzazione, déjà vu, déjà vécu e memoria panoramica sono stati ampiamente descritti in soggetti affetti da disturbo di panico ed epilessia del lobo temporale, oltre che ovviamente nel disturbo dissociativo dell’identità) e ragionando infine in termini di trigger, troviamo moltissimi punti di sovrapposizione (Johnson et al., 2018). Un numero limitato di soggetti con epilessia può presentare brevi manifestazioni parossistiche d'ansia come eventi critici ictali, mentre molti pazienti con epilessia cronica accusano manifestazioni intercritiche di ansia e paura con caratteristiche episodiche piuttosto che in forma parossistica. La paura ictale è il più comune tra gli eventi critici emozionali (Biraben, 2001): si presenta come crisi parziale semplice, in genere di durata inferiore a 30 secondi, o come evento iniziale ugualmente breve di una crisi parziale complessa (Williams, 1956). Episodi intercritici di ansia, della durata di ore o giorni, e paure intercritiche di certe situazioni, si verificano invece in circa la metà dei pazienti con epilessia cronica (Blumer, 1995). Nelle crisi epilettiche è ravvisabile una marcia (i.e., una progressione temporale, fenomenica e talora anatomica) dei vari sintomi, i quali tendono a mantenere un rapporto costante tra loro (Wolf et al., 2020). I vari episodi si differenziano per l'intensità e la durata ma non per le caratteristiche sintomatologiche che sono appunto relativamente costanti. Di contro, gli attacchi di panico sono pleiomorfi e, di volta in volta, si presentano con un corteo sintomatologico diverso. Le PNES, in questo, assomigliano maggiormente agli attacchi di panico. La differenza risiede più nel correlato psicologico: negli attacchi di panico l'ansia tende a essere la manifestazione predominante, mentre nelle PNES viene spesso mascherata da sintomi somatici o dell’area dissociativa. Tuttavia, quelli elencati non bastano a descrivere accuratamente le caratteristiche cliniche del paziente con PNES: infatti, in alcuni ritroviamo anche aspetti più caratteristici dell’area psicotica, in un continuum con aspetti ampiamente descritti in pazienti affetti da epilessia temporale (Ballerini & Germano, 1960; Devine & Duncan, 2007). Un ulteriore elemento che può distinguere le PNES dal panico è costituito dal dolore: in molti pazienti un dolore intenso rappresenta il sintomo prodromico dell'attacco, come esperienza ingravescente (Türk et al., 2021); il dolore è una componente caratteristica dei disturbi funzionali, tant’è che viene indicato come “specificatore”. Uno stato depressivo di base può essere riconosciuto in pazienti con PNES non tanto per la presenza di umore depresso ma più spesso per uno stato anergico associato a esperienze di dolori somatici persistenti (Gazzola et al., 2012). Quando è presente un dolore atipico, può essere necessario indagare l’eventuale presenza di vissuti traumatici: l'esperienza passata di un trauma psichico intenso e protratto può ritornare a flashback ed essere rivissuto nell'attacco (di qui il più evidente punto di contatto con il Disturbo da Stress Post-Traumatico) (Gasperi et al., 2021). Si tratta di un dato anamnestico molto comune nella storia di pazienti con PNES, sia in forma fisica che “affettiva” (per esempio, l’emotional neglect) (Yang et al., 2023).
Linee guida per il trattamento
Il trattamento delle PNES è, almeno da linee guida, prevalentemente psicoterapico. Questo deriva dal fatto che la collocazione all’interno dei Disturbi da Conversione esclude una chiara genealogia dai disturbi d’ansia o dell’area psicotica e quindi non porta così direttamente ad un intervento farmacologico tarato su una categoria diagnostica. Come tale, il soggetto con PNES deve essere primariamente avviato a un iter terapeutico di tipo psicologico-psicoterapico.
Peraltro, la somministrazione isolata - i.e., senza ulteriori interventi di salute mentale - in una terapia farmacologica in una condizione in cui la diagnosi differenziale con i disturbi neurologici è tanto delicata, deve essere attentamente valutata alla luce delle possibili implicazioni psicologiche per il paziente: infatti, la “medicalizzazione” attraverso il farmaco e lo spostamento del focus su un piano biomedico possono alleviare lo stigma, ma allo stesso tempo indurre pessimismo sulle possibilità di cura e scotomizzare la dimensione psicologica del trattamento (Kvaale et al., 2013). Inoltre, è noto che una diagnosi differenziale non conclusiva può ritardare un'appropriata presa in carico della condizione psicogena o della sua presenza in comorbilità (Kerr et al., 2016), portando ad esempio a ritenere erroneamente farmacoresistente un quadro di epilessia.
Ciò detto, è pratica comune strutturare l’intervento sui sintomi, utilizzando farmaci delle classi degli antidepressivi, degli stabilizzanti e degli antipsicotici in off-label o, più agevolmente, nei quadri in cui le PNES compaiono in comorbilità con altri disturbi dell’Asse I (disturbi dell’umore e della sfera post-traumatica in primis) (Kanner et al., 2012). In questo senso, sono di particolare rilievo i trattamenti antidepressivi ed ansiolitici (Gasparini et al., 2019; W. C. LaFrance et al., 2010).
Inoltre, dato il frequente tasso di comorbilità con crisi epilettiche di matrice organica (p.e., negli esiti di trauma cranico), è possibile valutare l’uso di antiepilettici con proprietà stabilizzanti il tono dell’umore caratterizzati da indicazioni cliniche sul fronte sia neurologico che psichiatrico (p.e., carbamazepina, lamotrigina, acido valproico). Di contro, per altri farmaci antiepilettici le evidenze sono non conclusive, o è stata persino prospettata la possibile induzione di PNES (Jabeen et al., 2018). In questo senso, deve essere tenuta in considerazione l’opposta direzionalità dei farmaci psicotropi nel modificare la soglia convulsiva (p.e., abbassata dal litio, stabilizzante di largo impiego che per questo motivo trova rara o nulla indicazione nei quadri psicopatologici concomitanti a diatesi epilettica). Un altro farmaco di possibile impiego alla luce delle evidenze scientifiche e delle attività regolatorie riguardo le indicazioni cliniche di trattamento è il pregabalin, approvato come antiepilettico in add-on, ma anche per il disturbo d’ansia generalizzato, altra frequente comorbilità clinica. Infine, anche per la presenza concomitante di disabilità intellettiva sono ipotizzabili interventi psicosociali ulteriormente differenziati rispetto alla restante popolazione clinica (Kanemoto, Goji, et al., 2017).
Per quanto riguarda l’approccio psicoterapico da adottare, un approccio cognitivista può funzionare bene sui meccanismi più assimilabili al disturbo d’ansia e una visione sistemica può fornire una chiave di lettura per gli assetti di personalità più complessi che si osservano in altri quadri. Possono essere efficaci anche le terapie di terza ondata - la Trauma-Focused Cognitive Behavioral Therapy (TF-CBT Cohen et al., 2012), l’Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR) (Shapiro & Maxfield, 2002), o la Sensorimotor Psychotherapy (Ogden et al., 2006) - potrebbero costituire un approccio adatto alle esigenze. Altri approcci che possono trovare una loro applicazione nel trattamento di questi disturbi sono le Mindfulness-based interventions (MBI) (Garrote‐Caparrós et al., 2022) e la compassion-focused therapy (CFT) (Leaviss & Uttley, 2015).
Ciò che è certo, è che parte del processo di guarigione (da parte dei pazienti) e di cura (da parte dei medici e degli psicologi) passa da una migliore comprensione di questo fenomeno. A questo scopo, abbiamo prodotto un opuscolo informativo, scaricabile gratuitamente sui siti dell’Associazione Italiana Epilessia, dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi e del Centro di Terapia Cognitivo Comportamentale di Firenze. L’opuscolo, ispirato dal lavoro del Non-Epileptic Seizure Treatment (NEST) group (Hall-Patch et al., 2010), si propone di informare e psico-educare il paziente; com’è noto, nei disturbi d’ansia parte della terapia consiste nel permettere al paziente di accedere ad una migliore comprensione del proprio funzionamento, delle proprie vulnerabilità e dei potenziali trigger stressogeni, unitamente ad una sufficiente consapevolezza di malattia. In generale, gli interventi di psicoeducazione ricadono sempre fra le raccomandazioni di prima linea, anche solo per il loro eccellente rapporto costi-benefici. Qui c’è da fare un’ulteriore precisazione: un opuscolo apre la via a chiarimenti quanto mai necessari in questo tipo di patologia. Non è infatti infrequente incontrare forte scetticismo ed incomprensioni nei pazienti a cui viene proposta la diagnosi di PNES, e spesso a ragione: è un’ipotesi a cui magari si approda dopo mesi o anni di tentativi terapeutici infruttuosi, in cui il sospetto primario era sempre stato quello di un disturbo epilettico refrattario ai trattamenti. Non serve sottolineare come il passaggio dalla condizione di “paziente epilettico” a quella di “paziente psichiatrico” possa portare ad un iniziale rifiuto, da ricondursi allo stigma circa la malattia mentale, soprattutto in questi pazienti, che spesso non percepiscono il correlato emotivo del loro sintomo fisico. Per questo, a lungo si è dibattuto sulle modalità più corrette per comunicare la diagnosi, e a chi spettasse (Hartwig & Pretorius, 2019). Ad oggi, è auspicabile che la diagnosi di PNES sia preferenzialmente comunicata dallo psichiatra, il quale viene di norma coinvolto come consulente nella fase conclusiva degli accertamenti neurologici - che sono di norma logicamente e cronologicamente primi. Nella disponibilità di un’équipe congiunta o di incontri condivisi, è anche possibile che la comunicazione sia condivisa con operatori di entrambe le discipline, allo scopo di aumentare i livelli di coerenza e di percepito coordinamento dell’iter diagnostico terapeutico, evitando elementi di confusione per il paziente.
Potenziali meccanismi patofisiologici
Una delle prime ipotesi moderne sul possibile meccanismo delle PNES è il modello del kindling (Goddard, 1983). In questa concettualizzazione, l'epilessia si produrrebbe a partire non da crisi d’emblée, ma da stimoli inizialmente subconvulsivanti: la stimolazione elettrica breve, intermittente e subliminare di una struttura cerebrale indurrebbe cioè il progressivo e plastico aumento dell’eccitabilità della stessa (Majkowski, 1986).
Allo stesso modo, stimoli psicosociali stressanti inizialmente non determinerebbero manifestazioni cliniche ma, ripetendosi, diventerebbero capaci di indurre episodi di tipo psichiatrico; col tempo gli stessi stimoli indurrebbero tali episodi fino alla comparsa di una condizione psicopatologica autosostenuta, producentesi cioè senza più necessità di stimoli inducenti.
Questo modello mette in correlazione due degli elementi caratteristici delle PNES osservati finora, l’ansia e l’epilessia, ma non tiene conto di altri aspetti già accennati, che sembrano essere costitutivi di alcune isoforme delle PNES: per esempio, in che modo ci possiamo spiegare la declinazione “simil-psicotica” di alcuni sintomi osservati in alcuni pazienti? Sintomi quali le alterazioni della salienza e i deficit neurocognitivi eludono le caratteristiche dei disturbi d’ansia, ma appaiono assolutamente spiegabili se messi in relazione con le manifestazioni tipiche dell’epilessia temporale (Ballerini & Germano, 1960; Needham & Hamelijnck, 2012), a cui, in certi casi, si associa l’insorgenza di quadri psicotici tout court (Irwin & Fortune, 2014).
Più affine al costrutto dell’ansia, ma comunque non spiegato dal modello del kindling, è invece il sintomo dissociativo. Quest’ultimo sembra condividere con i disturbi d’ansia una base neurobiologica (Bracha, 2004), ma si differenzia in termini semeiologici e, in un certo senso, etologici. Un elemento potenzialmente determinante è un’anamnesi positiva per storia traumatica: in questi pazienti sembra più probabile che le PNES si presentino con una concomitante sintomatologia dissociativa (Sawant & Umate, 2021): è come se il disturbo si adattasse al substrato anamnestico e di vulnerabilità che trova, e non viceversa.
Un modello che rappresenta in modo più fedele questi intricati rapporti è quello di Brown & Reuber (Brown & Reuber, 2016b; Reuber & Brown, 2017), basato sulla presentazione delle manifestazioni tipiche del disturbo (Brown & Reuber, 2016a), poi riproposto da Popkirov e colleghi (2019); la loro rielaborazione, tarata su sintomi e fattori ambientali piuttosto che categorie diagnostiche, rappresenta bene la complessità della patofisiologia del disturbo (Figura 2).
Il modello riprende la maggior parte degli elementi citati finora e fornisce una spiegazione per molti aspetti (nello specifico, i punti di contatto con PTSD e disturbo borderline di personalità), ma riduce il concetto di “assetto di vulnerabilità” ad una sorta di riflesso condizionato dalle “credenze di malattia” (illness beliefs). A nostro parere, il termine “impalcatura” (scaffold) è riduttivo, poiché impedisce di comprendere quanto possa essere variabile e pervasiva la diatesi su cui si struttura la PNES. Per questo motivo, riteniamo utile integrare il modello con il concetto di “personalità”, che giustifica la vulnerabilità già prima del trauma o dell’evento stressogeno. Nonostante alcuni assetti di personalità possano derivare dalla patologia piuttosto che predisporre alla stessa, è difficile non supporre che abbiano un peso rilevante nello sviluppo e nella progressione di alcuni di questi quadri. Si tratta di un elemento meno concreto (anche solo per la mancanza di elementi biologicamente determinati e determinanti), ma è difficile prescinderne se vogliamo cogliere tutte le possibili traiettorie del disturbo.
Janz descriveva così la personalità di alcuni PWE: “I soggetti con epilessia da risveglio presentano tratti di instabilità, irrequietezza e suggestionabilità con umore instabile e capriccioso e comportamenti infantili e isterici; nei soggetti con epilessia da sonno il carattere si contrassegna per l’ostinatezza, la pedanteria, la laboriosità e la tendenza al particolarismo; nell’epilessia temporale, infine, le alterazioni del carattere sono dominate da irrequietezza, egocentrismo, affettività vischiosa, tendenza al malumore e all’ipocondria” (Janz, 2002). Un altro tipo di personalità descritto nei soggetti con epilessia, ma osservato anche in pazienti con PNES, è quello della sindrome di Gastaut-Geschwind (Benhamou et al., 2018). Tali quadri di personalità si riscontrano anche in casi di epilessia secondaria a traumi cranici (Gorham & Persinger, 2012; Persinger, 1988).
È importante specificare che l’utilizzo che si fa in questi casi del termine personalità sottende più ad un assetto, ad una modalità di funzionamento, e non vuole necessariamente richiamare i cluster di personalità “classici” intesi come categorie nosografiche del DSM.
Abbiamo voluto riproporre il modello di Brown e Reuber, re-introducendo le categorie diagnostiche, seppur intese in senso più “libero”, e cercando di armonizzare tutti gli elementi citati fino a questo punto, a partire dall’assetto di personalità (Figura 3).
Questo modello non si propone di sostituire quello di Brown e Reuber, tutt’altro, vuole fornire una chiave di lettura “nosografica”, da affiancare a quella già proposta legata al “funzionamento”, integrante gli aspetti cognitivi sottesi al disturbo (Brown & Reuber, 2016b; Reuber & Brown, 2017).
Per una lettura adeguata dello schema bisogna tener presente che le varie entità riportate (ansia, psicosi, epilessia e dissociazione) acquisiscono significato in base alla diatesi su cui si innestano.
La parte centrale rappresenta la traiettoria più classica, in cui l’ansia e i sintomi dissociativi si innestano su un assetto di personalità che vive con la costante minaccia di una crisi; tuttavia, abbiamo trovato coerente integrare lo schema con dei percorsi paralleli, solo in parte interconnessi. È opportuno fare un chiarimento circa il modello proposto: le categorie indicate sono da intendersi come generiche, spettri di manifestazioni che possano aiutare a collocare i sintomi per area, senza per questo voler produrre alcuna etichetta diagnostica. Nello specifico, gli insiemi “ansia” e “psicosi” vanno intesi come fenomeni all’interno dell’evoluzione del disturbo, in un’ottica dimensionale: come se gli assetti di personalità “attraversassero” le aree fenomenologiche indicate, venendone in parte contaminate. Questa premessa serve a spiegare possibili incomprensioni con chi non riuscisse ad integrare la definizione classica di psicosi con questo modello. In effetti, questa è da intendersi come una sotto-forma di psicosi - una pre-psicosi se vogliamo - con una maggiore quota dei cosiddetti “sintomi di base” (Schultze-Lutter, 2009); questo è il secondo elemento carente del modello di Brown e Reuber che, sulla spinta delle considerazioni fatte finora, abbiamo ritenuto opportuno integrare.
Allo stesso modo, non bisogna confondere l’ansia di cui si parla con quella di un classico disturbo d’ansia generalizzato, o con il disturbo di panico: assistiamo ad un’ansia mascherata, spesso non riconosciuta dal paziente, quasi sempre riferita al corpo; non in senso ipocondriaco, ma piuttosto in risposta ad una logica di “minaccia reale”: non si può parlare né di distorsioni cognitive, né di sovrastima del pericolo. Gli “errori di valutazione”, se così vogliamo chiamarli, sono spesso frutto di un sentimento di vulnerabilità che trova la sua conferma nelle crisi.
Anche l’elemento “trauma” può sembrare in parte un corpo estraneo; in effetti, la linea tratteggiata con cui è rappresentato indica che per soddisfare i requisiti del modello, non è necessario che la persona abbia vissuto un’esperienza traumatica, quantomeno in senso classico. Indica invece come un “evento stressante”, tendenzialmente di pericolo, un trauma inteso quasi come ferita fisica, possa precedere l’insorgenza degli altri sintomi. Esempi di trauma, oltre a quelli classici, possono quindi essere un incidente, una condizione di malattia (sia cronica, che isolata, come una crisi epilettica) o un lutto; in questo senso, è importante sottolineare come sia l’esperienza soggettiva del trauma a renderlo tale.
Per aggiungere coerenza al modello, è utile introdurre nell’equazione l’aspetto dell’attaccamento: il pattern attaccamentale è l’elemento che ci permette di comprendere come si è venuto a plasmare lo stile relazionale dell’individuo (Bowlby, 1979); è ampiamente dimostrato come stili di attaccamento disfunzionali abbiano un alto tasso di correlazione con i disturbi psichiatrici e con problemi nello sviluppo di meccanismi di risposta allo stress competenti, anche da un punto di vista neurobiologico (Chambers, 2017; Shorey & Snyder, 2006). Per generare uno stile di attaccamento disfunzionale, non bisogna prendere in considerazione tanto la natura del vissuto traumatico, quanto il modo in cui la persona l’ha metabolizzato (i.e., quanto ha “appreso” da esso). In molti soggetti con PNES, l’attaccamento disorganizzato costituisce un elemento centrale per l'interpretazione del disturbo (Popkirov et al., 2019).
Un altro spunto per spiegare l’effetto solo potenziale del trauma inteso in questa accezione lo troviamo proseguendo nella linea immaginaria che conduce al sintomo PNES, arrivando all’area della dissociazione. La sua posizione nello schema ne sottolinea l’importanza: se è vero che le altre aree, come anche il trauma, contribuiscono a generare un quadro psicopatologico vulnerabile, è solo quando i nostri pazienti esperiscono sintomi dell’area dissociativa che abbiamo la certezza che possano verificarsi anche le PNES. In altre parole, potremmo avere dei soggetti con un profilo “psychotic-like” o ansioso, con storia anamnestica di traumi più o meno significativi, che però non progrediscono fino allo scompenso rappresentato dalle PNES; la dissociazione, invece, è il segnale che si sono innescate delle reazioni maladattive, che la mente ed il corpo non riescono più ad integrare e rielaborare efficacemente.
Queste reazioni maladattive trovano spiegazione nel modello etologico della risposta allo stress, che vede l’attivazione sequenziale dei meccanismi di “freeze, fight, flight, freeze e faint” (Bracha, 2004). Queste risposte disfunzionali si manifestano a seconda della personalità e del deficit che la personalità sottende:
- Personalità iper-emotiva. Questa è la più assimilabile alle reazioni isteriformi di Charcot; qui il sintomo richiama un bisogno inespresso, la richiesta inconsapevole di far conoscere all’altro il proprio stato di sofferenza, che esplode in tutta la sua drammaticità (per questo, nel tempo è stata definita con aggettivi quali “teatrale o “istrionica”); queste reazioni così intense sono secondarie al “freeze” generato dallo stimolo temuto. La reazione precede il riconoscimento della minaccia, indice di scarsa mentalizzazione, di incapacità di convogliare le informazioni emotive e del corpo verso un pensiero. Questo pattern si adatta infatti alle PNES osservate nei disturbi di personalità del cluster B, in cui l’alfabetizzazione e la regolazione emotiva sono spesso carenti (Carter et al., 2021). In questi soggetti, ci aspettiamo di trovare un pattern di attaccamento del tipo “unresolved”, noto anche come attaccamento disorganizzato (Gerhardt et al., 2021); tale stile è quello che più spesso correla con vissuti traumatici.
- Personalità “minacciata”. Fra i tre assetti proposti, questo è quello con un radice etologica più profonda. La conseguenza è che questi individui si autoincludono in un mondo rigido, dai confini ristretti, ordinato con meticolosità e pedanteria. Questa modalità di porsi in rapporto con il mondo e le cose è interpretabile come un tentativo di proteggersi dal pericolo imprevedibile e minaccioso dell’attacco che incombe su di loro. Le crisi hanno un ruolo potenzialmente protettivo, un meccanismo di on-off che corrisponde idealmente al “fright” (descritto come “immobilità tonica”). Il pattern è sì ansioso, ma alessitimico: il controllo emotivo è “svelato” dalle somatizzazioni (De Gucht & Heiser, 2003). In questi pazienti, lo stile di attaccamento è più verosimilmente quello “insicuro”, che sottende all’iper-apprensione nell’interpretazione dello stimolo (Gerhardt et al., 2021).
- Personalità “psychotic-like”. Quest’ultima rappresenta forse la sottoforma più problematica, in cui la crisi può essere preceduta o seguita da fasi crepuscolari ed il contatto diventa fatuo e sfuggente anche nelle fasi intercritiche; lentamente si vanno poi perdendo le sfumature individuali della personalità originaria, ed il comportamento si fa uniforme, stereotipato, artificioso. In questi individui, le PNES hanno radici più profonde: sono la risposta ad un deficit nel filtro che processa le informazioni, che non permette quindi di integrarle correttamente. Gli errori di interpretazione e di integrazione portano ad un’iper-riconoscimento e valutazione della minaccia, un processo basato sulle alterazioni della salienza (Kapur, 2003), che si riflette negli stessi meccanismi neurobiologici (Reininghaus et al., 2016).
La risposta del corpo, in ultima analisi, è però la stessa: è come se attraversasse tutte le fasi, arrivando ad uno shut-down che corrisponde a larghe linee al “faint”, una risposta maladattiva ad uno stress acuto, intollerabile (Bracha, 2004). L’apparente incongruenza rappresentata dalle diverse risposte ad uno stesso stimolo trova ulteriore riscontro nella teoria polivagale (Porges, 2009); è stato dimostrato la memoria del trauma possa elicitare l’attivazione di pattern comportamentali e risposte molto differenti tra loro (Lee et al., 2014).
La convergenza di tre tipi di personalità diverse attraverso un “trauma” e varie “sfere di influenza” che a loro volta portano al manifestarsi del sintomo rappresenta un modello di sviluppo complesso, che tuttavia trova la sua giustificazione nella fenomenica cromaticamente varia delle PNES.
Riteniamo utile proporre uno schema dei possibili trattamenti psicoterapici da adottare in risposta ai vari quadri.
Lo schema proposto ricalca solo nella forma il precedente; l’intento è comunicare che, a seconda dell’area sintomatologica individuata, possa essere necessario adottare approcci diversi, anche in maniera “sequenziale”. Se, come detto, la psicoeducazione appare fondamentale per la maggioranza dei casi osservati, lo stesso non vale per il lavoro diretto sul trauma, che a volte è un elemento secondario, oppure sulla disorganizzazione, che appartiene solo ad alcuni assetti di personalità. Questo secondo schema è meno “rigido” del precedente, perché non si riferisce tanto alla storia naturale del sintomo quanto piuttosto alla sua espressione, e a come possiamo lavorare per risolverlo.
Ciò che è certo è che manca un riscontro neuroanatomico e neurobiologico chiaro circa quanto detto: in altre parole, non si spiega ancora da dove origini questo intricato sistema, profondamente interconnesso, e non c’è ancora un’interpretazione univoca sul meccanismo patofisiologico delle PNES. Quello che sembra emergere dai più recenti studi di neuroimaging è che ci troviamo di fronte ad un malfunzionamento del network, piuttosto che di una sola delle aree citate (Szaflarski & LaFrance Jr, 2018).
Possibili basi neurobiologiche
Se è vero che l’assenza di un danno organico è alla base di definizione di PNES, ciò non significa che non possano condividere alcuni meccanismi patofisiologici con l’epilessia; allo stesso modo, è utile riflettere sulla natura accessuale delle crisi, spesso in risposta a trigger ben definiti.
Vista la loro natura, un possibile substrato anatomico comune potrebbe risiedere nel complesso delle aree limbiche, del lobo temporale e del sistema neurovegetativo. Base comune dei processi integrativi che si svolgono nel sistema limbico è la disponibilità di informazioni multimodali, in particolare visive, olfattive e nocicettive, espressive sul piano comportamentale e determinanti nello sviluppo dei processi di condizionamento. L'esperienza pregressa arriva così ad assumere un valore motivazionale: le strutture considerate controllano funzioni vegetative e modelli comportamentali mirati al mantenimento dell'omeostasi e alla sopravvivenza individuale, esemplificati dalla teoria delle “5 F” (Bracha, 2004).
A giocare un ruolo potenzialmente esiziale nella patogenesi di queste manifestazioni potrebbe essere l’amigdala che, all’interno del sistema limbico, svolge una funzione altamente integrativa nel controllo dei sistemi motori e dei processi di regolazione omeostatica, associando le informazioni relative a determinati eventi a ciò che viene percepito come una ricompensa od una punizione, o ad esperienze significative vissute in precedenza che vengano riconosciute come “familiari” (Pitkänen et al., 1997).
Una scarica epilettica del lobo temporale si accompagna ad un insieme di alterazioni del sistema nervoso autonomo (manifestazioni vasomotorie, gastro-intestinali, modificazioni del respiro, etc.). Molte di queste alterazioni possono essere riprodotte da stimolazioni amigdaloidee (Wurtz & Olds, 1963). Una forma improvvisa di paura si associa spesso all'attacco epilettico e la stimolazione dell'amigdala o di aree confinanti evoca spesso reazioni di paura, anche se si sono registrati casi di non-coinvolgimento dell’amigdala (Wang et al., 2018).
Parlare di sistema limbico e delle sue componenti come una struttura a ponte tra neurologia e psichiatria significa considerare il sistema limbico come sistema limite tra il somatico e lo psichico, capace di operare come interfaccia tra attività biologica e attività mentale (Damasio, 1994).
Partendo dal presupposto che alterazioni corticali possano determinare quadri “a ponte” fra le psicosi e le epilessie temporali (Gutierrez‐Galve et al., 2012; Sone, 2022; Stan et al., 2020), viene però meno l’elemento di congiunzione con i disturbi d’ansia, dove le alterazioni corticali si osservano come conseguenza piuttosto che come causa del disturbo (Chen et al., 2020).
D’altro canto, l’osservazione delle affinità fra epilessia e reazioni d’ansia (e di stress) fornisce elementi irrinunciabili per ricostruire il meccanismo patofisiologico delle PNES (Jhaveri et al., 2023); questo riguarda in particolar modo i correlati neuropsicologici, per esempio l’anticipazione e il rinforzo “positivo” dovuto alle manifestazioni neurovegetative (i.e., la reciproca influenza dei fenomeni psichici e somatici nella manifestazione ansiosa).
Si evince quindi la necessità di armonizzare questi diversi elementi in modo tale che la corretta interpretazione delle basi neurobiologiche del disturbo trovi riscontro nelle teorie psico-patogenetiche, e viceversa.
Sulla solidità della tesi secondo la quale il disturbo non si basi solo su aspetti psicologicamente determinati, ma anche neurobiologici, vi è un nutrito corpus di letteratura scientifica, anche riferito alla popolazione pediatrica (Yeom et al., 2021).
Un caso a sè, che però potrebbe fornire spunti per una migliore comprensione di questi quadri, è dato dalle encefaliti limbiche autoimmuni, in particolar modo quelle da anticorpi anti-NMDA: secondariamente a questi eventi, si osserva l’insorgenza di quadri di epilessia o di PNES con caratteristiche che ricalcano l’assetto “iper-emotivo” proposto nello schema (Komagamine et al., 2021).
Prospettive future
Ciò che emerge da queste osservazioni è che, nonostante il corpus di ricerca sull’argomento sia in grande crescita negli ultimi anni, non si è ancora arrivati ad un’interpretazione univoca di tutta una serie di caratteristiche del disturbo. Ciò determina anche un’incertezza in termini di scelta terapeutica che costituisce a tutt’oggi una dolorosa impasse nel percorso di cura di questi pazienti. L’auspicio è che con più approfonditi studi di neuroimaging si possa arrivare a comprendere meglio il meccanismo patofisiologico sottostante al disturbo, in modo da fornire strumenti diagnostici più agevoli e specifici e passare da un approccio individualizzato ad uno standardizzato, con esiti soddisfacenti.
Un altro punto che abbiamo ribadito più volte è la collocazione del quadro “a ponte” fra almeno due specialità: com’è facilmente intuibile, questo richiede un maggiore grado di dialogo e collaborazione per portare a diagnosi più rapide e a scelte terapeutiche ponderate. Se è vero che l’idea di un approccio ambulatoriale “congiunto” a volte è difficilmente praticabile, un primo passo sarebbe quello di applicare un algoritmo standardizzato, in cui le parti si confrontano vicendevolmente a più riprese. La gestione dei pazienti potrebbe essere o sequenziale, nel caso in cui la necessità che uno dei due specialisti partecipi dovesse venire meno, o parallela, nei casi di comorbilità. L’idea è che una gestione condivisa sia anche di mutuo supporto: come abbiamo sottolineato, se è vero che la clinica può essere molto suggestiva, è difficile pensare ad uno psichiatra che faccia diagnosi di PNES prima di avere determinate conferme da parte di un collega neurologo. Allo stesso modo, capita spesso che in pazienti con diagnosi di epilessia “incerte” (epilessia resistente, EEG non dirimenti etc.) si facciano proseguire a lungo terapie anticomiziali non volendo rischiare di lasciare pazienti “scoperti”, con elevato rischio di danni iatrogeni o di inappropriatezza delle cure.
Bibliografia
Ahmadi, N., Pei, Y., Carrette, E., Aldenkamp, A. P., & Pechenizkiy, M. (2020). EEG-based classification of epilepsy and PNES: EEG microstate and functional brain network features. Brain Informatics, 7(1), 6. https://doi.org/10.1186/s40708-020-00107-z
American Psychiatric Association. (2022). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-5-TR). American Psychiatric Association Publishing. https://doi.org/10.1176/appi.books.9780890425787
Asadi-Pooya, A. A., & Sperling, M. R. (2015). Epidemiology of psychogenic nonepileptic seizures. Epilepsy & Behavior, 46, 60–65. https://doi.org/10.1016/j.yebeh.2015.03.015
Ballerini, A. (1961). The personality of the temporal epileptic. Rivista Sperimentale Di Freniatria e Medicina Legale Delle Alienazioni Mentali, 85, 861–979.
Ballerini, A., & Germano, G. (1960). On the subject of epileptic psychoses and psychoses in epileptics: Casuistic and critical contribution. Rivista Di Patologia Nervosa e Mentale, 81, 467–484.
Benbadis, S. R., Agrawal, V., & Tatum, W. O. (2001). How many patients with psychogenic nonepileptic seizures also have epilepsy? Neurology, 57(5), 915–917. https://doi.org/10.1212/WNL.57.5.915
Benhamou, O.-M. J., Tavakkoli, M., Okan, H., & Nobler, M. (2018). Gastaut-Geschwind Syndrome, Faciobrachial Dystonic Seizure, and Autoimmune Limbic Encephalitis. Case Reports in Psychiatry, 2018, 1–3. https://doi.org/10.1155/2018/3835819
Biraben, A. (2001). Fear as the main feature of epileptic seizures. Journal of Neurology, Neurosurgery & Psychiatry, 70(2), 186–191. https://doi.org/10.1136/jnnp.70.2.186
Blumer. (1995). Psychiatric morbidity in seizure patients on a neurodiagnostic monitoring unit. The Journal of Neuropsychiatry and Clinical Neurosciences, 7(4), 445–456. https://doi.org/10.1176/jnp.7.4.445
Bompaire, F., Barthelemy, S., Monin, J., Quirins, M., Marion, L., Smith, C., Boulogne, S., & Auxemery, Y. (2021). PNES Epidemiology: What is known, what is new? European Journal of Trauma & Dissociation, 5(1), 100136. https://doi.org/10.1016/j.ejtd.2019.100136
Bowlby, J. (1979). The Bowlby-Ainsworth attachment theory. Behavioral and Brain Sciences, 2(4), 637–638. Cambridge Core. https://doi.org/10.1017/S0140525X00064955
Bracha, H. S. (2004). Freeze, Flight, Fight, Fright, Faint: Adaptationist Perspectives on the Acute Stress Response Spectrum. CNS Spectrums, 9(9), 679–685. https://doi.org/10.1017/S1092852900001954
Brown, R. J., & Reuber, M. (2016a). Psychological and psychiatric aspects of psychogenic non-epileptic seizures (PNES): A systematic review. Clinical Psychology Review, 45, 157–182. https://doi.org/10.1016/j.cpr.2016.01.003
Brown, R. J., & Reuber, M. (2016b). Towards an integrative theory of psychogenic non-epileptic seizures (PNES). Clinical Psychology Review, 47, 55–70. https://doi.org/10.1016/j.cpr.2016.06.003
Brown, R. J., & Trimble, M. R. (2000). Dissociative psychopathology, non-epileptic seizures, and neurology. Journal of Neurology, Neurosurgery & Psychiatry, 69(3), 285. https://doi.org/10.1136/jnnp.69.3.285
Carter, L., Brooks, M., & Graham-Kevan, N. (2021). Emotion Regulation Mediates Posttraumatic Growth and Cluster B Personality Traits After Childhood Trauma. Violence and Victims, 36(6), 706–722. https://doi.org/10.1891/VV-D-20-00022
Chambers, J. (2017). The neurobiology of attachment: From infancy to clinical outcomes. Psychodynamic Psychiatry, 45(4), 542–563.
Chen, Y., Cui, Q., Fan, Y.-S., Guo, X., Tang, Q., Sheng, W., Lei, T., Li, D., Lu, F., He, Z., Yang, Y., Hu, S., Deng, J., & Chen, H. (2020). Progressive brain structural alterations assessed via causal analysis in patients with generalized anxiety disorder. Neuropsychopharmacology, 45(10), 1689–1697. https://doi.org/10.1038/s41386-020-0704-1
Cohen, J. A., Mannarino, A. P., Kliethermes, M., & Murray, L. A. (2012). Trauma-focused CBT for youth with complex trauma. Child Abuse & Neglect, 36(6), 528–541. https://doi.org/10.1016/j.chiabu.2012.03.007
Damasio, A. R. (1994). Descartes’ error: Emotion, reason, and the human brain. New York: G.P. Putnam, [1994] ©1994. https://search.library.wisc.edu/catalog/999764511802121
Davis, B. J. (2004). Predicting Nonepileptic Seizures Utilizing Seizure Frequency, EEG, and Response to Medication. European Neurology, 51(3), 153–156. https://doi.org/10.1159/000077287
De Gucht, V., & Heiser, W. (2003). Alexithymia and somatisation: A quantitative review of the literature. Journal of Psychosomatic Research, 54(5), 425–434. https://doi.org/10.1016/S0022-3999(02)00467-1
Devine, M. J., & Duncan, J. S. (2007). Development of psychogenic non-epileptic seizures in response to auditory hallucinations. Seizure, 16(8), 717–721. https://doi.org/10.1016/j.seizure.2007.06.001
Devinsky, O., Gazzola, D., & LaFrance, W. C. (2011). Differentiating between nonepileptic and epileptic seizures. Nature Reviews Neurology, 7(4), 210–220. https://doi.org/10.1038/nrneurol.2011.24
Driver-Dunckley, E., Stonnington, C. M., Locke, D. E. C., & Noe, K. (2011). Comparison of Psychogenic Movement Disorders and Psychogenic Nonepileptic Seizures: Is Phenotype Clinically Important? Psychosomatics, 52(4), 337–345. https://doi.org/10.1016/j.psym.2011.01.008
Fung, P. (2017). Dostoevsky and the Epileptic Mode of Being. Routledge.
Garrote-Caparrós, E., Bellosta-Batalla, M., Moya-Albiol, L., & Cebolla, A. (2022). Effectiveness of mindfulness‐based interventions on psychotherapy processes: A systematic review. Clinical Psychology & Psychotherapy, 29(3), 783–798. https://doi.org/10.1002/cpp.2676
Gasparini, S., Beghi, E., Ferlazzo, E., Beghi, M., Belcastro, V., Biermann, K. P., Bottini, G., Capovilla, G., Cervellione, R. A., Cianci, V., Coppola, G., Cornaggia, C. M., De Fazio, P., De Masi, S., De Sarro, G., Elia, M., Erba, G., Fusco, L., Gambardella, A., Aguglia, U. (2019). Management of psychogenic non‐epileptic seizures: A multidisciplinary approach. European Journal of Neurology, 26(2), 205. https://doi.org/10.1111/ene.13818
Gasperi, M., Afari, N., Goldberg, J., Suri, P., & Panizzon, M. S. (2021). Pain and Trauma: The Role of Criterion A Trauma and Stressful Life Events in the Pain and PTSD Relationship. The Journal of Pain, 22(11), 1506–1517. https://doi.org/10.1016/j.jpain.2021.04.015
Gazzola, D. M., Carlson, C., Rugino, A., Hirsch, S., Starner, K., & Devinsky, O. (2012). Psychogenic nonepileptic seizures and chronic pain: A retrospective case-controlled study. Epilepsy & Behavior, 25(4), 662–665. https://doi.org/10.1016/j.yebeh.2012.10.008
Gerhardt, C., Hamouda, K., Irorutola, F., Rose, M., Hinkelmann, K., Buchheim, A., & Senf-Beckenbach, P. (2021). Insecure and Unresolved/Disorganized Attachment in Patients With Psychogenic Nonepileptic Seizures. Journal of the Academy of Consultation-Liaison Psychiatry, 62(3), 337–344. https://doi.org/10.1016/j.psym.2020.05.014
Goddard, G. V. (1983). The kindling model of epilepsy. Trends in Neurosciences, 6, 275–279. https://doi.org/10.1016/0166-2236(83)90118-2
Gorham, R., & Persinger, M. A. (2012). Emergence of complex partial epilepsy-like experiences following closed head injuries: Personality variables and neuropsychological profiles. Epilepsy & Behavior, 23(2), 152–158.
Gutierrez‐Galve, L., Flugel, D., Thompson, P. J., Koepp, M. J., Symms, M. R., Ron, M. A., & Foong, J. (2012). Cortical abnormalities and their cognitive correlates in patients with temporal lobe epilepsy and interictal psychosis. Epilepsia, 53(6), 1077–1087. https://doi.org/10.1111/j.1528-1167.2012.03504.x
Hall-Patch, L., Brown, R., House, A., Howlett, S., Kemp, S., Lawton, G., Mayor, R., Smith, P., Reuber, M., & for the NEST collaborators. (2010). Acceptability and effectiveness of a strategy for the communication of the diagnosis of psychogenic nonepileptic seizures. Epilepsia, 51(1), 70–78. https://doi.org/10.1111/j.1528-1167.2009.02099.x
Hartwig, L., & Pretorius, C. (2019). Psychogenic nonepileptic seizures: Comparing what South African healthcare providers communicate to patients at the point of diagnosis against international guidelines. Epilepsy & Behavior, 101, 106399. https://doi.org/10.1016/j.yebeh.2019.06.042
Hughes, J. R. (2005). The idiosyncratic aspects of the epilepsy of Fyodor Dostoevsky. Epilepsy & Behavior, 7(3), 531–538. https://doi.org/10.1016/j.yebeh.2005.07.021
Irwin, L. G., & Fortune, D. G. (2014). Risk Factors for Psychosis Secondary to Temporal Lobe Epilepsy: A Systematic Review. The Journal of Neuropsychiatry and Clinical Neurosciences, 26(1), 5–23. https://doi.org/10.1176/appi.neuropsych.12120403
Jabeen, S., Gaddamanugu, P., Cherian, A., Kandadai, R., Kumar, D., & Meena, A. (2018). Levetiracetam-Associated Psychogenic Non-epileptic Seizures; A Hidden Paradox. Journal of Population Therapeutics and Clinical Pharmacology, 25, e1–e11. https://doi.org/10.22374/1710-6222.25.2.1
Janz, D. (2002). The psychiatry of idiopathic generalized epilepsy. In The Neuropsychiatry of Epilepsy, Cambridge University Press, Cambridge, 2002, pp. 41–61.
Jhaveri, D. J., McGonigal, A., Becker, C., Benoliel, J.-J., Nandam, L. S., Soncin, L., Kotwas, I., Bernard, C., & Bartolomei, F. (2023). Stress and Epilepsy: Towards Understanding of Neurobiological Mechanisms for Better Management. Eneuro, 10(11), ENEURO.0200-23.2023. https://doi.org/10.1523/ENEURO.0200-23.2023
Johnson, A. L., McLeish, A. C., Shear, P. K., & Privitera, M. (2018). Panic and epilepsy in adults: A systematic review. Epilepsy & Behavior, 85, 115–119. https://doi.org/10.1016/j.yebeh.2018.06.001
Jungilligens, J., Michaelis, R., & Popkirov, S. (2021). Misdiagnosis of prolonged psychogenic non-epileptic seizures as status epilepticus: Epidemiology and associated risks. Journal of Neurology, Neurosurgery & Psychiatry, 92(12), 1341–1345. https://doi.org/10.1136/jnnp-2021-326443
Kanemoto, K., Goji, H., Tadokoro, Y., Kato, E., & Oshima, T. (2017). Psychogenic non-epileptic seizure in patients with intellectual disability with special focus on choice of therapeutic intervention. Seizure, 45, 2–6. https://doi.org/10.1016/j.seizure.2016.10.025
Kanemoto, K., LaFrance, W. C., Duncan, R., Gigineishvili, D., Park, S., Tadokoro, Y., Ikeda, H., Paul, R., Zhou, D., Taniguchi, G., Kerr, M., Oshima, T., Jin, K., & Reuber, M. (2017). PNES around the world: Where we are now and how we can close the diagnosis and treatment gaps—an ILAE PNES Task Force report. Epilepsia Open, 2(3), 307–316. https://doi.org/10.1002/epi4.12060
Kanner, A. M., Schachter, S. C., Barry, J. J., Hersdorffer, D. C., Mula, M., Trimble, M., Hermann, B., Ettinger, A. E., Dunn, D., Caplan, R., Ryvlin, P., & Gilliam, F. (2012). Depression and epilepsy, pain and psychogenic non-epileptic seizures: Clinical and therapeutic perspectives. Epilepsy & Behavior, 24(2), 169–181. https://doi.org/10.1016/j.yebeh.2012.01.008
Kapur, S.(2003). Psychosis as a State of Aberrant Salience: A Framework Linking Biology, Phenomenology, and Pharmacology in Schizophrenia. American Journal of Psychiatry, 160(1), 13–23.https://doi.org/10.1176/appi.ajp.160.1.13
Keezer, M. R., Sisodiya, S. M., & Sander, J. W. (2016). Comorbidities of epilepsy: Current concepts and future perspectives. The Lancet Neurology, 15(1), 106–115. https://doi.org/10.1016/S1474-4422(15)00225-2
Kerr, W. T., Janio, E. A., Le, J. M., Hori, J. M., Patel, A. B., Gallardo, N. L., Bauirjan, J., Chau, A. M., D’Ambrosio, S. R., Cho, A. Y., Engel, J., Cohen, M. S., & Stern, J. M. (2016). Diagnostic delay in psychogenic seizures and the association with anti-seizure medication trials. Seizure, 40, 123–126. https://doi.org/10.1016/j.seizure.2016.06.015
Komagamine, T., Kokubun, N., & Hirata, K. (2021). Hystero-epilepsy in the Tuesday Lessons and NMDA receptor function: A hypothesis for dissociative disorder. Medical Hypotheses, 150, 110567. https://doi.org/10.1016/j.mehy.2021.110567
Kurcgant, D., & Ayres, J. R. D. C. M. (2011). Crise não epiléptica psicogênica: História e crítica de um conceito. História, Ciências, Saúde-Manguinhos, 18(3), 811–828. https://doi.org/10.1590/S0104-59702011000300012
Kvaale, E. P., Haslam, N., & Gottdiener, W. H. (2013). The ‘side effects’ of medicalization: A meta-analytic review of how biogenetic explanations affect stigma. Clinical Psychology Review, 33(6), 782–794. https://doi.org/10.1016/j.cpr.2013.06.002
LaFrance, J., & Schachter, S. (2010). Historical approaches to treatments for psychogenic nonepileptic seizures. In Gates and Rowan’s nonepileptic seizures(pp. 237–247). Cambridge Univ. Press, New York.
LaFrance, W. C., Baker, G. A., Duncan, R., Goldstein, L. H., & Reuber, M. (2013). Minimum requirements for the diagnosis of psychogenic nonepileptic seizures: A staged approach: A report from the International League Against Epilepsy Nonepileptic Seizures Task Force. Epilepsia, 54(11), 2005–2018. https://doi.org/10.1111/epi.12356
LaFrance, W. C., Keitner, G. I., Papandonatos, G. D., Blum, A. S., Machan, J. T., Ryan, C. E., & Miller, I. W. (2010). Pilot pharmacologic randomized controlled trial for psychogenic nonepileptic seizures. Neurology, 75(13), 1166–1173. https://doi.org/10.1212/WNL.0b013e3181f4d5a9
Leaviss, J., & Uttley, L. (2015). Psychotherapeutic benefits of compassion-focused therapy: An early systematic review. Psychological Medicine, 45(5), 927–945. https://doi.org/10.1017/S0033291714002141
Lee, S. W., Gerdes, L., Tegeler, C. L., Shaltout, H. A., & Tegeler, C. H. (2014). A bihemispheric autonomic model for traumatic stress effects on health and behavior. Frontiers in Psychology, 5. https://doi.org/10.3389/fpsyg.2014.00843
Leibetseder, A., Eisermann, M., LaFrance, W. C., Nobili, L., & Von Oertzen, T. J. (2020). How to distinguish seizures from non‐epileptic manifestations. Epileptic Disorders, 22(6), 716–738. https://doi.org/10.1684/epd.2020.1234
Majkowski, J. (1986). Kindling: A model for epilepsy and memory. Acta Neurologica Scandinavica, 74(Suppl 109), 97–108. https://doi.org/10.1111/j.1600-0404.1986.tb04868.x
Minkowski, E. (1927). La schizophrénie: Psychopathologie des schizoïdes et des schizophrènes. Payot.
Muthusamy, S., Seneviratne, U., Ding, C., & Phan, T. G. (2022). Using Semiology to Classify Epileptic Seizures vs Psychogenic Nonepileptic Seizures: A Meta-analysis. Neurology Clinical Practice, 12(3), 234–247. https://doi.org/10.1212/CPJ.0000000000001170
Nagliero, G., & Montecchi, F. (1987). Affective spasms (or respiratory affective apnea): Early signals of a possible future psychiatric pathology. Minerva Psichiatrica, 28(4), 337–338.
Needham, E., & Hamelijnck, J. (2012). Temporal lobe epilepsy masquerading as psychosis – a case report and literature review. Neurocase, 18(5), 400–404. https://doi.org/10.1080/13554794.2011.627338
Noachtar, S., & Rémi, J. (2009). The role of EEG in epilepsy: A critical review. Epilepsy & Behavior, 15(1), 22–33.
Ogden, P., Pain, C., & Fisher, J. (2006). A sensorimotor approach to the treatment of trauma and dissociation. Psychiatric Clinics, 29(1), 263–279.
Pakalnis, A., Drake, M. E., & Phillips, B. (1991). Neuropsychiatric aspects of psychogenic status epilepticus. Neurology, 41(7), 1104–1104. https://doi.org/10.1212/WNL.41.7.1104
Peköz, M. T., Aslan-Kara, K., Demir, T., Aktan, G., Balal, M., Cakmak, S., & Bozdemir, H. (2022). Frequency and economic burden of psychogenic non-epileptic seizures in patients applying for disability benefits due to epilepsy. Arquivos de Neuro-Psiquiatria, 80(11), 1112–1118. https://doi.org/10.1055/s-0042-1759759
Persinger, M. A. (1988). Temporal Lobe Signs and Personality Characteristics. Perceptual and Motor Skills, 66(1), 49–50. https://doi.org/10.2466/pms.1988.66.1.49
Pitkänen, A., Savander, V., & LeDoux, J. E. (1997). Organization of intra-amygdaloid circuitries in the rat: An emerging framework for understanding functions of the amygdala. Trends in Neurosciences, 20(11), 517–523. https://doi.org/10.1016/S0166-2236(97)01125-9
Popkirov, S., Asadi-Pooya, A. A., Duncan, R., Gigineishvili, D., Hingray, C., Miguel Kanner, A., LaFrance, W. C., Pretorius, C., Reuber, M., & on behalf of the ILAE PNES Task Force. (2019). The aetiology of psychogenic non‐epileptic seizures: Risk factors and comorbidities. Epileptic Disorders, 21(6), 529–547. https://doi.org/10.1684/epd.2019.1107
Porges, S. W. (2009). The polyvagal theory: New insights into adaptive reactions of the autonomic nervous system. Cleveland Clinic Journal of Medicine, 76(4 suppl 2), S86–S90. https://doi.org/10.3949/ccjm.76.s2.17
Rady, A., Elfatatry, A., Molokhia, T., & Radwan, A. (2021). Psychiatric comorbidities in patients with psychogenic nonepileptic seizures. Epilepsy & Behavior, 118, 107918. https://doi.org/10.1016/j.yebeh.2021.107918
Reininghaus, U., Kempton, M. J., Valmaggia, L., Craig, T. K. J., Garety, P., Onyejiaka, A., Gayer-Anderson, C., So, S. H., Hubbard, K., Beards, S., Dazzan, P., Pariante, C., Mondelli, V., Fisher, H. L., Mills, J. G., Viechtbauer, W., McGuire, P., Van Os, J., Murray, R. M., … Morgan, C. (2016). Stress Sensitivity, Aberrant Salience, and Threat Anticipation in Early Psychosis: An Experience Sampling Study. Schizophrenia Bulletin, 42(3), 712–722. https://doi.org/10.1093/schbul/sbv190
Reuber, M., & Brown, R. J. (2017). Understanding psychogenic nonepileptic seizures—Phenomenology, semiology and the Integrative Cognitive Model. Seizure, 44, 199–205. https://doi.org/10.1016/j.seizure.2016.10.029
Sawant, N. S., & Umate, M. S. (2021). Dissociation, Stressors, and Coping in Patients of Psychogenic Nonepileptic Seizures. Indian Journal of Psychological Medicine, 43(6), 479–484. https://doi.org/10.1177/0253717620956460
Schneider, K. (1959). Clinical psychopathology. Grune & Stratton.
Schultze-Lutter, F. (2009). Subjective symptoms of schizophrenia in research and the clinic: The basic symptom concept. Schizophrenia Bulletin, 35(1), 5–8.
Scull, D. A. (1997). Pseudoseizures or non-epileptic seizures (NES); 15 synonyms. Journal of Neurology, Neurosurgery & Psychiatry, 62(2), 200–200. https://doi.org/10.1136/jnnp.62.2.200-a
Shapiro, F., & Maxfield, L. (2002). Eye movement desensitization and reprocessing (EMDR): Information processing in the treatment of trauma. Journal of Clinical Psychology, 58(8), 933–946. https://doi.org/10.1002/jclp.10068
Shorey, H. S., & Snyder, C. (2006). The role of adult attachment styles in psychopathology and psychotherapy outcomes. Review of General Psychology, 10(1), 1–20.
Sone, D. (2022). Neurobiological mechanisms of psychosis in epilepsy: Findings from neuroimaging studies. Frontiers in Psychiatry, 13, 1079295. https://doi.org/10.3389/fpsyt.2022.1079295
Stan, A. D., Tamminga, C. A., Han, K., Kim, J. B., Padmanabhan, J., Tandon, N., Hudgens-Haney, M. E., Keshavan, M. S., Clementz, B. A., Pearlson, G. D., Sweeney, J. A., & Gibbons, R. D. (2020). Associating Psychotic Symptoms with Altered Brain Anatomy in Psychotic Disorders Using Multidimensional Item Response Theory Models. Cerebral Cortex, 30(5), 2939–2947. https://doi.org/10.1093/cercor/bhz285
Szaflarski, J. P., & LaFrance Jr, W. C. (2018). Psychogenic nonepileptic seizures (PNES) as a network disorder–evidence from neuroimaging of functional (psychogenic) neurological disorders. Epilepsy Currents, 18(4), 211–216.
Türk, B. G., Akbaba, G., & Yeni, S. N. (2021). Acute Pain Perception in Patients with Psychogenic Non-Epileptic Seizures and its Relationship with Mood Disorders. Archives of Epilepsy, 27(2), 91.
Wang, J., Wang, Q., Wang, M., Luan, G., Zhou, J., Guan, Y., & Yan, Z. (2018). Occipital Lobe Epilepsy With Ictal Fear: Evidence From a Stereo-Electroencephalography (sEEG) Case. Frontiers in Neurology, 9,644. https://doi.org/10.3389/fneur.2018.00644
Williams, D. (1956). THE STRUCTURE OF EMOTIONS REFLECTED IN EPILEPTIC EXPERIENCES. Brain, 79(1), 29–67. https://doi.org/10.1093/brain/79.1.29
Wolf, P., Benbadis, S., Dimova, P. S., Vinayan, K. P., Michaelis, R., Reuber, M., & Yacubian, E. M. (2020). The importance of semiological information based on epileptic seizure history. Epileptic Disorders, 22(1), 15–31. https://doi.org/10.1684/epd.2020.1137
Wurtz, R. H., & Olds, J. (1963). Amygdaloid stimulation and operant reinforcement in the rat. Journal of Comparative and Physiological Psychology, 56(6), 941–949. https://doi.org/10.1037/h0042033
Yang, T., Roberts, C., Winton‐Brown, T., Lloyd, M., Kwan, P., O’Brien, T. J., Velakoulis, D., Rayner, G., & Malpas, C. B. (2023). Childhood trauma in patients with epileptic vs nonepileptic seizures. Epilepsia, 64(1), 184–195. https://doi.org/10.1111/epi.17449
Yeom, J. S., Bernard, H., & Koh, S. (2021). Myths and truths about pediatric psychogenic nonepileptic seizures. Clinical and Experimental Pediatrics, 64(6), 251–259. https://doi.org/10.3345/cep.2020.00892