Volume 30 - 16 Aprile 2025

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La carovana dialogica, relazionale e democratica: percorsi di formazione innovativi, intergenerazionali e transterritoriali

Autori

Ricevuto il 26 novembre 2024; accettato il 15 dicembre 2024



Riassunto

L'articolo "La carovana dialogica, relazionale e democratica: formazione, innovazione, costruzione intergenerazionale, meticciato nei Servizi" propone una metafora della carovana per illustrare un modello formativo innovativo nei servizi di salute mentale. Ispirandosi al movimento e alla trasformazione simbolizzati dalla carovana, gli autori descrivono un percorso di apprendimento basato su dialogo, azione e inclusività. La "formazione carovanica" promuove pratiche democratiche e performative, orientate al superamento della solitudine e della rigidità istituzionale, favorendo la creazione di comunità temporanee e resilienti.

L'articolo esplora pratiche dialogiche e relazionali specifiche come il Time Out, i Dialoghi anticipatori e l’Intervisione dialogica, che incoraggiano la collaborazione, il rispetto e la riflessione condivisa. Ogni tappa della "carovana" – da Caltagirone a Parma – ha contribuito ad arricchire il modello con esperienze territoriali diverse, sottolineando l'importanza di un approccio intergenerazionale e interculturale. Gli autori riflettono sulla necessità di un'aggregazione politica e sociale capace di trasformare vulnerabilità e crisi in strumenti di innovazione e coesione.

L’articolo svolge una riflessione sull' evoluzione dalle pratiche sistemiche tradizionali al dialogo aperto, passando per la riflessività introdotta dagli approcci sistemici e socio-costruzionisti e poi rielaborata dai Finlandesi.

Si conclude con un invito per una trasformazione delle equipe cliniche in “luoghi di cura reciproca” attraverso pratiche dialogiche e relazionali che tengano in mente l’idea che “tutti sono curanti e curati” come base per nuove forme di interdipendenza nei servizi e nelle comunità. Il ruolo cruciale del dialogo intergenerazionale nella nascita di nuove pratiche, attraverso l’incontro tra giovani professionisti e colleghi con maggiore esperienza diventa pertanto fondamentale per la creazione di un “campo meticcio” relazionale che possa avere un impatto positivo sulla progettazione di servizi di salute mentale innovativi e curanti.


Abstract

The article "The Dialogical, Relational, and Democratic Caravan: Training, Innovation, Intergenerational Construction, and Mestizaje in Services" uses the metaphor of a caravan to illustrate an innovative training model in mental health services. Drawing inspiration from the movement and transformation symbolized by a caravan, the authors describe a learning process based on dialogue, action, and inclusivity. The "caravan training" promotes democratic and performative practices aimed at overcoming loneliness and institutional rigidity, fostering the creation of temporary and resilient communities.

The article explores specific dialogical and relational practices such as Time Out, Anticipatory Dialogues, and Dialogical Intervision, which encourage collaboration, respect, and shared reflection. Each stage of the "caravan"—from Caltagirone to Parma—has contributed to enriching the model with diverse territorial experiences, emphasizing the importance of an intergenerational and intercultural approach. The authors reflect on the need for political and social aggregation capable of transforming vulnerability and crisis into tools for innovation and cohesion.

The article discusses the evolution from traditional systemic practices to Open Dialogue, passing through the reflexivity introduced by systemic and social constructionist approaches, later reinterpreted by Finnish scholars. It concludes with a call for transforming clinical teams into "places of mutual care" through dialogical and relational practices that embrace the idea that "everyone is both a caregiver and a care receiver", as a foundation for new forms of interdependence within services and communities. The crucial role of intergenerational dialogue in fostering new practices—through the encounter between young professionals and more experienced colleagues—thus becomes essential in creating a "mestizo field" of relationships, capable of positively impacting the design of innovative and caring mental health services.


"Il dialogo non è un'introduzione all'azione, ma l'azione stessa”
(Bachtin)

Formazione carovanica: La carovana dialogica in viaggio.

Salvatore Marzolo, dirigente medico psichiatra UOSM 15 DSM ASL Caserta, socio Ponti di Vista

La figura della carovana evoca immagini di movimento, migrazione e cambiamento, spesso al di fuori dei confini istituzionali o tradizionali. Le carovane erano gruppi che si muovevano insieme per attraversare territori ostili o sconosciuti, portando con sé conoscenze, esperienze e novità. In una certa misura, rappresentavano forme di resistenza o di sopravvivenza alternative a quelle offerte dal sistema dominante, siano esse rotte mercantili, gruppi migranti in cerca di una vita migliore o bande di esploratori pronti a rischiare per una nuova scoperta. La metafora della carovana può essere associata a quei gruppi clandestini che, fuori dagli occhi del potere, promuovono innovazioni o cambiamenti culturali. Come esploratori dell’oro, queste figure cercano ciò che è nascosto, trascurato o invisibile, portando alla luce nuove verità o risorse preziose per la società. La carovana è un simbolo di scoperta collettiva e resilienza, di coloro che scelgono strade non battute, mettendo in gioco se stessi e sfidando le regole imposte.

Ma una carovana non è solo una rete di viaggiatori; è anche uno spazio di allegria e di avventura, una giostra vivente di acrobati senza rete che sfidano la gravità e l’ignoto. Si muove come un piccolo circo in viaggio, portando con sé non solo la voglia di scoprire, ma anche la capacità di adattarsi, di cambiare e di lasciarsi trasformare dai luoghi che incontra. Ogni sosta diventa un laboratorio vivente, dove lo scambio tra partecipanti e abitanti del luogo è reciproco e arricchente.

Questa metafora della carovana esprime la nostra visione di una formazione “nomade”, libera e non radicata nei metodi convenzionali, dove l’apprendimento avviene attraverso il movimento e il dialogo, sfidando i limiti e abbracciando l’incertezza come condizione creativa. La carovana non si muove con l’intento di “colonizzare” o di imporre modelli predefiniti. Piuttosto, essa opera come un “contagio creativo”: trasmette e riceve stimoli innovativi, mettendo in gioco la propria identità e lasciandosi contaminare dai contesti che incontra. La formazione carovanica non ha paura di confrontarsi con i luoghi e le persone; al contrario, li abbraccia, portando con sé cambiamenti e trasformazioni. In questa prospettiva, la carovana diventa un movimento “meticcio”, che fonde esperienze e competenze diverse, in un costante dialogo tra generazioni, culture e lingue. Si fa portatrice di valori come l’inclusività, la curiosità e l’apertura, generando una comunità temporanea che trova la propria forza nella diversità e nella capacità di adattarsi. La figura della carovana ci è venuta in aiuto in quanto nei servizi di salute mentale e nelle scuole di specializzazione sono molto frequenti vissuti di solitudine, di inadeguatezza, di impotenza, di angoscia profonda che impediscono o in qualche modo limitano l’operare del campo della clinica e della cura. La nostra visione dei servizi e delle pratiche dialogiche e democratiche invita a superare il sospetto, la sfiducia permanente, la paura di essere invasi, gli atteggiamenti difensivi che il mondo del lavoro attuale ci impone. Molti tentano di fuggire dagli altri verso un comodo privato, o verso il circolo ristretto dei più intimi, e rinunciano al realismo della dimensione sociale. Si pretendono anche relazioni interpersonali solo mediate da apparecchi sofisticati, da schermi e da terapie in realtà virtuali), protocolli operativi e confini iperburocratizzati che si possano accendere e spegnere a comando. Mentre noi vogliamo correre il rischio dell’incontro con il volto dell’altro, con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa in un costante corpo a corpo. E l’altro non è solo l’utente del servizio, è il servizio stesso in primo luogo. Eppure sembra che sia imperante la sensazione diffusa che non solo la salute mentale, la sua crisi e le sue contraddizioni che costantemente viviamo, siano l’unico modo possibile oggi percorribile, ma che sia impossibile anche solo immaginarne un’alternativa coerente. Agire è inutile, in una generalizzata interpassività, in questa soffice narcosi. Il futuro allora non porterà altro che reiterazione e ripermutazione di quanto esiste già. Possibile che davvero non ci aspettino cambiamenti di sorta, che non rimarremo più spiazzati da quello che verrà? Spesso siamo infatti vittime di un eccesso di nostalgia schiava della retrospezione e incapace di dare vita a qualsiasi voglia di novità autentica. Allora perché non sperimentare una formazione performativa nuova? Non secondo le linee standard di esperti che insegnano ad allievi, vasi da riempire. Una formazione che sia già azione, che faccia quello che sta dicendo. Investire nuovamente nel corpo a corpo di un gruppo-carovana che formandosi si forma, che muovendosi insieme si lega. I raduni silenziosi, incluse le veglie o i funerali, spesso esprimono un significato che eccede ogni particolare descrizione scritta o verbale di ciò che effettivamente sono. Queste modalità performative incarnate plurali sono parte fondamentale di ogni apertura di brecce di possibile dentro il muro storico dell’impossibile, del “si è sempre fatto così”. Il corpo infatti detiene una forza deittica quando si raduna insieme ad altri corpi in una zona visibile, è questo corpo, sono questi corpi a proporre una visione alternativa dei servizi di salute mentale, una modalità sperimentale e performativa di formarsi e confrontarsi sulla pratica clinica. Per contestare la razionalità neoliberista che eleva l’autosufficienza a ideale morale nel momento stesso in cui le forme di potere operano in direzione della distruzione di ogni sua possibilità concreta a livello economico, sociale e nei nostri luoghi lavorativi sempre più in crisi di risorse di personale ed emotive all’insicurezza e alla disperazione, alla decimazione dei servizi sociali e nel generale logoramento degli scampoli di socialdemocrazia ancora in funzione, la carovana porta dentro di sé il desiderio di trasformare la precarietà, la crisi e la vulnerabilità in collante, in tessuto connettivo, in grado di testimoniare che un gruppo di persone esiste ancora, che si prende lo spazio significativo per dimostrare in maniera plurale che la situazione è condivisa. Riscoprire il significato politico-aggregativo delle lacrime. Essere visibili, stare in piedi, respirare, muoversi, rimanere fermi, parlare, stare in silenzio: sono tutti aspetti di un’aggregazione, una forma imprevista di performatività politica che pone l’esigenza di riflettere sul legame sociale e formarsi alle pratiche dialogiche e democratiche facendole. Direttrici del formarsi insieme alle pratiche dialogiche e democratiche diventano quindi investire sull’ interdipendenza sana, sulla coabitazione di operatori provenienti da luoghi lavorativi differenti e anche di saperi diversi ognuno dei quali effettua un taglio specifico. Nel dialogo, il molteplice e il divenire diventano pilastri della cura e quindi anche della formazione degli operatori che sul campo in seguito si avventureranno nei suoi territori. Le tappe della carovana diventano una richiesta incarnata di vite lavorative più vivibili, di strumenti insieme più sofisticati ed umani per attraversare lo spazio dell’incontro con l’altro, attraverso la strutturazione di infrastrutture formative di sostegno e di rilancio di una visione dialogica e democratica dei servizi di salute mentale. L’ essenza della carovana è il faccia a faccia, un gruppo di esseri umani che mettono in comune i propri sforzi, le proprie fatiche ed incubi, per concretizzare i mutui desideri, che sia per mangiare bene e conversare, scambiare esperienze e tentativi, sulla spinta della pulsione biologica al mutuo soccorso.

L’esperienza della formazione carovanica ha visto i partecipanti viaggiare attraverso diverse tappe, ciascuna rappresentativa dell’eterogeneità e ricchezza del modello mediterraneo delle pratiche dialogiche.

Oltre al dialogo aperto infatti nella formazione carovanica abbiamo approfondito anche altre pratiche dialogiche quali:

1. TIME- OUT

Il Time Out è un metodo nato in Finlandia per facilitare i dialoghi. Questo modello è utile per mettere in comunicazione tra loro persone diverse; infatti permette di riunire persone con background differenti e offre la possibilità di una bassa soglia di coinvolgimento, in modo che ciascuno possa scegliere come e quanto essere coinvolto. Crea uno spazio di scambio tra pari che offre l’opportunità di ascoltare le esperienze individuali promuovendo empatia per imparare l’uno dall’altro, esplorare argomenti sensibili e tensioni con fiducia, sviluppare nuove idee e prepararsi a prendere decisioni favorendo un maggiore impegno per perseguire un obiettivo comune. Gli strumenti del timeout sono gratuiti, a disposizione di tutti, quindi modificabili e adattabili ai contesti. Sono a disposizione le carte e una guida per facilitatori. Il dialogo infatti è una forma specifica di conversazione che differisce dalla normale conversazione, dibattito, negoziazione o ricerca di consenso. Lo scopo del dialogo è acquisire una migliore comprensione: dell’argomento, delle altre persone, di sé stessi; nel dialogo riflettiamo sul significato delle cose attraverso le nostre esperienze individuali. Le regole base sono:

  • Ascoltare;
  • Non interrompere;
  • Non avviare conversazioni laterali;
  • Partecipare usando un linguaggio quotidiano;
  • Condividere la propria esperienza;
  • Rivolgersi alle persone e chiedere loro cosa ne pensano;
  • Essere presenti e favorire un clima di rispetto e di fiducia;
  • Affrontare con coraggio gli eventuali conflitti e far emergere ciò che si trova nascosto;

Le carte facilitano il facilitatore nei tre momenti del timeout che sono:

  • Sintonizzazione;
  • Approfondimento;
  • Conclusione;
2. DIALOGHI ANTICIPATORI O DIALOGHI DAL FUTURO:

Consistono in un insieme di pratiche che contribuiscono ad un rispettoso incontro con l’altro in momenti di forte preoccupazione. Sono stati originariamente sviluppati per portare chiarezza nelle situazioni in cui molte persone contemporaneamente si erano impegnate in questioni riguardanti un utente o una famiglia. I dialoghi anticipatori vengono quindi utilizzati quando sono coinvolti vari attori che non hanno un’idea chiara di ciò che gli altri stanno facendo o chi siano tutti gli attori coinvolti e desidererebbero una migliore cooperazione. Si immagina un viaggio nel futuro in un tempo breve, massimo due anni dopo, quando questa preoccupazione non ci sarà, quindi un buon futuro positivo. Sono presenti due facilitatori. Dopo un’attenta preparazione del dialogo anticipatorio, chiarita la preoccupazione e convocati gli attori coinvolti, il facilitatore guida tutti i partecipanti nel futuro. E’ molto importante che il facilitatore aiuti il gruppo a posizionarsi nel futuro scelto. Per fare questo il facilitatore può utilizzare una metafora, un gesto, per aiutare le persone a sentire che si spostano dal presente al futuro. Avvenuto lo spostamento temporale, un facilitatore farà una serie di interviste strutturate con specifiche domande, e un altro prenderà appunti su una lavagna visibile sulle risposte dei partecipanti.

Le domande principali da fare sono:

  • Come sono le cose per te ora che va tutto bene? (descrizione del buon futuro)
  • Cosa hai fatto tu per fare andare bene le cose e arrivare a questo buon futuro? Da chi hai ricevuto aiuto? Che tipo di aiuto? (azioni e supporto)
  • Ti ricordi la tua preoccupazione che avevi nel [data da cui si è partiti per il futuro]? Chi e che cosa ti ha permesso di far sparire o ridurre la tua preoccupazione?

Queste domande verranno fatte a ciascuno dei partecipanti individualmente. Gli altri saranno invitati ad un intenso dialogo interiore. Infine il facilitatore chiude il dialogo del futuro riportando le persone nel presente. Riprendendo le note scritte dal secondo facilitatore, si ripercorrono le azioni da mettere in atto per raggiungere il buon futuro narrato, nell’ottica di costruire, a partire dalle risorse, dei passaggi e delle alleanze descritte nel futuro, un piano d’azione, anche piccolo. Gli accordi specifici vengono scritti dopo aver deciso insieme chi fa cosa, con chi e quando.

3. INTERVISIONE DIALOGICA

E’ uno spazio rivolto a chi cerca un’alternativa alla supervisione, attingendo alle risorse interne, per ragioni di consulenza o sostegno. Non c’è infatti un vero e proprio conduttore di gruppo, ma un’ esperto nel non essere esperto, facilitatore dell’approccio dialogico che agevola l’emergere delle dinamiche e esperienze vissute che gli operatori si trovano a gestire nella loro quotidianità professionale e negli incontri con le famiglie e la rete sociale. Il facilitatore usa a questo scopo il pensiero associativo-analogico, lasciando poi che il materiale così emerso venga gestito direttamente dai partecipanti. Alcune regole vengono seguite affinché non si snaturi la filosofia dell’intervisione:

  • Non c’è esperto;
  • Non c’è il giudizio;
  • Non c’è interpretazione e si parla in prima persona;

Il facilitatore scelto aiuta l’equipe che ha espresso la propria difficoltà/preoccupazione nel compito e nel viaggio di esplorazione. Uno/due o più osservatori insieme al facilitatore svolgono la funzione riflessiva offrendo delle loro risonanze. Infine l’equipe per ha portato la preoccupazione riflette sulle risonanze del team riflessivo.

Ogni luogo in cui la Carovana Dialogica si è fermata ha aggiunto sfumature e stimoli differenti, rendendo il viaggio un percorso di contaminazione e crescita continua:

  • Caltagirone e la Città dei Ragazzi: Una realtà educativa comunitaria, dove l’incontro con giovani di background eterogenei ha arricchito la nostra comprensione della trasmissione intergenerazionale e della necessità di un approccio alla salute mentale che abbracci la comunità locale riconcepita come una comunità terapeutica democratica dove cura, partecipazione sociale, prevenzione, inclusione sociale si intrecciano in un percorso di emancipazione individuale e di gruppo per sviluppare benessere e democrazia praticata nel sociale.
  • Caserta e le Cooperative Sociali: In questa tappa, abbiamo avuto modo di dialogare con operatori del sociale, discutendo di modelli di assistenza che coniugano l’aiuto concreto con l’empowerment della comunità, sviluppo di servizi dialogici, multifamiliari e democratici.
  • Parma: L’incontro con professionisti e cittadini ha offerto l’opportunità di confrontarsi con altre esperienze, aprendoci a nuove prospettive sul rapporto tra comunità, salute e benessere. Più avanti nell’articolo viene raccontata la riflessione sulla riflessività del gruppo di operatori di Parma impegnati nello sviluppo delle pratiche dialogiche.

  • Dal corso online alla formazione Itinerante: La nascita di nuovi approcci e modalità di formazione

    Catello Paolo La Marca, dirigente medico psichiatra UOSM 23 DSM ASL Caserta, presidente Ponti di Vista

    Per comprendere come abbiamo incontrato le pratiche dialogiche, è necessario fare un breve viaggio nel collettivo di cui facciamo parte: "Ponti di Vista". Siamo un gruppo di amici e colleghi del campo psichiatrico, formatosi durante gli anni della nostra specializzazione a Napoli. Il gruppo è nato dalla nostra curiosità su ciò che si trova oltre l'università, nel territorio, nella salute mentale, dalla necessità di comunicare e interagire con una varietà di realtà diverse, inclusi utenti, professionisti, famiglie, terzi e altre discipline umanistiche. In questo movimento verso l'esterno, il collettivo ha inizialmente incontrato, seppur a distanza a causa della pandemia da SARS-CoV-2, Raffaele Barone, Direttore del Dipartimento di Salute Mentale di Caltagirone - Palagonia (CT), e il suo team di operatori, venendo così a contatto con la realtà del Dialogo Aperto e con il set di Pratiche Dialogiche nella sua declinazione siciliana. L'incorporazione delle pratiche del Dialogo Aperto negli obiettivi del gruppo "Ponti di Vista" potrebbe portare numerosi benefici. Il gruppo potrebbe ottenere un prezioso quadro di riferimento per promuovere una comunicazione aperta e inclusiva, nonché una comprensione più profonda delle prospettive degli utenti, delle famiglie e degli altri stakeholder nella salute mentale. Le pratiche dialogiche sono emerse come un approccio per aiutare i pazienti psichiatrici e le loro famiglie a sentirsi ascoltati, rispettati e valorizzati. Dal 1984, presso l'Ospedale di Keropudas a Tornio, in Finlandia, i modi di ammettere i pazienti hanno iniziato a cambiare. Seguendo il lavoro di Yrjö Alanen, la risposta alle crisi acute è cambiata istituendo un incontro di gruppo, riunendo i pazienti, le loro famiglie, altri amici e tutti gli operatori coinvolti, prima di prendere qualsiasi decisione riguardo all'ospedalizzazione. Questa è stata la nascita di una nuova pratica aperta che si è sviluppata, insieme a continue innovazioni cliniche, cambiamenti organizzativi e ricerca, in quello che oggi è conosciuto come "Dialogo Aperto", descritto per la prima volta come tale nel 1995 da Jaakko Seikkula. Il concetto di "apertura" nel Dialogo Aperto si riferisce alla trasparenza dei processi di programmazione e decisione, che avvengono in presenza di tutti gli stakeholder. Questo non significa che i familiari siano obbligati a parlare di questioni che i terapeuti ritengono dovrebbero essere affrontate francamente. Fin dall'inizio, questo approccio di rete è stato applicato a tutte le situazioni di trattamento terapeutico. Nel giro di un decennio, la struttura ospedaliera tradizionale di Tornio è stata trasformata in un complesso sistema psichiatrico, con continuità di cura sia nella comunità che in regime ambulatoriale a partire dalla situazione di ospedalizzazione acuta. Pertanto, la pratica del Dialogo Aperto ha due caratteristiche fondamentali: un sistema di cura integrato basato sulla comunità che coinvolge i familiari e le reti sociali dal primo momento in cui viene richiesta assistenza, e una "Pratica Dialogica", che è una forma definita di conversazione terapeutica. Impegnarsi in un dialogo trasformativo con le persone richiede presenza e attenzione al momento presente, senza preconcetti o agende specifiche. L'arte e l'abilità della Pratica Dialogica risiedono nel fatto che le comunicazioni dei terapeuti non sono schematiche. Il Dialogo Aperto implica la capacità di ascoltare e adattarsi al contesto particolare e al linguaggio di ogni scambio. Per questo motivo, non è possibile fornire, in anticipo, raccomandazioni specifiche per le sessioni o per le fasi presumibilmente specifiche del processo di cura. Prescrivere questo sotto una forma strutturale precisa potrebbe effettivamente ostacolare il processo del Dialogo Aperto. È l'interazione unica e idiosincratica tra i componenti di ciascun gruppo specifico di partecipanti, impegnati in una conversazione terapeutica, che inevitabilmente produce possibilità di cambiamento positivo. Allo stesso tempo, ci sono elementi sistematici della Pratica Dialogica. In questo modo, si crea un paradosso. Sebbene ogni dialogo sia unico, ci sono elementi conversazionali distinti o azioni del terapeuta che generano e promuovono il flusso del dialogo e, a loro volta, aiutano a mobilitare le risorse della persona al centro della questione e della rete. Questo è ciò che intendiamo con il termine "elementi chiave". La Pratica Dialogica si basa su un tipo speciale di interazione, la cui caratteristica fondamentale è che ogni partecipante si sente ascoltato e trova risposte appropriate. Con un'enfasi sull'ascolto e sulla risposta, il Dialogo Aperto incoraggia la convivenza di molteplici, separate e ugualmente valide "voci" all'interno dell'incontro di cura. Questa molteplicità di voci nella rete è ciò che Bachtin chiama "polifonia". Nel contesto di una crisi acuta e grave, questo processo può essere complesso e richiedere una certa sensibilità nell'evocare e dare voce a coloro che sono silenziosi, parlano meno e sono esitanti, frustrati o difficili da comprendere. All'interno di una "conversazione polifonica", c'è spazio per ogni voce, riducendo così la distanza tra il cosiddetto "disagio" e il "benessere". Lo scambio collaborativo tra tutte le diverse voci tesse modi di comprensione che sono nuovi e più condivisibili, ai quali ciascuno contribuisce significativamente. Questo porta a un'esperienza comune che Bachtin descrive come "senza gerarchie".

    I dodici elementi chiave della Pratica Dialogica nel Dialogo Aperto sono i seguenti:

    1. Immediata assistenza
    2. Prospettiva sociale
    3. Continuità psicologica
    4. Tolleranza dell'incertezza
    5. Dialogo polifonico
    6. Responsabilità flessibile
    7. Mobilitazione delle risorse del network
    8. Dialogo attivo
    9. Approccio orientato al futuro
    10. Adattamento alla rete
    11. Inclusività del network
    12. Co-creazione della narrazione

    Questi elementi chiave definiscono il cuore della Pratica Dialogica e rappresentano i principi fondamentali che guidano ogni interazione terapeutica all'interno del Dialogo Aperto. Secondo la visione del gruppo di Caltagirone, il Dialogo Aperto non è solo un metodo o una tecnica, ma un modo di vivere, un'attitudine quotidiana, una postura. Si ricorda che "il dialogo è qualcosa da cui non possiamo sfuggire, è lì come respirare, lavorare, amare, dedicarsi agli hobby o guidare un'auto. È vita". Infatti, il dialogo è il secondo atto che gli esseri umani compiono alla nascita, subito dopo aver respirato. "In quanto esseri viventi, siamo esseri relazionali; nasciamo nelle relazioni... Nulla è più necessario dell'essere ascoltati e presi sul serio, e questo è ciò che dà origine a una relazione dialogica". Durante gli incontri, i professionisti mirano a riattivare il dialogo tra i membri della famiglia, credendo che le risorse per la cura siano già interne alla famiglia stessa e con l'obiettivo di proporre una nuova rappresentazione del "problema" alla famiglia. Positivamente riformulato in ogni parola, il linguaggio del gruppo che cerca aiuto viene quindi "meramente" restituito loro trasformato, con l'obiettivo di co-costruirne uno nuovo, condiviso con il team di cura da quel momento in poi. Quindi, la pratica del Dialogo Aperto non riguarda l'identificazione di individui "sani" o "malati", vincitori o perdenti, né la ricerca di soluzioni ai problemi, ma l'apertura a nuove prospettive e la creazione di nuove e visibili possibilità, mostrando loro attraverso la polifonia del dialogo: "la sfida è abbandonare il nostro obiettivo di produrre un cambiamento negli utenti attraverso i nostri interventi". In seguito a un primo incontro esplorativo all'interno di Ponti di Vista, è emersa l'idea di organizzare un corso online, al fine di familiarizzare con i principi fondanti e l'apparato teorico. Con la collaborazione dell'Istituto di Sociologia Luigi Sturzo, è stato programmato da aprile a dicembre 2022 il "Corso intensivo di formazione e sensibilizzazione sulle pratiche dialogiche nelle cliniche e nei servizi: principi ispiratori, metodologie, strumenti, esperienze" con formazione esperienziale su base mensile e approfondimenti teorici attraverso un ulteriore corso FAD registrato, reso disponibile dagli organizzatori. Tuttavia, col tempo, ci siamo resi conto che lo spazio virtuale ci stava stretto; non bastava più. Il desiderio di costruire una comunità tangibile, di essere presenti fisicamente nei territori e di instaurare un dialogo reale con le comunità locali, ha generato l’idea della "formazione carovanica". Volevamo uscire dai confini digitali per creare un’esperienza di apprendimento in movimento, una carovana che toccasse diversi luoghi, portando con sé idee, esperienze e la voglia di trasformare (e farsi trasformare) dai territori attraversati.


    Il Team Riflessivo: una risorsa dialogica democratica

    Alessia Ravasini psicologa psicoterapeuta dirigente del Centro di Terapia Della Famiglia ASL Parma, Antonia Restori psicologa psicoterapeuta responsabile del Centro di Terapia della Famiglia ASL Parma, Gabriele Moi dirigente psicologo psicoterapeuta ASL Parma, Matteo Rossi Psichiatra NPIA Parma, Antonella Squarcia neuropsichiatra infantile responsabile NPIA Parma

    Si è fermata anche a Parma la Carovana dialogica nel Giugno 2024. Aspettavamo un’ opportunità partecipativa nel mondo dialogico già dal 2017, quando venne a trovarci Jaakko Seikkula dalla Finlandia, invitato dalla nostra Asl e dall’Istituto di Psicoterapia Sistemica Integrata Idipsi. Già allora alcune tra noi operatrici dei Servizi Socio-Sanitari sentivamo il bisogno di un salto di livello epistemologico concreto nell’incontro con la sofferenza umana delle persone e della nostra stessa condizione di disagio. Dal 2004 avevamo aperto un Centro di Terapia della Famiglia nella nostra città che nel tempo è diventato un punto di riferimento di secondo livello per i nostri servizi Socio-Sanitari. Erano ancora i tempi dello specchio unidirezionale, il setting classico dei terapeuti sistemici, quel tipo di osservazione che va sotto il nome del passaggio “dalla prima cibernetica alla seconda cibernetica”, dai sistemi osservati ai sistemi osservanti, dove l’osservatore per la prima volta partecipava all’osservazione includendo se stesso. Erano anche i tempi in cui i teams riflessivi erano ancora gruppi di supervisione “in diretta terapeutica” che si svolgevano al di là dello specchio durante le sedute di coppia e familiari. Si trattava però ancora di incontri connotati da azioni interpretative e giudicanti, sebbene già dal 1992 Harold Goolishian e Harlene Anderson ci avevano insegnato a svolgere queste attività in modo meno unidirezionale. Un’autentica attività riflessiva “democratica” non l’avevamo ancora messa in pratica. Dietro allo specchio c’erano ancora i cosiddetti esperti della sofferenza umana, pronti a interpretare e giudicare i movimenti delle famiglie. Il grande salto epistemologico avvenne però quando iniziammo nel 2008 a vedere più nuclei familiari della Salute Mentale in gruppo all’interno di una sorta di terapia familiare gruppale sistemica. Una sorta di gruppi multi-familiari, dove le storie di ciascun partecipante potevano contaminarsi con altre, aiutando a superare gli stigma, l’isolamento, le sensazioni di abbandono di pazienti e famiglie. Ma la vera rivoluzione copernicana delle attività riflessive avvenne poi con il contributo dei finlandesi a metà degli anni novanta. Lo specchio fu da loro letteralmente rimosso, il velo dell’expertise professionale dissolto. Non era più possibile esporsi in giudizi etichettanti, in interpretazioni diagnostiche; sapevamo che lavorando “con le famiglie” e non più “sulle famiglie”, avremmo dovuto assumerci nuove responsabilità cliniche, ma soprattutto etiche. A Parma, sotto la direzione del nostro Direttore della Salute Mentale, Pietro Pellegrini, ci siamo mossi in questa direzione solo recentemente, da quando nel 2022 ci siamo permesse di farci contaminare da Raffaele Barone e dal suo gruppo di Caltagirone e dal sopraggiungere della Carovana dialogica nel 2024. Iniziando a praticare l’Open Dialogue abbiamo potuto sperimentare il cambiamento epistemologico e di posizionamento etico che precedentemente era stato proposto dai socio-costruzionisti. In cosa si distinguono le pratiche sistemiche dello specchio, dalla proposta del reflecting team di Anderson e Goolishian, e in ultimo dal team riflessivo del gruppo dei finlandesi. Si è passati da una pratica di supervisione sbilanciata tra il sistema osservante e il sistema osservato, attraverso una proto pratica di riflessività che ancora separava il campo tra utenti e professionisti, a una vera pratica dialogica democratica, dove si è tolto lo specchio uni-bi direzionale, a favore di un campo della conoscenza condiviso e privato di distinzioni gerarchiche tra chi sa e chi non sa restituendo la funzione di esperto alla persona portatrice della narrazione della sofferenza.

    Volendo cercare di tracciare una sorta di postura relazionale che caratterizza l’esperienza nel team riflessivo all’interno delle pratiche dialogiche, potremmo individuare come utili queste premesse:

    • Ogni storia ci transita. Qui a Parma da oltre vent’anni abbiamo respirato le intuizioni dei nostri colleghi neuroscienziati Giacomo Rizzolatti e Vittorio Gallese, e quindi i concetti di embodiment, mirror neurons e mimesi.
    • Non possiamo non avere risonanze. Da tempo abbiamo sostituito la parola empatia con sintonizzazione, risonanza. La prima fraintende il livello delle relazioni, mentre le altre ribadisce la nostra collocazione nel rapporto con l’Altro garantendo l’autopoiesi dei sistemi umani.
    • Le risonanze di tutti gli attori nel campo sono autentiche. Non c’è una risonanza giusta o sbagliata quando si sosta sulle proprie sensazioni, emozioni, vissuti.
    • Importante è non proiettare i nostri vissuti. Se si è presenti al proprio sentire e al sentire autentico dell’Altro in relazione, non agiamo proiezioni di nostre parti sull’Altro, e possiamo parlare di noi liberamente.
    • Disclosure e controtranfert. Nel lavoro del team riflessivo si incarna il corpo del gruppo nel campo relazionale, entrando in gioco parti personali aumentate di risonanze esteticamente connesse al contesto. Come nelle azioni di disclosure noi riveliamo parti interne personali essendo inevitabilmente mossi dall’Altro in relazione e quindi in posizione controtransferale in senso bioniano.

    L’essere collocato all’interno della stanza dove si svolge l’OD offre al team riflessivo la possibilità di posizionarsi in un campo “meta”, trasversale, ma anche in una dimensione sintonizzante e amplificatrice di risonanze. Le risonanze del team riflessivo si collocano quindi in un campo meta capace di evocare nel gruppo dialogico ulteriori sollecitazioni e intuizioni generative di processi narrativi e di possibili cambiamenti. E’ un processo di liberazione da inquinanti mentali.


    Alcune riflessioni sulla cultura relazionale e sulle pratiche dialogiche, democratiche, multifamiliari nei servizi e negli altri luoghi di cura

    Raffaele Barone, psichiatra, Direttore MDSM Caltagirone,Angelita Volpe, psicologa, psicoterapeuta, gruppoanalista

    Le considerazioni e le esperienze narrate in questo articolo da colleghi più giovani da diversi territori hanno stimolato in noi alcune riflessioni e rafforzato un sentimento di speranza e consapevolezza rispetto ad alcuni temi che da tempo andiamo dipanando, come quando si ha a che fare con matasse intricate, aggrovigliate, rispetto alle quali non è facile rintracciarne il bandolo o il filo conduttore. Ci riferiamo al panorama e alla epistemologia che guida la pratica clinica nel campo della salute mentale e la concezione della malattia e della cura, e di chi cura chi, e come.

    L’approccio delle pratiche dialogiche pone la malattia e la sofferenza non “nella persona”, ma “tra le persone”, riposizionando su un campo relazionale, dunque più ampio e complesso, questioni che spesso sono ridotte a semplificazioni e iperspecializzazioni, che sostengono di conseguenza pratiche cliniche oggi sempre più tecnicistiche, cronicizzanti parcellizzati.

    La materia in questione, invece, la sofferenza mentale, è ben più complessa, che mai coinvolge o attiene ad un individuo, bensì ad un campo mentale e relazionale largo, comprendente la persona che se ne fa portavoce, la famiglia e la rete sociale. E attiene anche al campo terapeutico nel quale siamo immersi anche noi operatori, coinvolgendoci totalmente, negli aspetti professionali e personali. Già prima di avvicinarci e approfondire il Dialogo Aperto e le altre pratiche dialogiche, avevamo esplorato altri approcci come la Comunità Terapeutica Democratica e la Psicoanalisi Multifamiliare, rintracciando tra loro importanti elementi di contatto che li rendono assolutamente compatibili tra loro, introducendo elementi di democraticità e relazionalità nei processi di cura.

    Tali approcci innanzitutto portano ad un cambio epistemologico che sposta l’intervento dall’individuo che esprime la sofferenza mentale, alla relazione, quindi alla famiglia e ai gruppi.

    Inoltre in tutte queste pratiche l’equipe assume una postura insolita rispetto alla modalità oggi prevalente, classicamente improntata alla asimmetria e ad interventi volti a dare risposte e ad “agire sulla persona”, ponendosi invece nel campo terapeutico, mettendosi in gioco donando generosamente la propria esperienza personale e professionale e concependo le famiglie come portatrici delle risorse utili a far stare bene i suoi membri.

    Questi approcci vengono altresì concepiti come una possibilità preziosa di evoluzione dei Servizi di Salute Mentale , per creare un clima più accogliente e gentile, dove utenti e operatori possano stare meglio, e per attivare pratiche di formazione e clinica, dove “tutti sono curanti e curati”, ossia dove ci si può prendere cura di sé mentre ci si prende cura degli altri, e dove creare interdipendenze più positive tra i pazienti e le loro famiglie, tra pazienti, famiglie e operatori, tra operatori e tra questi ultimi e l'istituzione.

    Ciò determina nei Servizi un significativo cambiamento organizzativo che promuove dispositivi gruppali e comunitari, e l’apertura di un dialogo che stimoli la partecipazione emotiva e compassionevole negli operatori; questa, attraverso la funzione riflessiva, determina un cambiamento trasformativo biologico, psichico e relazionale, come dimostrano le nuove acquisizioni delle neuroscienze. sia per le singole persone che per tutto il gruppo dei partecipanti.

    Fortemente generativo è stato l’incontro intergenerazionale da cui è nata la carovana dialogica, intuizione partorita dal gruppo, dallo scambio profondo, appassionato tra i giovani colleghi, con il loro entusiasmo, la sete di scoperta, il pensiero arguto e critico, e la solida esperienza dei più “anziani”. La creazione di un campo intergenerazionale meticcio, caratterizzato da apertura relazionale, ha portato alla possibilità di sognare e poi progettare e realizzare innovazioni interessanti, praticabili e lungimiranti.


    In Attesa di una nuova chiamata: Il futuro della formazione carovanica

    La prossima tappa della carovana e Prato. Nell’anno 2024 a Prato si sono tenuti due incontri di formazione alle pratiche dialogiche. Un primo incontro a inizio anno organizzato dalla Società della salute con la partecipazione di operatori degli enti locali, dei servizi sociali, della cooperazione sociale e dei servizi di salute mentale. Il secondo in corso di formazione a fine anno e prima della carovana è stato organizzato dal Dipartimento di salute mentale con il coinvolgimento di tutta la rete socio-sanitaria. La cosa molto interessante che è emersa nel corso della formazione che i due gruppi di operatori della società della salute e del Servizio di salute mentale nel dialogare sulle preoccupazione e sulle attività avviate si ponevano l’obiettivo e le difficoltà di determinare un cambiamento nella organizzazione dei rispettivi servizi iniziandoli a pensare e a desiderare dialogici, relazionali e democratici. Uno degli scopi della formazione delle pratiche dialogiche e della psicoanalisi multifamiliare è pensare la trasformazione della cultura e della vision oltre che dei singoli operatori. Siamo molto curiosi di partecipare attraverso la carovana a questo processo trans-formativo. Il viaggio della nostra carovana non è finito. La formazione carovanica rimane un progetto aperto, in attesa di nuove tappe, nuove chiamate, nuovi incontri. Ogni sosta è una tappa di un percorso più grande, in cui il nostro ruolo è quello di giostrai delle anime, attivatori di sogni e di possibilità. Come danzatori erranti, siamo pronti a proseguire questo viaggio, sperimentando nuove forme di apprendimento e condivisione, in un percorso che non conosce limiti né confini.

    La formazione carovanica rappresenta un’alternativa innovativa ai tradizionali modelli di apprendimento, unendo conoscenza e pratica, incontro e movimento, scoperta e trasformazione. È un viaggio che ci spinge a riflettere sulla natura stessa della conoscenza e sulla necessità di costruire comunità resilienti, dove il sapere si arricchisce nell'interazione con l'altro.


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