Volume 21 - 18 Dicembre 2020

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Spazio RIM: un modello esperienziale di presa in carico su adolescenti con ritiro sociale grave

Autore

(Ricevuto il 27 luglio 2020; accettato il 9 ottobre 2020)



Riassunto

In questo articolo viene presentato un fenomeno fino ad una trentina di anni fa considerato raro nella cultura occidentale ma che oggi si sta diffondendo sempre di più fra i giovani adolescenti italiani: l’Hikikomori. Verrà spiegata la nascita di questo fenomeno, l’eziologia, la differenza fra Hikikomori primario e secondario e il tipo di intervento utilizzato nella risoluzione di questa relativamente recente tipologia di disagio. Il modello presentato illustra un approccio multimodale, e si basa su un progetto chiamato “Spazio RIM” che coinvolge più figure professionali e istituzioni, le quali, in un rapporto di stretta collaborazione, contribuiscono a ridurre la sintomatologia e aiutano il giovane paziente a ritrovare la tranquillità e la sicurezza necessarie ad uscire da questa condizione di disagio e sofferenza. Verrà mostrato come questo tipo di intervento sia stato efficace con quattro giovani pazienti che hanno avuto accesso al Consultorio Giovani di Siena e grazie ai quali è partita la sperimentazione del progetto.


Abstract

In this article it is presented relatively rare event until thirty years ago in western culture, but which today is spreading more and more among young Italian teenagers: Hikikomori. The birth of this phenomenon, the etiology, the difference between primary and secondary Hikikomori, and the type of intervention used in the resolution of this relatively recent type of discomfort will be explained. The intervention uses a multimodal approach, and is based on a project called "RIM Space" which involves multiple professionals and institutions, which by collaborating together contribute to reducing symptoms and help the young patient to find the tranquility and safety needed to get out of this condition of discomfort and suffering. It will be shown how this type of Consultorio Giovani in Siena and thanks to whom the experimentation of the project started.


Introduzione

Negli ultimi 30 anni la società del nostro tempo è stata protagonista di notevoli cambiamenti che ne hanno ridefinito le caratteristiche e scandito l’evoluzione, fra tanti il fenomeno degli Hikikomori cheha iniziato ad abitare la fenomenologia del nostro tempo ridefinendo e forgiando un evento sociale che ha interessato adolescenti e giovani adulti. La tendenza delle persone interessate da questo fenomeno è quella di rifiutare ogni contatto con la società e di ritirarsi da ogni tipo di attività sociale (Moretti, 2012). Il fenomeno Hikikomori dagli anni '90 è stato al centro di una considerevole attenzione come nuovo problema sociale in Giappone. Veniva descritto come il fenomeno per cui giovani adulti che si erano diplomati al Liceo o all'Università, o che avevano abbandonato la scuola senza completare la propria istruzione, dunque giovani che non si percepivano come immediatamente in grado di dedicarsi all’attività lavorativa, non cercavano lavoro, piuttosto, interrompevano i contatti con la società e continuavano a vivere nella casa di famiglia. Tali evidenze, hanno sostenuto l’ipotesi, ad oggi ormai accertata, che le fasi di transizione ovvero quelle dei passaggi da una fase di sviluppo ad un’altra, come la conclusione del ciclo scolastico ed il passaggio al contesto lavorativo, rappresentano il momento in cui tale fenomeno si manifesta più frequentemente (Sagliocco, 2011). Questa condizione favoriva la tendenza dei giovani a non avere scambi dialogici con nessuno dei membri della famiglia, portando gradualmente ad una alterazione delle abitudini di vita quotidiana che influenzavano i ritmi circadiani, generando un'inversione del ritmo sonno/veglia tale per cui i ragazzi dormivano durante il giorno per restare svegli tutta la notte. Raramente uscivano di casa per limitate attività come fare shopping nel quartiere (Saito, 2001).
Dagli anni Novanta ad oggi, il fenomeno si è notevolmente diffuso in molte aree del mondo, trovando terreno fertile soprattutto in Europa, e anche in Italia, oggi, si presenta come un fenomeno in silenziosa crescita (Crepaldi, 2019).

Saitō nel 1998 definì l’Hikikomoricome “uno stato di completo ritiro sociale”, con esordio tipico durante l'adolescenza o nella prima età adulta, con predominanza del genere maschile (90%) (Doi T., Saito T., 2003). Nell’evoluzione delle ulteriori ricerche si è definito l’interessamento per una fascia di popolazione che va dai 10 ai 49 anni (Koyama, Miyake, Kawakami, Tsuchiva, 2010). Continuando a crescere nel mondo l'attenzione al fenomeno dell’hikikomori (Abe e Kobayashi 2010; Stip et al.2016), è cresciuta anche l'importanza di stabilire una definizione chiara e coerente del disturbo. Saito (2020) delinea, attualmente, l’hikikomori come una forma di ritiro sociale grave o patologico caratterizzato da uno spiccato isolamento sociale (nella propria casa), continuo di almeno 6 mesi e con una significativa menomazione funzionale o disagio associato. Tale stato, secondo l’autore, può essere definito rispettivamente come lieve (soggetti che lasciano la loro casa 2-3 volte/settimana), medio (lasciano raramente la loro casa, 1 volta/settimana o meno), o grave (raramente lasciano la loro stanza). Gli individui che lasciano la loro casa frequentemente (4 o più giorni alla settimana), per definizione, non soddisfano i criteri per l'hikikomori. Gli individui con una durata di almeno 3 (ma non 6) mesi di isolamento sociale dovrebbero essere classificati come pre-hikikomori (Saito, 2020).

Tuttavia, l’Hikikomori non si mostra essere una diagnosi vera e propria, ma l’espressione sintomatologica di un fenomeno molto vasto, comprendente una molteplicità di sintomi e cause eziologiche che si intersecano lungo il continuum delle tappe evolutive i cui nessi causali, probabilmente, si possono rintracciare già fin dai primi processi di attaccamento (Saito, 2001). In tal senso sono diversi i fattori coinvolti nella spiegazione del fenomeno. Le relazioni intrafamiliari disfunzionali (Malagón-Amor, et al., 2020) e le influenze sociali hanno un'importante influenza sull’insorgenza del disturbo, il cui effetto si manifesta proprio attraverso un ritiro volontario e insindacabile dal mondo delle relazioni in presenza (Furlong, 2008). Di fatto, diversi studi mostrano come la tipologia di attaccamento abbia una forte influenza sullo sviluppo dell’Hikikomori. In particolare, è stata rilevata una frequente associazione fra Hikikomori e attaccamento insicuro-ambivalente, oltre che a ricordi di rifiuto parentale, ad uno stile di relazione da parte del genitore di tipo svalutante, e ad un temperamento timido-inibito (Krieg & Dickie, 2013). Inoltre, alcuni studi hanno rilevato la presenza di un aspetto fusionale con la madre, l’assenza della figura paterna, la presenza di elevate aspettative familiari e la contrapposizione tra ideale di sé e sé reale come ostacolo ai processi di sviluppo (Ricci, 2008, 2009, 2011, 2014).
Dal punto di vista sociale, quest’ultimo svolge un ruolo determinante poiché, in molti casi, questi ragazzi sono maggiormente esposti al rischio di bullismo in una fase della vita in cui, al contrario, il giudizio positivo proveniente dal gruppo dei pari è fondamentale; sono proprio tali condizioni che producono come conseguenza il rifiuto scolastico, l’isolamento sociale, l’auto-reclusione (Hattori, 2005).
Ad aggravare la situazione di questi ragazzi, la componente sociale interviene ulteriormente in maniera significativa poiché il contesto socioculturale moderno spesso non si mostra pronto ad accogliere tale fenomeno e ad inquadrarlo quale condizione di emergenza, piuttosto ne travisa il significato; quello che spesso accade è che la società confonde il fenomeno Hikikomori con il fenomenoNEET inteso, quest’ultimo, come categoria che racchiude l’insieme di coloro che non sono impegnati nello studio o nella ricerca di un lavoro ma che non necessariamente si caratterizzano per il ritiro sociale. Questa confusione terminologico-semantica da un lato, e fenomenologica dall’altro, produce essa stessa un impatto fuorviante nella società, con importanti effetti rispetto a ritardi della presa in carico. Spesso, questa confusione può generare caos in diversi contesti. Per fare un esempio, se si pensa al contesto scolastico, il concetto di “ritiro sociale” è associato ad abbandono scolastico spesso connesso a situazioni di gravosità legate a criticità familiari. Una inefficiente lettura della situazione comporta effetti confusivi importanti data la tendenza a far partire segnalazioni di “abbandono” rivolte alle autorità prima ancora di coinvolgere familiari e specialisti (Ishikaw, 2006; Ranieri, 2016).

Certamente il fenomeno del ritiro sociale rappresenta esso stesso un fatto sociale che merita ancora di essere approfondito. A tal proposito, Tajan (2015) e altri autori (Rubinstein, E., L. & Sakakibara, R., V. 2020) evidenziano come gli studiosi appaiano dividersi su tre posizioni concettuali; mentre alcuni riferiscono che gli Hikikomori presentano sempre un disturbo psicologico già presente all’interno dei sistemi di classificazione diagnostica (Kondo N, Sakai M, 2013), altri suggeriscono la distinzione tra Hikikomori primario e secondario, ovvero tra una condizione di reclusione volontaria che non può essere descritta facendo riferimento alle categorie diagnostiche presenti all’interno dell’ICD-10 (WHA, 1993) o del DSM-5 (APA, 2013), e una reclusione che è conseguenza di un disturbo psichiatrico (Suwa & Suzuki, 2013), altri ancora, ritengono che sia necessario introdurre una nuova patologia nella sezione del DSM dedicata alle sindromi culturali, avvalorata dal fatto che la maggioranza dei casi di hikikomori descritti in letteratura fanno riferimento al contesto giapponese (Suwa, 2012).

Nell’esperienza fin qui maturata, la concettualizzazione introdotta Saito (2013) si mostra fondamentale rispetto all’impostazione della presa in carico terapeutica.
Suwa e Suzuki descrivono gli "Hikikomori primari" come una manifestazione del fenomeno che non può essere descritta usando i concetti attuali nella malattia psichiatrica (Suwa & Suzuki, 2002; Cplan & Ooi, 2015). Le caratteristiche psicologiche con cui questi ragazzi si presentano sono riferibili alla tendenza ad evitare contesti competitivi e a proteggere un'immagine ideale di sé basata sulle aspettative degli altri. Ciò giustifica il comportamento di evitamento nell’affrontare le sfide quotidiane in quanto il conseguente e probabile fallimento determinerebbe il crollo delle aspettative stesse, causando un forte senso di inefficacia personale. Tutto ciò può evolvere in quelle condizioni di blocco evolutivo generate dal non sentirsi in grado di assolvere agli impliciti compiti di sviluppo che ogni età richiede. Tutto ciò evolve in un conflitto che vede protagonisti giovani e società contemporanea, e proprio quest’ultima diventa nemica e inaccessibile per via delle richieste che implicitamente fa proprie, come modelli familiari fortemente orientati a favorire comportamenti estroversi, elevata socialità, importanti traguardi di riconoscimento sociale che pongono i ragazzi di fronte ad uno stato di angoscia profonda, genitori che investono nell'immagine ideale del loro bambino senza riconoscere il figlio reale. Queste modalità si palesano attraverso richieste implicite che i ragazzi non sempre sono in grado di accogliere. La risposta che ne deriva è rappresentata da una dimensione di isolamento, non necessariamente sfociante in una psicopatologia conclamata, piuttosto in una espressione sintomatologica legata, con ogni probabilità, ad una fragilità narcisistica della personalità che, come tale, si delinea attraverso tendenze evitanti e incapacità di raggiungimento dei normali compiti di sviluppo richiesti per età che coinvolgono, principalmente, lo sviluppo della capacità di mentalizzazione e la conseguente soggettivizzazione del Sé. Determinante si mostra essere la fragilità dell’Io e l’ansia di fronte a processi di svergognamento e di ulteriore ferita narcisistica, vissuta come irreparabile.
Con una premessa di questo tipo è facile comprendere come le delusioni scolastiche o i problemi all’interno del gruppo dei pari assumono le caratteristiche di elementi “trigger” per l’innesco del processo di ritiro sociale (da distinguere dalle vere cause del comportamento di ritiro) (Lancini, 2019; Cplan & Ooi, 2015).
Il concetto di “Hikikomori secondario”, al contrario, include individui che soffrono di una varietà di gravi disturbi psicologici, tra cui il disturbo affettivo, il disturbo d'ansia, il disturbo ossessivo-compulsivo, il disturbo pervasivo dello sviluppo, il disturbo psicotico, i disturbi della personalità. Tuttavia, in alcuni casi è stato osservato che solitamente non presentano una deviazione psicopatologica sufficientemente grave prima del ritiro; nelle prime osservazioni cliniche potrebbero erroneamente essere diagnosticati con un disturbo di personalità evitante o schizoide, ma in realtà non sono così evitanti o misantropi. Il contatto con le persone è ancora desiderato, piuttosto, è il senso di inadeguatezza che li induce ad un comportamento di evitamento (evidenziato anche nel Hikikomori primario) (Silić, Vukojević, Čulo & Falak, 2019). Si deduce quindi che anche nel presupposto di un “Hikikomori secondario” prima di diagnosticare un disturbo di personalità è opportuno, nonostante l’evidenza dei sintomi prodromici, che ciò avvenga dopo una lunga presa in carico o ancora dopo i 20 anni di età (Cplan & Ooi, 2015), dunque potrebbe rivelarsi prematuro o disfunzionale all’approccio terapeutico “lanciarsi” in diagnosi previsionali, poiché, come evidenziano Suwa e Suzuki emergono frequenti sovrapposizioni tra le due classificazioni (primaria e secondaria) (Lancini, 2019; Cplan & Ooi, 2015).
Nel proporre una sintesi, è, dunque, possibile affermare che l’Hikikomori primario derivi da una difficoltà nel fare esperienza delle naturali tappe dello sviluppo di fronte ad un contesto familiare e sociale inadeguato al temperamento e alla personalità del soggetto, mentre il secondo tipo rappresenta un’ulteriore espressione sintomatologica di un disturbo grave e conclamato (spettro autistico, disturbo depressivo maggiore, psicosi, disturbo di personalità evitante, schizotipico, ecc...) che, con l’avanzare dell’età, si mostra essere una sintomatologia protettiva rispetto all’interazione disfunzionale con l’ambiente sociale (Procacci & Semerari, 2019).
I tempi di insorgenza mostrano differenti percorsi prognostici. L’insorgenza precoce di una sintomatologia di ritiro, già nell’infanzia, può essere un fattore di rischio per lo sviluppo di comportamenti devianti in futuro soprattutto per le conseguenze stesse che produce in termini evolutivi e di relazione con i pari. L’insorgenza in adolescenza si mostra frequentemente connessa ad un comportamento adattivo rispetto alle difficoltà legate alla crescita, protettivo rispetto ad un possibile scompenso psicopatologico (Teo et al., 2015), favorendo l’assunzione di un falso sé con funzione protettiva (Spiniello, Piotti & Comazzi, 2015; Teo et al., 2015).

Nell’insorgenza in prima adolescenza è possibile notare che il processo di ritiro, segue un percorso pressoché lineare, differentemente a quelli ad insorgenza precoce. In un primo stadio, i ragazzi presentano spesso fobia scolastica, sociale e sintomi di tipo somatoformi, e agorafobia ed antropofobia in un secondo stadio (Zielenziger, 2007). Il loro umore appare progressivamente sempre più depresso, accompagnato da letargia, apatia, sentimenti di colpa e autosvalutazione (WHA, 1993). Nei casi più gravi può essere presente la perdita di contatto con la realtà, sospettosità incondizionata e ideazione persecutoria verso l’esterno, ma anche verso la propria famiglia (Aguglia, Signorelli, Pollicino, Arcidiacono & Petralia, 2010). I suicidi sono molti rari a differenza invece dei comportamenti violenti su cose o persone. L'incapacità di gestire la rabbia fa sì che esprimano del risentimento nei confronti dei propri genitori, ai quali il ragazzo attribuisce la colpa per la propria sofferenza (Hattori, 2005), una sofferenza inaccessibile che si consuma nel proprio luogo sicuro, la propria camera. Gli Hikikomori, in questo luogo fisico, placano la propria angoscia; vivono generalmente una realtà parallela, caratterizzata da rapporti sociali che sono esclusivamente virtuali. Nei casi più gravi, decidono di interrompere anche le relazioni online, pur trascorrendo molto del loro tempo all’interno del web (Volpi, 2014).
Questa condizione, come si è accennato precedentemente, viene spesso classificata come dipendenza da internet, altre volte come una condizione psicopatologica di personalità evitante o schizoide (Stip, Thibault, Beauchamp-Chatel & Kisely, 2016; Gariup, Parellada, Garcia & Bernardo, 2008). In realtà, per riprendere un concetto già emerso nelle pagine precedenti ma che occorre specificare, fare una corretta diagnosi è fondamentale per poter creare un efficace progetto di intervento. La dipendenza da Internet e lo stato Hikikomori sembrano sovrapporsi in termini comportamentali, benché alcuni aspetti li rendono distinguibili. Nella IAD (Internet Addiction Disorder), introdotta nel DSM-5, le persone vengono semplicemente assorbite da Internet, ma non rinunciano alle relazioni sociali che avvengono, benché in forma limitata, anche al di fuori della dimensione web. Nella condizione Hikikomori invece è evidente una nevrosi di tipo antropofobico. Questi ragazzi provano una forte paura quando pensano di essere disprezzati o detestati dagli altri a causa della loro situazione e si vergognano di sé per aver rinunciato ancor prima di averci provato (Tajan, 2015; Rubinstein & Sakakibara, 2020; Kim, 2005). Inoltre, nella IAD il rapporto con internet risulta egodistonico; è egosintonico nell’ Hikikomori. I ragazzi durante le pratiche online quali gaming, web-tv, piattaforme streaming, ecc, si mostrano tranquilli, ed il loro umore migliora considerevolmente (Lancini, 2019).
Sulla base di questi elementi diviene essenziale essere cauti nell’inquadramento diagnostico, e comprendere la modalità di approccio terapeutico più adeguato al soggetto (età, storia clinica, durata del ritiro ed effetti secondari), e al nucleo familiare (spesso in crisi e con effetti tipici della “fatigue”) (Donna & Greenberg, 2002). Anche la scuola riveste un ruolo fondamentale di intervento, non solo da un punto di vista didattico, ma anche di sperimentazione di relazioni positive sia con i pari, sia con le figure adulte (gli insegnanti). I ragazzi infatti possono usare il rapporto con l'insegnante come modello operativo interno con cui organizzare le proprie esperienze sociali (Howes, 2000).


Un’esperienza sul campo: un modello di presa in carico “Spazio RIM”

In letteratura vengono descritti molteplici approcci terapeutici relativi alla presa in carico dei soggetti in stato di ritiro sociale ma, per quanto riguarda la prognosi a lungo termine di Hikikomori, ci sono ancora oggi poche informazioni poiché si tratta di un fenomeno relativamente nuovo (Lee, Lee, Choi & Choi, 2013; Li & Wong, 2015; Kondo, Sakai, Kuroda, Kiyota, Kitabata & Kurosawa, 2013; Sakamoto, Martin, Kumano, Kuboki & Al-Adaw, 2005; Teo et al., 2015; Wong, 2009; Nagata, Yamada, Teo, Yoshimura, Nakajima & van Vliet, 2013).
Le osservazioni fin qui fatte si basano sull’esperienza clinica raccolta nel tempo e su un'attenta riesamina di una serie di altri contributi provenienti da studi psichiatrici, psicologici e sociologici riguardanti il fenomeno del ritiro sociale negli adolescenti, con particolare riferimento ai paesi a cultura latina, diversi per impronta sociale rispetto ai paesi nipponici o di altro tipo (Kato et al. 2012; Li & Wong, 2015). In questi lavori viene evidenziato come l'approccio più usato sia quello multimodale (Roza, Spritzer, Lovato & Passos, 2020), in cui l’outcome è decisamente condizionato da un progetto multiprofessionale a lungo termine che vede coinvolti tutti gli attori della storia di vita del ragazzo (servizi, famiglia, scuola, rete sociale).
In virtù delle considerazioni apprese dalla letteratura e dall’esperienza rinvenuta dall’incontro con i ragazzi preadolescenti e adolescenti, si è cercato di sviluppare un modello di lavoro all’interno di una realtà clinica esposta a questo tipo di fenomeni. Questo modello prevede una presa in carico multimodale con il coinvolgimento di più servizi (Consultorio, SMIA, Servizi Sociali, Scuola). Da questo tipo di premesse è nato il progetto “Spazio RIM” (Relazioni Internet Mediate). Si tratta di un progetto sperimentale della AUSL Toscana SudEst, inserito all’interno del Consultorio Familiare e del Consultorio Giovani di Siena e nato, oltre che da un interesse particolare degli operatori coinvolti verso questa tipologia di problematiche, anche dall’esigenza di rispondere alle richieste dell’utenza. Nel tempo, la difficoltà delle famiglie di trovare un modo per “liberare” i propri figli dall’isolamento sociale è stata sempre maggiore, e con essa l’esigenza di creare degli interventi specializzati.
Il progetto “Spazio RIM” si rivolge ai ragazzi tra i 14 e i 26 anni. Comprende attività di consulenza individuale con accesso libero e diretto e consulenze su appuntamento per i genitori che hanno figli adolescenti e che vogliono comprendere meglio il rapporto che essi hanno instaurato con la tecnologia. Sono inoltre previste attività di psicoeducazione individuali o di gruppo, sia per adolescenti che per i genitori. Inoltre, sono previste iniziative in collaborazione con le scuole che prevedano percorsi di sensibilizzazione e di formazione all’uso del web oltre che informazioni legate alla protezione dai rischi connessi. I temi principali trattati dallo Spazio RIM riguardanti la relazione internet e adolescenti sono relativi a sexting, cyberbullismo, catfish, ghosting, ai disagi relazionali online, mentre i genitori accedono per consulenze, psicoeducazione e per situazioni di importante ritiro sociale.

Da Settembre 2019 ad oggi sono in corso 4 prese in carico di ragazzi adolescenti in stato di ritiro sociale grave, con un ritardo di accesso al servizio di oltre 6 mesi dalla prima manifestazione sintomatologica (1 ragazzo di 14aa, quarto genito, italiano, iscritto alla terza media, con nessuna precedente diagnosi o presa in carico da parte dei servizi; 1 ragazzo di 13aa, italiano di origine cinese, terzogenito, iscritto alla 2 media, ripetente, nessuna precedente presa in carico da parte dei servizi; 1 ragazzo di 13aa, italiano, figlio unico, con precedente diagnosi nell’infanzia di disregolazione emotiva e discontrollo degli impulsi, iscritto alla terza media, non più in carico ai servizi da alcuni anni; 1 ragazzo di 13 aa, italiano, secondogenito, iscritto alla seconda media come ripetente, con diagnosi di ADHD, disregolazione emotiva e discontrollo degli impulsi, precedentemente in carico dai servizi NPIA).

La modalità di accesso al servizio ha interessato in un caso il servizio sociale, in due casi vi è stata una richiesta diretta da parte dei genitori, nel quarto caso c’è stato l’invio dei genitori da parte del servizio SMIA.

La richiesta, a livello generale, è sorta a seguito di un prolungato periodo di assenza da scuola, apparentemente inspiegabile, per il quale la famiglia ha effettuato una richiesta di aiuto ai servizi.
I casi di questo tipo si sono mostrati più che idonei per il progetto Spazio RIM, data la possibilità di trovare agevolmente uno spazio di ascolto e consulenza con lo psicologo per un primo screening.
Nel processo di assessment, approcciarsi alla richiesta di un familiare che vede il proprio figlio ritirato dal contesto scolastico e sociale impone al professionista la necessità di esporre alcune domande che non possono trovare risposta immediata all’interno di nessuna classificazione diagnostica, in quanto, come si è più volte ribadito, un inquadramento precoce può essere fuorviante. Eseguire una adeguata analisi della storia familiare, delle dinamiche familiari e delle competenze genitoriali è fondamentale al fine di proporre un’ipotesi di presa in carico anche domiciliare del ragazzo, laddove se ne ravveda la necessità. Durante la prima fase si procede attraverso l’analisi delle dinamiche relazionali tra i genitori ed il ragazzo (funzionali/disfunzionali).
L’intervento si avvia già nel momento in cui si entra in contatto con il genitore, figura che diventerà determinante nella presa in carico del ragazzo; a tal proposito, contrariamente a quanto esposto in letteratura, l’attenzione posta sulla dimensione relazionale fa pensare che sia proprio la relazione con il genitore a determinare l’accesso al ragazzo ritirato. La proposta è quella di rendere il genitore protagonista attivo all’interno dell’intervento, attribuendo ad esso il ruolo di intermediario nella relazione e favorire l’accesso al ragazzo (primo innesto). L’idea che giustifica questa modalità riguarda la necessità di investire il genitore di un ruolo essenziale che probabilmente per lungo tempo ha delegato ad altri o ad altro. Non solo, il ragazzo ritirato socialmente presenta una caratteristica importante che attiene alla mancanza di fiducia verso il mondo esterno. La modalità di interazione fra genitore e ragazzo, sebbene conflittuale, è probabilmente l’unica che egli abbia mai conosciuto, ed è probabilmente l’unica che sia abituato a mettere in atto. Di conseguenza, è grazie a questa figura che funge da intermezzo e dalla quale ci si auspica una minima alleanza che il ragazzo può accettare e favorire l’accesso all’estraneo, quale il terapeuta. Lo stesso colloquio da condurre a domicilio non potrà svolgersi nella camera del ragazzo poiché ciò rappresenterebbe, nelle fasi iniziali, una violazione del proprio spazio, ma avverrà in altre aree della casa.
I primi colloqui si svolgeranno con la famiglia alla presenza del ragazzo quando è possibile, o comunque in maniera tale da favorire la possibilità di essere ascoltati dal ragazzo per poi intraprendere un percorso individuale. Durante i primi incontri individuali si comprendono e condividono interessi e attività al fine di ottenere una “alleanza con il sintomo”. In un secondo momento si cercherà una visione prospettica, fantastica rispetto al futuro, per procedere alla costruzione di un progetto di vita, ciò giustificato dal fatto che i ragazzi conservano ancora la fantasia di ricongiungersi al loro percorso ideale, tuttavia non provano un desiderio particolare di raggiungere qualcosa o di immergersi in qualcosa di piacevole se non nell'attività online.
Oltre ad una presa in carico terapeutica è necessario ipotizzare se e quando inserire all’interno del nucleo familiare un educatore a sostegno del progetto terapeutico (secondo innesto). Questo aspetto, particolarmente delicato, viene gestito dallo psicologo organizzando degli incontri a tre (ragazzo, psicologo, educatore), al fine di creare un rapporto esclusivo tra i due. Lo psicologo a questo punto si occuperà del ragazzo cercando di trasferire in tempi e modalità adeguate il setting di terapia al di fuori dell’ambiente domestico.

All’interno di questo tipo di progetto, ogni figura professionale assume, dunque, un ruolo determinante:

  • L’educatore: dovrà mantenere sempre un’alleanza basata sulla confidenzialità con il ragazzo che non lo dovrà mai percepire come alleato con la famiglia, pena la paura del tradimento degli ideali di sé (probabilmente differenti da quelli familiari). Il ruolo dell'educatore si dimostra altrettanto utile nella promozione delle competenze scolastiche (sperimentate anche via web dato il lockdown causa covid-19) e di risocializzazione, producendo cambiamenti significativi.
  • Il ruolo della scuola: è fondamentale instaurare un rapporto con la scuola fin da subito, al fine comprendere le dinamiche emerse all’interno della classe e conoscere la situazione in cui si trova il ragazzo rispetto alle tappe scolastiche, coinvolgendo i servizi SMIA (NPI), i servizi sociali e la famiglia in un possibile progetto educativo. Devono essere attivate modalità specifiche e alternative alla didattica, ed eventualmente ricostruire una relazione positiva tra docente e studente.
    L’esperienza clinica ha evidenziato l’utilità e l’efficacia dell’impiego di attività didattica a distanza, domiciliare o insegnamento parentale non finalizzato ad un rientro precoce all’interno del gruppo classe, ma specificatamente alla promozione delle competenze e dell'autostima del ragazzo;
  • Il ruolo NPI: è fondamentale avere la possibilità di un confronto con un NPI (neuropsichiatra infantile), specificamente formato, per la discussione del caso al fine di valutare il possibile intervento farmacologico;
  • Il lavoro sulla coppia genitoriale: insieme con la presa in carico del ragazzo, sarà necessario proseguire il percorso terapeutico secondo un approccio bifocale (Lancini, 2007), inserendo un altro terapeuta che si occuperà della coppia genitoriale. In questo secondo spazio verranno analizzate oltre alle dinamiche familiari anche temi relativi alla dimensione di coppia. L’intervento sarà perciò destinato a continuare attraverso un parent training o un supporto alle competenze genitoriali, se necessario anche individuale. Nella nostra esperienza è utile supportare i/il genitore/i anche attraverso un “coaching telefonico”.
  • Il lavoro dello psicoterapeuta con il ragazzo: dopo la costruzione di una relazione di fiducia e di alleanza, il lavoro dello psicoterapeuta sarà diretto alla promozione dei processi di mentalizzazione e soggettivizzazione di sè rispetto ad un progetto futuro.


Riflessioni conclusive

Da questa iniziale esperienza con ragazzi preadolescenti in situazione di ritiro sociale grave è stato possibile trarre alcune importanti considerazioni.
In seguito all’analisi della storia familiare e individuale dei ragazzi sono state comprese le loro dinamiche evolutive e le fragilità insite nelle relazioni e funzioni genitoriali (Stern, 1992). Sono emerse importanti compromissioni delle funzioni genitoriali, e una disgiunzione tra le figure genitoriali nell’ambito dei rispettivi ruoli. Da una parte un genitore normativo, autocentrato, scarsamente empatico e assente, dall'altra, un genitore comprensivo ma fragile ed incapace di sostenere emotivamente il figlio, con alcuni aspetti tipici dell’”Amae” (Niiya, Ellsworth & Yamaguchi, 2006). Situazioni che sembrano interessare aspecificatamente le figure genitoriali, differentemente da come generalmente descritto in letteratura, in cui troviamo una madre solitamente simbiotica ed un padre assente. La relazione di attaccamento insicuro-ambivalente sembra essere altresì presente in tutte le situazioni, così come è sempre presente una grande differenza fra tra figlio ideale e reale.

Dalle storie dei ragazzi sono emersi con forza alcuni elementi:

  1. tutti sono stati descritti, sia dalla famiglia che dalla scuola, come particolarmente intelligenti e brillanti durante l’infanzia (a prescindere dalla presenza o meno di particolari disturbi psicologici);
  2. i ragazzi hanno mostrato, a vario grado, difficoltà di mentalizzazione e soggettivizzazione di fronte ad un ideale di sé - mal definito - dalle proiezioni genitoriali;
  3. in genere è sempre presente un evento “trigger” che ha messo il ragazzo di fronte ad un senso di vergogna e frustrazione con conseguente auto-esclusione dal gruppo dei pari o dal sistema scolastico;
  4. la presenza di una sintomatologia somatica o somatoforme concomitante all’esordio;
  5. l'evoluzione del ritiro è solitamente iniziata a gennaio della seconda media, dopo il rientro dalle vacanze natalizie.

La comprensione delle dinamiche interne al nucleo familiare, di coppia e genitoriali, e della storia del ragazzo si sono mostrate essenziali al fine di ipotizzare un intervento che permettesse di “agganciare” il paziente direttamente a domicilio e per mano degli stessi genitori, favorendo così l’attivazione di un sistema precoce di intervento. In generale, se da una parte l’avvio del percorso di presa in carico domiciliare, con il coinvolgimento dei genitori, permette di superare le normali resistenze che si possono manifestare nella fase di costruzione della relazione di aiuto o di costruzione dell’alleanza con il sintomo (Spiniello, Piotti & Comazzi, 2015) e di aggiornare la lettura sulle dinamiche genitori-figli oltre a comprendere importanti sfumature rispetto all’espressione sintomatologica, dall’altra l'attivazione di un progetto multimodale a carico dei servizi (servizi di psicologia, servizi sociali, NPI, educativa domiciliare, scuola) quanto più precoce possibile, permette di attenuare fin da subito il senso di impotenza della famiglia, creando un clima aperto e collaborativo. A sua volta, il ruolo della scuola si dimostra fondamentale nella riorganizzazione dell’attività didattica attraverso l’attivazione di un piano educativo personalizzato (domiciliare, a distanza o parentale).
La modificazione delle relazioni intrafamiliari e la promozione delle competenze genitoriali, sostenute attraverso l’educativa domiciliare e talvolta attraverso coaching telefonico, si sono mostrate molto utili rispetto ai problemi di regolazione emotiva, discontrollo degli impulsi e riacquisizione delle normali abitudini di vita intrafamiliare (ritmo sonno/veglia e pasti a tavola).
L'uscita dal processo di ritiro è lunga e altalenante, così come è l'adolescenza moderna. Allo stato attuale nelle famiglie sono migliorate, seppur parzialmente, le relazioni intrafamiliari e i genitori hanno riletto molto delle loro dinamiche interne e delle implicazioni nella relazione genitori-figli. Rispetto all'andamento scolastico, i ragazzi sono riusciti a frequentare alcune delle lezioni online (senza webcam) e chi doveva fare l’esame di 3° Media si è collegato nonostante un importante stato di ansia (webcam accesa ma sguardo rivolto altrove). Tutti hanno ottenuto la promozione scolastica e ciò li ha resi orgogliosi, producendo piccoli ma significativi cambiamenti nella percezione di Sé. Tre di loro hanno iniziato ad uscire per brevi momenti con il loro genitori, uno accoglie volentieri gli operatori, gioca e scherza, ma purtroppo ancora non ce la fa a varcare la soglia di casa.
Per concludere, sebbene esigui, la rilevanza degli elementi emersi durante la trattazione, suscitano oltremodo l’interesse a sviluppare queste tematiche attraverso nuove prospettive che si pongono, come obiettivo, quello di ipotizzare innovativi interventi, ben diversi da quanto fino a questo punto prodotto in letteratura. La dinamicità con cui, sempre più, si presentano questi fenomeni, giustifica la necessità di adottare prospettive nuove, non aprioristiche, piuttosto rispettose dell’evoluzione del fenomeno e dei cambiamenti che intrinsecamente li caratterizzano. Il progetto RI.M. sta già approfondendo i propri studi con l’obiettivo di rendere queste evidenze sempre più tangibili e verificabili attraverso la possibilità di mettere a confronto il mondo interno del ragazzo con quello degli adulti di riferimento attraverso lo studio di correlazioni significative tra variabili che contemplano un fenomeno antico ma mai scontato quale la “ripetibilità delle dinamiche”. L’intento è quello di attenzionare l’interesse del lettore su questa tematica proponendo studi che arrivano direttamente dal contesto clinico attraverso il contributo del progetto R.I.M.


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