Piano Terapeutico Riabilitativo Individuale (PTRI): riflessioni da un punto di vista organizzativo per coltivare buone idee
Autore
* Psicologa clinica
Ricevuto il 01/12/2023 – Accettato il 10/12/2023
Riassunto
Questo contributo propone riflessioni sulle difficoltà sollevate dall’introduzione, nel funzionamento dei Servizi di Salute Mentale, di un modulo nel quale deve essere riportato il Piano Terapeutico Riabilitativo Individuale elaborato con utenti gravi. L’obiettivo è rendere il paziente e la sua famiglia parte attiva di un percorso di cura che prevede gradualità negli obiettivi e collaborazione tra le diverse figure professionali coinvolte. Il modulo rischia di ingessare il processo e spostare energie su dimensioni formali e quantitative, indebolendo l’aspetto sostanziale diretto alla comprensione e all’intervento su problemi complessi e persistenti. Vengono analizzati i punti di vista di utenti e operatori nel tentativo di sostenere un’idea di Servizio come luogo della ricomposizione tra parti del sistema. Ridefinire continuamente un’offerta di cura realistica ed effettivamente fruibile da utenti e famiglie molto sofferenti appare un passaggio ineludibile anche per mettere a punto un modulo inteso come strumento di lavoro efficace.
Abstract
This contribution offers reflections on the difficulties raised by the introduction, in the operation of the Mental Health Services, of a form in which must be reported the Individual Rehabilitative Therapeutic Plan processed with serious patients. The objective is to make the patient and his family an active part of a treatment path that provides gradualness in objectives and collaboration between the different professionals involved. The form risks congealing the process and shifting energies to formal and quantitative dimensions, weakening the main aspect directed at understanding and intervening on complex and persistent problems. The viewpoints of users and professionals are analyzed in attempt to support the idea of the Service as a place of recomposition between parts of the system. Continuously redefining a realistic and effectively usable care offer for very suffering patients and families appears to be an unavoidable step in calibrating a form intended as an effective working tool.
Premessa
Scrivo questo contributo sulla scia di una ricerca quanti-qualitativa sull’applicazione del PTRI che ho realizzato nelle UFSMA e UFSMIA dell’ASL Toscana Centro.
Il PTRI è un concetto introdotto circa trenta anni fa, quando anche i familiari di persone sofferenti per disagi psichici entrano nel dibattito pubblico sulla salute mentale. Gli anni ’90 sono anni fecondi che introducono buone idee e promuovono una psichiatria e una psicologia di comunità. Nel concetto di PTRI si condensano diverse nuove prospettive: la progettualità e la verifica dei processi di cura, il coinvolgimento del paziente e delle persone a lui più vicine, la dimensione riabilitativa diretta all’inclusione sociale, la personalizzazione di un percorso che tenga nel tempo.
Ogni Servizio ha predisposto una sua modalità per perseguire tali obiettivi, così come ogni professione ha sviluppato una sua metodologia d’intervento: c’è un progetto psicologico, un progetto infermieristico, un progetto educativo.
Nel 2019, per ovviare a tale frammentazione è stato messo a punto un unico modulo regionale, chiamato anch’esso PTRI, da una commissione composta da responsabili di diverse figure professionali della salute mentale. Sembra idealmente pensato come soluzione al problema di integrazione tra esigenze dei Servizi, dei pazienti e dei loro famigliari, delle agenzie del territorio.
L’inizio della ricerca coincide con l’adozione di tale modulo tra i criteri di accreditamento dei Servizi di Salute Mentale: la sua applicazione diventa obbligatoria ed evoca cosiddetti processi di implementazione, che rimangono sospesi per vari motivi sui quali cercherò di soffermarmi.
Scrivo ora sul tema del PTRI perché ritengo che le questioni che solleva siano attuali e trasversali a diversi contesti organizzativi che frequento sia professionalmente che come cittadina.
La visione dei livelli dirigenziali
Quando si parla di salute dei cittadini la competenza è delle Regioni. Quella Toscana è suddivisa in tre grandi ASL che coprono territori molto diversi per storia, dimensioni e densità della popolazione.
A livello apicale la visione è ampia e di tipo orizzontale. L’obiettivo primario è garantire Livelli Essenziali di Assistenza e, secondariamente, mantenere un’immagine di prestigio nel panorama del Sistema Sanitario Nazionale. Il criterio quantitativo sulle prestazioni erogate permette di compiere previsioni di spesa e investire budget nel breve termine. Il modulo PTRI, in quest’ottica, serve anche per misurare quanti ne vengono compilati rispetto al totale delle prese in carico.
La ricerca che ho condotto evidenzia come nella ASL Centro il dato si aggiri intorno al 20%.
In tutto l’arco del mio lavoro, nonostante i ripetuti tentativi, non è stato possibile accedere al direttore dell’assessorato regionale “Diritti di cittadinanza e coesione sociale”, che ha finanziato la ricerca. Non è stata organizzata una restituzione dei risultati sebbene il criterio qualitativo, introdotto dallo stesso assessorato in controtendenza con la cultura dominante, abbia permesso di raccogliere molto materiale che attendeva di essere discusso in sedi istituzionali.
Ciò forse mostra l’affanno che si registra anche ai livelli dirigenziali e le difficoltà della politica, in questo momento storico, ad avvicinarsi alle problematiche dei cittadini e all’operatività dei Servizi.
Sull’asse verticale del sistema ho trovato invece grande collaborazione da parte del direttore del Dipartimento della Salute Mentale e Dipendenze, dei direttori delle due Aree: Adulti e Infanzia e Adolescenza e dei direttori delle UFSMA e delle UFSMIA.
In particolare, i Servizi di Salute Mentale, i cui funzionamenti sono molto determinati dai loro direttori, si collocano in una posizione cruciale nel sistema regionale. Si trovano a mediare tra direttive aziendali ed operatività per offrire risposte fruibili dall’utenza.
Il loro ruolo risulta strategico anche nel caso dell’applicazione del PTRI.
Ciò dà senso e valore alla ricerca e al fatto che, a livello dell’operatività, si sia mostrato non solo interesse nei confronti del tema, ma sia stato anche utilizzato come occasione di accompagnamento nella riflessione sui cambiamenti organizzativi in atto.
Le aspettative degli utenti
L’applicazione del PTRI è prevista per pazienti gravi, frequentemente cronici, spesso ai confini con la disabilità, che in molti casi passano da SMIA a SMA senza un chiaro progetto di transizione, per i quali sono previsti percorsi semi-residenziali o residenziali e che introducono il tema della gestione del loro futuro, perché con bassi gradi di autonomia.
I familiari si agganciano al PTRI come garanzia di una continuità della presa in carico del parente con disagio mentale grave, data la loro consapevolezza di non potersene occupare per sempre.
Ci sono tante tipologie di famiglie. Alcune appaiono molto sofferenti e chiedono a loro volta sostegno. Altre si avvertono come detentrici di un sapere in competizione con i Servizi, altre ancora si eclissano e delegano totalmente.
Quelle più attive sul territorio, a volte con tratti ideologici elevati, si riuniscono dando vita ad Associazioni che si riconoscono, per la maggior parte, all’interno di un Coordinamento regionale. Quest’ultimo organizza, da quasi venti anni, un convegno annuale con lo stesso titolo: “Quanto la persona è al centro della sua cura” che coinvolge tutti gli attori del sistema della Salute Mentale della Toscana. Tale iniziativa si pone come un momento dedicato alla verifica dello stato dell’arte e alla riprogettazione, ma per lo più si trasforma in denuncia della carenze di risorse e di quanto non si faccia abbastanza nella direzione dell’integrazione tra servizi e dell’inclusione sociale degli utenti.
Le aspettative sono molto elevate, di conseguenza la frustrazione si fa cocente e il tono del conflitto si alza. La scarsità e l’incompletezza di PTRI compilati è letta come indice di mancanza di cura da parte del sistema della Salute Mentale. Gli utenti, anch’essi in parte riuniti in Associazioni, fanno fatica a far sentire la propria voce. A volte appaiono disorientati, in un quadro in cui gli adempimenti formali, tra cui anche la firma del modulo PTRI, sembrano allontanarli dall’esperienza dei percorsi di cura, che per la maggior parte vivono positivamente all’interno dei Servizi. Segnalano di aver bisogno di spazi nei quali poter prendere parola ed esprimersi durante il processo, anche incontrandosi con l’équipe.
Le aspettative degli operatori
Gli operatori appaiono concentrati sull’oggetto di lavoro, ossia il processo lavorativo di presa in carico dell’utente e del suo mondo, utilizzando anche l’équipe multidisciplinare. L’oggetto, dunque, non è il paziente in sé, ma l’attenta costruzione di una relazione di lavoro tra i suoi problemi e il Servizio. L’avvio del processo ha inizio con la visita dello psichiatra e/o dello psicologo, spesso su invio del Medico di Medicina Generale, con il quale sarebbe opportuno mantenere un contatto, consapevoli delle difficoltà che attraversa anche la Medicina Generale.
Gli operatori spostano il problema su un piano qualitativo e denunciano la difficoltà a riportare la complessità dell’oggetto di lavoro in una scheda cartacea. Questa viene interpretata prevalentemente, al momento della ricerca, come una griglia burocratica che imprigiona più che una griglia di lettura, che può orientare senza soffocare il pensiero.
Anche per gli operatori, in sintonia con gli utenti, il progetto di presa in carico ha l’obiettivo di spingersi sempre più sul versante riabilitativo diretto all’inclusione sociale, con il coinvolgimento di famigliari e agenzie del territorio.
Appare evidente come, nella ristrettezza delle risorse, fatichino a tenere insieme e portare avanti di pari passo il piano dell’operatività che richiede flessibilità, creatività e riservatezza, con quello della programmazione scritta che prevede aggiornamenti sugli interventi dei singoli professionisti e parti da compilare in équipe. Tale attività è avvertita come molto complessa e gli operatori segnalano come ci sarebbe stato bisogno di un lavoro preliminare di confronto sulle metodologie, sul senso del lavoro di gruppo e sui contenuti.
Cosa trasporre di un processo molto articolato in un testo scritto, che pur servirebbe, rimane un ulteriore problema di lavoro. Questo passaggio implica un consistente cambiamento culturale: da una tradizione orale di pratiche che si tramandano informalmente, alla costruzione di un linguaggio, efficace e rispettoso delle diverse specificità e sensibilità (colleghi, utenti e familiari), che lascia traccia, con conseguenti problemi di responsabilità legali, deontologiche, culturali.
L'importanza della scelta metodologica
Date le aspettative molto diverse di operatori e familiari, indice di mondi e linguaggi a volte incomprensibili gli uni agli altri, ho utilizzato una ricerca azione facendo leva sulla mia esperienza di formazione e di intervento in sistemi organizzativi.
Questa scelta è stata dettata da un oggetto di lavoro che si colloca a cavallo tra cura dell’individuo e cambiamento organizzativo.
Il dispositivo della ricerca azione consente di conoscere e valorizzare le culture esistenti in azione, con uno sguardo etnografico e riconoscendo agli attori in campo il ruolo di protagonisti. L’intento è quello di analizzare la realtà, apprendere dall’esperienza e sviluppare ipotesi condivise e percorribili su come poter migliorare l’applicazione del PTRI.
Nell’anno di tempo a disposizione ho scelto di tenere separati il contesto dell’operatività dei Servizi da quello dell’utenza, proprio per comprendere più a fondo le ragioni degli uni e degli altri. Indirettamente mi sono trovata a fare da ponte tra mondi, portando con me le varie acquisizioni via via sviluppate nelle varie realtà e mettendole a confronto per i fini della ricerca.
Il luogo più significativo che mi ha permesso di sviluppare apprendimenti in azione è stata la riunione d’équipe nella quale viene elaborato il PTRI e i diversi operatori si sperimentano nel rapporto con il modulo. In questa sede emergono tanti elementi sui funzionamenti organizzativi delle UFSMA e delle UFSMIA. Le due Aree, Adulti e Infanzia e Adolescenza, procedono separatamente con propri codici e regolazioni interne, senza collegamenti apprezzabili.
Un affondo interessante è stato anche quello all’interno delle singole professioni che operano in ambito di salute mentale.
Nell’ambito dell’utenza ho raggiunto i Presidenti di Associazioni appartenenti e non appartenenti al Coordinamento, nelle loro sedi, partecipando alle riunioni e alle attività offerte ai soci. Sono entrata in gruppi di auto-aiuto di pazienti e familiari.
Ciò mi ha permesso di avere un quadro articolato della varietà di interpretazioni del PTRI.
Ho condensato l’esito del lavoro in un report finale. La ricerca azione in questo caso si è fermata alla fase di analisi dei problemi e d’individuazione di possibili piste d’intervento per mettere a frutto quanto acquisito. In questo scritto riporto alcune suggestioni che non volevo andassero perse.
Criticità emergenti e orientamenti possibili
A livello macro-organizzativo si può rilevare una polarizzazione. In un estremo si collocano i funzionamenti idealizzati, corrispondenti ad affermazioni di principio, ideali definiti con norme, uguali per tutti, particolarmente sponsorizzati dalla Regione Toscana. Nell’altro estremo si posizionano i funzionamenti reali, quasi oppressi dalla scarsità delle risorse e da problemi verso cui ci si sente impotenti, ogni Servizio cercando un proprio modo di sopravvivere, con scarse speranze.
Ne deriva un dilemma, ovvero una situazione che offre solo due soluzioni in alternativa tra loro. Per uscirne bisogna sceglierne una: si sposa l’idealizzazione o si fanno i conti con l’esistente, riducendo le aspettative, rinunciando agli ideali?
Sul piano operativo le persone ascoltate avvertono una situazione di blocco, si sentono fermi al bivio di una questione sulla quale non possono decidere direttamente.
Al momento non riescono a tenere insieme il piano ideale - delle buone idee - con le difficoltà che incontrano quotidianamente nel lavoro.
Mi portano una domanda: quali strategie si possono adottare per uscire dallo stallo?
Dall’ascolto delle persone, che è stato possibile con questa ricerca, proviene l’idea di una terza via, non come uscita di sicurezza dal dilemma, ma come una possibilità di riparare lo sfilacciamento della comunicazione interna tra il livello della dirigenza e l’operatività. Si tratterebbe di riconoscere la gravità dei problemi, la scarsità delle risorse, assieme alle possibilità generate da un investimento sulla cura dell’organizzazione. Una posizione che riconosca l’ideale come un riferimento di principio, ma non corrispondente a ciò che è realizzabile in queste condizioni. Intuiscono che sarebbe possibile trovare soluzioni innovative confrontandosi, anche con l’aiuto di un professionista esterno al sistema, come nel caso della ricerca.
A livello micro-organizzativo si rileva la sofferenza degli utenti e dei loro familiari, che non si sentono sufficientemente ascoltati rispetto alle difficoltà quotidiane che incontrano e che la pandemia, con le chiusure messe in atto contemporaneamente alla ricerca, ha reso ancora più evidenti. Essi, spesso all’oscuro dei quadri di riferimento teorici e metodologici adottati dai Servizi, non comprendono compiutamente il loro funzionamento: cosa si può fare realisticamente, date le condizioni contestuali e cosa non si può fare. Chiedono di essere adeguatamente informati e tenuti dentro i percorsi dei propri parenti, come interlocutori capaci di esprimere un proprio punto di vista.
In situazioni ad alta complessità, quando il sistema è stressato da problemi non risolvibili, utenti ed operatori vivono la stessa difficoltà: quella di non sentirsi sufficientemente parte del sistema di cura. Gli operatori di non aver partecipato alla costruzione di un modulo che si trovano a dover compilare e che non comprendono appieno. Gli utenti e i familiari di non aver partecipato alla costruzione di un percorso, dall’inizio, e con spazi pensati anche per loro, caso per caso.
In rischio è la cronicizzazione di disfunzioni organizzative che sembrano, nella frammentazione, riprodurre le problematiche di un paziente che non guarisce.
Emerge, di contro, la necessità di soffermarsi per ricostruire un rapporto di fiducia tra chi offre un servizio e chi ne possa usufruire effettivamente apprendendo nella relazione un modo, seppur parziale, di gestire i problemi.
Il tema cruciale della multidisciplinarietà
L’équipe multidisciplinare è molto enfatizzata in un’ottica di salute mentale di comunità.
Risulta evidente come professionisti diversi che hanno in carico lo stesso paziente abbiano bisogno di uno spazio comune per condividere le valutazioni e le ipotesi d’intervento messe a punto con lui in setting specifici. Serve concordare obiettivi condivisi, stabilire un timing sostenibile e spazi per verificare la fattibilità del percorso.
Il PTRI suggerisce l’individuazione di un referente, definito case manager, per tenere le fila del processo e facilitare le comunicazioni tra l’interno e l’esterno del Servizio.
Idealmente non è detto sia lo psichiatra, così come non è detto sia lo stesso professionista per tutto il tempo del percorso: dovrebbe essere colui che, a seconda dell’obiettivo prioritario concordato riveste il ruolo di operatore di riferimento per il paziente. Starebbe al case manager: organizzare, convocare e condurre l’équipe, garantire la compilazione e la conservazione del PTRI. Sotteso c’è l’intento di promuovere una condizione paritetica tra tutti i partecipanti al gruppo di lavoro.
Intorno al PTRI si sollevano molteplici questioni che la ricerca differenzia. Se non affrontate separatamente, rischiano di essere agite in équipe in conflitti di potere tra professioni.
Appare chiaro, nelle riunioni a cui ho partecipato, che tutti i curanti sono coinvolti in modo paritetico nell’aiutare il paziente, ma che a seconda del problema affrontato ci siano professionisti che hanno più competenze di altri.
Appare altrettanto chiaro come si attivino tensioni nel sostenere ciascuno la propria identità professionale e valorizzarne la diversità per contrastare un’idea di essere tutti uguali, poco realistica in un sistema gerarchico. Tale questione emerge attraverso il tema della responsabilità che ciascuno sente rispetto al proprio operato anche su un piano legale.
La ricerca evidenzia una difficoltà del contesto organizzativo sanitario a tenere insieme, senza confondere, le diversità ineludibili tra ruoli e l’adesione a obiettivi comuni. Del resto in équipe si incontra anche il problema della collaborazione tra figure che appartengano a Dipartimenti professionali, come infermieri ed assistenti sociali, figure che afferiscono al Dipartimenti di Salute Mentale, come psichiatri e psicologi e figure come educatori professionali che non hanno un loro Dipartimento.
La scheda, forse nel tentativo di dare a ciascuno lo stesso spazio, configura una sommatoria tra punti di vista dei diversi professionisti, più che un percorso integrato.
Riflessioni conclusive
La ricerca ha evidenziato che nella pratica il PTRI, impostato come modulo operativo preconfezionato, è diventato uno strumento divisivo, piuttosto che occasione di confronto e dialogo.
Ho incontrato schieramenti di tipo emotivo tra chi è pro e chi contro la sua applicazione, che possono sfociare in conflitti: tra diverse professioni, tra Servizi che lo adottano e Servizi che lo rifiutano, tra Dipartimento di Salute Mentale e Coordinamento delle Associazioni, tra Associazioni diverse, dentro e fuori il Coordinamento, tra Servizi e Regione.
Più in generale, quando le scissioni prendono il sopravvento, si registrano rabbia e senso di impotenza negli utenti/familiari da una parte e negli operatori, dall’altra. Le strade si divaricano e ciascuna componente del sistema lavora indipendentemente dall’altra per raggiungere un proprio obiettivo.
Nel rilevare una sovrapposizione confusiva tra il PTRI come scheda da compilare e PTRI come processo lavorativo effettivamente praticato, ho osservato come risulti illusorio pensare che fissare per iscritto i punti di un piano di lavoro equivalga ad una loro effettiva realizzazione. Appare altrettanto illusorio aspettarsi che professionisti riuniti intorno ad un tavolo funzionino come un gruppo di lavoro. Cosa che richiede preparazione, organizzazione e metodologie specifiche.
Nel micro-mondo del PTRI si evidenzia come funzionamenti burocratici, imponenti nella nostra cultura e investiti di aspettative di controllo, si scontrino con la fluidità dei fenomeni sociali.
Chiavi di lettura avanzate elaborate da discipline filosofiche, psicologiche, psicoanalitiche, antropologiche e sociologiche ci ricordano piuttosto come il cambiamento di routine lavorative vada a toccare identità professionali e senso di appartenenza all’organizzazione. Questo ci aiuta a comprendere perché le persone, se non si sentono protagoniste dell’innovazione, o peggio ancora la subiscono, possono addirittura osteggiarla in modo più o meno esplicito e a diversi livelli dell’organizzazione. Alcune professioni possono sentirsi messe in discussione più di altre.
L’équipe multidisciplinare può diventare laboratorio dell’attività del Servizio anche per definire processi lavorativi flessibili e strumenti agili, abbandonando l’idea che si possa rispondere a tutti gli obiettivi e nel miglior modo. È a questo livello, del gruppo multidisciplinare, che è necessario investire in termini di tempo, di formazione e di supervisione per non perdere di vista né gli ideali, né la realtà.
Il PTRI introduce un concetto forte, promosso e sostenuto da chi usufruisce dei Servizi: la verifica dell’intervento. Può essere una chiave efficace per riflettere sui funzionamenti organizzativi, sulle pratiche e ripensarle insieme alle varie componenti del sistema. La ricerca stessa è stata una verifica sullo stato dell’arte dei Servizi di Salute Mentale, nella quale tutte le parti hanno svolto una funzione attiva.
Il confronto sulla definizione dei criteri di valutazione può aiutare il gruppo di lavoro a ricontestualizzarsi all’interno del Servizio e monitorarne il funzionamento, in risposta ad un mandato sociale di comunità.
Altrettanto, sarebbe auspicabile una riflessione interna al Coordinamento e alle singole Associazioni.
Un elemento che mi è balzato agli occhi in tutto il percorso di ricerca è la soddisfazione reciproca tra operatori, pazienti e famigliari. Si percepisce spesso ed è un indice dell’essere riusciti a comprendersi reciprocamente e aver raggiunto un obiettivo comune. In questo caso le fatiche sperimentate risultano sensate perché hanno permesso alle buone idee di realizzarsi.
Nella ricerca è emerso come spesso gli utenti più soddisfatti non sappiano cosa sia un PTRI, nel senso che non hanno partecipato alla procedura dettata dal modulo, né lo hanno firmato come richiesto, ma hanno fatto esperienza di essere stati presi in carico. Così come i Servizi più attenti ai risultati compilano pochi moduli, e non in tutte le parti richieste, o nessuno, per contro i loro direttori si interfacciano in modo critico con i colleghi ed i vertici aziendali rispetto alle problematiche che gli operatori incontrano nel lavoro quotidiano.