Volume 24 - 9 Settembre 2022

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I ragazzini dimenticati ai tempi della pandemia

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Ricevuto il 26/01/22 – Accettato il 28/02/22


“Molte delle difficoltà che i bambini incontrano quando entrano a scuola derivano da una immaturità biologica e da un inadeguato sviluppo psicologico (“problemi psicomotori”), causati dalla mancanza o dall’insufficienza di attività sensoriali e di attività corporee generali, mancanza che non ha consentito al bambino di assimilare conoscenze significative su se stesso e sul mondo che lo circonda. Questa mancanza o insufficienza di esperienze è spesso determinata dall’impossibilità dei bambini di oggi di giocare liberamente, da soli o in gruppo, con giocattoli adeguati. E il miglior giocattolo in assoluto sono proprio gli “spazi aperti”, quelli senza sovrastrutture, e le “strade libere”. E’ con questi giocattoli che diamo possibilità di movimento, di socializzazione e di scarica di energie represse”. (A. Manzi 1988) “Il cortile. Cos’era il cortile? Il posto sicuro dove i bambini si incontravano, giocavano, il luogo di un primo e importante passo verso la socializzazione di quartiere, che completava l’incontro prima all’asilo e più tardi a scuola. Che cosa chiediamo noi psichiatri e psicologi dell’età evolutiva? Gioco all’aperto in totale sicurezza: se non si faranno i cortili, si pensi almeno a spazi sicuri per giocare, ampli e recintati tra i palazzi”. (G. Bollea 1998)


Abbiamo dimenticato i ragazzini. Ci siamo dimenticati di una parte dei nostri concittadini più giovani, in particolare quelli dai 6 ai 13 anni d’età, che pure sono una porzione cospicua, per quanto in riduzione progressiva, della popolazione residente delle grandi e delle piccole città. Non pensavamo più a loro già prima della pandemia. Sono scomparsi dai decreti e dalle ordinanze del governo. Ora sono l'ultimo dei nostri pensieri.

Eppure i ragazzini, in età di latenza e preadolescenti, ci vivono accanto, silenziosi, attenti, pronti a cogliere, nonostante le mascherine impediscano di percepire la mimica facciale, il minimo segnale di disponibilità di noi adulti, tutti presi dai nostri desideri e dalle nostre preoccupazioni.

In città, quando è loro concesso di uscire, i più piccoli hanno a disposizione i parchi-giochi, le zone attrezzate, i gonfiabili, le giostre. Girano per le vie in compagnia dei genitori, tutt’al più pedalando su piccole bici o inforcando improbabili veicoli elettrici, per brevi tratti (e non sulle ciclabili che sono spesso inadatte). I più grandi hanno, anzi avrebbero avuto se il COVID non li avesse cancellati, le possibilità e gli interessi tipici dell’adolescenza: gli appuntamenti con la comitiva, lo struscio lungo le strade del centro, i motorini, le feste, i bar.

Quelli, invece, che frequentano le scuole elementari e le scuole medie quasi non li vediamo più. Se non sono a scuola, sono in DAD, a volte impotenti davanti a strumenti inadatti con connessioni assenti o malfunzionanti (almeno uno su quattro). Nel pomeriggio, i più fortunati sono alla scuola-calcio o alla scuola-basket, o a musica, o a danza, sempre che le attività abbiano ripreso dopo il lock-down e il coprifuoco successivo. Se lo sport non ha riaperto o è diventato troppo competitivo, come avviene solitamente a 11-12 anni d’età, sono a casa, sul divano o a letto, incollati ai videogiochi, al computer, alla tv o, soprattutto, al cellulare, per ore, da soli. A volte (ma anche queste sono pratiche in via di estinzione) escono di casa per qualche breve commissione, con il cellulare in mano.

Eppure, i ragazzini dovrebbero stare tra loro, insieme, meglio se all’aria aperta, e in gruppo, perché è nel gruppo che si realizza appieno il loro sviluppo, perché è solo nel gruppo che possono crescere le loro competenze relazionali e sociali.

Prima è l’adulto ad essere indispensabile, con la sua capacità genitoriale. Poi la pubertà e la maturazione genitale renderanno diverse le amicizie, possibili gli innamoramenti, necessarie le originalità adolescenziali. Ma tra i 6 anni, l’età in cui i bambini entrano a scuola, e i 13 anni, l’età in cui i ragazzi varcano l’ingresso delle scuole superiori, a dominare è il gruppo. Che si tratti di maschi o di femmine, il focus delle relazioni interpersonali si sposta dalle figure genitoriali e dall’ambito familiare agli adulti e ai coetanei dell’ambiente esterno. I gruppi di gioco informali, tipici delle età precedenti, divengono (dovrebbero divenire) più coesi e organizzati, progressivamente più orientati a scopi specifici, anche per il crescente conformismo dei componenti. Le figure adulte (gli insegnanti) assumono le funzioni dei modelli di identificazione che nella fase precedente appartenevano prevalentemente ai genitori. E le interazioni nel gruppo dei coetanei influenzano la personalità, modificandola in svariati settori, dalla percezione di se stesso, al senso di individualità, ai modi di stabilire i contatti con gli altri.

E il gioco? Il gioco continua ad essere essenziale per una crescita sana, perché con il gioco si sviluppano la creatività, l’invenzione e la ricerca, insomma l’intelligenza; in particolare, resta fondamentale il gioco spontaneo e naturale che si esprime nello spazio libero, a contatto diretto con l’ambiente e le cose concrete, da soli o insieme ad altri; solo questo gioco è didattico, perché fornisce conoscenze e apprendimenti attraverso modalità di auto-educazione, la cui potenza si basa, da una parte, sulla forte motivazione intrinseca data dalla libera scelta e dal piacere (del gioco), dall’altra sul fatto che si tratta di esperienze vissute attraverso modalità attive e non trasmissive; è grazie a questo tipo di gioco che il ragazzino scopre se stesso e le sue capacità, muove il suo corpo, tocca, sente, disfa, prova e riprova, conquistando e organizzando lo spazio, strutturando il concetto di tempo, precisando le relazioni tra sé e gli altri, tra sé e le cose, pensando.

Ma come tutto questo può realizzarsi se i ragazzini vivono la maggior parte del tempo a scuola o chiusi in casa, nelle loro camerette, da soli, desolatamente di fronte agli schermi illuminati? Se non hanno più occasioni né spazi per stare insieme e giocare tra loro? Come può realizzarsi se la pandemia ha ulteriormente limitato la loro libertà di azione, le loro possibilità di movimento, se gli spazi e il tempo necessari per soddisfare i loro bisogni sono concessi con sempre maggiore difficoltà da genitori troppo occupati e troppo preoccupati?

Perché è questo che dovrebbe accadere e non accade più. I ragazzini dovrebbero avere a disposizione spazi liberi, preferibilmente all’aria aperta, dove giocare in sicurezza. Basta pensare alle spiagge in luglio e agosto. Lì sì che i ragazzini sono e si sentono liberi di esprimersi. I gruppi, prima dello stesso sesso, poi misti, si fanno e si disfano, in continuazione. Si gioca con le racchette, con il pallone da pallavolo, a calcio in spiaggia libera, poi di nuovo a beach tennis, in una girandola di attività, in cui i maschi e le femmine si mescolano e si dividono, senza soste, senza risparmio di energie, sempre insieme. Come deve essere.

Ma alla riapertura delle scuole tutto finisce, riprende la routine e ripartono le limitazioni imposte dalla pandemia. E ci dimentichiamo nuovamente di loro, dei nostri ragazzini, chiusi nella gabbia delle attività o a casa, comunque privati dei loro spazi naturali, nell'attesa di una normalità che non sarà mai come prima. Mentre i loro bisogni “psicomotori” restano immutati, oggi come ieri, virus o non virus.

Ecco allora la proposta: realizziamo alcune aree libere, pensate per loro; delimitiamo alcune zone erbose, dove si possa giocare con la palla, ma anche correre in libertà, senza rischi; ripristiniamo alcuni campetti attrezzati, con le porte da calcio, con i canestri, con le reti da pallavolo, ma a libero accesso (non occupati militarmente da società sportive); liberiamo alcuni piani pavimentati e privi di sovrastrutture, dove i ragazzini possano divertirsi con giochi antichi o moderni. Ed affidiamo questi spazi dedicati, per la nostra tranquillità, ai volontari, agli anziani, ai nonni, ai genitori disponibili, con mere funzioni di controllo (distante).

Ci vuole poco, forse niente, perché le nostre città, magari già belle ed accoglienti, possano diventare anche città “a misura di ragazzini”.

Lo sviluppo è, in definitiva, una auto-costruzione che si realizza in un ambiente. E l’ambiente, fino a prova contraria, è sotto la responsabilità di noi adulti.

26-1-2022