Volume 23 - 10 Maggio 2022

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Quali indicazioni dalla crisi pandemica? Il punto di vista degli operatori

Autori

Ricevuto il 1 novembre 2021 – Accettato il 30 novembre 2021



Riassunto

La prima fase della pandemia COVID-19 ha avuto un forte impatto sul sistema sanitario italiano, coinvolgendo anche i Dipartimenti di Salute Mentale, che hanno subito importanti cambiamenti. I Centri di Salute Mentale Comunitari, in particolare, hanno ridotto drasticamente le loro attività, limitando il loro impegno al trattamento delle situazioni e dei casi più gravi.
Per meglio comprendere cosa stesse accadendo all'interno dei servizi di salute mentale e quali fossero le conseguenze per gli utenti e gli operatori, la WAPR Italia ha predisposto un questionario ad hoc che ha permesso di raccogliere un'ampia gamma di opinioni. Dal 28 aprile al 31 maggio 2020 il questionario è stato disponibile sul sito della WAPR Italia ed è stato compilato da 1046 professionisti di diversi servizi pubblici e del terzo settore.
Gli autori presentano i risultati di tale questionario che riguardano principalmente i seguenti temi: quali cambiamenti possono essere utili in futuro, come si sono sentiti i professionisti in quel periodo, il rapporto con gli utenti, la condizione soggettiva degli utenti dovuta alla riduzione delle attività di servizio.
Gli operatori hanno espresso apprezzamento per un uso più ampio e consolidato delle tecnologie digitali, in particolare per la possibilità di monitorare a distanza le persone con gravi disturbi mentali. Sembrano inoltre aver colto gli aspetti positivi legati al cambiamento, cosicché la discontinuità nel consueto modo di lavorare ha facilitato l'assunzione di una nuova prospettiva e di una nuova definizione di ciò che conta davvero per le persone. Gli utenti che vivevano soli, piuttosto che quelli con una diagnosi più severa, erano quelli che destavano maggiore preoccupazione, sottolineando l'importanza delle condizioni di vita nella comunità.
Dato il prolungarsi della pandemia e delle misure ad essa associate, la nostra conoscenza dell'impatto della pandemia sui servizi di salute mentale è ancora insufficiente. Occorrono ulteriori studi che impieghino indicatori di processo e di esito oggettivi e coinvolgano utenti e familiari.


Abstract

The first phase of the COVID-19 pandemic had a strong impact on the Italian health system, involving also the Mental Health Departments, that for this reason have undergone important changes. The Community Mental Health Centers, especially, drastically reduced their activities, limiting their commitment to acute and more serious care.
In order to better understand what was happening in the mental health services and what the consequences were for service users and staff, the Italian Branch of WAPR developed an ad hoc questionnaire that allowed to collect a wide range of opinions. Between April 28 and May 31 2020, the questionnaire was available on the WAPR Italy website and it was completed by 1046 professionals from several public and third sector services.
The results of this survey mainly concern what changes may be useful in the future, how the professionals felt in that period, the relationship with the users, the subjective condition of users due to the reduction of the service activities.
The professionals expressed appreciation for a wider and consolidated use of the digital health technologies, particularly for the possibility of monitoring people with severe mental disorders remotely. They seem to have embraced mostly the positive aspects linked to the change, so that the discontinuity in the usual way of working facilitated the assumption of a new perspective and a new definition of what really matters to people. The condition of living alone of the users rather than the diagnosis was evaluated as problematic, underlining the importance of living conditions in the community.
Given the long duration of the pandemic, our knowledge of its impact on mental health services is still insufficient and we need further studies that employ objective process and outcome indicators and involve users and family members.


Introduzione

Risulta oggi difficile, a distanza di poco più di un anno, ripensare le condizioni di vita che si sono verificate nel nostro paese nel corso della prima ondata pandemica. Il riferimento è ovviamente all’impegno profuso dal Servizio Sanitario Nazionale nelle sue varie articolazioni e nel contempo ai comportamenti imposti dal lockdown nei termini di chiusure, di isolamento e del venir meno delle reti sociali e affettive. Eventi emergenziali la cui gravità era acuita dalla repentinità con cui si sono manifestati e dalle carenti conoscenze scientifiche che li accompagnavano.

Nonostante l’incertezza e l’impotenza di alcune scelte istituzionali e lo stato di preoccupazione degli operatori sanitari, in quei primi mesi di pandemia il Servizio Sanitario Nazionale ha risposto con grande energia ai nuovi bisogni clinico-assistenziali che l’Italia, prima in Europa, ha dovuto affrontare. Ciò ha significato mettere in atto da parte delle strutture sanitarie cambiamenti organizzativi e innovazioni tecniche che segnavano una netta discontinuità con la prassi e le procedure seguite fino a quel momento.

Anche i Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) sono stati coinvolti in questo processo trasformativo che ha riguardato primariamente i servizi di comunità e ha in qualche misura interessato i reparti ospedalieri e le strutture residenziali con un impatto rilevante sulla vita degli utenti e dei loro familiari, privati di quei supporti relazionali e sociali che hanno un ruolo centrale nella presa in carico di persone con disturbi mentali. Sulla base di una rilevazione effettuata dalla Società Italiana di Psichiatria (nota 1), le strutture semiresidenziali hanno registrato un numero di chiusure pari all’incirca all’80% mentre per i Centri di Salute Mentale l’interruzione dell’attività ha riguardato meno del 20% con una riduzione delle prestazioni e dell’orario di apertura che raggiungeva il 30%. Il 13% dei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura è stato trasformato in reparti COVID e la disponibilità dei posti letto si è ridotta del 30% (Carpiniello, 2020). Le strutture residenziali riabilitative si sono caratterizzate per una sostanziale stabilità anche se gli spostamenti e i rapporti dei pazienti con i familiari hanno subito significative restrizioni (de Girolamo et al., 2020).

La complessiva riduzione degli interventi in presenza ha favorito, come in altri paesi, il diffondersi di interventi con tecnologie digitali, in particolare di metodologie sincrone che prevedono la comunicazione diretta tra utente e operatore. Ciò ha consentito, tra le altre cose, il monitoraggio della condizione clinica, il sostegno alle attività domestiche e in generale il proseguimento della presa in carico (Meloni et al., 2020). Inoltre sono stati implementati gli interventi psicologici a distanza che hanno permesso di proseguire trattamenti già avviati prima della pandemia e di intraprenderne di nuovi, basandosi su procedure utilizzate da tempo in altri paesi per ovviare ai problemi logistici connessi con l’attuazione delle psicoterapie (Russell, 2015). Seppur con qualche incertezza iniziale, dovuta almeno in parte alle carenze tecnologiche dei servizi, il lavoro a distanza ha avuto un ruolo centrale nell’attività dei CSM e costituisce oggi un interessante lascito dei primi mesi di pandemia.

Un ulteriore dato rilevante riguarda i ricoveri in SPDC che nei primi mesi del 2020 sono drasticamente diminuiti rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, siano essi volontari che in TSO (Clerici et al., 2020; Saponaro et al., 2020). Sta di fatto che guardando ai primi drammatici mesi di pandemia con quella distanza temporale che permette una visione più ampia, è possibile rilevare come i DSM, nonostante il venir meno delle condizioni necessarie a effettuare i trattamenti comunitari, abbiano comunque garantito un’accettabile continuità assistenziale (Fioritti, 2021). Risulta quindi di particolare interesse cercare di cogliere gli aspetti più significativi dell’operatività dei DSM in questa fase, guardando al modo di farsi carico delle ricadute della pandemia sugli utenti, gli operatori e la popolazione generale (Holmes, 2020).


Metodi

L’intento di questo contributo è quello di presentare i mutamenti più significativi intercorsi nelle prime settimane di pandemia attraverso il punto di vista degli operatori, tentando di cogliere quegli elementi di cambiamento che possono essere accolti proficuamente nella pratica quotidiana e costituiscono dei suggerimenti programmatici su cui riflettere.

A tale scopo abbiamo elaborato un questionario che includeva una prima parte relativa alle caratteristiche sociodemografiche, al ruolo professionale e alla sede di lavoro, e una seconda parte costituita da otto domande a risposta multipla inerenti le opinioni degli operatori. Le domande 1, 2, 3 e 5 (Tab. 1) riguardavano i cambiamenti intervenuti all’interno dei servizi, la loro gravosità come pure l’utilità, sia in quel periodo che in un futuro post-pandemico. La quarta cercava di dar voce allo stato soggettivo di coloro che rispondevano, mentre le ultime tre (6,7,8) sollecitavano una valutazione del rapporto con gli utenti e delle ricadute della pandemia sulla vita di questi ultimi.

Tabella 1

Nel periodo marzo-aprile 2020 numerosi DSM di tutta Italia sono stati contattati dai membri dell’Associazione per informare dell’iniziativa.

Il questionario è stato accessibile sul sito della WAPR Italia dal 28 Aprile al 31 maggio 2020 e gli operatori di qualunque servizio potevano accedervi liberamente.


Risultati

Sono stati raccolti 1.046 questionari compilati da operatori attivi nei DSM e nelle strutture del Terzo Settore di 10 regioni, prevalentemente del Nord Italia. Il 72% era costituito da donne e il 42% da figure professionali operanti all’interno dei Centri di Salute Mentale, mentre la fascia di età più rappresentata (50%) era quella tra i 46 e i 60 anni. Tra coloro che hanno risposto, il 19% erano medici, l’11% psicologi, il 23% educatori/TERP e il 25% infermieri. Se per le prime due figure professionali le proporzioni sono in accordo con quelle a livello nazionale riportate dal Sistema Informativo per la Salute Mentale (SISM) (rispettivamente 18,5% e 7%), per gli educatori si registra invece una presenza superiore (7,5% dati SISM) e per gli Infermieri, all’opposto, inferiore (44,7% dati SISM) (Tab. 2).

Tabella 2

Gli operatori hanno manifestato un atteggiamento positivo rispondendo in larga maggioranza (63%) che si sentivano utili e che quanto stava accadendo avrebbe potuto favorire cambiamenti interessanti; di converso valutazioni negative (“non mi sento utile”, “temo di non farcela”) costituivano il 12%. Lavorare con la preoccupazione per le condizioni di salute personali e dei propri familiari come pure far sentire un adeguato sostegno ai pazienti costituivano le maggiori preoccupazioni dei rispondenti (46%) che in percentuale nettamente inferiore (16%) fornivano risposte negative quali “Sento di non essere abbastanza utile” o “Sostenere la preoccupazione per alcuni pazienti gravi”.

Alla domanda sull’utilità in futuro dei cambiamenti intervenuti, quasi la metà del campione (43%) dava rilievo alle tecniche di supporto a distanza senza tralasciare “la presenza di chiare indicazioni operative” (18%) e l’aver posto un limite alle richieste dei pazienti (17%). Interrogati su cosa si sarebbe potuto fare per affrontare in modo più adeguato la situazione, gli operatori mettevano in primo piano la capacità di modulare le attività secondo le specifiche condizioni di ogni servizio (39%), mentre soluzioni organizzative quali l’assunzione di nuovo personale o il mettere in sicurezza il personale fino a prevedere il blocco dell’attività venivano indicate, rispettivamente, dal 5% e dal 10% dei rispondenti.

Rispetto al tema cruciale del rapporto con i pazienti, gli operatori ritenevano che si fosse modificato - con alcuni (40%) o con tutti (16%) -, apprezzavano la riduzione degli aspetti routinari (32%) e condividevano con loro la preoccupazione per la pandemia (22%). Infine, coloro che vivevano da soli erano visti come i pazienti che maggiormente stavano soffrendo per le conseguenze del lockdown e di tutte le vicende pandemiche (38%), ancor più delle persone con diagnosi di disturbo psicotico (6%) o depressivo e bipolare (16%).

Gli operatori di età >60 anni, con maggiore frequenza dei più giovani, hanno evidenziato come aspetto più problematico il dover cambiare modalità di lavoro. Inoltre i più giovani hanno espresso in maggior misura il desiderio di fare di più e il non sentirsi abbastanza utili riferendo, più spesso degli operatori meno giovani, la percezione di un cambiamento nel rapporto con gli utenti.

Tra gli operatori, le poche differenze hanno riguardato gli infermieri che, rispetto a medici ed educatori, hanno riferito come meno importante il supporto a distanza e l’adozione delle tecnologie per la comunicazione e come più utile il limite imposto alle richieste degli utenti e alle prestazioni degli operatori.

Vi erano poche differenze anche tra le tipologie di servizio. Tuttavia, nessun operatore delle strutture residenziali ha riferito di valutare i cambiamenti intervenuti come potenzialmente utili per il futuro, rinviando l’immagine di strutture che hanno mantenuto una maggiore stabilità operativa durante il periodo preso in esame.


Discussione

Gli operatori che hanno risposto spontaneamente al questionario rappresentano un campione di convenienza, la cui rappresentatività della popolazione degli operatori dei servizi di salute mentale è incerta. È possibile che, trattandosi di un campione non casuale, si siano selezionati operatori disponibili a interrogarsi sul proprio operato e più in generale su quello dei servizi. Ci rassicura, tuttavia, che le proporzioni di operatori che hanno risposto siano sovrapponibili a quelle della popolazione generale degli operatori dei servizi di salute mentale, in particolare di medici e di psicologici. Inoltre, la possibilità di rispondere “altro” e specificarne i contenuti diversi da quelli delle opzioni di risposta previste ha evidenziato come queste ultime non fossero sempre esaurienti, suggerendo l’opportunità di una verifica della tenuta del costrutto sottostante il questionario e della sua formulazione.

La problematicità del lavoro nel periodo pandemico sembra derivare da tre diverse condizioni: la preoccupazione che gli operatori avevano per la propria salute e per quella dei rispettivi familiari, la volontà di fornire, anche in una fase così complessa, un adeguato supporto ai pazienti che ne avevano bisogno e nel contempo la necessità di adottare nuove modalità di lavoro. Gli operatori mostrano una certa consapevolezza che lo stato emergenziale, insieme a questioni specifiche della pandemia, ha imposto elementi di novità che venivano a calarsi in realtà organizzative consolidate e il cui interesse andava al di là della crisi contingente. In effetti, interrogati su come si sentivano al lavoro, gli operatori, per un terzo, sceglievano la risposta che individuava negli eventi connessi alla pandemia anche l’opportunità di cambiamenti validi per il futuro.

Tra le modificazioni introdotte, la più utile è risultata l’attività di supporto a distanza che ha anche evidenziato, in più di un servizio, la necessità di ammodernamento tecnologico. Internet e le tecnologie digitali da tempo sono discusse nel campo della salute mentale e il loro utilizzo ha subito un’accelerazione proprio a seguito del lockdown e delle regole di distanziamento imposte dalla pandemia. Come documentato in altri lavori (Lattie et al., 2020; Mishkind et al., 2021), la loro diffusione pone alcune questioni problematiche in merito alla salvaguardia della privacy, all’efficacia, alle modalità di coinvolgimento degli utenti, all’integrazione nella pratica clinica, e queste dovranno essere puntualmente affrontate. Per favorire una corretta implementazione dei vari dispositivi si renderà necessario un adeguamento dei contesti di cura e la definizione di norme che aumentino la fiducia di utenti e operatori e creino le condizioni per un uso non emergenziale di tali strumenti. Ci sono comunque varie linee di ricerca che supportano questa nuova modalità operativa per quello che concerne il monitoraggio sia attivo che passivo dei sintomi e di altri dati comportamentali a distanza, col fine di segnalare il bisogno di intervento, migliorare le decisioni cliniche e individuare precocemente il rischio di ricadute (Torous, 2021).

La maggioranza degli operatori si è sentita utile o coinvolta in una fase che potrebbe aprirsi anche a positivi mutamenti. Pensando al futuro gli aspetti giudicati più interessanti sono stati quelli relativi al supporto a distanza e in generale alle nuove tecnologie e in egual misura quelli che riguardavano la più attenta definizione degli interventi e la maggiore responsabilità da attribuire ai pazienti. Con questi ultimi il rapporto è risultato meno routinario e la discontinuità imposta dagli eventi è risultata dunque una opportunità per collocare in una diversa prospettiva la storia e i bisogni dei pazienti, come pure le loro preferenze e la tipologia del contesto in cui si trovano a vivere. Grande attenzione va dunque posta all’elaborazione di progetti effettivamente personalizzati che, nel rispetto delle conoscenze scientifiche acquisite, superino la standardizzazione degli interventi e favoriscano effettivi processi di empowerment e di autonomizzazione.

Gli operatori delle strutture residenziali non hanno riportato di avere identificato cambiamenti utili per il futuro, segnalando una maggiore stabilità di queste strutture, ma anche un maggior isolamento dal contesto stesso con cui devono interagire.

Infine gli operatori hanno giudicato che il lockdown costituisse un rischio più per le persone che vivevano sole e meno per coloro che avevano una diagnosi di disturbo mentale grave. È possibile che queste persone siano tra quelle che hanno più difficoltà nell’uso delle tecnologie e che non possano rimanere in contatto con una frequenza sufficiente.


Conclusioni

L’implementazione dell’uso delle tecnologie di comunicazione è senz’altro riconducibile ad un bisogno di ammodernamento e di razionalizzazione del lavoro dei servizi di salute mentale che va accolto, ben sapendo che aspetti qualificanti quali il mantenimento di una sostanziale presa in carico o il monitoraggio della salute fisica non possono prescindere dagli interventi clinici in presenza. È quindi importante che gli interventi vengano adattati al mezzo di comunicazione e che gli operatori si facciano sempre più competenti non solo dal punto di vista informatico, ma anche da quello della diversa modalità di comunicazione che non può perdere i fondamentali aspetti del lavoro relazionale. È probabile che un sistema misto, in cui ai contatti e alle attività svolte in persona si affiancano quelli condotti online, sia la via da tentare nel futuro immediato, in cui andranno tenute presenti le preferenze dei pazienti, spesso preoccupati per la propria privacy e per il rischio che vengano meno prassi consolidate.

L’isolamento sociale e la carenza di rapporti hanno rilevanza nel determinare condizioni di vita che influenzano segnatamente la storia clinica dei pazienti e la loro possibilità di accedere ai servizi sanitari e alle cure. La preoccupazione per le persone sole, più che per la presenza di una patologia grave, è dunque in accordo con la necessità di dare ai determinanti sociali la giusta rilevanza nella presa in carico dei pazienti e nella più ampia riflessione sulla collocazione disciplinare della psichiatria.

Gli operatori sembrano aver colto gli aspetti positivi legati al cambiamento anche se si è trattato di un cambiamento imposto dagli eventi. La discontinuità nel consueto modo di lavorare può aver facilitato l'assunzione di una nuova prospettiva e di una nuova definizione di ciò che conta davvero per le persone. Ne deriva l’indicazione a realizzare, insieme agli utenti, progetti individualizzati in accordo con le loro caratteristiche, preferenze e condizioni cliniche. La prospettiva di far emergere le istanze evolutive di ogni soggetto fa sì che l’attuazione di interventi evidence-based sia necessaria, ma possa risultare insufficiente se questi finiscono per costituire risposte standardizzate, date in modo standardizzato e non personalizzato.

Infine, la pandemia ha mostrato molti volti con ricadute diverse sulla popolazione generale e sui gruppi più fragili che non possono essere sottovalutate e che vanno osservate con attenzione. A questo scopo è senz’altro imprescindibile ascoltare la voce di utenti e familiari, oltre quella degli operatori, e monitorare nel tempo cambiamenti nei processi e negli esiti.


Note

Nota 1:
La rilevazione è stata condotta con un questionario inviato ai 134 DSM italiani e di questi ha risposto il 52,9%.


Bibliografia

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