Volume 28 - 15 Maggio 2024

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Questioni di cura per la salute mentale degli autori di reato. Note a margine di un webinar a cura di INDTC e AIRSAM

Autrice

Ricevuto il 27/03/2024 – Accettato il 06/04/2024



Riassunto

In questo articolo viene affrontata la complessità che caratterizza i percorsi di cura degli autori di reato nell’attuale impianto organizzativo dei Servizi Pubblici di Salute Mentale. In particolare, i temi sono trattati da un punto di vista giuridico, senza tralasciare le conseguenti ricadute dell’applicazione della normativa vigente in materia di REMS sull’assetto organizzativo ed operativo dei percorsi di cura.


Abstract

This article addresses the complexity that characterizes the care pathways of offenders in the current organizational structure of Public Mental Health Services. In particular, the issues are discussed from a legal perspective, without neglecting the consequent effects of the application of current REMS legislation on the organizational and operational set-up of these residential facilities.


Il webinar del 9 marzo 2024 dal titolo “Misure di in-sicurezza. Dialoghi tra malesseri e percorsi possibili”, organizzato da INDTC (International Network of Democratic Therapeutic Communities) e AIRSAM (Associazione Italiana Residenze/Risorse per la SAlute Mentale), ha visto la partecipazione di circa 70 operatori, rappresentativi di vari territori regionali (Sicilia, Basilicata, Campania, Toscana, Emilia Romagna, Lombardia), e di cinque REMS: Caltagirone (Catania), Calvi Risorta (Caserta), Pisticci (Matera), Empoli (Firenze), S. Nicola Baronia (Avellino).

Ha rappresentato un importante occasione di dialogo e confronto tra una platea eterogenea di soggetti che operano all’interno delle REMS ma, più in generale, tra coloro che quotidianamente si misurano con la sofferenza mentale in vari contesti lavorativi.

Al tempo stesso, ha sollecitato i presenti a delineare alcune piste di riflessione sul senso della Comunità in cui operano e sul senso dei Servizi di Salute Mentale, caratterizzati da un progressivo impoverimento di risorse tanto economiche quanto umane. Più in generale, si assiste ad un indebolimento dell’intero Sistema Nazionale Sanitario, sempre più penalizzato a favore di un privato più forte e favorito. Per cui, in presenza di uno “smantellamento” del servizio pubblico, viene spontaneo interrogarsi se e con quale spirito e slancio sia ancora possibile continuare a promuovere le pratiche introdotte con la Riforma del 1978.

Interessante quanto emerso nel tavolo di confronto. Nonostante l’indubbia condizione di precarietà che attraversa, in maniera più o meno diffusa, i servizi di salute mentale, c’è ancora chi crede fermamente nel valore di buone pratiche capaci di influire positivamente sullo stato di benessere delle persone che si rivolgono ai servizi, invocando il diritto alla cura.

È noto a tutti che secondo la definizione dell’OMS, la salute non deve intendersi semplicemente come assenza di malattie o infermità, ma come “uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale”.

Partendo da questa definizione di salute ne consegue che, nella tutela della SALUTE come “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” (art. 32 Cost.), rientra a pieno titolo la SALUTE MENTALE.

Come garantire questo fondamentale diritto?

Indubbiamente, attraverso maggiori investimenti in salute mentale.

Fondamentale è la promozione ed il potenziamento di servizi territoriali di prossimità, capaci di mettere in atto politiche e pratiche di presa in carico globale e continuativa con un coinvolgimento costante e proattivo della comunità, determinante nella realizzazione di percorsi abilitativi e di inclusione sociale.

A ben vedere, parole come territorialità, prossimità, presa in carico globale e comunità rappresentano parole chiave quando ci occupiamo di salute mentale, perché il disagio mentale nasce nei luoghi di vita e di lavoro delle persone e si cura nelle comunità in cui le persone vivono, con l’apporto delle comunità stesse. La tutela della salute mentale avviene nella comunità e con la comunità.

Indispensabile, allora, una sinergica collaborazione tra i Dipartimenti di Salute Mentale, nelle sue componenti organizzative e pratiche (centri di salute mentale, strutture residenziali, day hospital, centri diurni, servizi di diagnosi e cura) e i soggetti che operano nella comunità (familiari e utenti dei servizi, medicina di base, scuola, servizi sociali, cooperazione sociale, volontariato ecc.). Solo in questo modo è possibile rispondere ai bisogni molteplici delle persone con sofferenza psichica e, attraverso una adeguata e tempestiva presa in carico, consentire loro un soddisfacente inserimento nella vita sociale e lavorativa (Amoroso, Caiulo, Ardito, Belloni, 2020).

Questo modello di salute mentale deve fare i conti con diverse criticità, segnalate da più parti.

In primis, si registra una diseguaglianza fra regioni e, talvolta, all’interno delle stesse regioni nell’accesso alle cure, nell’offerta assistenziale, nelle risorse disponibili, nello sviluppo della rete territoriale con inevitabili ripercussioni sulle persone; a seguire, una carenza di risorse economiche ed umane con conseguente difficoltà per gli operatori che devono garantire sistemi di cura; ed ancora, si evidenzia la necessità di rafforzare l’assistenza territoriale, una presa in carico che sia globale ed integrata, coinvolgendo professioni, istituzioni e soggetti che operano nelle comunità, favorendo soluzioni abitative e lavorative che consentano l’inclusione e l’integrazione.

Infine, maggiore attenzione va posta alle nuove forme di disagio che la pandemia ha contribuito ad aggravare soprattutto tra gli adolescenti.

Va, altresì, riconosciuta l’esistenza di modelli virtuosi di salute mentale in varie parti del nostro Paese, caratterizzati dalla costruzione di imprescindibili reti di salute mentale all’interno della comunità. Ancora una volta, la Comunità gioca un ruolo dirimente nella cura della patologia psichica.

Un'altra comunità da attenzionare è quella carceraria, all’interno della quale non sempre la tutela della salute, soprattutto mentale, può dirsi garantita. Su questo tema si è espressa, in più circostanze, l’ex Ministro della Giustizia, Marta Cartabia, definendola una priorità assoluta. A garanzia di tutti, tanto della salute del singolo quanto della sicurezza collettiva. A tutela dei detenuti e di chi presta il suo servizio in carcere.

Diceva Voltaire che la civiltà di un Paese si misura dalle sue carceri. Ebbene, la situazione carceraria italiana è disastrosa: sovraffollamento, suicidi, strutture fatiscenti, assenza di progetti formativi caratterizzano gli istituti di pena. Si assiste, in altre parole, ad una imperitura violazione di diritti fondamentali riconosciuti e garantiti dalla Costituzione.

Ma la pena detentiva non annulla i diritti fondamentali!

Anche per la persona detenuta vale il principio della pari dignità sociale, che l’art 3 Cost. garantisce a tutti. Il carcere è una formazione sociale - per quanto coattiva e tendenzialmente istituzionalizzante – come dice l’art. 2 della Costituzione, nella quale i diritti fondamentali devono essere riconosciuti e garantiti, compatibilmente con la restrizione della libertà personale. Ed ancora, l’art 27 della Cost. nel sancire che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità” riconosce al detenuto il diritto ad un percorso rieducativo. Altri diritti fondamentali – all’identità, all’integrità psico fisica, alla scelta religiosa, al lavoro, all’istruzione, alla salute, alla socialità e così via - riconosciuti da altre norme costituzionali, devono considerarsi patrimonio di tutti, ivi incluse le persone sottoposte a restrizioni della libertà personale.

Ebbene, in Italia non è mai stato affrontato seriamente il problema del sovraffollamento delle carceri e della salute fisica e mentale dei detenuti, che di fatto impediscono l’esercizio dei diritti innanzi esplicitati. Del resto, questa difficilissima situazione riflette il totale disinteresse che i vari governi hanno dimostrato nei confronti della popolazione carceraria italiana e degli operatori che lavorano in quell’ambito. Certo, quella che stiamo vivendo è una crisi sanitaria, ma anche culturale e di sistema, che, tuttavia, non può rappresentare un’attenuante all’assenza di tutela, anche sanitaria, di persone estromesse dalla società civile.

Diventa necessario ripensare l’intero sistema alla luce di un’acquisita consapevolezza che il regime detentivo non può e non deve tradursi nella privazione del diritto fondamentale e prioritario dell’individuo alla salute. Almeno in un Paese rispettoso dei principi sanciti nella Carta Costituzionale oltre che dei trattati internazionali sui diritti umani.

Diversa la condizione delle persone “internate” (questa, la definizione giuridica) nelle REMS. Preliminarmente, è opportuno definire l’assetto normativo che governa le Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza e ne definisce la ratio.

Ebbene, con le leggi n. 9/2012 (di conversione del decreto legge n. 211/2011) e n. 81/2014 (di conversione del decreto legge n. 52/2014) è stata disposta la chiusura degli OPG a far data dal 31 marzo 2015 ed è stato stabilito (ex art. 3-ter, co. 4del D.L. n. 211/2011, come modificato dal D.L. n. 52/2014) che, dalla data di chiusura degli OPG, le misure di sicurezza del ricovero in Ospedale Psichiatrico Giudiziario e dell’assegnazione a Case di Cura e Custodia sono eseguite esclusivamente all’interno delle strutture sanitarie, denominate Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza, fermo restando che le persone che hanno cessato di essere socialmente pericolose devono essere dimesse e prese in carico sul territorio dai Dipartimenti di Salute Mentale. Il giudice dispone nei confronti dell’infermo di mente e del seminfermo di mente l’applicazione di una misura di sicurezza, anche provvisoria, diversa dal ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario o in una casa si cura e custodia, salvo quando sono acquisiti elementi dai quali risulta che ogni misura diversa non è idonea ad assicurare cure adeguate e a far fronte alla sua pericolosità sociale, il cui accertamento è effettuato sulla base delle qualità soggettive della persona senza tener conto delle condizioni di cui all'art. 133, co, 2, n. 4 c.p.).

Le REMS, disciplinate dal Decreto 1 ottobre 2012 hanno una gestione di “esclusiva competenza sanitaria” e “esplicano funzioni terapeutico-riabilitative e socio riabilitative in favore di persone affette da disturbi mentali, autori di reato, a cui viene applicata dalla Magistratura la misura di sicurezza detentiva del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e dell’assegnazione a casa di cura e custodia”.

I requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi delle REMS sono intesi come “requisiti minimi per l’esercizio delle funzioni sanitarie, indispensabili per il funzionamento delle strutture e per il raggiungimento degli obiettivi di salute e di riabilitazione ad esse assegnati, tramite l’adozione di programmi terapeutico-riabilitativi e di inclusione sociale fondati su prove di efficacia”.

Ebbene, gli atti normativi ed amministrativi, oggetto di disamina, consentono di fissare alcuni punti fermi:

  • L’assistenza sanitaria alle persone sottoposte a misura di sicurezza deve essere garantita secondo il principio della territorialità (art. 3-ter, co. 3 lett. c) D.L. 211/2011), basato sulla residenza o sull’ultimo domicilio (come risulta dagli atti giudiziari) accertati da parte del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria ovvero sul territorio nel quale è stato commesso il reato qualora si tratti di persone senza fissa dimora o di nazionalità straniera (Accordi Atti CU81/2009; CU 95/2011), attraverso la presa in carico dei soggetti da parte dei DSM che si avvalgono della rete dei servizi socio-sanitari territoriali e, ove necessario e appropriato, nel rispetto del principio di extrema ratio del ricovero in REMS (v. Accordo di Conferenza Unificata del 30 novembre 2022);
  • L’attività perimetrale di sicurezza e di vigilanza esterna va garantita solo ove necessaria in relazione alle condizioni dei soggetti ricoverati (art. 3-ter co. 3 lett. b) D.L. 211/2011cit.);
  • Le REMS sono:
    • strutture residenziali socio sanitarie territoriali destinate ad accogliere prioritariamente le persone cui è stata comminata la misura di sicurezza in via definitiva, fermo restando la necessità, prevista dalla legge (art. 3-ter, co. 4 D.L. 211/2011 cit.), di assicurare accoglienza anche ai destinatari di misura di sicurezza provvisoria;
    • destinate alle persone con misure di sicurezza detentiva disposta dall’Autorità Giudiziaria nel rispetto del principio di gradualità di cui all’art. 3-ter, co. 4 D.L. 211/2011:
    • rispondono ai requisiti strutturali ed organizzativi indicati nell’Allegato A del D.M. 1 ottobre 2012 e sono dotate di un Responsabile Dirigente Psichiatra coadiuvato da personale sanitario, tecnico e amministrativo;
  • Il ricorso alla REMS è subordinato alla verifica, da parte dell’Autorità Giudiziaria, degli elementi dai quali emerge che ogni altra soluzione non è idonea a garantire cure adeguate e a far fronte alla sua pericolosità sociale, il cui accertamento è effettuato sulla base delle qualità soggettive della persona e senza tenere conto delle condizioni di cui all’art. 133, c. 2, n. 4 c.p. e art. 679 c.p.p.;
  • Le persone ospitate nelle REMS mantengono lo status giuridico di “internati” e sono, pertanto, assoggettate alle conseguenti applicazioni delle disposizioni di legge, con particolare riferimento alle disposizioni della Magistratura di Sorveglianza;
  • Alle persone con misure di sicurezza, provvisorie e definitive, sono garantiti i Livelli Essenziali di Assistenza, la definizione di un Progetto Terapeutico e Riabilitativo Individuale e la continuità assistenziale sul territorio attraverso modalità organizzative integrate con quelle operanti per i cittadini liberi
  • Il PTRI è strumento che pone al centro del nuovo sistema la salute della persona ed è definito dal DSM territorialmente competente, che a tal fine collabora con gli uffici dell’UIEPE, con l’Autorità Giudiziaria, attraverso la rete socio-assistenziale e con il Dirigente Responsabile della REMS, qualora non sia possibile una diversa presa in carico.

A ben vedere, il principio su cui poggia questo nuovo sistema è quello della priorità della cura sanitaria necessaria che, però, deve conciliarsi con l’esigenza di sicurezza e tutela della comunità, attenzionata dalla Magistratura, che vorrebbe che le funzioni terapeutico riabilitative si svolgessero entro il perimetro della REMS. Giova, tuttavia, rimarcare che la Struttura de qua non ha funzioni di natura custodiale, ma di cura. Solo attraverso la cura vi possono essere miglioramenti delle condizioni di salute e, quindi, del funzionamento psichico e dell’adattamento sociale. Il che non può realizzarsi attraverso una misura giudiziaria o attraverso un ordinario trattamento terapeutico. Il setting di cura si basa, innanzitutto, sulla relazione, sul consenso e sulla collaborazione della persona che decide di aderire al programma terapeutico.

L’attività viene effettuata nella comunità e nelle strutture del Dipartimento di Salute Mentale. Il mandato di cura del DSM e delle REMS deve essere pieno e non subordinato a continui ricorsi alla magistratura per l’espletamento delle funzioni terapeutico riabilitative, che necessitano di attività esterne alle mura perimetrali della REMS.

Attraverso un progressivo miglioramento dello stato di salute della persona che usufruisce di un setting di cura integrato con i servizi esterni e non attraverso ulteriori forme di limitazione e restrizione della libertà, è possibile tutelare l’esigenza di sicurezza della comunità.

Preme evidenziare che la riforma avviata con le Leggi più volte citate (L. 211/2011 e L. 81/2014) ha sollevato una serie di problemi applicativi e sistematici, che definirei congeniti ad ogni processo riformatore. E così, si “denuncia” l’evidente squilibrio numerico tra i posti disponibili presso le strutture residenziali e le richieste di disponibilità provenienti dalle Autorità Giudiziarie competenti, problema aggravato dalla circostanza che presso le REMS, strutture chiaramente finalizzate ad ospitare soggetti destinatari di misure di sicurezza detentive nella fase esecutiva, sono state destinate sempre più frequentemente persone sottoposte all’applicazione di misure in via provvisoria.

Altro problema sollevato è quello relativo alle liste di attesa per l’esecuzione delle misure di sicurezza.

In Italia vi sono 600 persone ricoverate in REMS e circa 700 persone in attesa di ricovero e sono stimate 6.000 con misure di sicurezza non detentive.

Ciò significa che se anche raddoppiassero i posti disponibili nelle REMS, vi sarebbe, comunque, ancora una lista d'attesa. Il vero problema, come in molti ambiti della sanità, resta l'appropriatezza degli invii alle REMS con la possibilità di correggere norme che contrastano con le conoscenze scientifiche e la pratica clinica.

Nel nostro Paese viene riconosciuta l’infermità o la semiinfermità mentale anche a chi è affetto da disturbi della personalità, in particolare quella antisociale. La conseguenza di ciò è che il 30-40% degli ospiti nelle REMS, cioè coloro che presentano un disturbo antisociale, quasi sempre affiancato all’uso di sostanze stupefacenti, non dovrebbe stare in una REMS perché non hanno necessità sanitarie ma solo di contenimento delle loro manifestazioni comportamentali violente, che, purtroppo, scoraggiano e allontanano gli operatori sanitari da tali Strutture, ritenute poco sicure.

Come fronteggiare tali criticità?

Ebbene, non si può non evocare la ormai nota sentenza n. 22 del 27 gennaio 2022 con cui la Corte Costituzionale, avendo rilevato l’inadeguatezza della disciplina vigente in materia di REMS, ha rivolto un forte monito al legislatore affinché provveda ad una riforma di sistema. Si riporta di seguito il testo del comunicato diffuso dall’ufficio stampa della Corte:

“L’applicazione concreta delle norme vigenti in materia di residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS) nei confronti degli autori di reato affetti da patologie psichiche presenta numerosi profili di frizione con i principi costituzionali, che il legislatore deve eliminare al più presto”.

Orbene, in attesa che il legislatore provveda all’invocata riforma, non si può che auspicare la massima collaborazione di tutti gli attori, coinvolti a vario titolo, perché si possa garantire la migliore cura alla persona affetta da patologia psichiatrica, che abbia incrociato il suo percorso con l’ambito penale, nel pieno rispetto delle esigenze di sicurezza sociale.


Riferimenti bibliografici e normativi

1. Luca Amoroso, Beatrice Caiulo, Matilde Ardito, Laura Belloni “Centro Regionale di Riferimento sulle Criticità Relazionali (CRRCR) Progetto Residenza per le Misure di Sicurezza (REMS) e rete dei Servizi per i percorsi dei pazienti psichiatrici autori di reato dopo la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari”. Nuova Rassegna di Studi Psichiatrici, Volume 21 – 18 Dicembre 2020.

2. Giovanni Maria Flick, I diritti dei detenuti nella giurisprudenza costituzionale - DeS, 1, 2012 - Editoriale Scientifica srl

3. Decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 211 "Interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva del sovraffollamento delle carceri". Art. 3-ter "Disposizioni per il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari" modificato dal Decreto-legge 31 marzo 2014, n. 52. GU Serie Generale n. 76 del 1.4.2014.

4. Decreto 1 ottobre 2012 "Requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi delle strutture residenziali destinate ad accogliere le persone cui sono applicate le misure di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e dell’assegnazione a casa di cura e custodia". GU Serie Generale n. 270 del 19-11-2012.

5. Accordo 30 novembre 2022 della Conferenza Stato Regioni “sulla proposta del Tavolo di consultazione permanente sulla sanità penitenziaria di collaborazione interistituzionale inerente la gestione dei pazienti con misura di sicurezza”.

6. Corte Costituzionale, Sentenza n. 22 del 27 gennaio 2022. G.U. 02/02/2022 n. 5.