EDITORIALE - Epistemologia della complessità e pratiche in Salute Mentale
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Il paradigma della complessità ha inevitabilmente influenzato ogni ambito disciplinare e costretto ad una critica radicale rispetto a concetti di semplificazione lineare, riducibilità, autosufficienza, autoreferenzialità e interrogato sulla questione del pensiero, del metodo di produzione ed articolazione delle relative conoscenze e delle prassi correlate.
Il bisogno di semplificare nasce da un bisogno di coerenza e di ricerca di verità dell’essere umano.
La nostra cultura si è organizzata su principi di razionalità e non contraddizione aristotelici, sulla ricerca di causalità, sulle dicotomie mente-corpo, bene-male, ragione-follia, sulla separazione e isolamento degli oggetti di studio dal campo e contesto di appartenenza.
Ma il mondo è complesso, interdipendente, incerto, imprevedibile, contraddittorio.
Non ci sono saperi certi o verità assolute, e abbiamo bisogno degli altri, per decifrare il reale.
E. Morin (Conoscenza ignoranza mistero - Raffaello Cortina ed. 2018) sostiene che il rischio dell’ignoranza non stia nel numero di informazioni possedute ma nel modo in cui la conoscenza stessa viene prodotta, occultando interazioni e relazioni.
Un esempio è l’iperspecializzazione della medicina che rischia di portare ad un nuovo oscurantismo e paradossalmente alla regressione della conoscenza.
Nel nostro lavoro di operatori di salute diventa allora fondamentale ripartire dalla definizione stessa dell’OMS quale stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, superare le dicotomie organo-organismo, corpo-mente, individuo-ambiente, considerando i molteplici ed interrelati determinanti di salute e malattia. Dobbiamo ricordarci che i comportamenti umani sono multideterminati e non così linearmente riconducibili a semplici ipotesi psicopatogenetiche.
Per poter operare fattivamente in termini di promozione di salute, prevenzione e cura e non accogliere passivamente impropri e fallimentari meccanismi di delega.
A tale delega bisogna opporre la costante ricerca del benessere mentale e la cultura della guarigione perché ci troviamo di fronte agli esiti della pandemia da Covid-19, a stili di vita con abuso di sostanze non conosciute, a nuove e impreviste povertà, alle emergenze climatiche e alle guerre.
Gli scenari che si sono configurati nell’ambito della salute mentale sono estremamente complessi e caratterizzati da un senso di profonda inadeguatezza da parte dei servizi pubblici di salute mentale.
L’incremento dei bisogni di cura è tale per cui assistiamo ad un progressivo scadimento della qualità della vita dei soggetti più vulnerabili con disturbo mentale grave in particolare tra i minori e gli adolescenti a rischio di esordio di gravi patologie mentali e di esclusione sociale.
Certamente i servizi pubblici di salute mentale si dovranno adattare a tali importanti cambiamenti e il nostro auspicio è quello che riescano a mantenere e/o a prevedere un’organizzazione di tipo comunitaria, dove grande importanza deve essere riservata alla partecipazione sociale, allo stare insieme e alla costruzione di alleanze con tutta la comunità locale. La mission dei servizi pubblici di salute mentale deve essere prevalentemente dedicata al territorio e rimanere ancorata ai principi sopra descritti.
Tutti abbiamo bisogno degli altri per vivere. Nasciamo da gruppalità umane, famiglie, comunità. La fabbricazione dell’umano prevede l’appartenenza quale condizione necessaria e precedente ad ogni forma di individualizzazione e la strutturazione di legami per la nostra stessa sopravvivenza.
Se complesso significa “ciò che è tessuto insieme”, parole chiave diventano: collegare, legare, tenere insieme, pensare in modo dialogico, includere.
E’ suggestivo il rimando ai principi cardine e alle modalità operative della salute mentale di comunità, dove il lavoro multiprofessionale e multidisciplinare non si concentra solo con interventi “tecnici” sull’individuo ma si delocalizza ed allarga alle famiglie, alle reti, al contesto, alla comunità locale.
Un complesso lavoro artigianale di mediazione continua, di dialogo, di partecipazione.
Per questo ci è sembrato importante accogliere nella rivista una sezione dedicata agli atti del convegno sulla complessità, organizzato dal Centro Regionale Criticità Relazionali dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi di Firenze (Regione Toscana).
In questo numero Salvatore Inglese considera l’influenza dei fattori culturali sulle psicopatologie a sfondo umorale, in particolare quelle a valenza depressiva, esplorando la possibilità di codificare i principi di una psicopatologia geopolitica (che si amplifica nelle sue conseguenze sociali) e cosmopolitica (che travolge l’ordine naturale delle cose), facendo riferimento alla condizione depressiva correlata alle matrici sociali, ideologiche e culturali di individui, gruppi e popolazioni.
Vengono quindi descritti i vissuti depressivi di soggetti antropomorfi quali eroi mitici e divinità, ipotizzando un’ubiquità transculturale delle costellazioni depressive. In particolare, descrive la fenomenologia depressiva di Menelao (reattiva all’offesa subita), i sentimenti di colpa e vergogna che determinano la guerra di Troia, dove l’azione violenta indica la riconquista dell’energia vitale, propagata nella società di appartenenza.
L’autore descrive quindi la depressione di Demetra, reattiva al rapimento della figlia Persefone perpetrato da Ade (e quindi ad una perdita come evento esistenziale) che scende nel mondo dei mortali, trascurando la sua persona ed il mondo naturale che prima Demetra arricchiva e preservava, interrompendo i ritmi fisiologici e coinvolgendo gli esseri agganciati alla sua stessa catena vitale.
L’autore sostiene quindi che la depressione non è una configurazione propria e originale dei mondi contemporanei e che il dolore depressivo esiste già in epoche primordiali e nell’antichità; inoltre, l’inibizione dell’istanza vitale propria del vissuto depressivo, non rimane confinata alla persona (che disinveste sul proprio corpo e sulla propria esistenza), ma innesca effetti geopolitici e cosmopolitici sul mondo esterno.
Federico Russo, Rita Maria Esposito, Claudia Tardugno e Guido Alessandri propongono uno studio che esplora l’effetto dei Gruppi di Psicoanalisi Multifamiliare (GPMF) attivati in alcuni Servizi di salute mentale della ASL Roma 1, considerando le ricadute sugli operatori, in termini di benessere. Il tema di mantenere benessere e motivazione negli operatori, favorendo un clima di lavoro positivo, è indubbiamente centrale, per le molteplici criticità correlate al confronto quotidiano con i disturbi psichici gravi ed alla complessità degli interventi, ma anche per le criticità derivanti da un’evidente carenza di risorse. Nel DSM della ASL Roma 1, da molti anni sono stati attivati Gruppi di Psicoanalisi Multifamiliare in quasi tutti i Servizi territoriali, con sistematiche intervisioni tra i GPMF attivi a livello nazionale; tale percorso nel 2012, ha contribuito alla nascita del Laboratorio Italiano di Psicoanalisi Multifamiliare (LIPsiM).
Lo studio proposto dagli autori esplora il “job burnout” e la “soddisfazione lavorativa” in un campione di operatori partecipanti ai GPMF, rilevando che la partecipazione al GPMF può svolgere un ruolo protettivo sull’insorgenza di burnout e che maggiore è la frequenza di partecipazione, maggiore risulta essere l’effetto protettivo, a prescindere da altri fattori quali qualifica professionale, anzianità di servizio e consistenza storica del gruppo.
Antonio Amatulli propone una riflessione critica sul tema oggi centrale e divisivo della gestione degli utenti autori di reato nei Servizi di salute mentale, problematica che si è fatta pressante dopo il necessario superamento degli OPG. L’autore ritiene inappropriate le proposte di superamento del concetto di infermità e vizio di mente, considerando piuttosto necessario affrontare la complessità e le difficoltà organizzative, conseguenti al superamento degli OPG, attraverso proposte di riorganizzazione dei DSM.
In questo contesto l’autore evidenzia come il crescere delle misure di sicurezza non detentive sia di fatto espressione di un atteggiamento meno repressivo e più rispettoso delle libertà individuali, ma come parallelamente i Servizi percepiscano un accentuarsi della delega relativa al controllo sociale. In questo contesto l’autore esplora il tema della imputabilità e delle possibili strategie che i DSM possono adottare, per affrontare la complessità delle problematiche poste dagli utenti autori di reato. Tra gli altri punti viene sottolineato un necessario dialogo con l’autorità giudiziaria ed il ruolo cruciale dei periti nell’indirizzare i percorsi esecutivi; relativamente ai periti, l’autore evidenzia l’importanza del rapporto con i DSM e la necessità di attivare specifici percorsi formativi omogenei sul territorio nazionale.
Riccardo Dalle Luche e Simone Giovannini propongono il tema della dimensionalità dei disturbi psichiatrici, in termini di aspetti sintomatologici, psicosociali (compromissione dei “disturbi mentali gravi” che raggruppano più entità diagnostiche), neurobiologici (possibili substrati neurobiologici transdiagnostici) e genetici (suscettibilità di stessi loci genetici per differenti disturbi). Gli autori sottolineano come la nosografia categoriale del DSM abbia posto in discussione l’approccio dimensionale che nella prima metà del XIX secolo era stato sostenuto da Guislain e Griesinger, per poi essere riproposto nel XX secolo con Ey, Janzarik e attraverso i modelli psicodinamici e psicosociali. Attualmente però, a sostegno di un approccio dimensionale, si pongono varie tematiche, quali:
- la complessità derivante dalle frequenti “comorbidità” psichiatriche;
- le molteplici possibili traiettorie evolutive dei disturbi in fase di esordio;
- l’effetto patogenetico transnosografico di eventi di perdita, traumi e uso di sostanze;
- l’azione dei farmaci più nuovi su molteplici categorie diagnostiche;
- le caratteristiche polimorfe dei disturbi psichici peculiari delle ultime generazioni.
Gli autori sostengono che la diagnosi categoriale, producendo un’eccessiva semplificazione, non permette di cogliere gli aspetti di complessità correlati alla singola persona ed alla sua dimensione psicopatologica, fino a rischiare di produrre una approssimazione o falsificazione della realtà. In questo contesto, acquista particolare valore l’utilizzo di modelli dinamici multidimensionali (contrapposti a modelli statici categoriali) che privilegiano fasi, stadi, traiettorie e processi, dove il substrato di vulnerabilità biologica e psicologica si intreccia con i determinanti legati al contesto (eventi, relazioni, qualità delle cure).
Galileo Guidi propone una riflessione sui livelli essenziali di assistenza in salute mentale, ovvero sui livelli essenziali delle prestazioni definiti dallo Stato, da garantirsi su tutto il territorio nazionale, per i quali le Regioni hanno un compito organizzativo relativamente ai Servizi.
L’autore sottolinea che nel 2017 è stato pubblicato un Decreto relativo alla “Nuova definizione dei livelli essenziali di assistenza sanitaria”, dove si considera un accesso unitario ai servizi sanitari e sociali ed una valutazione multidimensionale dei bisogni (clinici, funzionali e sociali) con il coinvolgimento della persona e della sua famiglia, particolarmente importante per la gestione delle problematiche di salute mentale. In questo contesto sono privilegiati gli interventi che favoriscono la permanenza della persona al proprio domicilio; inoltre, tra le prestazioni da garantire è inserita la psicoterapia e la valutazione del carico familiare.
Viene quindi evidenziato che è di fatto insufficiente il set di quattro indicatori previsti nel 2019 per monitorare l’assistenza sanitaria relativamente alla salute mentale e si sollecita un aggiornamento degli indicatori per rendere efficace la verifica dei LEA, attraverso l’attivazione di una discussione nella comunità scientifica e tra gli operatori dei Servizi, per individuare strumenti di valutazione più appropriati, capaci anche di rilevare alleanze tra professionisti, utenti e familiari.
Angelo Malinconico, con una breve presentazione di Giuseppe Cardamone, propone il racconto di un’esperienza intima dove la relazione tra due colleghi, nata in un clima apparentemente sfavorevole in termini pregiudiziali, si sviluppa in un contesto di arricchimento reciproco e si mantiene nel corso degli anni.
Emerge in particolare un’istanza etica, dove centrale è il valore di atteggiamenti quali curiosità e apertura verso l’altro, coraggio e capacità di assumersi in prima persona la responsabilità. In particolare, viene narrato con notevole forza espressiva, un episodio in cui una giovane donna minaccia il suicidio in un contesto critico (da uno scoglio affiorante, dopo un tratto di scogliera sommersa dall’acqua, minaccia di gettarsi in acqua, seminuda, a febbraio). Mentre le varie persone intervenute (forze dell’ordine, 118, cittadini curiosi), immobili, progettano il da farsi, Angelo e il collega cercano di immaginare il senso di ciò che sia accaduto alla giovane donna, (“perché sta male”) ed il collega/amico di Angelo si avventura sugli scogli, in precario equilibrio per raggiungere la ragazza, certo (senza vederlo) di essere seguito da Angelo, che effettivamente infine lo sostiene e gli permette di raggiungere la ragazza. Il coraggio e la disponibilità a prendere su di sè le responsabilità, sono di fatto imprescindibili dall’essere in relazione con l’altro, in un contesto di reciproca fiducia.
Anna Lucia Contuzzi propone una riflessione sui percorsi di cura degli utenti autori di reato, a partire da un confronto effettuato nell’ambito del webinar “Misure di in-sicurezza. Dialoghi tra malesseri e percorsi possibili”, tenutosi il 9 marzo 2024, organizzato da INDTC (International Network of Democratic Therapeutic Communities) e AIRSAM (Associazione Italiana Residenze/Risorse per la Salute Mentale). L’autrice sottolinea come, pur in una generale carenza di risorse, gli operatori continuino a sostenere il valore delle buone pratiche capaci di influire positivamente sullo stato di benessere delle persone. In questo contesto fondamentale è il potenziamento di servizi territoriali di prossimità ed il coinvolgimento della comunità nei percorsi abilitativi e di inclusione sociale, perché, come sostiene l’autrice, il disagio psichico si determina nei luoghi di vita e di lavoro delle persone e si cura nelle e con le comunità. Fondamentali sono quindi le alleanze e le interconnessioni dei Servizi con Istituzioni e risorse della comunità, con un sistematico e strutturale coinvolgimento di utenti e familiari nella definizione dei percorsi di cura e riabilitazione.
Inoltre, l’autrice, considerando le attuali criticità, sottolinea la necessità di attenzionare anche la comunità carceraria a tutela della salute mentale dei detenuti e di chi presta in carcere il suo servizio, nel rispetto dei diritti fondamentali della persona. Viene quindi proposta una riflessione sul tema delle REMS, descrivendone le caratteristiche e le criticità, tra cui la differenza tra numero di posti disponibili e numero di richieste provenienti dalle Autorità Giudiziarie competenti, situazione che implica indubbiamente anche il tema dell'appropriatezza degli invii alle REMS.
Infine, a presentazione degli Atti del Convegno “Sistemi complessi e comunità del futuro: nuovi paradigmi per le Aziende socio-sanitarie. Ambiti disciplinari a confronto”, tenutosi il 31 marzo 2023 a Firenze, Gianluca Bocchi e Arianna Barazzetti propongono un’articolata riflessione sul tema della complessità.
Gianluca Bocchi e Arianna Barazzetti evidenziano che parlare oggi di complessità permette di considerare i comportamenti e le evoluzioni dei sistemi complessi, in quanto oggetto di una rete di discipline scientifiche e approcci filosofici, perché per descrivere un sistema complesso è necessaria l’integrazione (e anche il contrasto e la reciproca comunicazione) fra molteplici punti di vista. Considerando il “sistema complesso umano”, questo non può essere separato dai contesti in cui è inserito, dal “qui ed ora”. In questo ambito inoltre, sostengono gli autori, occorre privilegiare un approccio antropologico, evitando di applicare una semplificazione riduzionistica, in linea quest’ultima con la logica prevalente nella modernità occidentale, che tende a ridurre la varietà del mondo fenomenico attraverso leggi generali, astratte.
Gli autori sviluppano il tema della complessità considerando aspetti legati al funzionamento neurobiologico e alla storia della scienza, fino a osservare come la “volontà di semplificazione” possa tradursi in “volontà di purezza”, in ossessione di controllo e standardizzazione, innescando pulsioni identitarie, logiche classificatorie di natura gerarchica, integralismi, razzismi, xenofobie.
Non possiamo pensare di controllare la complessità, attraverso le nostre griglie concettuali, perché ciò si traduce in una compromissione dei processi di conoscenza e in una falsificazione della realtà. Accettare questo limite, rinunciare alle idee preconcette per un’attitudine critica, permette di sviluppare nuovi orizzonti di esplorazione, attraverso la disponibilità a mutare lo sguardo, e quindi a generare un’immagine della realtà aperta alle anomalie, alle sorprese, allo stupore, vitale e capace di condivisione.