Volume 24 - 9 Settembre 2022

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Accedere al potere della musica e del linguaggio per il benessere dell’anziano affetto da demenza. Un caso studio durante il Covid19

Autore

Ricevuto il 7/02/2022 – Accettato il 7/03/2022



Riassunto

Questo articolo si basa su un progetto pilota che abbraccia due campi di studio: migrazione ed etnomusicologia attraverso la cui conoscenza si giunge ad una terza area che comprende invecchiamento, demenza e benessere per soggetti provenienti da contesti migratori. Il progetto pilota consiste in tre prove condotte presso una struttura di assistenza residenziale per anziani ad Adelaide, nell'Australia meridionale. L'obiettivo principale di questo studio è determinare l’esistenza di una relazione tra la musica, la lingua del paese di origine ed il benessere mentale degli individui provenienti da diversi contesti culturali e linguistici (CaLD) colpiti da demenza; ovverosia riscontrare se la musica (in particolare composizioni ad personam) e la lingua (lingua madre) possano svolgere un ruolo nel migliorare la qualità della loro vita. Il lavoro sul campo qualitativo etnografico, inclusa la raccolta di storie orali, è stato utilizzato per acquisire i "paesaggi sonori" della vita di partecipanti anziani provenienti da contesti culturali e linguistici diversi. Canzoni composte con testi adattati al soggetto e un metodo chiamato comusichiamo, sono stati parte degli strumenti utilizzati per lo studio in oggetto. I dati mostrano che le canzoni, composte e cantate nella lingua madre dei partecipanti, possono essere utilizzate per migliorare in modo significativo, la comunicazione, l'impegno fisico e sociale e contribuiscono al benessere generale delle persone provenienti da ambienti migranti che convivono con la demenza.


Abstract

This article focuses on a pilot project which embraces two fields of study: migration and ethnomusicology, through whose knowledge you reach a third area which includes aging, dementia and wellness for subjects coming from migrant backgrounds.
The pilot project involves three tests carried out by the elderly’s residential structure in Adelaide, South Australia.
The main goal of this study is to determine the existence of the relation between music, the language of the native country and the mental wellbeing of the individuals coming from differente cultural and linguistic backgrounds (CaLD) affected by dementia; in other words to find if music (particularly compositions ad personam) and the language (the native one) could play a role in improving the quality of their life.
The qualitative ethnographic fieldwork, including the collection of the oral stories, was used to gain the “soundscapes” of the lives of old participants coming from different cultural and linguistic backgrounds.
Songs composed with texts adjusted to the subject and a method called comusichiamo, were parte of the instruments used for the study. The data shows that the songs, composed and sung in the native language of the participants, can be used to improve in a significant way, the comunication, the physical and social effort and furthermore they contribute to the general wellness of the people coming from migrant backgrounds who suffer from dementia.


Keywords

Persone di background CaLD affette da demenza; musica e lingua; assistenza residenziale; musical engagement approach; cura centrata sulla persona; invecchiamento; benessere mentale


Background e significato dello studio
Demenza, migranti anziani, strutture di assistenza agli anziani e necessità di programmi ‘culturalmente sensibili’

Attraverso un recente censimento, risulta che attualmente circa 472.000 australiani convivono con la demenza; si prevede che senza una svolta medica, tale numero dovrebbe arrivare a 590.000 entro il 2028 e raggiungere 1.076.000 entro il 2058 (Dementia Australia 2021).

Poiché in Australia una persona su tre di età superiore ai 65 anni è nata all'estero (AIHW 2018), coloro che soffrono di demenza includono individui con background culturali e linguistici diversi (CaLD). Tale diversità culturale presenta difficoltà nell'erogazione dei servizi e la letteratura mostra che vi è scarsità di programmi disponibili per soddisfare le esigenze degli anziani CaLD (Low et al.2019), compresi i programmi per gli individui CaLD, che possano seguire adeguatamente i migranti anziani in Australia.

Si prevede che la prevalenza di demenza tra gli anziani australiani CaLD aumenterà da circa 35.000 del 2010 a 120.000 entro il 2050. Questo numero include una percentuale sostanziale di migranti italiani: il 65,5% degli australiani nati in Italia aveva 65 anni o più nel 2016, rispetto al 33,1% dei nati in Inghilterra. Gli australiani nati in Italia hanno, ad oggi, un'età media di 72 anni (Marino 2020a). I migranti italiani sono uno dei più grandi gruppi di anziani in Australia (Baldassar et al. 2006), essendovi giunti in gran parte subito dopo il secondo conflitto mondiale.

Il rapporto del 2015 sull'immigrazione mondiale dell'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OMD) sui migranti nei paesi di lingua inglese, dimostra che essi sono a maggior rischio di sviluppare demenza (Truswell 2020) a causa di una serie di fattori, tra cui la lontananza dal luogo di origine, con risultato di regressione alla lingua madre e al passato culturale che accompagna qualsiasi declino delle funzioni mentali, tassi più elevati di isolamento sociale, spesso a causa della limitata capacità di comprensione della lingua inglese.

Sebbene la demenza abbia un impatto più forte sul benessere degli individui CaLD rispetto a quello di altri australiani ed è più probabile che amplifichi solitudine, depressione e ansia (Osman et al.2016), gli attuali servizi di assistenza agli anziani in Australia non riflettono l'etnia e la diversità culturale della popolazione australiana (Low et al.2019). Tra i risultati evidenziati nel Rapporto intermedio 2019 della Royal Commission in Aged Care Quality and Safety c'è la mancanza di sostegno comunitario e di stimolo sociale per i soggetti che convivono con demenza, in particolare quelli provenienti da un contesto CaLD, e quindi ‘straniera’ alla realtà ‘dominantÈ, esiste, dunque, l'urgente necessità di fornire “sicurezza culturale'', in termini di comprensione della cultura e riconoscimento delle differenze (Rapporto intermedio 2019a: 176). Secondo il suddetto rapporto, “a molte minoranze che ricevono servizi di assistenza agli anziani vengono negati i loro diritti umani fondamentali. La loro dignità non viene rispettata e la loro identità viene ignorata” (Interim Report 2019: 12). Il rapporto sottolinea che gli individui CaLD ospiti delle strutture di assistenza agli anziani, rischiano di affrontare barriere linguistiche e culturali, pertanto necessitano di servizi di sostegno su misura a seconda dei diversi contesti sociali e culturali.

Nel campo dell'assistenza residenziale, Juul et al. (2019) notano che le persone anziane che vivono in siffatte strutture tendono ad essere fisicamente e socialmente inattive. Questa inattività si traduce spesso in cattive condizioni di salute e conseguente ridotto benessere. Il mancato riconoscimento dell'importanza del supporto sociale, le risorse limitate e l’assenza di routine di lavoro orientate alla formazione ed ai compiti, lasciano poco tempo al personale per soddisfare le esigenze sociali dei residenti. Tali problemi erano già stati rilevati dallo studio di Minichiello (1987) condotto oltre trent'anni fa in strutture di assistenza per anziani in cui, tra l'altro, un'alta percentuale di residenti non riceveva mai un visitatore. Le case di cura, seguendo questa traiettoria, potrebbero essere viste come esistere indipendentemente dalla società; le loro caratteristiche fisiche e le strutture burocratiche potrebbero allontanare i residenti da un significativo contatto sociale con le persone, aggravando le problematiche per l’individuo CaLD nell'assistenza residenziale.

A tutt’oggi vi è poca ricerca incentrata specificamente su individui provenienti da background CaLD con demenza, nonostante il lavoro importante del NARI (National Aging Research Institute) con, ad esempio, Adebayo et al (2019) e Baldassar et al. (2007).

Il presente studio pilota, esaminando le esperienze di persone provenienti da contesti CaLD che convivono con demenza, in particolare migranti italiani anziani, mira ad affrontare una lacuna critica nella comprensione della demenza e del benessere, così come la mancanza di servizi appropriati. Questo progetto si propone di sostenere l'impegno dell'Australia per un'assistenza agli anziani di qualità, stimolare attenzioni politiche a fornire risorse al settore che siano progettate per migliorare il benessere psicofisico, salvaguardare le identità sociali e culturali e la dignità dei migranti anziani che vivono con demenza, sia presso i domicili privati che in assistenza residenziale.


Approcci alla demenza

Il metodo più consolidato per il trattamento della demenza è il modello medico. Gli ultimi 30 anni hanno anche visto l'emergere di “nuovi”" approcci a tale problematica, tutti sotto l’egida del Arts Programs (Ahessy 2017), che pongono l'accento sull'espressione di sé, sulla creatività, sul divertimento e sull'inclusione sociale. Quantunque un tempo fosse considerata una terapia alternativa, oggi sta lentamente diventando potenziale, positivo approccio non farmacologico, seppure con una certa resistenza, essendo ancora parzialmente fuori dalla corrente dominante (Harvey 2017).

Davies et al. (2012) forniscono prove dei benefici delle arti ricreative per le persone in cura. Dagli anni 90 del secolo scorso ci si è resi conto che il coinvolgimento con le arti stimola il rilassamento nei pazienti, riducendone stress, ansia e depressione (Davies et al.2016; Chlan 1998; Staricoff 2004; Star and Cox 2008). Con un'enfasi sull'espressione di sé, sull'inclusione sociale e sulla creatività, l'impegno nelle arti sta ricevendo una crescente attenzione come approccio per elevare la qualità e le aspettative di vita dei pazienti. Nelle cure palliative, ad esempio, le arti giocano un ruolo consistente nel migliorare la qualità della vita dei malati di cancro, dopo o in contrapposizione con il trattamento medico (Bradt et al.2015); programmi artistici sono anche stati utilizzati per migliorare il benessere e l'autostima delle persone che soffrono di problemi di salute mentale (di Davies et al 2016; Kagan et al.2005; Parr 2006). Nell'assistenza agli anziani, l'impegno artistico riduce la depressione, aumenta l'autostima e promuove l'invecchiamento positivo (Greaves e Farbus 2006; Parkinson 2009).

Uno studio per quantificare la relazione tra impegno nelle arti ricreative e benessere mentale, condotto da Davies et al. (2016) su un campione casuale di 702 adulti dell'Australia occidentale, suggerisce che circa due ore a settimana di impegno artistico possono avere il potenziale per migliorare il benessere mentale e che un impegno in attività ed eventi creativi, che gli autori chiamano “dose d'arte”, è fondamentale per ottenere sostanziali benefici sulla salute mentale.

Tra gli approcci non farmacologici, la musica gioca un ruolo fondamentale. Ad esempio, nel Regno Unito, la musicoterapia è stata raccomandata come intervento psicosociale nella National Dementia Strategy (Gold et al.2019). Le principali ricerche hanno dimostrato che la musica può migliorare e supportare in modo significativo l'umore, la vigilanza e il coinvolgimento delle persone con demenza, consente di moderare l'uso di farmaci, oltre ad aiutare a gestire e ridurre l'agitazione, l'isolamento, depressione ed ansia, ottimizzando complessivamente la qualità della vita. La musica favorisce il benessere generale, influenza l'eccitazione, trascina l'attività neuronale, stimola le emozioni, le risposte psicologiche e fisiologiche (Harvey 2017). In molti casi le persone con demenza sono in grado di ricordare le melodie e le parole che hanno formato la colonna sonora della loro vita poiché le regioni del cervello che elaborano la musica possono essere attive anche nella demenza in stadio avanzato (Gold et al . 2019).


Esplorare gli approcci musicali e i loro limiti: dibattiti sulla consapevolezza culturale e la rilevanza dell'antropologia

Alcune stimolanti terapie musicologiche contemporanee sono presentate da Benenzon (1998) e Caneva (2007). Lo psichiatra e musicoterapista Rolando Benenzon suggerisce di creare un “dialogo sonoro” per l'applicazione dell'”io”, mediante un processo catartico che agisce attraverso le proprie ”identità sonore” che egli chiama ISO. L'ISO consiste in diverse identità sonore, comprese le identità etniche, familiari e personali. Tuttavia, nonostante la sua validità (Trondalen e Bonde 2012), l'approccio di Benenzon è principalmente non verbale, relativo, tra l'altro, all'autismo.

Una terapia che incorpora musica e parole, chiamata "songwriting", è condotta in maniera eccellente dal musicoterapeuta Paolo Caneva (2007), che crea una melodia orecchiabile sul paziente, solitamente di poche strofe, includendone il nome e alcune rime. Come il lavoro di Benenzon, questo approccio si trova di solito in psichiatria, e viene usato anche per i bambini con autismo.

Il ruolo della musicoterapia è già ben consolidato, anche nell'assistenza agli anziani, tuttavia non è ancora stato esaminato antropologicamente nell’ambito degli anziani CaLD e della demenza. Di particolare rilevanza, in questo contesto, c'è il dibattito sull'importanza della consapevolezza culturale. Infatti, come sostiene Karlsson (2005), mentre i terapisti, inclusi i musicoterapisti, hanno familiarità con le loro discipline, potrebbero non possedere la preparazione socio-antropologica necessaria per mediare efficacemente in circostanze caratterizzate dalla diversità culturale e linguistica, sebbene la "sensibilità e competenza culturale" sia un tema ben conosciuto in terapia, notato quasi vent'anni fa da Fuertes, Bartolomeo e Nichols (2001) e Sue (2003).

Come osservato da Atkinson e Matsushita (1991), se i terapeuti non hanno familiarità con il background etnico dei loro pazienti, una mancanza di conoscenza e sensibilità culturale può far sì che gli stessi siano reticenti nel condividere informazioni importanti che li riguardano. Il mancato riconoscimento della diversità etnica nelle strutture per l'assistenza agli anziani e alla demenza (Low et al.2019) è una realtà contemporanea in tutta l'Australia, che porta a trascurare le persone anziane di CaLD e si traduce in risultati di salute peggiori, compreso l’aggravamento della demenza, con ansia, depressione e persino comportamenti aggressivi (Baldassar et al.2007; Cipriani et al.2011.

Inoltre, secondo Brijnath et al. (2020), nell'assistenza agli anziani l’Australia manca di supporto culturale e sociale, vi sono limitate risorse e formazione su come affrontare la diversità etnica e culturale e questo perpetua le disuguaglianze sociali (Brijnath et al.2020; NARI n.d.).

Guardando oltre gli approcci alla terapia, il lavoro nel campo dell'antropologia e degli studi sulle migrazioni ha anche dimostrato la funzione positiva della musica, specialmente in contesti performativi, ad esempio, nel lenire lo stress e la nostalgia e facilitare i migranti a recuperare la memoria culturale, a riconnettersi socialmente e affermare la loro presenza etnica (Harvey 2017; Marino 2012, 2020a).

Per l'antropologo Ernesto De Martino (1977), la musica contribuisce a ricollegare gli individui alle loro identità culturali: è una strategia culturale metastorica per la "perdita della presenza del gruppo nel mondo". Allo stesso modo, Lévi-Strauss (1966) afferma che non solo la musica innesca emozioni, ma anche le parole, i modi di dire e i gesti abituali svolgono un ruolo fondamentale nella protezione dalla "crisi di identità" (vedi anche Marino 2020a). Ciò non è dissimile dall'idea di Merleau-Ponty (1982) il quale afferma che, attraverso i sensi, le persone possono recuperare ciò che egli definisce "apertura originale" situata nel loro mondo.

Nel campo della demenza, anche Barret asserisce che, se la memoria culturale viene stimolata, gli individui hanno la possibilità di aumentare sia il loro impegno sociale che il senso di appartenenza, portando ad un notevole miglioramento del loro benessere (Osman et al.2016).

Il progetto in argomento ruota quindi attorno a un approccio di coinvolgimento musicale verso l'invecchiamento e la demenza che tenga conto della migrazione e della diversità etnica. Lo spirito del progetto considera le dimensioni sociali dell'esistenza umana e si concentra sugli individui colpiti da demenza come esseri culturali socio-relazionali. Per fare questo, si attinge all'antropologia culturale, sia in termini di teoria che di metodi.

L'antropologia culturale è appellata non solo per corroborare la funzione catartica della musica, la ragione principale è seguire una teoria che racchiude la rilevanza della memoria autobiografica, delle emozioni e dell'anamnesi dell'individuo. L'anamnesi, dal greco: ricordo, reminiscenza, è genericamente definita nella terminologia medica come l'insieme di informazioni sulla vita di una persona ottenute attraverso interviste o altro (Novaga 1979; Del Corno e Lang 2002). In generale, l'anamnesi si riferisce alla memoria del passato, ossia gli eventi del vissuto ritenuti rilevanti ai fini del nostro studio.

Questo approccio è ben noto nell'antropologia della memoria: ad esempio, Nora (1989) ha scritto su come la 'memoria culturale' faccia leva sull'identità, mentre Clemente (2013) ha sottolineato la rilevanza delle ipsissima verba, ovvero ‘quelle precise parolÈ, intese come i racconti o le storie narrate frequentemente dall’individuo, che l’antropologo utilizza per entrare nel mondo dell’altro. Inoltre, una posizione simile viene proposta con l'idea di Pieri (2018) dell'importanza di raccontare ricordi.

Nel relazionarsi con ‘l’altro’ (la sua presenza e identità) si tenta di rappresentare ‘il mondo dell’altro’; l'antropologo, come un pittore, ha bisogno di fare ritocchi in linea con il punto di vista emico dei partecipanti (cioè il punto di vista degli osservati), navigando all'interno dei loro mondi significativi, che sono costituiti da una varietà di fatti culturali e linguistici (Marino 2020c). Tuttavia, si può ritenere che i partecipanti al presente studio, in una certa misura, abbiano perso la loro presenza e identità, di conseguenza, si utilizza il senso delle teorie antropologiche sopra menzionate per ristabilire la loro "presenza culturale" attraverso un "paesaggio sonoro" che si reputa possa stimolare l'impegno sociale e l'identità culturale.


Progettazione e metodologia dello studio

Questo articolo esplora il ruolo potenziale delle composizioni musicali su misura e del linguaggio sul benessere degli australiani più anziani nati in Italia che convivono con la demenza. Lo studio pilota, qui discusso, è stato condotto all'interno di una rete già consolidata della comunità italiana di Adelaide (Marino 2012, 2019, 2020a), in una struttura di assistenza agli anziani. La raccolta dei dati è stata molto complessa a causa delle restrizioni dovute al Covid-19 in vigore al momento, poiché ai partecipanti era disponibile solo un accesso intermittente.

Il presente progetto, sebbene parzialmente influenzato dalle idee relative alla musicoterapia, è un approccio di "cura centrata sulla persona" (PCC) (Koren 2010; Edvardsson et al.2010) sotto l'egida dell’"impegno artistico" (Davies et al.2016). Quantunque riconosca la nozione di 'Sound Identities' di Benenzon (1998), il 'musicing' di Elliott (1995) e l'approccio di Caneva (2007), questo studio differisce dai validi e precedenti approcci alla musicoterapia, che di solito utilizzano melodie ben note, coinvolgono pazienti non migranti e che risiedono in strutture psichiatriche.

A differenza degli studi precedenti, infatti, il modus operandi del presente lavoro si concentra sugli immigrati in Australia e dà rilevanza al genere musicale preferito di ogni partecipante ed alla sua lingua di origine; si basa, segnatamente, sulla creazione di una composizione musicale, su misura per il partecipante, il cui testo ne riflette, fra l’altro, la personale esperienza migratoria che, attraverso l’ascolto, dovrebbe essere facilmente evocata nella sua mente (Marino 2012).

Per iniziare, vengono raccolti i dati sul partecipante, successivamente si sviluppa il testo della canzone, preferibilmente insieme al partecipante stesso o, se ciò non è possibile, con l’ausilio della sua famiglia; determinante è la co-scrittura dei testi insieme (co-musica). Comusichiamo, infatti, è il neologismo che mette insieme i termini comunicare e musicare. L'obiettivo è creare un "paesaggio sonoro" dei ricordi rilevanti del partecipante che ne migliorino la comunicazione, attraverso la musica e le ipsissima verba del vissuto dei partecipanti, i ricordi autobiografici, che mirano a stimolare emozioni attraverso racconti musicali.

Una volta costruito il componimento, l’autore e il partecipante lo ascoltano insieme: si osservano le reazioni, il coinvolgimento emotivo attraverso le espressioni del volto e dei movimenti manifestati durante le varie sessioni, l’ultima delle quali consiste in conversazioni informali in cui vengono poste domande relative al testo della canzone.

La raccolta dati di questo studio è stata guidata dalle seguenti domande chiave:

C’è una rilevanza o nesso tra la composizione di canzoni adattate culturalmente ed il benessere della persona CaLD che convive con demenza?

Nel caso di risposta affermativa, in che misura questa pratica può:

  • attivare la memoria culturale
  • facilitare l'impegno sociale e l'attività mentale
  • migliorare il benessere delle persone CaLD che convivono con demenza

I partecipanti di questo studio sono stati tre anziani CaLD: Giuseppe, 87 anni, che vive in una struttura di assistenza per anziani, in stadio avanzato di demenza; Antonina, 85 anni, che vive a casa con il marito, in una fase precoce di demenza e Gino, 85 anni, che vive in casa con la moglie e frequenta periodicamente un centro per anziani.

Il presente lavoro analizza solo i dati di Giuseppe.


Caso studio di Giuseppe

Giuseppe è stato partecipante ad un precedente studio dello scrivente nel 2014 (Marino 2020b) con il quale ho mantenuto un costante rapporto.

Vedovo dalla fine degli anni '80, emigrato in Australia all'età di 18 anni da P.S., un piccolo villaggio rurale situato a 60 chilometri dalla città di Reggio Calabria.

Quando l'ho incontrato per la prima volta, era molto attivo all'interno della comunità italiana di Adelaide, interveniva a numerose celebrazioni comunitarie che organizzano raduni e feste, amava ascoltare e ballare la tarantella.

Nel 2019 viene ricoverato per due settimane in ospedale a causa di un'infezione polmonare, dopo una diagnosi di demenza è stato trasferito presso una struttura di assistenza agli anziani. Quando sono andato a trovarlo lì per la prima volta, non mi ha riconosciuto.


I seguenti dati sono estratti dalle note etnografiche raccolte sul campo nel gennaio 2020.

[…] Vedo Giuseppe seduto su una sedia, insieme a un gruppetto di anziani residenti (sei donne e due uomini), che guardano la tv. Giuseppe è l'unico italiano insieme ad una signora che parla in inglese con la donna seduta accanto a lei.

Un'infermiera mi vede, si avvicina e gli chiede: “Giuseppe, your friend is here, are you happy?” [Giuseppe, il tuo amico è qui, sei felice?].

Giuseppe non risponde e l'infermiera dice: "Giuseppe does not speak English, and here no one speaks Italian” [Giuseppe non parla inglese e qui nessuno parla italiano]. Le rispondo che Giuseppe conosce l’inglese discretamente, visto che è emigrato in Australia da giovane. L'infermiera alza le spalle e se ne va.

Giuseppe non riceve visitatori, nessuno tra gli operatori parla italiano, non riesce ad interagire, non comunica.

È l’ora dei pasti e devo lasciare la struttura. [...]


Quello che segue è un estratto dalle note di campo, dopo una settimana:

[…] Trovo Giuseppe seduto su una sedia a rotelle, presenti le stesse persone della volta precedente, tutti davanti alla TV. Nessuno parla, alcuni dormono sulle loro sedie.

Nonostante stia guardando lo schermo televisivo, lo sguardo di Giuseppe è assente.

Voglio interagire con lui. Mi avvicino abbastanza da spingere lievemente la sua sedia a rotelle, sembra molto intimidito. Comincia a piangere.

Un'infermiera interviene e ci accompagna nella sua stanza.

Mi siedo un po’ distante, con tono basso e rassicurante gli chiedo (in inglese) come sta. Non risponde. Mi guarda con occhi spaventati.

Non appena l'infermiera esce dalla stanza, gli chiedo in dialetto calabrese: "Don Peppinu, comu iamu?" [Sig. Giuseppe come va?]. Sto usando il titolo don per fargli sentire un termine che gli è familiare poiché essere così appellati è molto in uso e apprezzato dalla gran parte degli anziani calabresi.

Ora sto parlando in calabrese. Anche se non risponde, noto che lo sguardo ha una luce diversa, sembra interessato.

Cito il suo paese, P.S., Giuseppe inizia a piangere, dopo pochi istanti, con voce flebile, dice (in calabrese) "nessuno viene a trovarmi". [...]


A causa delle restrizioni dovute al Covid-19, per diverse settimane non mi è stato possibile accedere alla struttura, pertanto ho deciso di utilizzare l’anamnesi di Giuseppe (raccolta nel mio studio precedente) per creare un componimento musicale sulla sua persona.


Nel 2014, in casa di Giuseppe, lo intervistavo sulla sua identità etnica; mi raccontava la sua storia mentre sorseggiavamo un caffè preparato da lui (Marino 2020b).

Di seguito un estratto dalle note sul campo che lo riguardano:

Sono a casa di Giuseppe […] nel soggiorno ci sono esposte le foto del suo paese P.S., vedo l'emblematico castello normanno, edificato in cima ad una enorme roccia, chiamato, appunto, u casteddu da Rocca [il castello della roccia], simbolo del suo villaggio.

Giuseppe mi racconta che, quando aveva circa 8 anni, proprio nei pressi del castello è stato preso a calci da un asino che era legato ad una palina segnaletica, dopo che lui gli aveva tirato la coda. Mi mostra le foto della chiesa di San Sebastiano, situata nta chiazza (la piazza principale del paese).

Era lì, dice, che giocava con i suoi migliori amici, Carmelo e Umberto, quando era bambino.

[...]

Ricorda che, sempre in quella piazza, tutte le domeniche vedevano Don Pietro, il mafioso del paese, uscire dalla chiesa, impettito e ben vestito, salutato da tutti, compresi loro.

Noto quanto sia divertito e orgoglioso del suo background italiano.

[...]

Sta scherzando in battuta alla mia domanda in calabrese: 'Allura?' [Colloquialmente: cosa stai combinando?], con la sua solita risposta spiritosa divenuta tra noi una gag: 'sessanta minuti' mentre mi mostra il polso come per indicare l’ora (il termine calabrese allura suona come l'italiano all'ora).

[...]

Continuiamo a scherzare fingendo di fare boxe e lui tiene alta la guardia, pavoneggiandosi nella posa da combattimento. Questo sembra un pretesto per iniziare a ricordare i tempi duri, di quando doveva combattere contro i "cancaruni mbriachii" (cancaruni è il nomignolo con cui gli immigrati calabresi chiamavano gli australiani) che, ubriachi ed in cerca di guai, lo apostrofavano offensivamente con nomi come "dago".

Questo avveniva negli anni '60 nel Queensland settentrionale dove, per diversi mesi, Giuseppe ha lavorato come tagliatore di canne quando era in costruzione la ferrovia locale.

A questo proposito, dice spesso: "La mia vita è stata principalmente tagliare canne e uccidere serpenti". [...]


Comusichiamo: composizione musicale, discussione e risultati

Poiché Giuseppe si trova in uno stadio avanzato di demenza, non ha famigliari ad Adelaide che possano fornirmi la sua anamnesi e le restrizioni del Covid-19 mi hanno impedito di interagire con lui, ho preparato il testo per la sua canzone attingendo ai racconti sul suo vissuto che io stesso avevo precedentemente raccolto. Nel testo è incluso il suo nome, quello della città natale, dei suoi amici d'infanzia, alcuni luoghi rilevanti della giovinezza in Italia ed il lavoro in Australia. Per quanto riguarda il genere musicale, ho composto una tarantella, motivo folcloristico spesso suonato in Calabria, sapendo quanto lo amasse ascoltare e ballare. Ho incluso anche le ipsissima verba, ossia le sue stesse parole tratte dalle nostre conversazioni.

Quando le restrizioni causate dal Covid-19 sono state allentate, sono tornato a trovare Giuseppe nella struttura per fargli ascoltare dal vivo la canzone composta su misura per lui. Ai primi accordi non ha mostrato alcun interesse, ma non appena il canto è iniziato ed ha sentito le prime parole nel dialetto calabrese, ha piegato il corpo in avanti e mi ha guardato con gli occhi spalancati finché, nel momento in cui venivano nominati i suoi amici, ha iniziato a piangere.

Finita l’esecuzione del brano gli ho chiesto se gli era piaciuto e lui ha risposto: ”È bella! Bravu”, gli ho domandato se desiderava riascoltarla ed ha risposto di sì. Questa volta il suo corpo ha oscillato dolcemente, ritmicamente, seguendo la musica ed ha pianto di nuovo.

Dopo avergli fatto ascoltare la canzone due volte, ho iniziato a domandargli della sua città natale, dei suoi amici e delle sue esperienze lavorative in Australia. Mi ha risposto brevemente e si è messo nella posa di guardia quando gli ho simulato il combattimento. Poi ha indicato la mia barba, facendo il gesto della rasatura e mimando il verso della capra.

Conclusa la sessione di musica, mentre eravamo nell'area comune, si avvicina un altro ospite, si ferma davanti a noi ed indicandomi dice in inglese: "È un brav'uomo" e Giuseppe, in dialetto calabrese, gli risponde: "Fatti i cazzi toi". Poi, confidenzialmente, mi dice che quelle persone non sono amichevoli, mi chiede se posso restare a cena e vuole sapere quando tornerò a trovarlo.

I dati documentano che Giuseppe ha manifestato un sorprendente miglioramento della sua comunicazione; dopo aver ascoltato la ‘sua’ canzone ha risposto alle mie domande sulla sua storia, ha mostrato un crescente interesse per il mio strumento musicale e sembrava divertirsi al suono ed alle parole. Attraverso il movimento del corpo e le espressioni facciali ha espresso emozioni, sembrava essere rientrato nel suo " Sé originario”, il caratteristico senso dell'umorismo era riemerso facendogli fare i consueti gesti e battute del passato.

Si è osservato che tra gli elementi chiave che possono attivare la memoria ci sono i nomi: quello del proprio luogo di origine, dei componenti della famiglia e degli amici; importante chiedere loro dei primi lavori svolti all’arrivo in Australia, della vita coniugale e dei figli; grande rilevanza ha anche conoscere e interpretare nel genere musicale preferito ed interagire nella sua prima lingua.

Appare evidente, infatti, che le ipsissima verba di un partecipante agiscono sull’attivazione della memoria, stimolano il coinvolgimento successivo facilitando le interazioni, perciò, le loro parole non solo dovrebbero essere presenti nei testi musicati, ma dovrebbero anche essere incluse durante le conversazioni nelle visite sociali (in special modo le frasi da loro usate quando narravano il proprio vissuto) in quanto riflettono il processo di memoriter, quindi stimolano a raccontare i ricordi e possono contribuire a suscitarne di nuovi, portando i partecipanti a parlare di più della loro vita. I dati evidenziano notevoli cambiamenti positivi, compresi i progressi nella comunicazione e, nel caso di Giuseppe, si è riscontrata la riattivazione della personalità.

In conclusione, si può affermare che, dai risultati ottenuti, il presente studio pilota ha dimostrato che la musica, in particolare i componimenti su misura per la cultura e l’utilizzo della propria prima lingua, possono svolgere un ruolo significativo nel migliorare il benessere e la qualità della vita dei soggetti CaLD con demenza.


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