Volume 28 - 15 Maggio 2024

ATTI CONVEGNO "Sistemi Complessi e Comunità del futuro: nuovi paradigmi per le Aziende Sociosanitarie. Ambiti disciplinari a confronto" tenutosi il 31 marzo 2023 e organizzato dal Centro di Riferimento Regionale sulle Criticità Relazionali (CRCR)

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Introduzione. Classicità, complessità nell’ipercomplessità. Le scienze della mente e La cella dello spazio bianco

Autrice


La mente è. L’organizzazione è. E non danno a se stesse possibilità di riposo, né di contemplazione. Allora per pensare la mente, l’organizzazione, occorrono altre menti. Ovvero convivere e condividere.


Mente e scienze della mente racchiudono uno scibile attuale umano naturalmente o per Natura doverosamente e infuturalmente irraggiungibile, se non a posteriori come può fare la Storia o uno storiografo attento e riesumato nello spirito quando raccoglie e temporalizza pezzi scritti di memorie archeologiche per offrirle ai succedanei lucidamente passate di etica in etica e di politica in politica sui testi scolastici universitari e loro sociali divulgazioni. Vero è che i visionari mai hanno storia riconosciuta nel presente. Eppure dobbiamo riconoscenza alle scienze della mente di una rinascimentalità atemporale capace di sconvolgere nei tempi e negli spazi la più pura delle rivoluzioni umane, essere ed esistere significatamente.

Fra cadute e rialzate storiche organizzative e legislative la difficoltà è insita nel fatto che mente e scienze della mente devono usufruire dell’elemento stesso mentale per peregrinare nel mondo del pensiero esplorativo e dubitativo con e in sé stesso. D’altra parte l’infinito non può umanamente e psicogeneticamente risolversi nel finito in quanto epigeneticamente, affettivamente e spiritualmente inconcepibili, pena l’estinzione degli esseri umani sulla terra.

La ricerca gerundiva del costruendo è dunque l’unico elemento consentito della conoscenza umana attraverso l’errare e l’errore, il conflitto, la conoscenza momentanea, il patimento e la sosta alberghiera dentro una stanza dalle finestre socchiuse in apertura e verso un mondo ospitale o refrattario che sia al mondo del pensare.

Le discipline psichiatriche e psicologiche hanno questo compito da svolgere mettendo insieme conoscenze inconosciute, interrogativi non assertivi, competenze dubitative scientifiche e umanistiche. Entrambe, nel mostrare l’anca debole del portare e del sostenere il pensiero e le sue diversità dialogiche, si misurano ora culturalmente con la necessità di uscire dalla cella dello spazio bianco dove linguaggi e consuetudini si sono affrancati nel buio della chiusura alla conoscenza e i suoi viaggi ancora in sospeso.

Nella necessità dialogica di confrontarsi con linguaggi, metodi, modelli, teorie, esperienze cliniche, questo primo convegno ha il compito di fuoriuscire da consuetudini e prassi di pensiero cronicizzate nelle stanze chiuse e solipsistiche di esploratori nati per errare in percorsi temerari.

La cella dello spazio bianco contiene (nell’ora dell’oggi) gli esploratori della conoscenza umana nella delimitazione perimetrale della loro applicazione mentale il proprio pensare al fine della massima concentrazione possibile nell’escogitare domande inverosimili a partire dalla realtà storica e attuale, soggettiva sempre nella sua oggettività, verso l’ignoto possibile e impossibile. Il bianco è tutto ciò che l’umanità deve ancora scrivere errando errori.

In tale errare, camminare, sperimentare, forte si richiede ai ricercatori la capacità di solitudine e anche la forza immaginativa di rendere trasparenti le mura della cella che solo rappresentano un’illusione psicologicamente ottica, a tratti, ma solo a tratti, necessaria per quei fenomeni umani che chiamiamo identitari e poi, di deriva, competitivi. L’apertura delle brecce murarie è l’elemento di sconfinamento per sapere conoscere e ordinare momentaneamente i disordini che ogni domanda comporta. Al di fuori dell’incontro con ciò che non si sa della diversità di pensiero, ogni parsimoniosa conoscenza si svilisce nello zecchino d’oro seppellito dove la cella si trasforma in prigione muraria e ladri zoppicanti o ciechi vi pernottano per rubare il Niente con denudazione e mortificazione delle fatiche del pensiero anzi tempo impresse.

Quando il sapere rimanga occluso nell’ipersapienza auto prescritta coi suoi moti ossessivi secondari ad angosce esistenziali remote e primordiali, e questa padroneggi divenendo un compulsivo simbolo identitario di potere e possesso, viene shuntato e negato il fatto che il processo di possesso va esattamente al contrario come anche destinato allo sfinimento, lì dove la conoscenza non venga messa a disposizione del senso del vivere e suoi significati infuturabili riguardo il bene, il dono e la protezione come diritto di ogni essere umano.

Tale dichiarazione mostra certo quell’esperienza antropologica della fragilità umana ove si confronti con l’immensità degli spazi intravisti, la temporalità biologica e l’atemporalità del piccolo in confronto del grande e della parte col tutto vicendevolmente. Un bel viaggio ci attende fra curve e smottamenti delle sapienze organizzative umane sempre tese aprioristicamente al controllo di sé e della Natura che nel frattempo si svolge nel contrario suo affine, almeno finché non vi si parli.