Area 95. Uno spazio homelessness*
Autori
(1) Psicologa e psicoterapeuta, board SMES-EUROPA. Ambulatorio ‘Area 95’, Roma, Italia. E-mail:
(2) Psichiatra, membro ordinario e AFT della SPI, presidente SMES-Italia. Ambulatorio ‘Area 95’, Roma, Italia. E-mail:
*(Le considerazioni proposte emergono da un intervento clinico organizzato oltre 12 anni fa presso il CSM di ponte Milvio (RM1) poi mantenuto nella associazione SMES-Italia che cura un presidio ambulatoriale denominato “Area 95” presso la stazione Termini di Roma in collaborazione con “Binario 95” in via Marsala.)
Ricevuto il 23 novembre 2024; accettato il 15 dicembre 2024
Area 95: il luogo e gli attori
Dal 1 settembre 2021 presso la sede dell’associazione “Binario 95” collocata in alcuni locali della Stazione Termini di Roma è stato inaugurato un ambulatorio con libero accesso per soggetti Senza Dimora. L’ambulatorio, denominato “Area 95” è attivo settimanalmente il giovedì pomeriggio (15-19) ed è sostenuto da volontari dell’associazione SMES-Italia. Area 95, quindi è una collaborazione tra due associazioni di volontariato che cercano di introdurre attenzione clinica di ordine psicologico in collaborazione con i servizi pubblici e le altre associazioni di volontariato della Capitale. Si tratta, prima di tutto, di un dispositivo di accoglienza che intercetta una serie di richieste prevalentemente relative all’ambito della salute mentale, altrimenti destinate a rimanere inevase per ragioni di ordine organizzativo/burocratico che mal si conformano al tipo di utenza richiedente: persone senza dimora, spesso con importanti problemi di salute mentale, persone senza documenti e/o residenza, persone migranti.
L’equipe di Area 95, fatta eccezione per la Dott.ssa Alessia Capasso, psicologa e coordinatrice delle attività del gruppo, è al momento composta da professionisti di SMES (Salute Mentale Esclusione Sociale) ITALIA (nota 1), una agenzia di promozione sociale che si occupa di persone senza dimora con disagio psichico.
Binario 95, in Via Marsala 95 a Roma, è il luogo nel quale si svolge l’intervento. Il nome di questa struttura è un rimando alla contiguità con la Stazione Termini, situata a poche centinaia di metri; sulla stessa via si trovano un ostello Caritas e alcuni locali della AMA, la azienda che si occupa della gestione dei rifiuti della Capitale! Binario 95 nasce in occasione dell’ultimo giubileo del 2000, quando Ferrovie dello Stato, attraverso Europe Consulting, loro emanazione deputata ad occuparsi dei fenomeni di marginalità sociale nelle principali stazioni della rete FS, rende disponibili dei locali per l’accoglienza di quelle persone che arrangiano la loro vita in stazione, deturpandone il “decoro”. Binario 95 offre quindi la disponibilità di alcuni posti letto, di una serie di attività volte al recupero di competenze delle persone che per varie ragioni si trovano a vivere in modo precario per strada, di un magazzino per le necessità di vestiario, di un servizio docce e di un servizio lavatrici; Europe Consulting inoltre, attraverso il sistema Help Desk, oltre a fornire informazioni più generali sulla accoglienza (mense, dormitori, etc), offre la possibilità di accedere ad Internet, il sostegno per la costruzione di un Curriculum Vitae nel caso si sia alla ricerca di un lavoro, un primo contatto con operatori legali per eventuali questioni legate soprattutto alla acquisizione di documenti che rendano regolare la presenza dei migranti e/o che ristabiliscano le pre-condizioni per l’accesso al mondo del lavoro e sanitario. Ogni intervento è personalizzato, grazie ad un sistema di interviste effettuato al momento della prima accoglienza.
Il soggetto senza dimora
Si calcola che al momento a Roma il numero dei soggetti senza dimora si aggiri intorno ai 16.000 e che circa 5-600 di loro siano persone che, per gravi problematiche psichiatriche, sono inaccessibili alle comune forme di assistenza, quelle sociali e soprattutto quelle sanitarie” (Riefolo, 2023). Va detto che il calcolo, ovvero il censimento delle persone senza dimora è una delle tante questioni spinose di questo fenomeno, pertanto i dati qui riportati hanno valore approssimativo, probabilmente per difetto (nota 2).
La definizione fin qui utilizzata di “persona senza dimora”, fa evidentemente riferimento ad una condizione dell’ordine sociale, che nulla ha a che vedere con costrutti relativi all’ambito sanitario o psichico e che pertanto rimanda ad interventi di ordine assistenziale concreto: Si tratta in questo caso di un approccio solo descrittivo che non dice nulla del processo psicologico che ne è alla base.
Pur non dicendo nulla del processo psicologico che sottende allo stato di persona senza dimora e proprio in virtù della concretezza delle risposte ad esso correlate, tale definizione sembrerebbe funzionale ad uno dei bisogni prevalenti della popolazione alla quale ci riferiamo (circa il 3%-5% delle persone senza dimora): sospendere e recidere nessi e legami, negando soprattutto il contatto e la relazione, allo scopo di evitare la riattivazione di aree emozionali traumatiche alla base di tale condizione. Mai come in questo caso di disturbo psicopatologico, il quadro clinico è preciso nelle sue caratteristiche di base: esperienza traumatica; ritiro e dissociazione con evitamento attivo di ogni rischio di rottura del quadro clinico; particolarità della soluzione dissociativa (Raimondi, Riefolo, 2023).
Soprattutto nel caso dei migranti, che sarebbero naturalmente “selezionati” al momento della partenza tra i più forti e promettenti del loro clan familiare, sembrerebbe essere proprio il fallimento traumatico del progetto migratorio la base sulla quale poggiano quadri sintomatologici apparentemente schizofreniformi, che, quindi, sarebbero sostanzialmente reattivi alle drammatiche vicissitudini del viaggio ed alle molteplici difficoltà di inclusione nelle “terre promesse” di approdo. La risposta reattiva sembrerebbe pertanto ascrivibile all’area dei Disturbi Post Traumatici: “si tratta dello spegnimento (dissociazione) di aree dolorose delle proprie competenze che vengono negate con una contemporanea soluzione “creativa” per cui il soggetto, proprio mentre vuole nascondersi, si mette particolarmente in evidenza” (Riefolo, 2024).
E’ esperienza comune, infatti, quella di osservare questo fenomeno maggiormente in luoghi pubblici, piazze, chiese, stazioni e di partecipare alla ambivalenza dello stesso sintomo, nascondersi - rendendosi evidenti / vedere – ignorando, attraverso una forma di attrazione respingente, che pone l’osservatore in una sorta di disinteresse verso una persona in evidente stato di difficoltà o di alterazione. A sostenere un atteggiamento di indifferenza verso tale fenomeno (“non mi riguarda, affari suoi, è un problema sociale…”) si aggiunge una idea ancora troppo diffusa, cioè quella convinzione per la quale vivere per strada rappresenti per molti una scelta deliberata. Un convincimento che, oltre che a colludere con la parte distruttiva del sintomo, ci protegge dall’insostenibile timore che tale condizione possa riguardarci. Ad esorcizzare tale timore, si preferisce rifugiarsi nella idea consolatoria che gli homeless abbiano operato una scelta di vita: tra i vantaggi di questa soluzione si aggiunge il fatto di sentirsi esonerati ed assolti dalla idea di dover intervenire in soccorso, qualora se ne presentino le circostanze.
Le istituzioni
In modo speculare a quanto fin qui descritto, sembrerebbe che nessuna Istituzione sia realmente deputata ad occuparsi delle persone senza dimora con disturbi psichiatrici, che si vanno a collocare in una terra di nessuno, fatta di rimpalli e impossibilità. La presa in carico di una persona per motivi legati alla sfera psichica, è infatti regolata e necessariamente collegata alla residenza anagrafica, ovvero a quel diritto civico che si acquisisce dimorando abitualmente in un determinato territorio. Va da sé che la condizione “senza dimora”, per definizione, “rimanda alla assenza di legami relazionali e familiari, di abituale permanenza fisica in un determinato luogo, o una volontarietà/possibilità a tale permanenza. La contraddizione tra posizioni amministrative, che richiedono di fissare nel Comune una residenza per poter accedere al diritto alla salute mentale e la nostra utenza, in stato di grave emarginazione sociale, crea un vuoto di azione che si concretizza in una serie di rimandi e deleghe tra servizi sociali e servizi sanitari, dove tutti hanno ragione a vari livelli e nel mezzo rimane inascoltata una richiesta di aiuto, alla quale corrispondono troppo spesso caotici ed improvvisati interventi emergenziali destinati a ripetersi generando un generale e diffuso senso di frustrazione e sconforto.
L’intervento
Per le particolari caratteristiche di questo tipo di utenza e delle caratteristiche dei nostri servizi, lo iato tra area sociale e sanitaria, impedisce di fatto una presa in carico continuativa, orientata alla tematica della esclusione sociale, che presenta caratteristiche assai specifiche anche dal punto di vista clinico.
L’interrogativo al quale si cerca di dare risposta è di come operatori sociali che lavorano in un qualsiasi servizio per persone senza dimora di una città, possano avvicinare ai servizi di salute mentale persone organizzate su difese psichiche particolarmente strutturate in modo dissociativo. Si tratta di solide difese di evitamento fobico, scissione o negazione, o soggetti che vivono sentimenti di abbandono e solitudine fortissimi e che allo stesso tempo, come abbiamo accennato, hanno perso o non hanno mai conquistato il diritto ad un legame formale con un contesto sociale come un Comune. Come colmare il vuoto tra la persona, in uno stato di forte fragilità psichica e in condizioni di vita fortemente deprivate di relazioni e di opportunità e le regole formali del gioco? Come avvicinare ad un servizio di supporto psicologico o psicofarmacologico, persone per le quali ottenere una residenza e un documento regolare sono spesso dei risultati difficilmente raggiungibili (Aronson, 2021; Campbell, 2006; Riefolo, Raimondi, 2018)?
“Area 95” si pone alla intersezione tra marginalità e istituzioni, con particolare riferimento a quelle psichiatriche, fungendo da snodo e luogo di raccordo tra una domanda spesso confusa ed incerta, il più delle volte mediata e servizi che non sono organizzati per l’accoglienza e trattamento di una popolazione che ha caratteristiche spesso incompatibili con le premesse a garanzia del loro buon funzionamento. Un esempio è quello del rischio di accogliere in reparto un paziente che presenti patologie contagiose (tbc, epatiti, Hiv, scabbia…) assai diffuse nella popolazione di cui ci occupiamo. Allo stesso modo, il sistema psichiatrico in Italia si fonda sulla condizione della appartenenza territoriale, a garanzia della continuità della cura, garanzia che evidentemente in questi casi manca già nelle premesse. Area 95 accoglie richieste da professionisti impegnati nel settore del sociale e della marginalità, operatori di comunità, assistenti sociali, o da chi, a vario titolo, è riuscito a stabilire una relazione con la persona in difficoltà: connazionali incontrarti nella vita di strada, amicizie occasionali o vecchi compagni di scuola che abbiano riconosciuto, in uno dei tanti “barboni” agli angoli della città, un loro amico, nonostante la condizione di degrado e di alterazione.
Il nostro intento è di attivare percorsi che possano dare la necessaria continuità di cura alle persone che si rivolgono a noi, cominciando e focalizzandoci sulla ricostruzione di una rete dissociativamente sospesa. La posizione poi operativa è di valutare e cercare di risolvere attraverso i canali più appropriati questioni di ordine burocratico per l’accesso ai servizi sanitari, prescrivendo terapie farmacologiche e somministrando alcuni farmaci resi disponibili dalla Caritas, con cui collaboriamo. Si attivano anche percorsi psicoterapeutici magari focali brevi oppure soprattutto contattando e cercando di stabilire rapporti di reciproca collaborazione con le strutture territoriali preposte. In sostanza, Area 95 ha la funzione soprattutto di centro di snodo che attiva e fa manutenzione di una rete a cui partecipano servizi che altrimenti funzionerebbero in modo autoreferenziale.
L’esperienza fin qui maturata ci ha aiutati a mettere ancor meglio a fuoco alcune caratteristiche di questa popolazione, che, particolarmente nel caso di migranti, risulta essere sostanzialmente sana dal punto di vista psichiatrico, ma che deve la propria sofferenza e deriva sociale ad esiti post traumatici sostanzialmente legati al fallimento del progetto migratorio. Ciò apre ad una riflessione anche rispetto alla qualità, adeguatezza e costo degli interventi fino a qui disponibili all’interno del nostro Sistema Sanitario. La nostra esperienza conferma che il lavoro in rete, coordinato da un servizio che si assuma la responsabilità di attivare e fare continua manutenzione della rete ha costi estremamente inferiori ed esiti molto maggiori rispetto alla comune modalità di intervento – sostanzialmente burocratico – che da anni viene proposto dai servizi per questo tipo di utenza, particolarmente per quella quota che potremmo definire di soggetti non collaborativi, ovvero che non accetta di aderire alle comuni proposte di ordine assistenziale.
Note
Nota 1: SMES ITALIA è un’agenzia di Promozione Sociale senza fini di lucro nata nel 2017 dalla collaborazione di psichiatri, psicologi, educatori, operatori e ricercatori sociali, appartenenti a diversi enti attivi nel campo dell’inclusione sociale, sulla necessità di sviluppare un organismo, con sede in Italia, che traducesse l’impegno e la mission perseguita da anni a livello europeo da SMES EUROPA, ovvero quello di sviluppare risposte, riflessioni, progetti sul tema dell’esclusione sociale connessa con il disagio mentale.
Nota 2: Nel censimento 2021 dell’Istat per la prima volta sono stati indagati anche i SD. La popolazione di SD, ma iscritti all’anagrafe è, a livello nazionale, di circa 100 mila soggetti, ma ovviamente, il dato dei reali SD è stimato in circa 500 mila soggetti. Nel censimento precedente, non ISTAT, ma a cura della CARITAS e FioPSD del 2011, erano circa 125mila.
Bibliogrfia
Aronson, T. (2021). The Difficulty to Reside: On Analytically Oriented Psychotherapy With The Homeless, Contemporary Psychoanalysis, 57:3-4, 408-445.
Campbell, J. (2006). Homelessness and containment – A psychotherapy project with homeless people and workers in the homeless field. Psychoanalytic Psychotherapy, 20(3), 157-174. ISTAT (Censimento 2021). Disponibile da: https://www.secondowelfare.it/povert-e-inclusione/persone-senza-dimora-i-dati-del-censimento-istat/
Losi, N. (2000). Vite altrove. Migrazione e disagio psichico. Feltrinelli, Milano.
Raimondi S., Riefolo G. (2023). Uno spazio per chi non ha dimora, Ricerca Psicoanalitica XXXIV, n. 3, 2023, 627-635.
Riefolo, G. (2018). Gruppi aperti: esperienze di supporto psicologico nelle stazioni ferroviarie.
Rapporto Annuale, in Osservatorio Nazionale della solidarietà nelle stazioni italiane, EC Edizioni, Roma, pp. 90-91.
Riefolo, G. (2019). Le persone senza dimora. I servizi e le risorse (Atti delle tavole rotonde ‘Termini Sociale, 2018), Multiprint, Roma, pp. 25-26.
Riefolo, G. (2023). Rulan e lo sgombero dei fantasmi, Vaso di Pandora, dialoghi in psichiatria e scienze umane. Disponibile da: https://vasodipandora.online/rulan-e-lo-sgombero-dei-fantasmi/ Uno spazio per chi non ha dimora 635
Riefolo G. (2024). La domanda concreta e la soluzione homelessness, Psicoterapia Psicoanalitica, XXXI, 1, 27-43.
Riefolo, G., Raimondi, S. (2018). Pazienti Senza Fissa Dimora e servizi territoriali. Interventi di rete per pazienti senza tetto e senza cura. Nuova Rassegna di Studi Psichiatrici (Rivista online di Psichiatria), volume 17.
Riefolo, G., Raimondi, S. (2020). Homelessness: Il gruppo e la dimora. Un gruppo psicoanalitico aperto per Senza Dimora, KOINOS Gruppo e Funzione Analitica, VIII, 1-2, 2020, pp. 89- 107.