Volume 28 - 15 Maggio 2024

ATTI CONVEGNO "Sistemi Complessi e Comunità del futuro: nuovi paradigmi per le Aziende Sociosanitarie. Ambiti disciplinari a confronto" tenutosi il 31 marzo 2023 e organizzato dal Centro di Riferimento Regionale sulle Criticità Relazionali (CRCR)

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Esistere umanamente in un universo complesso. Etica e paradigma della complessità

Autore


Riassunto

Questo lavoro si propone di offrire alcune implicazioni epistemologiche del rapporto tra il paradigma della complessità e l’etica. Il primo livello è una relazione estrinseca: l’etica si interessa di situazioni che implicano la complessità. Il secondo e più importante livello, è un’etica che pensa se stessa a partire dalla complessità; come esempio prenderemo l’etica della responsabilità di K. O. Apel e l’etica ambientale di A. Naess.


Abstract

The article aims to offer some epistemological implications between the complexity paradigm and ethics. The first level is an extrinsic relationship: ethics studies situations that involve complexity. The second, and most important level, is an ethics thinks itself from complexity; as an example we will refer to K. O. Apel’s ethics of responsibility and the environmental ethics of A. Naess.


Se l’etica, prima di essere un’elaborazione di norme, precetti, massime in vista di azioni giuste e buone, che nascano cioè da un fine buono e promuovano il bene usando mezzi e modalità buone, è fondamentalmente un’indicazione ragionevole e autorevole di cammini per l’umanizzazione dell’esistenza umana, perché possa diventare autenticamente umana, allora diviene più comprensibile l’importanza di riflettere su cosa significhi e come avvenga l’assunzione del paradigma della complessità entro la stessa riflessione etica.


1 Etica e paradigma della complessità

Se guardiamo al cammino storico dell’etica ci accorgiamo che l’assunzione entro questa del paradigma della complessità sta avvenendo in diverse forme e modalità che si possono schematicamente sintetizzare in due prospettive: esterna (estrinseca) e interna (intrinseca).

1.1 Dall’esterno: prospettiva estrinseca

La prospettiva esterna (estrinseca) è la più semplice da cogliere ed è la prima, anche dal punto di vista temporale, ad essere stata attuata.

Il primo livello in cui il paradigma della complessità influenza l’etica è attraverso l’apporto di altre ricerche nell’ambito antropologico. Infatti, proprio perché l’etica si interessa di promuovere l’umanizzazione degli esseri umani essa richiede, anche solo implicitamente, una visione antropologica, cioè un’idea su chi e cosa sia l’essere umano e su ciò che ne specifica la sua umanità. Solo così l’etica può indicare un fine ultimo verso cui orientarsi e far convergere le proprie azioni.

Oggi la molteplicità delle ricerche che in vari campi del sapere aiutano a comprendere più profondamente la nostra umanità ci dicono che non possiamo più assumere un’idea di uomo secondo modalità semplificanti come, ad esempio poteva essere il modello cartesiano (1), ma occorre dialogare con ricerche di neuroscienze, di psicologia, di sociologia, e altre discipline, per formarci una visione più reale, più adeguata e più complessa sulle varie interazioni e relazioni che entrano a far parte e definiscono la nostra umanità.

Un secondo livello è rappresentato dal dialogo più specifico dell’etica con l’antropologia culturale che esplora i vari modi con cui nelle culture e a partire da esse gli esseri umani realizzano la loro essenza sociale e, nelle relazioni con l’altro (sia singolo, sia gruppo, sia istituzioni), formano se stessi e la propria identità. Presa di coscienza non solo di una complessità intraculturale, ma anche e non secondariamente interculturale. L’etica non può fare a meno di interrogarsi su come riuscire a offrire una riflessione che sia accettabile da persone appartenenti a culture diverse che, di suo, hanno ethos di base diversi.

Questi due primi livelli colgono l’aspetto più teorico dell’etica quello che, usando un termine tecnico ormai entrato nell’uso, chiamiamo “metaetica” (2). Tuttavia, per sua natura, l’etica è una disciplina teorico-pratica e perciò non può dimenticarsi anche di indicare principi, norme e precetti che diano delle indicazioni su ciò che è giusto fare quando ci troviamo davanti a situazioni precise. È quella che tecnicamente viene detta “etica normativa”. È proprio l’elaborazione normativa che richiede e mostra il terzo livello estrinseco di interazione tra etica e paradigma della complessità perché il primo passo che occorre fare per decidere cosa è doveroso fare in una situazione particolare è analizzarla il più correttamente possibile, almeno quanto basta per farne emergere gli elementi eticamente rilevanti. Qui il paradigma della complessità deve necessariamente essere preso in considerazione per evitare analisi troppo semplificanti, semplicistiche e lineari dal punto di vista causale.

1.2 Dall’interno: prospettiva intrinseca

Rispetto ai tre livelli delineati nella precedente prospettiva, che rimangono comunque validi, a partire dalla fine degli anni Ottanta del ventesimo secolo, comincia a delinearsi una seconda modalità di rapporto tra l’etica e la teoria della complessità che chiamerei “intrinseca” perché incide sulla stessa modalità di fare etica e di pensare eticamente. Detto altrimenti: il paradigma della complessità inizia a divenire non solo qualcosa di cui tenere conto affrontando determinati temi etici, ma soprattutto assume la funzione di strutturare il pensiero etico stesso.

1.2.1 Un esempio semplice di assunzione del paradigma della complessità

Un esempio iniziale, nel senso di una teoria etica che mostra in atto e anticipa questo cambiamento di approccio, è l’etica della responsabilità fondata su base comunicativa (3) di Karl Otto Apel (1922-2017) sviluppata insieme a Jürgen Habermas (1929). La considero un’anticipazione perché l’assunzione del paradigma della complessità non è ancora esplicito ed esplicitamente scelto come prospettiva strutturante, ma inizia a mostrarsi nel modo di impostare il principio fondante l’etica.

Mettiamo a confronto un principio molto classico e presente in moltissime culture, la cosiddetta “regola aurea” in una qualsiasi delle sue varianti: «non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te» o, in positivo, «fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te» o, più recentemente, «tratta umanamente ogni altro essere umano», con il principio fondante l’etica della comunicazione nell’espressione di Apel: «Agisci solo secondo la massima di cui tu puoi postulare, in esperimento di pensiero, che le conseguenze e gli effetti secondari derivanti dalla sua universale osservanza per la soddisfazione degli interessi di ogni singolo soggetto coinvolto, possano essere accettati senza coercizione in un dialogo reale da parte di tutti i soggetti coinvolti» (4).

La regola aurea presenta una logica sostanzialmente lineare: il soggetto che vuole agire in modo giusto verso gli altri deve ogni volta guardare a se stesso, cogliere nella situazione data come egli vorrebbe essere trattato se si trovasse nella posizione dell’altro, quindi agire in quel modo verso la/le altra/e persona/e.

Il principio dell’etica su base comunicativa di Apel presenta una struttura di tipo reticolare. Infatti considera il soggetto agente come inserito, fin dall’inizio, in una serie di relazioni in cui le sue azioni hanno effetti diretti diversi sugli altri soggetti e, inoltre, tali effetti possono modificare anche le relazioni e le azioni tra gli altri soggetti (effetti indiretti) innescando una trasformazione nel sistema complessivo di relazioni reciproche. Ciò che è richiesto al soggetto agente è, quindi, di farsi carico della valutazione della accettabilità, da parte di tutti i soggetti che potrebbero essere coinvolti nelle conseguenze dirette e indirette, su ciascuno di loro delle sue future azioni e su quelle che modificherebbero le interazioni tra i diversi soggetti coinvolti. Questo principio, come più volte lo stesso Apel ha precisato, va inteso come ideale regolativo delle concrete prassi storiche, come riferimento asintotico dell’agire; altrimenti, visto che in qualche modo tutto è connesso con tutto, il voler considerare ogni possibile effetto e ogni possibile soggetto coinvolto porterebbe solo alla paralisi di qualsivoglia azione.

1.2.2 Un esempio più articolato: l’ecosofia di Arne Naess

Quello del principio fondante l’etica per K.O. Apel è un esempio “iniziale”, perché serve sostanzialmente a comprendere la differenza tra pensare un’etica in chiave di complessità o meno. È, per così dire, il livello preliminare per iniziare a riflettere su questo tema.

A questo proposito farò riferimento come pensiero esemplare all’opera del filosofo (ma anche matematico, fisico, alpinista, esploratore) norvegese Arne Naess (1912-2009).

Infatti, più rilevante per il rapporto tra etica e paradigma della complessità è l’approccio che per semplicità chiamerò “etica ecologica”, o meglio, etica come ecologia; intendendo non un’etica che si interessa dell’ambiente considerandolo uno fra i suoi vari settori specifici, ma che assume come fondante e strutturante la prospettiva ecologica. Questa prospettiva consente di ripensare tutta intera l’etica assumendo l’essere umano e il mondo in cui agisce come un ecosistema i cui membri sono legati tra di loro in modo reticolare e da questo dipendono sia l’identità che il valore dei singoli elementi. Questo approccio viene chiamato da Naess “ecologia profonda” (5) in opposizione a una “ecologia di superficie” che si interessa delle questioni inerenti all’inquinamento e all’impoverimento delle risorse naturali e simili come applicazioni particolari di un’etica generale.

Il punto di vista da assumere, al contrario, è quello di una relazionalità ampia che offra un’immagine tutto campo del nostro essere nel mondo, piuttosto che quella dell’uomo di fronte all’ambiente come se tutto si potesse ridurre alla relazione asimmetrica di un soggetto davanti a un oggetto.

Relazionalità ampia significa, perciò, concepire le relazioni intrinseche tra due o più entità come parte integrante della loro definizione e costituzione fondamentale; e comporta che in linea di principio si assuma come valore fondante un eguale diritto di ogni vivente a continuare a vivere e prosperare. La precisazione “in linea di principio” è ovviamente necessaria in quanto nella vita di ogni ecosistema è presente intrinsecamente anche una quota parte di uccisioni.

Parlare di valore e di eguale diritto di ogni vivente, nota Naess, significa già essere entrati nell’ambito di una riflessione filosofica, in generale, ed etica in particolare, senza però che questo significhi che vi sia un’unica possibilità filosofica ed etica per esprimere l’ecologia profonda. Infatti, i fondamenti di questa elaborati da Naess insieme ad altri amici e collaboratori sono una piattaforma di partenza che postula la propria rivedibilità continua come emerge dall’ultimo principio che sottolinea l'importanza di un profondo interrogarsi circa i processi con cui seguire, sviluppare ed adottare gli altri principi.

Otto sono le asserzioni o principi fondamentali dell’ecologia profonda (6):

  1. Il benessere e la prosperità della vita umana e non-umana sulla Terra hanno un valore intrinseco. Tali valori sono indipendenti dall'utilità del mondo non-umano per scopi umani.
  2. a ricchezza e la diversità delle forme di vita contribuiscono alla prosperità della vita umana e non-umana sulla Terra e sono a loro volta valori in se.
  3. Gli esseri umani non hanno il diritto di ridurre questa ricchezza e diversità se non per soddisfare bisogni vitali.
  4. Il prosperare della vita e delle culture umane è compatibile con una sostanziale diminuzione della popolazione umana. Il prosperare della vita non-umana esige una tale riduzione.
  5. L'attuale interferenza umana con il mondo non-umano è eccessiva, e la situazione sta rapidamente deteriorando.
  6. Alla luce di quanto sopra, le politiche devono essere modificate. Queste politiche influenzano le strutture economiche, tecnologiche e ideologiche di base. Lo stato di cose che ne risulterà sarà profondamente diverso dallo stato attuale.
  7. Il mutamento ideologico è principalmente quello di apprezzare la qualità della vita (dimorare in situazioni di valore intrinseco) piuttosto che ricercare un tenore di vita sempre più elevato. Vi sarà una profonda consapevolezza della differenza tra il grande e l'intenso.
  8. Coloro che sottoscrivono i punti precedenti hanno, direttamente o indirettamente, l'obbligo di provare a implementare i cambiamenti necessari.

Questa base, implicitamente, delinea a grandi linee anche un percorso metodologico: occorre partire dalla ricerche scientifiche che si interessano di studiare gli ecosistemi (ecologia), senza però scadere in facili “ecologismi” perché la natura delle ricerche scientifiche e delle evidenze risultanti non consente un immediato passaggio a principi e linee generali per l’azione umana.

Per questo diviene necessario passare a una riflessione filosofica che assuma le prospettive delineate dalle e nelle ricerche scientifiche, ma le sviluppi in una prospettiva assiologica. Così l’estensione della discussione critica al piano dei valori connessi al senso della presenza umana come parte dell’ecosistema terrestre e alle sue azioni e ai loro effetti, supera l’antropocentrismo tecnologico che vede nella utilizzabilità a fini produttivi l’unico metro su cui misurare il valore degli enti. Questo sarebbe il piano di pensiero e di discorso che Naess chiama ecofilosofia.

A sua volta, questa riflessione dovrebbe aiutare a costituire una più adeguata “saggezza pratica” che costituisca l’orizzonte di pensiero e di sensibilità nei confronti del mondo vivente e non vivente in cui riconosciamo la nostra casa comune e sperimentiamo la familiarità con i suoi componenti. Questa saggezza che viene chiamata ecosofia, infine, rappresenterebbe il fondamento e l’ispirazione per un ambiente culturale capace sia di generare nuovi stili di vita sia di aiutare nelle scelte dei mezzi più adeguati - nell’orizzonte valoriale delineato dall’ecofilosofia - ai fini da perseguire e, infine, di fornire sufficienti motivazioni alle persone e ai gruppi per agire ecosoficamente nei diversi ambiti e livelli di impegno personale e collettivo (7).


2 Ecosofia, relazioni umane e istituzioni

È importante notare che questo tipo di approccio, proprio perché struttura l’etica, non riguarda solo un ambito dell’esistenza umana, un suo settore particolare, ma è una visione complessiva e completa dal cui punto di vista ricomprendere tutte le situazioni in cui e di cui l’esistenza umana vive e si sviluppa.

L’ecosofia, infatti, riguarda e comprende anche le relazioni tra gli esseri umani, dirette e indirette (particolarmente tecnica, politica ed economia) perché la logica di pensiero e di azione che nasce dall’assolutizzazione del valore “utilizzabilità” e che, di conseguenza, assume non solo il mondo ma anche l’altro essere umano come mezzo o strumento per realizzare scopi, è la medesima che viene applicata nello sfruttamento indiscriminato del mondo non vivente e dei viventi (8).

Salvaguardia del mondo e salvaguardia degli esseri umani, specialmente dei deboli, diseredati e delle donne, vanno di pari passo, come mostrano anche le ricerche della studiosa indiana Vandana Shiva (1952) da cui emerge la corrispondenza che si opera nelle società umane tra sfruttamento della terra, vista come madre, e delle donne (9).

Per questo una prospettiva ecosofica diviene importante per affrontare anche quei sistemi complessi che sono le nostre società e, all’interno di esse, delle strutturazioni di particolari settori, quali anche le aziende sociosanitarie, in cui si intrecciano sia relazioni interpersonali dirette, che indirette mediate attraverso specifiche forme istituzionali.

Su tali questioni mi limito a indicare in modo schematico alcune tensioni etiche generali, spero però non generiche, che una visione ecosofica aiuta a evidenziare come prioritarie.

La prima esigenza è di carattere formativo. Contrariamente ad approcci tecnico-economici, largamente diffusi e accettati come ovvi, la costituzione di una mentalità e sensibilità ecosofica richiede una trasformazione dei meccanismi educativi operando su diversi piani e livelli: remoto (personale, autoeducazione); prossimo (scuola); permanente (istituzioni). Diventa sempre più necessario imparare a sentire, pensare e progettare in un modo etico fondato sulla complessità del reale.

Le seconda è l’esigenza comunionale. Essa nasce dal fatto che la comunicazione tra esseri umani è profondamente orientata dalla e alla comunione. Nella relazione umana, perché rimanga tale, non è sufficiente lo scambio di informazioni, ma si deve orientare verso il dono di sé all’altro e all’accoglienza dell’altro come dono (reciprocità, talvolta asimmetrica); è il fondamento della socialità. Per questo la cura per l’altro deve considerarlo e preservarlo sempre nel suo essere soggetto e non ridurlo a oggetto, fosse anche oggetto di cura.

Terza esigenza è di esplicitare e concretizzare la priorità dell’efficacia sulle varie forme di efficienza, non solo con una chiara gerarchia dei fini, ma anche con l’elaborazione di procedure adeguate.

Questo conduce alla quarta e ultima esigenza: l’attenzione ai meccanismi istituzionali. Questi debbono essere soggetti a verifica comune sulla loro capacità di promuovere (né scoraggiare, né impedire), cioè di essere funzionali, a quanto sopra. Infatti per loro natura le istituzioni tendono ad assumere quasi una “vita propria” e a divenire autoreferenziali, quasi valori in sé, perdendo di vista il fine per cui sono nate e a cui devono servire.


Bibliografia

1. Cartesio R. Le passioni dell’anima. In: Opere filosofiche vol. 4. Bari: Laterza; 1986: 4-35.

2. Da Re A. Le parole dell’etica. Milano: Bruno Mondadori; 2010: 72-106.

3. Apel KO. Il problema della fondazione di un’etica della responsabilità nell’epoca della scienza. In Berti E ed. Tradizione e attualità della filosofia pratica. Genova: Marietti; 1988: 15-45.

4. Apel KO. Limiti dell’etica del discorso? Tentativo di un bilancio intermedio. In Bartolomei Vasconcelos T, Calloni M eds. Etiche in dialogo. Genova: Marietti; 1990: 28-58.

5. Naess A. Il movimento dell’ecologia profonda: alcuni aspetti filosofici. In Naess A. Siamo l’aria che respiriamo. Saggi di ecologia profonda. Prato: Piano b edizioni; 2022: 87-126.

6. Naess A. Ecology, community and lifestyle. Outline of an ecosophy. Cambridge (UK): Cambridge University Press; 1989: 29.

7. Naess A. Ecology, community and lifestyle. 87-103.163-209.

8. Naess A. Ecology, community and lifestyle. 130-162.

9. Shiva V. Making Peace with the Earth. London: Pluto Press; 2013.


Riconoscimenti

Il presente lavoro è stato presentato in forma sintetica al convegno: Sistemi complessi e comunità del futuro: nuovi paradigmi per le aziende sociosanitarie. Ambiti disciplinari a confronto, Firenze 31 marzo 2023; organizzato dal Centro Regionale Criticità Relazionali – CRCR.