Volume 28 - 15 Maggio 2024

ATTI CONVEGNO "Sistemi Complessi e Comunità del futuro: nuovi paradigmi per le Aziende Sociosanitarie. Ambiti disciplinari a confronto" tenutosi il 31 marzo 2023 e organizzato dal Centro di Riferimento Regionale sulle Criticità Relazionali (CRCR)

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Per un’economia relazionale. Nuove prospettive dopo l’emergenza pandemica

Autore


Riassunto

Era l’11 marzo 2020. L’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarava ufficialmente la “pandemia” da Covid-19. Da quel momento, quasi tutti gli Stati hanno messo in atto misure volte a ridurre i contatti interpersonali e le occasioni di aggregazione per neutralizzare i contagi fermando, per quanto possibile, la circolazione del virus. Se dal punto di vista sanitario le disposizioni si sono rivelate per la gran parte opportune, hanno generato invece ricadute importanti sul piano psicologico, sociale, culturale ed economico non sempre prese in debita considerazione. L’essere umano è caratterizzato da una naturale tendenza alla socialità, che lo porta a ricercare la condivisione di pensieri ed esperienze con i propri simili. E la virtualità è sembrata non bastare.

La tendenza è adattiva nella maggior parte delle situazioni, perché il ricorso al sostegno dei simili fornisce importanti risorse per fronteggiare situazioni di emergenza e stress.

Finalità di questo contributo è analizzare alcune delle principali trasformazioni che stanno affermandosi come risultato dell’apprendimento a una situazione di crisi pandemica che ha accelerato molti processi di cambiamento tecnologico ed organizzativo. L’ analisi considera l’evoluzione dei contesti di lavoro e l’emergere di nuove esigenze e trasformazioni nella gestione delle attività operative e professionali, considerando le conseguenze organizzative e relazionali. L’emergenza ha reso evidente che l’economia è embedded, cioè integrata, radicata all’interno della società in almeno tre forme: la reciprocità, la redistribuzione e lo scambio di mercato ed esistono punti di attenzione per osservare le scelte economiche in situazioni di crisi: l’impulso della persona a operare in modo creativo e la sua dimensione relazionale, il suo essere scambio tra attori economici.


Abstract

It was March 11, 2020. The World Health Organization officially declared the Covid-19 "pandemic". Since that time, almost all Nations have implemented measures aimed at reducing interpersonal contacts and opportunities for aggregation to neutralize infections by stopping the circulation of the virus as far as possible. If from a health point of view the provisions have proved to be mostly appropriate, they have instead generated important repercussions on a psychological, social, cultural and economic level which are not always taken into due consideration. The human being is characterized by a natural tendency to socialize, which leads him to seek the sharing of thoughts and experiences with his fellow humans. And virtuality didn't seem to be enough.

The tendency is adaptive in most conditions, because reliance on peer support provides important resources for coping with emergencies and stress.

The purpose of this contribution is to analyze some of the main transformations that are emerging as a result of learning from a pandemic crisis situation that has accelerated many processes of technological and organizational change. The analysis considers the evolution of work contexts and the emergence of new needs and transformations in the management of operational and professional activities, considering the organizational and relational consequences. The emergency has made it clear that the economy is embedded, that is integrated, rooted within society in at least three forms: reciprocity, redistribution and market exchange and there are points of attention for observing economic choices in crisis situations: the impulse of the person to operate in a creative way and his relational dimension, his being an exchange between economic actors.


1. Dare significato alle scelte economiche

Dopo una crisi pandemica, riportare ad una dimensione di nuovo equilibrio l’attuale sistema sociale ed economico, implica riflettere responsabilmente “sul senso dell’Economia” e sulla sua finalità, significa renderla capace di dare risposte alle sfide ambientali e sociali, significa riportarla alla sua responsabilità principale, quella non di soffocare, ma di dare respiro ed energia all’economia reale che è relazionale.

E’ tema che riguarda l’evoluzione di cultura e di priorità decisionali per chi opera nelle istituzioni e ha la responsabilità di ben agire e avere una visione profonda e completa di cambiamenti rapidi, inattesi, diffusi.

Se il retto agire economico non può prescindere dalla centralità della persona umana, dalla giustizia, dalla solidarietà, dal bene comune, ne consegue che la sfera dell’economia non può percorrere strade parallele alla sfera del sociale, né gli strumenti economici - tra questi innanzitutto il mercato - possono essere usati in regime di totale autonomia da “influenzare” il carattere morale, perché così facendo si dà luogo alla “sopraffazione del forte sul debole” e il processo di sviluppo deve “fare spazio al principio di gratuità come espressione di fraternità”. L’emergenza COVID-19 ha reso ancor più evidente che l’economia è embedded, cioè integrata, radicata all’interno della società in almeno tre forme: la reciprocità, la redistribuzione e lo scambio di mercato ed esistono altri punti di attenzione per analizzare le scelte economiche: l’impulso della persona a operare in modo creativo e la sua dimensione relazionale, il suo essere scambio tra attori economici. Entrambe le dimensioni - creatività e relazionalità - rappresentano oggi dimensioni di primo interesse, come lo sono e si sono affermate il senso diffuso di responsabilità civile, l’impegno personale nelle relazioni sociali, il valore della costruzione di rapporti di fiducia, di comunità, di dono, il rifiuto della visione utilitaristico-individualista dell’agente economico, la priorità alla sicurezza, alla salute, al bene-essere della persona, la necessaria complementarità dell’economia con altre discipline sociali, la complementarietà dell’economia - scienza dei mezzi - ai fini che si vogliono raggiungere.

In questo scritto si evidenziano alcune delle principali trasformazioni che il contesto sociale, culturale economico stanno affermandosi come risultato dell’apprendimento a una situazione di crisi pandemica che ha accelerato molti processi di cambiamento tecnologico ed organizzativo.


2. Indietro non si torna: Cambiamento tra flessibilità e nuovi fabbisogni

La pandemia ci ha reso più fragili, ha aumentato le nostre incertezze. Alla fase del distanziamento, dell’ibernazione è seguita la fase della scintilla, del disgelamento, del cambiamento, delle soluzioni innovative. Il modo di re-agire è stato quello di assumere un atteggiamento dinamico, di diventare agili, di accettare la possibilità di sbagliare e soprattutto di riunire il Paese, le comunità, le organizzazioni intorno a un obiettivo ideale comune, per indicare una direzione.

Il momento critico per un'organizzazione è quello in cui vi è consapevolezza che il cambiamento, la trasformazione non è una questione di natura tecnica, bensì un cambiamento culturale. E cambiamento può essere. Contesti di lavoro, appartenenza, produttività, professionalità sono da riscrivere.

L’emergenza pandemica è stata un acceleratore di cambiamenti e di sperimentazioni di innovazioni per la vita delle persone, delle loro relazioni, ma anche per i processi decisionali e operativi nelle organizzazioni. Lockdown e misure conseguenti hanno agito come stimolo: l'intero sistema sociale ed economico - dai piccoli esercizi commerciali alle piccole e medie imprese, dalla Pubblica amministrazione alla Scuola e all'Università, soprattutto le organizzazioni della Sanità, con velocità diverse e risultati differenziati - posto di fronte al bivio tra attesa e cambiamento, ha dimostrato come i freni culturali al cambiamento – fino a “ieri” i veri inibitori di molte innovazioni, a partire da quelle digitali - possono essere superati in poche settimane.

In questo contesto si è innestata la trasformazione economica, sociale e antropologica generata da Covid-19: distanziamento sociale, virtualizzazione dei rapporti produttivi e commerciali, de-globalizzazione delle catene del valore, maggiore sensibilità al tema della resilienza dei modelli economici e imprenditoriali.

Organizzazioni e famiglie hanno dovuto modificare l’organizzazione del lavoro e i propri stili di vita, cercando di conciliare lavoro e carichi di cura in un contesto totalmente nuovo. La possibilità di lavorare in modo flessibile ha accresciuto la discrezionalità delle persone sulle decisioni di vita quotidiana. Modificare i confini tra ambito lavorativo e vita quotidiana in ottica di flessibilità, offre maggiori opportunità di bilanciamento tra vita privata e ambito lavorativo. Contestualmente, genera sovrapposizioni tra impegni lavorativi e vita privata, con effetti potenzialmente negativi sulla capacità della persona di conseguire un equilibrio tra vita privata e lavoro, oltre che sul benessere lavorativo e relazionale.

Durante le prime due fasi dell’epidemia, un gruppo di ricerca di Harvard BS e NY Stern ha analizzato le abitudini di lavoro di 3,1 milioni di persone in 16 città - Roma e Milano, comprese - in Europa, Nord America e Medio Oriente. La prima conclusione — a conferma del venir meno dei confini tra casa e lavoro — è che in media il tempo lavorativo si è allungato di 48 minuti e mezzo ogni giorno, pari a un incremento dell’8% rispetto ai ritmi pre-Covid. Aumentano — di quasi un quinto — gli incontri (+17%), così come il numero di colleghi presenti nei numerosi incontri virtuali su Zoom o Teams (+14%). Ma, a sorpresa, diminuiscono sia la durata media di questi incontri (-21%), che il tempo totale speso per confrontarsi con gli altri (-9%).

Nonostante queste forzature e difficoltà, le organizzazioni riconoscono anche evidenti benefici. Nelle grandi organizzazioni sono migliorate le digital skills dei dipendenti (71%), sono stati accantonati pregiudizi sul lavoro agile (65%), ripensati i processi aziendali (59%) ed è aumentata la consapevolezza sulla capacità di resilienza della propria organizzazione (60%). Nelle Pubblica Amministrazione, il beneficio più evidente è l'opportunità di sperimentare nuovi strumenti digitali (56%), seguita dal miglioramento delle competenze digitali dei lavoratori (53%), e dal ripensamento dei processi aziendali (42%) (Osservatorio Smart Working 2022).

Al di là di termini con cui viene indicata, la flessibilità nei tempi e luoghi di lavoro è sempre più apprezzata dai lavoratori in tutto il mondo: secondo una indagine 2022 Gallup su lavoratori americani, il 37% è disposto a cambiare lavoro per avere flessibilità di luogo e il 54% per avere orari flessibili, percentuali che salgono rispettivamente al 50 e al 63% se si considerano le risposte dei Millenials (Gallup, 2022).

Questa trasformazione ha ridefinito i termini e il dizionario di molte realtà, portando al tramonto i concetti di luogo e orario di lavoro, con implicazioni correlate in termini di “work/life balance” e rischio di “workaholism”. Il tema è stato affrontato dal punto di vista “tecnico” ma le conseguenze si estendono alla vita delle persone all’interno dei contesti di lavoro e al di fuori dei relativi perimetri organizzativi. Le aziende si fanno carico della ricomposizione di delicati equilibri in cui tempestività nella risposta ai clienti, utenti, pazienti e alle azioni dei concorrenti si identifica con qualità del lavoro e del “non lavoro”, alla difesa di tempi e spazi privati.


3. Verso un’evoluzione culturale

Il “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza 2022-2026” elaborato dal Governo italiano a partire da fine 2020 e presentato alla Comunità europea, prevede riforme e investimenti che mirano ad una transizione «Green, Smart and Healthy»: digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; rivoluzione verde e transizione ecologica; giustizia e fisco; infrastrutture per una mobilità sostenibile; istruzione e ricerca, parità di genere, coesione sociale e territoriale; salute. Non solo imprese e sistema competitivo, ma Pubblica Amministrazione, Stato e Comunità europea sono determinati a far propria una cultura della sostenibilità, del digitale, delle risorse per le nuove generazioni.

Cosa significa questo nuovo orientamento culturale? È un insieme di pratiche di collaborazione, innovazione, apertura mentale, priorità orientate al digitale, agilità e flessibilità, centralità della persona, del cliente, del paziente e decisioni basate sui dati. Le tecnologie digitali sono in grado di apportare valore aggiunto se si è in grado di coinvolgere, delegare e ispirare tutti i dipendenti per consentire un diffuso cambiamento culturale: agire sul divario tra leadership e collaboratori rappresenta un fattore essenziale per la crescita. E il management in questo ha una responsabilità determinante.

Questa riconfigurazione culturale implica un ripensamento di competenze e un investimento in capacità manageriali: per esempio, da capacità di sintesi a valutazione di scenari e opportunità di azione (si pensi all’ampliamento delle capacità di automazione nei processi operativi e di coordinamento decisionale attraverso l’intelligenza artificiale); da presidio dei confini e dei perimetri dell’organizzazione, a interlocuzione con frontiere variabili (si pensi all’utilizzo dei social media); da gestione di “employees” ad ‘engagement’ di involvees e di contributori esterni nella forma di “crowds”, nella logica di “co-making”, “co-design”, “co-creation”; da definizione e condivisione di obiettivi a generazione “purpose”, di senso nell’agire; da utilizzo del lavoro temporaneo come leva di efficienza, a ricerca di risorse qualificate impiegabili a distanza (si pensi a come e quando ricorrere allo “smart working” e come preservare il “work/life balance”).

In Europa, in Italia in particolare, il contesto di evoluzione e innovazione è quindi uno spazio aperto, uno spazio d’investimento in competenze – prima di tutto – e di tecnologie e fornisce a chi guida organizzazioni e enti un ampio margine di manovra per agire. Spetta a leader e manager creare figure dedicate, comitati dirigenziali ad hoc, stabilire road map, impegnarsi a realizzarle, integrare l’organizzazione fissando obiettivi misurabili e proponendo rinforzi positivi incentivanti. Le soluzioni efficaci procedono secondo una politica dei piccoli passi, attraverso progetti pilota e gruppi di lavoro ristretti.


La trasformazione dei contesti di lavoro

Dal marzo 2020 forme di “flexible work arrangements”, “smart working”, lavoro agile si sono moltiplicate in tutti i contesti di lavoro e questo fenomeno ha richiesto approcci innovativi e originali all’organizzazione del lavoro: flessibili, agili e autonomi nella scelta degli spazi, dei tempi, delle tecnologie e degli strumenti a supporto.

Le organizzazioni si sono attrezzate per tradurre le nuove abitudini e aspettative dei lavoratori in un differente approccio al lavoro. Una grande impresa su due è intervenuta sugli spazi fisici al termine dell'emergenza (51%), differenziandoli (29%), ampliandoli (12%) o riducendoli (10%). Il 38% non ha previsto riprogettazioni ma cambierà le modalità d'uso. Solo l'11% è tornata ad operare come prima.

Il 36% delle grandi imprese ha modificato i progetti di Smart Working attivati durante l’emergenza pandemica e ha digitalizzato i processi. Si stima che il 70% di chi ha un progetto di lavoro agile aumenterà le giornate in cui è possibile lavorare da remoto, passando da un solo giorno alla settimana prima della pandemia a una media di 2,7 giornate. Il 65% delle organizzazioni coinvolgerà più persone nelle iniziative, il 42% ha incluso profili prima esclusi, il 17% agisce sull'orario di lavoro.

Per la Pubblica Amministrazione la prima misura è stata quella di introdurre progetti di Smart Working (48%), seguita dalla digitalizzazione di processi e attività (42%) e dall'incremento delle tecnologie in uso (35%). Anche in questo contesto aumenteranno il personale coinvolto nei progetti di smart working (72%), che prima dell'emergenza era solo il 12%, e le giornate di lavoro agile (47%), passando da una media settimanale inferiore a un giorno a circa 1,4 giorni a settimana (Bergamante et al, 2022; Ciacia, 2022).

Senza i confini fisici di un’organizzazione, come affrontare le dinamiche che si sviluppano all’interno dei gruppi di lavoro o di progetto, come affrontare il potere e le situazioni latenti di conflitto, come gestire l’equilibrio tra bisogni individuali e di gruppo, come fare ricorso a strumenti di coordinamento non gerarchici e informali? L’allontanamento dal contesto lavorativo tradizionale indebolisce l’identificazione organizzativa del lavoratore, rendendogli difficile acquisire pratiche e sentirsi parte delle dinamiche organizzative, creando isolamento sociale e professionale.

Se si trascorre meno tempo in ufficio si pone l’urgenza di ripensare la coreografia della vita lavorativa, magari senza più scrivanie personali, ma con luoghi dove creare contatti e rinforzare la cultura dell’organizzazione. Il Covid ha insegnato che si può cambiare in fretta e rapidamente per progettare il futuro e utilizzare meglio l’infrastruttura urbana.

Durante il lockdown le persone hanno interagito principalmente online, i “legami deboli” si sono assottigliati e le reti sociali sono risultate più deboli e poco efficaci, riducendo creatività personale e collettiva. Per questo è importante avere uno spazio fisico di incontro per non perdere la sorpresa, i rapporti cosiddetti deboli che non nascono da impegni fissati in agenda.

Questo non vuol dire tornare agli spazi di lavoro tradizionali e conosciuti, ma immaginare e progettare un ambiente che sia un ibrido tra flessibilità online e incontro fisico: coinvolgente, funzionale alla creazione di una comunità, strutturato per piccoli eventi interni e luoghi di incontro, sparsi per la città e predisposti al lavoro di gruppo: conviviali come uno Starbucks, ma attrezzati come un laboratorio moderno.

L’ufficio rimane uno spazio funzionale e simbolico importante, assume il ruolo di centro di aggregazione, formazione, relazione e appartenenza. Ne risulta una modalità di lavoro bilanciata tra ufficio e remoto: ogni dipendente ha la possibilità di lavorare oltre che dall’ufficio, da dove vuole, che sia luogo di residenza o coworking o seconda casa, con frequenza diversa in funzione della responsabilità e delle attività funzionali. Per alcune organizzazioni, vi è l’interesse di ridurre il pendolarismo e soprattutto a che tra i dipendenti maturi un rapporto diverso con il lavoro, più bilanciato, con maggiore armonia con le esigenze della famiglia.

E’ un modo per rispondere alle aspettative dei “millennial”, più attenti delle generazioni precedenti alla libertà e alla flessibilità.


5. L’emergere di nuove forme di leadership

Tra competenze, attitudini e motivazioni, in questo contesto, assume valore la motivazione ad intraprendere un percorso di trasformazione. Mentre in passato era l’esperienza ad essere considerata rilevante, oggi in un contesto che è diverso e nuovo, non si può sottovalutare l’importanza della formazione. La persona che vuole lasciare un segno è qualcuno che desidera essere coinvolta, vuole mettersi in gioco e imparare continuamente.

Alcuni studi che hanno evidenziato come le videoconferenze siano risultate onerose in termini di energie personali investite: "Trenta minuti di meeting video di primo mattino sono estenuanti per via della concentrazione che si deve dedicare davanti al video". Stare all’interno di un contesto sociale ed operativo ha tutt'altro genere di vantaggi, perché "il lavoro avviene prima e dopo le riunioni", mentre le riunioni video sono di natura "transazionale" con persone o gruppi che da remoto cercano di assicurarsi che tutti siano allineati rispetto a decisioni già assunte. Senza empatia non si può fare emergere l’efficacia di un gruppo di lavoro o la progettualità di una squadra.

E’ difficile gestire i processi di inserimento di nuove persone in un’organizzazione, ancora più complicati quando i nuovi candidati lavorano da casa, così è per la loro formazione, per il contatto con i colleghi e lo sviluppo di opportunità di nuove conoscenze. Molte organizzazioni adottano politiche di gestione del personale rivolte a includere identità e culture diverse. La diversità è fondamentale nella costruzione di un patrimonio sociale, per consolidare la cultura e l’identità organizzativa e per generare innovazione. Il primo passo è proprio nella selezione del personale e l’impegno per garantire “diversity management” è quotidiano. Il tema dell’inclusione è un aspetto culturale, si presenta in ogni incontro di lavoro e la leadership è coinvolta in prima persona, in modo che ognuno possa dare il proprio contributo, valorizzando stili e background differenti. Due i requisiti che emergono per una leadership efficace: essere una persona con valori etici forti e radicati e avere una grande passione per le persone. Alla Direzione si richiede di possedere competenze ed esperienze che consentano di conoscere e di interpretare il contesto dove si opera, in grado di andare oltre la strumentazione e le tecniche della propria attività, con una preparazione analitica e quantitativa, molto più importante che nel passato. Ascoltare di più, parlare meno, essere decisivi nel momento opportuno.


6. Bisogno di socialità ed efficaci dinamiche di gruppo

L’osservazione delle dinamiche collettive risulta essere una lente di analisi importante rispetto a quanto accaduto durante e dopo l’emergenza, non solo perché consente di contestualizzare i comportamenti dei singoli, spiegandone le dinamiche non manifeste, ma anche perché darebbe modo di mettere a punto “misure” che tengano in debito conto l’agire umano nella sua reale complessità.

Infatti, il bisogno di socialità si amplifica in situazioni di elevato stress e di forte tensione (la prima fase pandemica è stata emblematica) in quanto l’appartenenza ad un gruppo contribuisce a fornire sicurezza psicologica e conforto, che rappresentano un vantaggioso strumento di gestione dell’incertezza. Quando ciò viene negato, affrontare le minacce esterne diventa più complesso. La tendenza è adattiva nella maggior parte delle situazioni, perché il ricorso al sostegno dei simili fornisce importanti risorse per fronteggiare situazioni di elevata complessità. Nel caso della pandemia da Coronavirus, il contatto umano per un periodo significativo è stato annullato dal cosiddetto “distanziamento sociale”, risultando dunque “comprensibili” i comportamenti amplificati che si sono registrati.

Era l’11 marzo 2020. L’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarava ufficialmente la “pandemia” da Covid-19. Da quel momento, quasi tutti gli Stati hanno messo in atto misure volte a ridurre i contatti interpersonali e le occasioni di aggregazione per neutralizzare i contagi fermando, per quanto possibile, la circolazione del virus. Se dal punto di vista sanitario le disposizioni si sono rivelate per la gran parte opportune, hanno generato invece non poche ricadute negative sul piano psicologico, non sempre preso in debita considerazione. L’essere umano, infatti, è caratterizzato da una naturale tendenza alla socialità, che lo porta a ricercare la condivisione di pensieri ed esperienze con i propri simili. E la virtualità sembra non bastare.

La tendenza è adattiva nella maggior parte delle situazioni, perché il ricorso al sostegno dei simili fornisce importanti risorse per fronteggiare lo stress. Dato che nel caso della pandemia di Coronavirus il contatto umano è stato pressoché annullato dal cosiddetto “distanziamento sociale”, risultano dunque “comprensibili” i comportamenti incoerenti che si sono registrati. Parliamo delle condotte discrepanti di chi ha continuato a frequentare luoghi affollati, a incontrare amici e parenti senza curarsi delle disposizioni in vigore, ma non solo.

Risulta possibile anche ragionare su elementi di intervento che possano intaccare i processi disfunzionali per ristabilire un “pensiero critico” all’interno dei gruppi.

Tra questi elementi, vi sono, ad esempio, l’incoraggiare il contatto positivo con membri di altre aggregazioni, valorizzando il libero dibattito, stimolare il pensiero divergente all’interno del gruppo, ridefinendo le “norme collettive” verso una maggiore funzionalità.

L’analisi delle dinamiche collettive risulta essere dunque una lente di lettura importante, non solo perché consente di contestualizzare i comportamenti dei singoli, spiegandone le dinamiche non manifeste, ma anche perché darebbe modo ai decisori di mettere a punto “misure” che tengano in debito conto l’agire umano nella sua reale complessità.

le caratteristiche sociali e strutturali di gruppi concepiti come soluzioni per garantire una risposta immediata ad eventi inattesi e complessi- “chi è in prima linea”, le loro dinamiche operative e sociali - “l’impegno”, le competenze richieste – “l’affidabilità”, il clima e la loro cultura e come queste dimensioni si differenziano rispetto alle definizioni di gruppo così come la ricerca di riferimento ha elaborato.

Il gruppo di emergenza opera in condizioni di elevato rischio (Weick e Sutcliffe, 2007). Ciò che li caratterizza e li distingue da altre tipologie di gruppo è la capacità di garantire prestazioni efficaci – non necessariamente efficienti - e di sicurezza con risultati nell’intorno dell’”errore zero”, nonostante operino in contesti imprevedibili e all’interno di organizzazioni intrinsecamente rischiose.

Fattori comuni ai gruppi di emergenza sono la disponibilità e l’uso di tecnologie complesse e in continua evoluzione, la necessità di conoscenze diffuse specialistiche, approfondite e aggiornate, la presenza di una pluralità di abilità, capacità, tecniche e di elevate competenze, sia a livello direzionale che – soprattutto - ai livelli operativi.

Le attività sono comunque regolate da procedure di risk management, protocolli, istruzioni operative, linee guida, ruoli ben definiti e chiari livelli di responsabilità, organizzati in modo gerarchico.

Di fronte a situazioni che richiedono risposte rapide, questo scheletro formale di procedure e gerarchia è affiancato da dinamiche informali e coerenti con la natura del problema, il personale opera “tra pari”, privilegiando la comunicazione diffusa e comportamenti cooperativi.

La qualità delle dinamiche di questi gruppi sono volte a gestire l'operatività in modo continuo ed efficace sulla base di continui aggiustamenti nei comportamenti dei loro componenti per essere in grado di rispondere in maniera dinamica il rischio cercando di individuare, diagnosticare e avere sotto controllo le sue componenti essenziali, cioè la probabilità che un evento avverso accada e la dimensione del danno.

L’efficacia di questi processi è il risultato dello svilupparsi di una mentalità collettiva, una cultura cooperativa dell’attenzione che coniuga e condivide le esperienze e i saperi degli operatori in un contesto socialmente aperto alla comunicazione.

Questa cultura si compone di atteggiamenti e comportanti ricorrenti quali il non dare nulla per scontato, il favorire l’approfondimento e la varietà delle analisi, il rifiutare interpretazioni semplificatrici della realtà, valorizzare la diversità delle persone, la capacità di mantenere una consapevolezza situazionale anche di fronte a procedure e processi di routine, l’attitudine ad assorbire e utilizzare i cambiamenti, la deferenza per l’expertise della componente tecnica esperta.


Bibliografia

- Bergamante, F.; Canal, T.; Mandrone, E. ;Zucaro, R., Dal Covid una spinta al lavoro agile, La voce, febbraio 2022.

- Ciacia, C (2022) Lo smart working prima e dopo la pandemia: nuovi modelli di lavoro per non tornare indietro, Agendadigitale.

- Gallup, The Advantages and Challenges of Hybrid Work, Ben Wigert, Jessica White, Settembre 2022.

- Group Dynamics: Theory, Research, and Practice, Special Issue: Groups in a Dangerous Time: Virtual Work and Therapy in the COVID-19 Era, 2020, Volume 24, Issue 3.

- Osservatorio Smart Working 2022 “Smart Working: il lavoro del futuro al bivio”, Politecnico Milano, Osservatori.net, Ottobre 2022.

- Weick. K.E.; Sutcliffe K.M, (2007) Managing the Unexpected Resilient Performance in an Age of Uncertainty, Jossey-Bass.