La rete come modalità di unione e di confronto:
Family Florence Presoglia Service (CRCR) per la creazione di comunità competenti
Autori
* Direttore Amministrativo Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi
** Responsabile Centro di Riferimento Regionale sulle Criticità Relazionali, Direttore UOc Clinica delle Organizzazioni AOU Careggi
*** Dirigente Psicologa UOc Clinica delle Organizzazioni, Centro di Riferimento Regionale sulle Criticità Relazionali
Riassunto
Il Centro di Riferimento Regionale sulle Criticità Relazionali (CRCR) si occupa dal 2007 di sviluppo organizzativo, cultura organizzativa e benessere dei professionisti (DGR 356 del 21 maggio 2007), promuovendo l’integrazione con i diversi livelli politici e socio-sanitari esistenti. I progetti del CRCR sono molteplici, finalizzati al cambiamento culturale dei sistemi e collegati fra di loro dall’elemento del ciclo vitale individuo-gruppo-organizzazione, ciascuno interconnesso e diversificato per momento e fase del proprio ciclo.
Nel 2018, con il DGR 73/2018 “Definizione del Sistema Toscano per il benessere, lo sviluppo organizzativo e la qualità delle relazioni umane nel Servizio Sanitario Regionale”, si è andata istituendo la rete di coordinamento regionale, al fine di promuovere e sostenere lo sviluppo delle organizzazioni sanitarie e socio-sanitarie attraverso iniziative e interventi orientati alla cura delle relazioni e al benessere dei professionisti e dei gruppi di lavoro e la promozione di una cultura della partecipazione e integrazione che cogliesse nell’elemento della diversità l’occasione della crescita e dello sviluppo. All’interno del DGR 73/2018 si sono sviluppati tre gruppi di lavoro temporanei regionali: Benessere, Carcere, Welfare di prossimità.
Il gruppo sul Welfare di Prossimità si è posto l'obiettivo di affrontare tematiche relative ad un welfare inclusivo e territoriale di prossimità, proponendo la sperimentazione di iniziative e azioni volte ad accrescere la coesione sociale e la diffusione del sostegno psicologico alle famiglie e agli individui per tutto il ciclo di vita.
Abstract
Since 2007, the Regional Referral Center on Relational Criticalities (CRCR) has been dealing with organizational development, organizational culture and the well-being of professionals (DGR 356 of 21 May 2007), promoting integration with the various existing political and social-health levels. The CRCR projects are multiple, aimed at the cultural change of systems and connected to each other by the element of the individual-group-organization life cycle, each interconnected and diversified by moment and phase of its cycle.
In 2018, with the DGR 73/2018 "Definition of the Tuscan System for the well-being, organizational development and quality of human relations in the Regional Health Service", the regional coordination network was established, in order to promote and support the development of health and social-health organizations through initiatives and interventions aimed at caring for relationships and the well-being of professionals and work groups and the promotion of a culture of participation and integration that seizes the opportunity for growth and integration in the element of diversity of development. Three temporary regional working groups have been developed within DGR 73/2018: Wellbeing, Prison, Proximity Welfare.
The group on Proximity Welfare has set itself the objective of addressing issues relating to inclusive and territorial proximity welfare, proposing the experimentation of initiatives and actions aimed at increasing social cohesion and the dissemination of psychological support to families and individuals throughout the life cycle.
Introduzione
Il Centro di Riferimento Regionale sulle Criticità Relazionali (CRCR) si occupa dal 2007 di sviluppo organizzativo, cultura organizzativa e benessere dei professionisti (DGR 356 del 21 maggio 2007), promuovendo l’integrazione con i diversi livelli politici e socio-sanitari esistenti. Il CRCR, organismo del Governo Clinico della Regione Toscana (LR 40/2005), persegue il miglioramento della qualità delle relazioni, ricorrendo ad un'operatività di rete e alla definizione di progettualità che, secondo un modello sistemico, prevedano il coinvolgimento di tutti i soggetti a diverso titolo presenti in specifiche aree, lavorando con gruppi multidisciplinari e multiprofessionali. Il Centro, da anni, si occupa di qualità delle relazioni umane nei processi assistenziali dedicati ai cittadini, alle Istituzioni e alle Comunità, da un vertice osservativo poliedrico, rivolto sempre contemporaneamente alla triade complessa Individuo-Gruppo-Organizzazione.
Il CRCR svolge le proprie attività clinico consulenziali, formative, valutative, progettuali specifiche, di ricerca e di rete, dialogando con diverse istituzioni e partecipando a Tavoli di Lavoro. L’obiettivo è quello di rispondere ai bisogni sociosanitari complessivi e con un approccio integrato e di sistema, in una logica di collaborazione e coinvolgimento in grado di soddisfare e congiungere le problematiche cliniche all’organizzazione gestionale e professionale puntando alla cooperazione e partecipazione, alla qualità delle cure e alla cultura e all’innovazione dei sistemi sociosanitari regionali.
Il CRCR cerca dal lontano 2004 di rendere tangibile l’intuizione secondo la quale è possibile tentare di rendere concreto il pensiero della complessità, superare la dualità e la frammentazione della salute-malattia e del pensiero sociosanitario per leggere i bisogni delle comunità analizzando il cambiamento profondo della condizione umana (operatori, pazienti e organizzazioni). Tale elemento può essere raggiunto osservando i sistemi dal micro al macro e dal macro al micro, contemporaneamente, avendo la capacità di uscir fuori dallo stesso sistema cui facciamo parte e da tale posizione contemporaneamente esterna e interna osservarsi e partecipare responsabilmente al proprio cambiamento.
Il ciclo di vita individuo-gruppo-organizzazione
I progetti del CRCR sono molteplici, finalizzati al cambiamento culturale dei sistemi e collegati fra di loro dall’elemento del ciclo vitale individuo-gruppo-organizzazione (progetto nascita, vecchiaia, disabilità, marginalità, carcere), ciascuno interconnesso e diversificato per momento e fase del proprio ciclo, soprattutto laddove il ciclo di vita “fisiologico” si interrompe. Il concetto di Ciclo di vita, individuo, gruppo e organizzazione, ci offre l’opportunità di pensare a sistemi che devono interconnettersi nei loro rispettivi cicli di vita, siano essi, ad esempio, quelli del cittadino, delle famiglie, delle comunità di appartenenza, del gruppo di lavoro e dell’organizzazione.
Da tale riflessione nascono i progetti Presoglia, La costruzione della Visione, Le Case della Salute, La buona cura in RSA, il progetto Nascita, oncologico, Unifi inclusione e le attività relative alle organizzazioni istituzionali relegate ai confini del mondo: chiusura OPG, apertura REMS, salute in carcere e altri.
In questa fase culturale e storica, il CRCR ha sviluppato nella sintesi del tema comunitario l’opportunità di ridurre la forbice fra istituzioni e cittadinanza nella consapevolezza, secondaria ai processi di globalizzazione e indifferenziazione, di provocare la conoscenza dei nuovi bisogni di appartenenza, cittadinanza e identità familiare comunitaria.
Le Comunità competenti
Possibili azioni di ricerca, intervento e formazione finalizzate a rendere la complessità occasione di crescita delle organizzazioni sono nati all’interno della collaborazione fra CRCR e LabCom con l’obiettivo di far convergere i diversi saperi. Questi saperi devono essere sempre più integrati per comprendere la profondità della condizione umana e per accompagnare lo sviluppo dei sistemi organizzativi e dei sistemi culturali. È indispensabile poter approfondire il dialogo tra scienze umane e psicologiche, laddove la psicologia stia a ponte fra l'aspetto economico-politico-sociale e della cura. Fondamentale è la costruzione di reti sociali per costruire un tessuto sociale inclusivo contro l'isolamento delle persone. Come sappiamo, gli Esseri Umani sono esseri sociali che nella loro genetica hanno come caratteristica quello di stare gli uni con gli altri. Quindi deve essere posto al centro dell'interesse politico tecnico l'elemento della relazione. È un aspetto imprescindibile per poter costruire comunità competenti, sviluppo, innovazione, futuro, ossia la Visione del futuro di organizzazioni complesse.
La comunità deriva proprio dal termine Communitas, derivato di communis "che compie il suo incarico” (munus) “insieme con” (cum) “altri”. Le caratteristiche delle nostre comunità attuali sono l'individualizzazione, la globalizzazione incontrollata, la disuguaglianza, la burocratizzazione, il disequilibrio fra domanda e risposta, l'insicurezza, la paura, la crisi del welfare tradizionale, la cronicizzazione, la precarietà. Una Comunità competente può diventare tale quando si rende collettivamente capace di analizzare la propria situazione, identificare i bisogni e si fa promotrice del cambiamento. È il pensiero, la creatività, le relazioni fiduciarie, la responsabilità, l'identità collettiva, il multiculturalismo, la sicurezza e la libertà che rendono una comunità competente (Belloni, 2020; Beck, 2000; Giddens, 1999; Held, 2004; Bauman, 2001).
Family Florence Presoglia Service
Il Progetto Presoglia, pensato e curato dal CRCR, è creazione di un nuovo modello comunitario di riferimento, che vede come elemento centrale la famiglia. La famiglia è fenomeno universale e istituzione fondamentale che viene prima di qualsiasi altra forma di relazione sociale. Le famiglie, siano esse individuali, gruppali, sono capaci di sostenere lo sviluppo dell'uomo, nella sua costruzione incessante di umanità e civiltà. Il Progetto Presoglia vuole essere uno spazio politico-sociale di vicinanza, di prossimità, dove vengono accolte le famiglie e dove queste possono ottenere un primo ascolto, in assenza di un filtro sanitario. I Gruppi multifamiliari (Mandelbaum, 2017) possono diventare un dispositivo comunitario accogliente nel quale le famiglie si incontrano e condividono le loro problematiche. L’elemento innovativo del Progetto è l’opportunità di svolgere un’analisi dei bisogni dei nuovi fenomeni organizzativi ma anche culturali e antropologici che può avvenire attraverso la partecipazione di studenti universitari, sensibilizzati su queste tematiche. La costruzione di una rete di supporto e la Creazione di reti e programmazione con l'obiettivo di tenere insieme e quindi collegare lo scollegato, il globale al particolare, mantenere un contatto attivo fra il cittadino e le istituzioni, diminuendo la forbice di vicinanza fra questi. La comunità diventa così un modello di sperimentazione, modello che può essere applicato successivamente in altri quartieri e contesti.
“Definizione del Sistema Toscano per il benessere, lo sviluppo organizzativo e la qualità delle relazioni umane nel Servizio Sanitario Regionale” - DGR 73/2018
Nel 2018, con il DGR 73/2018 “Definizione del Sistema Toscano per il benessere, lo sviluppo organizzativo e la qualità delle relazioni umane nel Servizio Sanitario Regionale”, si è andata istituendo la rete di coordinamento regionale, al fine di promuovere e sostenere lo sviluppo delle organizzazioni sanitarie e socio-sanitarie attraverso iniziative e interventi orientati alla cura delle relazioni e al benessere dei professionisti e dei gruppi di lavoro e la promozione di una cultura della partecipazione e integrazione che cogliesse nell’elemento della diversità l’occasione della crescita e dello sviluppo.
All’interno del DGR 73/2018 si sono sviluppati tre gruppi di lavoro temporanei regionali: Benessere, Carcere, Welfare di prossimità.
Il gruppo sul Welfare di Prossimità, che vede come coordinatore il Dott. Dario Rosini, si è posto l'obiettivo di affrontare tematiche relative ad un welfare inclusivo e territoriale di prossimità, proponendo la sperimentazione di iniziative e azioni volte ad accrescere la coesione sociale e la diffusione del sostegno psicologico alle famiglie e agli individui per tutto il ciclo di vita.
Il gruppo multidisciplinare è composto da: Laura Belloni (Responsabile Scientifico), Annalena Ciolli, Maria Ditta, Davide Giomi, Sonia Padiglione, Barbara Tonietti, Vanessa Zurkirch.
Il Welfare di Prossimità "Proxima et similia": gruppo di lavoro temporaneo (DGR 73/2018)
L’oggetto di questo progetto è il welfare di prossimità, un qualcosa inizialmente poco definito anche fra i partecipanti del gruppo di lavoro. Esso ha preso forma all’interno di un gruppo eterogeno, sia dal punto di vista umano che professionale e ciò che inizialmente poteva creare problemi di comunicazione e di integrazione è diventato alla fine una grande ricchezza, che ci ha portato a progressi sorprendenti. Quando ci siamo interrogati su che cosa fosse il Welfare di prossimità e che cosa si potesse mettere insieme per creare un progetto di questa natura, abbiamo pensato alla capacità di soddisfare dei bisogni all’interno di un gruppo che è contenuto ed è vicino alla famiglia, vicino a dove abitiamo. Ci siamo immaginati un disegno che abbiamo chiamato successivamente “il nostro futuro voluto” che può essere contestualizzato in una comunità o in un paese: si è discusso molto se fosse migliore un setting urbano o uno rurale. Ci siamo detti “immaginiamo un mondo dove i bisogni vengono condivisi e soddisfatti dalle risorse della stessa comunità che li condivide”. Per bisogni e risorse intendiamo non tanto quelli economici, ma quelli che ciascuno di noi in termini di tempo, ma anche di conoscenza, può mettere a disposizione degli altri. Parlando ci siamo poi detti che tutto ciò consiste nello strutturare qualcosa che succede tutti i giorni con il vicino di casa o con il collega di lavoro che si presta ad andare a prendere il figlio a scuola o a raccogliere il pacco dal corriere quando a casa non c’è nessuno. Abbiamo deciso di provare a strutturare una dimensione definita, un sistema in cui avviene uno scambio di utilità, di soddisfazione di bisogni di varia natura, a cui tutti partecipano come “takers” o “givers”. Tutti danno e prendono qualcosa in un meccanismo in cui si cerca di soddisfare i bisogni del gruppo. Quindi bisogna passare da un sistema più spontaneo ad uno più strutturato. Ci vuole qualcosa che incoraggi questi aspetti, ci vuole una mediazione che cerchi di catalogare e razionalizzare le risorse affinché queste ultime siano messe a contatto con i bisogni da soddisfare. Bisogna poi definire quale sia il ruolo delle istituzioni. Su questo ci siamo confrontati molto e sono venute fuori anche delle contraddizioni: qualcuno diceva che le istituzioni devono dare i servizi, la comunità deve intervenire in maniera sussidiaria quando le istituzioni non ce la fanno. Altri hanno pensato il contrario: la comunità deve scambiarsi servizi al suo interno e le istituzioni devono coprire in maniera sussidiaria ciò che rimane scoperto. Noi propendiamo per la seconda ipotesi. Abbiamo ragionato in questi termini e abbiamo provato a dare un ruolo alle nostre istituzioni. Abbiamo immaginato un mondo in cui dal punto di vista economico si riscopre una sorta di baratto: baratto di servizi, ma non solo. Io sono appassionato di meccanica di biciclette, nel tempo libero aggiusto le biciclette. Un giorno ero vicino al garage dove aggiusto le biciclette, è venuto il vicino che arrivava dall’orto e mi ha chiesto se potevo aggiustare la sua bicicletta che aveva la ruota fuori asse. Me l’ha lasciata e contestualmente mi ha lasciato una borsa dove c’erano pomodori, patate e altre verdure. In quel momento si è generato uno scambio di utilità e alla fine si è creata una situazione per la quale io sono contento perché aggiusto la bicicletta e lui è contento perché mi fornisce le verdure fresche dell’orto. È contento anche perché ha la bicicletta aggiustata e può venirla a prendere subito qui davanti. Si è creata una situazione “win win” come dicono gli inglesi. Di fatto non c’è stato uno scambio di denaro. È ovvio, è una situazione che è difficile replicare e strutturare, ma l’idea di base è potente e interessante. A livello sociale qualcuno di noi ha tirato fuori il concetto di retro-utopia e infatti non è altro che riscoprire quello che si faceva un tempo. Io vengo da un paese di montagna e da piccolo ogni famiglia aveva il suo appezzamento di olivi. Ogni famiglia aiutava le altre famiglie a raccogliere le olive e nell’arco di un mese tutti raccoglievano le proprie olive con l’aiuto degli altri. Era un meccanismo auto-strutturato che funzionava perché andare a raccogliere le olive da solo era noioso. Se invece c’erano 10 persone, tutti si parlavano; era un modo per riscoprire la solidarietà facendo incontrare il bisogno e l’aiuto. Poi c’è anche una lettura utilitaristica del fenomeno. Nella nostra vita professionale, viviamo in un mondo in cui capita spesso che abbiamo bisogno di qualcuno e/o di qualcosa. Quindi la cosa migliore è senz’altro quella di dare una mano a chi è in difficoltà quando è possibile. Cerchiamo sempre di essere in credito con tutti: un giorno puoi avere delle difficoltà e avere qualcuno che ti può dare una mano è la cosa migliore che si può creare. Il tema è quello di aiutarsi e soddisfare i nostri bisogni secondo delle regole che non sono quelle dell’organizzazione in senso tradizionale, le regole formali, le regole istituzionali, ma sono quelle più familiari-sociali in generale. Per fare funzionare questo meccanismo che ci siamo immaginati, quali sono i due elementi di fondo? Un primo elemento è la fiducia, è ovvio che soprattutto in contesti dove si conosce magari chi sta di fronte al nostro pianerottolo ma non si conosce chi sta all’undicesimo piano è difficile. Bisogna trovare delle occasioni di incontro e aprire ai contatti, ma bisogna poi che queste persone costruiscano relazioni di fiducia, le alimentino, le curino. E questo non è facile oggettivamente. Questo è un primo scoglio abbastanza importante sul quale bisogna lavorare e cercare di capire come fare. L’altro elemento determinante è il tempo: è la risorsa che nei tempi in cui viviamo è la più importante ed è anche la più scarsa. Rispetto a questo ragionamento è la risorsa più importante perché, da una parte è quello che spinge ad una maggiore richiesta di welfare: io faccio un lavoro impegnativo, mia moglie fa un lavoro impegnativo, nessuno di noi ha tempo per le esigenze della famiglia, avremmo più bisogno che qualcuno ci aiuti; dall’altro lato, se noi siamo molto impegnati sul lavoro e su tutto ciò che istituzionalmente è previsto, abbiamo meno tempo da dare ai nostri vicini, a chi potenzialmente ci sta vicino e avrebbe bisogno. E allora anche qui entra un gioco un tema che è centrale, determinante in questo periodo: il bilanciamento vita-lavoro. È determinante soprattutto in un contesto pubblico, sociale e sanitario. Quando Brunello Cucinelli nell’autunno 2022 ha affermato in un’intervista sul Corriere della Sera che è venuto il tempo che i lavoratori lavorino 7-8 ore al giorno e, finito il lavoro, stiano con le loro famiglie e stiano bene perché il giorno dopo lavoreranno meglio, abbiamo pensato che quella è una considerazione che avrebbe dovuto fare un direttore generale di un’azienda sanitaria, la quale ha nella propria missione la promozione del benessere e dello stile di vita. Il tempo diventa l’elemento centrale e bisogna imparare a gestirlo ed usarlo al meglio, in modo che tutte le persone che lavorano con noi siano in grado di destinare queste risorse alla vita privata. Anche qui però si rischia di entrare in un campo che sarebbe molto impegnativo da affrontare perché viviamo in tempi in cui c’è l’idea conclamata che solo chi lavora fa il suo dovere e quindi se uno si organizza il tempo in maniera diversa e lo utilizza per altre attività viene in qualche modo guardato in cagnesco. Ma non deve essere così! Se pensate ad una partita di calcio: la si vince se siamo bravi, ben organizzati, se facciamo un bel gioco, se siamo organizzati bene in campo. Se per vincerla bisogna arrivare a giocare, invece che 90 minuti, 150 minuti e alla fine facciamo come quando eravamo piccoli quando ci portavamo via il pallone perché non si riusciva a vincere, questo non è il modo migliore per vincere una partita. Bisogna interrogarci sulla qualità nel nostro lavoro per dare importanza al valore tempo e all’impatto che il fattore tempo ha per chi lavora con noi. Come far funzionare questo meccanismo? Secondo noi di canali abilitanti ce ne sono diversi. Quelli più importanti sono gli spazi fisici perché sono quelli che creano il contatto personale, che lo stimolano, lo migliorano e lo peggiorano e che quindi possono creare il momento di fiducia tra bisogno e aiuto. Dall’altro lato c’è la tecnologia che ci permette di creare le comunità virtuali che possono poi essere lo specchio di una comunità reale e alimentarla. Abbiamo immaginato una app in cui chi vive nello stesso quartiere di fatto mette online, in rete, i suoi bisogni; es. ho bisogno che qualcuno vada a prendere mio figlio a quell’ora, c’è qualcuno altro del palazzo che va a prendere il figlio a quell’ora? In questo modo si crea una comunità e si mettono in comune bisogni e servizi. Per fare questo bisognerebbe definire uno strumento che tracci queste relazioni domande-offerta e in qualche modo le gestisca. C’è bisogno di qualcuno che moderi questi scambi e monitorando cerchi di capire ciò che è fisiologico e ciò che è patologico e ciò che è patologico venga in qualche modo subito intercettato e “neutralizzato”. Questo strumento potrebbe diventare uno elemento di comunicazione per e con le istituzioni, per i servizi che già ci sono, quindi un canale attraverso cui veicolare i servizi. Esso permetterebbe di tracciare ciò che succede: chi è che da di più, non perché si tratti di una gara ma per capire un po’ la situazione di tutti. Le Istituzioni dovrebbero accreditare chi gestisce questo sistema, dovrebbero usarlo come canale di comunicazione verso cittadini, dovrebbero intervenire quando il sistema auto-organizzato non riesce a coprire tutti i bisogni, dovrebbero tracciare e monitorare i comportamenti virtuosi e poi auspicabilmente, anche se attualmente le istituzioni non hanno molte risorse per questo, contribuire a strutturarlo. Questo meccanismo presenta qualche pericolo: un primo pericolo che sembra meno importante ma forse è il più importante dal punto di vista sociale è lo stigma nei confronti di chi non ha risorse da mettere a disposizione e diventa un taker puro, cioè un partecipante che prende e basta e non riesce a dare perché magari è anziano, ha poco, rispetto a quello che gli altri richiedono. Questo è un primo pericolo da esorcizzare e da bloccare. Ovviamente bisognerebbe anche evitare potenziali malintenzionati. Poi qualcuno potrebbe vederci un business con degli interessi di natura commerciale. Infine bisognerebbe controllare che chi prende degli impegni li possa poi mantenere per non fare saltare il meccanismo della domanda e dell’offerta. Una suggestione che è venuta fuori ad un certo punto è stata: ma questo modello ideale che ci siamo immaginati, in un’organizzazione funzionerebbe? Funzionerebbe meglio o peggio che al di fuori di un’organizzazione? Ci sono degli elementi che ci dicono che forse funzionerebbe meglio: il fatto che ci sia già una comunanza sociale e un certo grado di fiducia tra le persone che lavorano insieme, il fatto che i bisogni di chi fa un certo orario di lavoro siano abbastanza standardizzabili, sarebbe utile. Sarebbe quindi anche più facile capire quali siano le relazioni tra queste persone, però dall’altra parte è vero che sul luogo di lavoro la cultura competitiva prevale e in questo meccanismo non c’è spazio per la competizione ma solo per la collaborazione. Inoltre è vero che la standardizzazione dello stile di vita rispetto agli orari di lavoro è importante e utile, m è anche deleteria perché se tutti usciamo dalla scuola alle 20h e tutti i bambini escono alle 18, nessuno può andare a prenderli.
Il progetto che abbiamo immaginato prevede un prototipo da sviluppare in due anni e un modello funzionante in cinque anni. Le risorse che potremmo coinvolgere sono, se possibile, laureandi delle scienze sociali, di psicologia, di scienze della comunicazione e di informatica. Bisogna poi coinvolgere anche gli opinion leader rispetto ai futuri fruitori, qualcuno che faccia passare questo progetto nella comunità nella quale pensiamo di impiantarlo. E poi non possono mancare le Istituzioni, l’Università, il Comune, la Regione, i rappresentanti della Comunità pilota e le forze di Polizia.
Tali progettualità rappresentano il salto concettuale culturale desiderato, capace di inoltrarci dalla dimensione delle scienze classiche alla dimensione della complessità, incertezza e rischio, ovvero etica e responsabilità a disposizione della costruzione della nostra civiltà.
La sfida attuale della post-modernità, infatti, ci pone di fronte ad un’idea di complessità conoscibile soltanto attraverso il confronto fra le discipline e la condivisione di un pensiero evoluto e integrato che può essere raggiunto attraverso la riforma del metodo, del pensiero e dell’istruzione, come ci ricorda Morin (2001; 1999; 1994).
Bibliografia
Bauman, Z. (2001). Identity in the globalising world. Social anthropology, 9(2), 121-129.
Beck, U. (2000). Figli della libertà: contro il lamento sulla caduta dei valori. Rassegna italiana di sociologia, 41(1), 3-28.
Giddens, A. (1999). Risk and responsibility. Mod. L. Rev., 62, 1.
Held, D. (2004). A globalizing world?: culture, economics, politics. Routledge.
Mandelbaum E. (2017). Teoria e pratica dei gruppi multifamiliari dal punto di vista della psicoanalisi integrative. Nicomp Laboratorio Editoriale, Firenze.
Morin E., (2001). I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Cortina Raffaello Editore, Milano.
Morin E., (1999) La Testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Cortina Raffaello Editore, Milano.
Morin E., (1994) Le vie della complessità, in Bocchi G., Ceruti M. (a cura di), La sfida della complessità, Feltrinelli, Milano