L’Approccio Ecosistemico per il trattamento ambulatoriale dei Disturbi dello Spettro Autistico in un servizio territoriale di salute mentale dell’infanzia e dell’adolescenza
1 Psicologo, Psicoterapeuta, Coordinatore del Centro Autismo di Grosseto, UFSMIA Area Grossetana, A.USL Toscana Sudest
2 Neuropsichiatra Infantile, Direttore UOC Neuropsichiatria Infantile Grosseto, A.USL Toscana Sudest
3 Neuropsichiatra Infantile, Responsabile Rete Autismo, A.USL Toscana Sudest
Corresponding author:
Fabio Franciosi,
Per affrontare la complessità clinica degli interventi ambulatoriali per minori con Disturbi dello Spettro Autistico, è necessario che i servizi territoriali di Neuropsichiatria Infantile, Psicologia e Riabilitazione per l’età evolutiva ricorrano a un approccio multiprofessionale e multidimensionale, basato su metodiche abilitative-educative validate scientificamente e con il focus sulla qualità di vita della famiglia. L’equipe del Centro Autismo di Grosseto sta verificando, nella gestione dei minori in carico, l’efficacia dell’Approccio Ecosistemico (AE), che integra gli interventi diretti al potenziamento delle competenze di sviluppo individuali con i percorsi di ottimizzazione delle risorse - umane e ambientali - presenti nei contesti in cui i bambini/adolescenti vivono. L’AE coinvolge attivamente genitori e operatori, conducendoli a un modo di intendere il percorso di cura meno ancorato alla quantità di trattamenti erogati dal servizio e più orientato alla nascita di reti sociali proattive e di esperienze di apprendimento naturalistico, funzionali allo sviluppo e all’inclusione sociale. Emergono effetti positivi sia sul piano individuale (competenze adattive, regolazione emotiva, partecipazione inclusiva), sia sulla percezione di efficacia di genitori e operatori. Sviluppi positivi sono riscontrabili anche sul management della presa in carico ambulatoriale, in termini di riduzione dei tempi di attesa, personalizzazione degli interventi e consolidamento delle alleanze tra operatori e famiglie.
The Ecosystemic Approach for the outpatient treatment of Autism Spectrum Disorders in a territorial mental health service for children and adolescents
To address the clinical complexity of outpatient interventions for children/adolescents with Autism Spectrum Disorders, it is necessary that the territorial services of Neuropsychiatry, Psychology and Rehabilitation for the developmental age resort to a multi-professional and multidimensional approach, based on scientifically validated methods and with the focus on the family’s quality of life. The team of the Autism Center of Grosseto is verifying, in the management of patients in charge, the effectiveness of the Ecosystemic Approach (AE), which integrates the interventions directed to the development of individual skills with the paths of optimization of resources - human and environmental - present in the contexts in which children/adolescents live. The AE actively involves parents and operators, leading them to a way of understanding the care path less anchored to the amount of treatments provided by the service and more oriented towards the creation of proactive social networks and experiences of naturalistic learning, functional to development and social inclusion of the patient. Positive effects emerge both on the individual level (adaptive skills, emotional regulation, inclusive participation) and on the perception of effectiveness of parents and operators. Positive developments can also be seen in the management of outpatient care, in terms of reducing waiting times, customizing the interventions and consolidating the alliances between operators and families.
I Disturbi dello Spettro Autistico (ASD - Autism Spectrum Disorders; DSAut come acronimo italiano) rappresentano un gruppo di condizioni atipiche del neurosviluppo ad esordio precoce, con effetti condizionanti lo sviluppo della persona per tutto l’arco di vita. I relativi percorsi di cura e di assistenza richiedono alle famiglie e ai servizi socio-sanitari un dispendio di energie elevatissimo, in termini di risorse economiche e umane. Le conseguenze dei deficit minano, inoltre, gli equilibri personali e la salute mentale dei familiari e si riverberano su tutto il contesto di vita, rappresentando una fonte di stress maggiore rispetto ad altri disturbi dello sviluppo (Schieve et al, 2007).
L’intervento di cura per i DSAut è un sistema a vari livelli di complessità, che muove risorse multiprofessionali e multidisciplinari, coinvolgendo, oltre a genitori e familiari, operatori delle professioni sanitarie, sociali e educative. In conformità alle raccomandazioni delle Linee Guida Nazionali (Istituto Superiore di Sanità, 2011) e alla più recente letteratura scientifica sulle migliori prassi per il trattamento dei Disturbi dello Spettro Autistico nei bambini e negli adolescenti – che ben evidenziano come non esista a tutt’oggi un trattamento d’elezione efficace in tutti i casi – i servizi sanitari devono saper erogare interventi di valutazione, consulenza e trattamento sulla base di un'impostazione teorica e metodologica integrata e basata su evidenze scientifiche.
Per i servizi territoriali di Neuropsichiatria Infantile, Psicologia e Riabilitazione per l'età evolutiva, la gestione dell’autismo nei bambini e nei ragazzi rappresenta pertanto una vera sfida. Gli operatori, opportunamente formati, devono saper erogare prestazioni utili alla gestione delle condizioni di spettro autistico nei bambini e negli adolescenti (Cartabellotta & Gallo, 2014), così come di seguito sintetizzate:
- valutazioni mirate a individuare il profilo di competenze del minore, lo stile di apprendimento preferenziale, le peculiarità di espressione dei sintomi autistici e il grado di compromissione funzionale;
- interventi abilitativi-educativi precoci, finalizzati a ridurre l’impatto della sintomatologia autistica e facilitare la spinta maturativa interna, che supportino nei bambini l’acquisizione di competenze funzionali in tutte le aree di sviluppo (socio-comunicativo, cognitivo, socio-affettivo, neuromotorio, etc.);
- valutazioni cliniche ad intercettare condizioni di comorbidità, quali ansia e depressione, epilessia, problematiche legate al sonno e all’alimentazione, altri disordini del neurosviluppo (ad es. i disturbi da deficit dell’attenzione con iperattività);
- azioni formative e psicoeducative, rivolte ad operatori e familiari, per potenziare l’efficacia educativa in tutti gli ambienti, promuovere maggiori occasioni di apprendimento in contesti ecologici e favorire la generalizzazione delle competenze acquisite;
- interventi abilitativi-educativi in età adolescenziale, indirizzati allo sviluppo delle autonomie personali e integranti e all’individuazione e all'implementazione delle abilità vocazionali;
- azioni di potenziamento di abilità professionalizzanti e/o funzionali alla piena inclusione in contesti di vita elettivi;
- interventi a supporto dei genitori e dei fratelli, finalizzati ad attutire l’impatto psicologico dell’autismo e potenziare la resilienza;
- interventi a supporto degli operatori delle professioni socio-sanitarie ed educative coinvolti in relazioni di cura con bambini e ragazzi nello spettro, per lo sviluppo delle competenze emotive personali (in particolare l’auto-regolazione), nell’idea che l’efficacia degli interventi sia strettamente connessa alle capacità intra e inter personali, non strettamente tecniche, di operatori e genitori (Franciosi, 2017);
- azioni di coordinamento fra operatori dei servizi socio-sanitari;
- azioni di coordinamento per la gestione dei comportamenti problematici e ad alto rischio auto-etero lesivo.
Il “Centro Abilitativo-Educativo per Minori con Disturbi dello Spettro Autistico” di Grosseto (da qui per brevità “Centro Autismo”) nasce nel 2011 come struttura afferente all’Unità Funzionale Salute Mentale Infanzia e Adolescenza (UFSMIA) Area Grossetana, successivamente alla pubblicazione del Piano Sanitario Regionale 2008/2010 e della DGR n. 1066 del 15-12-2008 (“Linee di indirizzo per la diagnosi precoce e la presa in carico multiprofessionale dei disturbi dello spettro autistico”), entrambi richiamanti la necessità di un impegno straordinario sulla diagnosi precoce e sulla presa in carico globale ed unitaria della persona affetta. In effetti, la A.USL 9 Grosseto (oggi confluita nella A.USL Toscana Sudest) aveva già deliberato, nel 2009, la costituzione del “Gruppo interdisciplinare aziendale per i Disturbi dello Spettro Autistico” che, a sua volta, aveva provveduto alla definizione della “Procedura per la segnalazione e la presa in carico dei minori con Disturbi dello Spettro Autistico”, mentre gli interventi terapeutico-riabilitativi restavano affidati alle UFSMIA zonali. Inizialmente finanziato dalla Regione Toscana, prima con il decreto n. 7122 del 31-12-2009, poi con il decreto n. 2121 del 27-5-2013, il Centro Autismo è divenuto nel 2014 la struttura di riferimento specialistico ambulatoriale per la diagnosi e il trattamento degli utenti con DSAut in età 1-17 anni, attraverso la progressiva stabilizzazione del personale, l'aumento progressivo dei casi in carico (ad oggi pari a 90 unità) e l'implementazione continua della collaborazione professionale con gli Operatori delle UFSMIA, i Pediatri e i Medici di famiglia, le Divisioni ospedaliere di riferimento (Pediatria, Genetica) e le Scuole di ogni ordine e grado della Provincia di Grosseto.
Attualmente, il gruppo multiprofessionale è composto da un Neuropsichiatra Infantile con funzione di responsabile, uno Psicologo specialista in psicoterapia con funzione di coordinatore, una Logopedista, un’Educatrice Professionale e una Terapista della Neuropsicomotricità dell’Età Evolutiva. Dalla sua nascita, il Centro Autismo ha dedicato molta attenzione alla formazione dell’equipe e al consolidamento delle alleanze di lavoro, attraverso spazi di riflessione comune, sessioni di supervisione e intervisione, momenti di lavoro in co-presenza, formazione su tematiche specifiche. Questo ha permesso agli Operatori, provenienti da percorsi formativi diversi, di condividere e integrare le proprie differenze, competenze e idee di cura, mantenendo alta l’attenzione agli effetti che le dinamiche fra colleghi hanno sui processi di cura. Negli anni, sono stati individuati e studiati modi diversi per connettere le azioni ambulatoriali “dirette” agli interventi nei contesti di vita, che contribuiscono, spesso potentemente, al percorso evolutivo degli utenti con DSAut. Da una parte, nonostante il numero di nuovi casi in forte aumento (circa 20 nuovi casi all’anno, con una prevalenza pari allo 0,5% della popolazione 0-17 nel 2017), per mantenere alto lo standard qualitativo degli interventi ambulatoriali abilitativi-educativi, sono stati messi in campo interventi precoci, intensivi e qualitativamente adeguati ai profili di sviluppo e alle fasi evolutive dei minori in carico. Dall’altra, si è ritenuto fondamentale prendersi cura delle capacità tecniche e umane di Operatori e caregivers, compagni e amici, che in tutti i contesti di vita mediano le esperienze socio-affettive dei/lle bambini/e e ragazzi/e con autismo.
In questo senso, l’Approccio Ecosistemico (AE) sta rappresentando un punto d’incontro, fortemente orientato alla centralità della qualità di vita della famiglia e del minore, alle risonanze corporeo-emozionali degli adulti di riferimento (Insegnanti, Operatori, Educatori, altre figure educative del tempo libero, ecc.), al coinvolgimento e alla partecipazione attiva di tutte le persone coinvolte nel percorso di crescita.
L’Approccio Ecosistemico affonda le sue radici epistemologiche in un sistema integrato di riferimenti teorici, provenienti da differenti campi del sapere scientifico di ultima generazione, inerenti sia il mondo dell’autismo che quello più generale dei sistemi di vita.
- L’AE integra le conoscenze e le pratiche provenienti dalle scienze del comportamento e dai modelli di derivazione comportamentale (Lovaas, 1987; Koegel & Williams, 1980), meritevoli di aver dato un forte impulso all’utilizzo di procedure d’insegnamento per lo sviluppo di abilità e competenze evolutive nei Disturbi dello Spettro Autistico, e verso cui, grazie ai dati di efficacia, converge oggi la maggior parte degli interventi per l’autismo. Un particolare riferimento è dato dai Naturalistic Developmental Behavioral Interventions (Scheribman et al, 2018), come insieme di concettualizzazioni e pratiche centrate su attività in contesti naturalistici, ludici, motivanti e non artificiali. La letteratura empirica ha documentato l'importanza del ruolo che hanno le esperienze dei bambini sul loro sviluppo neurobiologico (Knudsen, 2004; Dawson, Bernier & Ring, 2012). Sono inoltre numerose le prove scientifiche che l'apprendimento è migliore quando è inserito all'interno di attività caratterizzate da interazioni sociali significative, rispetto a situazioni in cui l'istruzione avviene senza un coinvolgimento relazionale (Topàl et al, 2008). Spelke e coll. (2014) ritengono che offrire ai bambini la possibilità di apprendere all'interno di un contesto socialmente coinvolgente crei condizioni di apprendimento spendibili a livello interattivo.
- L’AE prende forma dalle evidenze nel campo della Psicologia Evolutiva, che confermano l'origine dello sviluppo sociale, emotivo e comunicativo all’interno di una cornice di relazioni interpersonali emotivamente significative, guidate da adulti sensibili e responsivi (Stern, 1985; Rogers & Dawson, 2010). In particolare, Rogers e Pennington (1991), nel loro modello sullo sviluppo interpersonale nell’autismo, fanno riferimento alla necessità di lavorare precocemente per il raggiungimento delle tappe fondamentali dello sviluppo intersoggettivo delineate da Stern: imitazione, attenzione condivisa, condivisione delle emozioni, comunicazione intenzionale. In precedenza, Danesi (1988) aveva individuato nell’affettività, nella contestualizzazione e nella sensorialità le basi del “modello bimodale”, fondamentale per la psicomotricità, l’apprendimento linguistico e l’intervento pedagogico perché capace di sollecitare l’attività integrata di entrambi gli emisferi cerebrali.
- Altro riferimento teorico dell'AE è rappresentato dall’Ecologia dello Sviluppo (Bronfenbrenner, 1986), che studia le complesse interrelazioni tra l’organismo umano e i cambiamenti ambientali, i diversi contesti e le varie fasi della vita. L’AE adotta un approccio orientato ai sistemi di vita dei minori, in contrapposizione ad una visione individuo-centrica. Nei processi abilitativi-educativi accadono fenomeni le cui variabili non sono definibili a priori (Bertoldi, 1977) e possono essere comprese solo adottando un approccio sistemico che metta in primo piano gruppi e famiglie, intese come sistemi con caratteristiche proprie (Bartolomeo, 2004). Il percorso di sviluppo di un bambino va quindi compreso all’interno di un sistema interattivo, composto da vari individui, dove il comportamento di ognuno influenza quello altrui e allo stesso tempo ne è influenzato.
- Un forte impulso alle pratiche promosse dall’AE deriva dalla Neurofenomenologia e dalle concettualizzazioni di “embodied cognition” (Maturana & Varela, 1997; Shapiro, 2011) e di “mente incarnata” (Varela, Thompson & Rosch, 1991; Gallese, 2006), secondo cui le esperienze che investono il corpo giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo della cognizione umana. La conoscenza è embodied (“incorpata”) perché si costruisce attraverso le esperienze corporee e i processi cognitivi si sviluppano per il fatto che l’individuo ha un corpo con caratteristiche fisiche e capacità senso-motorie specifiche. La rappresentazione originaria delle esperienze è trascritta nei sistemi neurali (motori, visivi, olfattivi, tattili, propriocettivi). Quando oggetti ed eventi sono richiamati alla memoria, i sistemi senso-motori coinvolti nella loro iniziale rappresentazione vengono riattivati.
Richiamando Maria Luisa Gava (2014), in una moderna accezione dell'approccio abilitativo ai disturbi del neurosviluppo “… non si può più pensare a un modello della mente come un sandwich costituito da due fette di pane (percezione e azione) e una centrale di prosciutto (cervello). Questo modello del cognitivismo classico considerava che azione e percezione fossero periferiche rispetto ai processi cognitivi posti al centro come due domini distinti. La scoperta delle neuroscienze è stata uno degli elementi decisivi (…) scopriamo che la dimensione agentiva, ossia l’azione, è un elemento costitutivo dei nostri processi cognitivi. Osservando come il bambino comincia a muoversi nel mondo e a relazionarsi, emerge che l’azione svolge un ruolo fondamentale, sia dal punto di vista delle procedure prassiche di relazione col mondo, sia da quello dei circuiti neurali che sono alla base di questa capacità agentiva, e che giocano un ruolo fondamentale nella costruzione di un bagaglio di conoscenze che aiuta il bambino a orientarsi nel mondo”. La metodologia “cognitivo-motivazionale-individualizzata” (c.m.i.) mette in evidenza (Gava et al, 2018) come l'emozione che nasce nella relazione condivisa imprima una sorta di segnaletica valoriale nel bambino, la prima forma di guida interna capace di definire l'esperienza in senso negativo o positivo; questa primissima tappa, pre-verbale e pre-simbolica, sarebbe l'anello di congiunzione tra esperienza e simbolo, e la dimensione motorio-prassica condivisa nella relazione sarebbe il vettore che unisce l'esperienza emozionale al mondo esterno e che consente al bambino di strutturare l'apprendimento della realtà su cui si agganciano il linguaggio e la comunicazione. Tenendo in considerazione il bambino nel contesto di vita reale, con i suoi riferimenti quotidiani e i relativi odori, profumi e azioni, il bambino con DSAut, non differentemente dal bambino neurotipico, procederebbe nel suo apprendimento in modo naturale. Conoscendo prima le procedure della propria realtà, egli sarebbe in condizione di comprendere il reale significato dei simboli (elemento centrale nei percorsi di Comunicazione Aumentativa e Alternativa). L'alvo in cui si costruisce l'apprendimento della realtà si sposterebbe, in quest’ottica, dal contesto ambulatoriale sensu strictu alla realtà di vita stessa del soggetto. Il genitore, allora, non avrebbe espliciti obiettivi d’insegnamento da raggiungere, ma dovrebbe focalizzare l'attenzione sull’opportunità di favorire la costruzione e la sistematizzazione delle procedure condivise tra sé e il figlio. - Un riferimento teorico per i processi di sviluppo individuali all’interno dell’AE è rappresentato dalle teorie sulla Regolazione Emotiva e dai modelli operativi orientati in tal senso (Franciosi, 2017; Attwood et al., 2008). La regolazione emotiva rappresenta una delle componenti di maggior rilievo nell’organizzazione della personalità del bambino, nell’acquisizione di un adeguato e flessibile comportamento sociale (Thompson, 1994) e nello sviluppo di una più complessa auto-organizzazione della mente (Schore, 2003). Emozioni e affetti sono processi integrativi che collegano tutte le funzioni e le attività della mente (Siegel, 2007) e la loro regolazione ha una funzionalità altamente significativa nella vita degli esseri umani. La regolazione emotiva è, pertanto, una competenza centrale per il benessere, costituendo il prerequisito psicofisiologico della capacità di apprendere e adattarsi funzionalmente alle situazioni della vita, oltre che un fattore protettivo rispetto all’eventualità di disagi psichici (Franciosi, 2017; Gross, 2007). I processi di regolazione avvengono a diversi livelli delle reti cerebrali deputate all’esperienza affettiva. Gli studi sull’affettività nel campo delle neuroscienze (Panksepp, 1998; 2010) confermano l’esistenza di reti cerebrali primarie alla base dei sistemi emozionali umani (istintuali, non coscienti): esplorazione, gioco, accudimento, paura, panico, rabbia, sessualità. A questo livello troviamo dunque le fondamenta della vita emozionale, da cui originano le motivazioni all’azione. I processi emotivi secondari prendono forma sempre ad un livello precosciente e riguardano abitudini, automatismi, apprendimenti di risposta emotiva condizionati dall’esperienza. L’ultimo livello, sostenuto da reti cerebrali evolutivamente più recenti (neocorteccia), riguarda la funzionalità cognitiva preposta alla pianificazione, alla modulazione e al controllo cosciente delle emozioni (Fig.1).
Provando a superare la manualizzazione, il determinismo e la semplificazione che prendono il controllo in molti modelli di cura, lo scopo ultimo dell’Approccio Ecosistemico è il raggiungimento degli obiettivi esistenziali fondamentali per ogni bambino con DSAut: massimo grado possibile d’indipendenza personale e responsabilità sociale (National Research Council, 2001) e maggior livello possibile di qualità della vita, per lui e la sua famiglia. Tali obiettivi potrebbero essere raggiunti dando impulso alle migliori occasioni di apprendimento, creando le condizioni ottimali che permettano alla mente dei minori con DSAut di imparare a processare e organizzare gli stimoli, interni ed esterni, in un tutto che abbia senso, di apprendere dalle esperienze della vita ed evolversi (Franciosi, 2017). Ed è intuibile che ciò possa accadere solo sviluppando, in parallelo al lavoro negli ambulatori, una rete umana propositiva e responsabilmente impegnata nella crescita del bambino.
Lo sviluppo, tipico e atipico, non procede in modo lineare e univoco, ma è dipendente da un’ampia gamma di variabili che appartengono al sistema di vita dei soggetti coinvolti. La gestione consapevole di tali variabili consente di sviluppare interventi coerenti ed efficaci, con il coinvolgimento di più persone e situazioni in modo proattivo, consapevole e funzionale alla vita del minore con DSAut. Secondo l’AE, gli interventi di cura devono essere organizzati in modo tale da mettere in connessione tutti i sistemi di vita del minore, dal micro-sistema delle funzioni psicofisiologiche e mentali ai macro-sistemi relazionali e ambientali.
Per la scelta di quali azioni di cura intraprendere, è necessario orientarsi tenendo a mente le tre dimensioni che delineano il campo degli interventi nell’AE, ossia:
- LIVELLI DI FUNZIONALITÀ INDIVIDUALE E FAMILIARE
Mappare il profilo delle abilità funzionalmente adattive, con strumenti appropriati, consente di definire le aree prioritarie d’intervento e redigere un piano abilitativo altamente individualizzato per il minore. Tuttavia, è necessario delineare anche il profilo delle competenze e delle attitudini dei genitori e degli altri membri della famiglia, delle loro risorse e dei loro punti di forza, e su questi adattare le strategie educative da implementare. - FASI DEL CICLO DI VITA
Ogni intervento deve allinearsi ai bisogni mutevoli che emergono nelle varie fasi dello sviluppo del bambino ed essere congruo al momento storico e agli accadimenti straordinari della vita (lutti, separazioni, cambiamenti improvvisi delle routine familiari). Riconoscere le fasi evolutive, e le competenze funzionalmente associate, consente di personalizzare gli interventi, come segue:- nella prima infanzia, l’obiettivo fondamentale è il potenziamento delle competenze intersoggettive e di gioco condiviso;
- nella seconda infanzia, gli interventi puntano in particolar modo al potenziamento delle competenze socio-comunicative, alle abilità di adattamento e regolazione del comportamento, a situazioni strutturate in grado di favorire apprendimenti ed educare specifici comportamenti;
- in pubertà e adolescenza, gli interventi primari mirano al rinforzo delle abilità di autonomia e al potenziamento delle spinte vocazionali e dell’adattamento sociale;
- in tarda adolescenza, uno degli obiettivi prioritari è l’impostazione di programmi di formazione e di orientamento socio-occupazionale.
- LIVELLI ECOLOGICI E SOSTENIBILITÀ DELL'INTERVENTO
Ogni azione deve essere adeguata al contesto in cui si situa l’intervento: Genitori-Figlio, Operatori-Utente, Famiglia-Operatori, Operatori-Scuola, Operatori-Servizi privati. Gli interventi devono essere bilanciati e sostenibili per tutto il sistema familiare, oltre che proporzionati alle risorse presenti nei vari ambienti di vita e centrati sulle loro caratteristiche.
Il bambino con DSAut si trova al centro di vari sistemi con i quali è in rapporto di interazione diretta o indiretta, con intensità diverse in rapporto al grado di appartenenza, alla vicinanza, ai bisogni e ai sentimenti coinvolti (Fig.2). Così come fortemente suggerito dalle Linee Guida Nazionali (ISS, 2011), ogni intervento deve includere tutti coloro che partecipano al progetto di crescita della persona e, in particolare, deve prevedere la partecipazione dei genitori in tutte le fasi della presa in carico.
A livello operativo, la clinica ambulatoriale per i DSAut secondo l’Approccio Ecosistemico prende forma così come appare nel grafico in Fig. 3.
I progetti d’intervento abilitativi-educativi, nelle modalità di sessioni di lavoro individuali o in piccolo gruppo, sono erogati in base all’età e alla tipologia dei trattamenti.
- Fascia 1-5 anni d’età: valutazione globale delle abilità in molteplici domini di sviluppo e implementazione di piani di trattamento individualizzati secondo l’approccio per l’intervento precoce Early Start Denver Model (ESDM; Rogers & Dawson, 2010);
- fascia 6-12: interventi con approccio Treatment As Usual (TAU); comprendono sessioni di neuropsicomotricità e/o logopedia e/o psicoeducazione orientate allo sviluppo di competenze di sviluppo secondo le necessità evolutive, con un piano di obiettivi basato sui punti di forza del bambino e sulle abilità emergenti; il trattamento può essere individuale e/o di gruppo ed integra i principi, le prassi e le strategie di derivazione comportamentale, le metodologie dell’educazione cognitivo-affettiva (Attwood et al., 2008), le strategie della Comunicazione Aumentativa-Alternativa (CAA) e gli interventi a matrice relazionale (DIR), con l’obiettivo di promuovere competenze intersoggettive, comunicative e sociali e abilità di regolazione emotiva e di gestione del comportamento;
- fascia 13-17: azioni psicoeducative individuali e in gruppo con l’obiettivo di accrescere la consapevolezza su tematiche personali (es. affettività e sessualità), potenziare le abilità metacognitive, educare ai comportamenti socialmente adeguati, valorizzare le spinte vocazionali, orientare alla formazione professionalizzante;
- psicoterapia individuale per ragazzi ad alta funzionalità cognitiva;
- interventi in situazioni di difficoltà comportamentali e di co-occorrenza di disturbi dell’area affettiva, secondo il modello operativo orientato alla Regolazione Emotiva (Franciosi, 2017);
- approccio con metodologia c.m.i. (Gava & Caterino, 2014), secondo cui alla base dell'apprendimento vi è la conoscenza della realtà, basata sulla costruzione di punti di riferimento che nascono da una risonanza SPEM (senso-percettivo-emozionale-motoria). Punti essenziali della metodologia riguardano la costruzione di vincoli semantici (prime rappresentazioni dei vettori prassici delle procedure), la traccia grafica (rappresentazione dei punti di riferimento e degli oggetti utilizzati nella procedura, costruiti con il bambino) e l'agito sul rappresentato (uso da parte del bambino delle icone mobili rappresentanti gli elementi essenziali della procedura - oggetti, cibi, giochi ecc. - su un supporto visivo che rappresenta un ambiente, un luogo di vita, con la finalità di ricostruire azioni, collocare oggetti, riconoscerne l'uso e la funzione, effettuare narrazioni).
Fondamentali nell’AE sono lo sviluppo e il consolidamento delle competenze genitoriali e delle abilità operative degli Operatori coinvolti, così come il sostegno psicologico e il potenziamento della resilienza (Camuffo & Costantino 2009, 2010; Costantino & Camuffo, 2009), attraverso interventi di tipo diverso:
- programmi di intervento mediati dai genitori di bambini molto piccoli, in affiancamento ai terapisti, al fine di restituire ai genitori un senso di maggior efficacia e di promuovere lo sviluppo e l’incremento della loro soddisfazione, del loro empowerment e del loro benessere emotivo nella relazione con il figlio;
- analisi delle sequenze video effettuate dai genitori nel contesto domiciliare;
- percorsi di parent training, nelle forme di gruppi psicoeducativi per i genitori, spesso su tematiche specifiche (ansia, selettività alimentare, regolazione emotiva, abilità vocazionali);
- percorsi di parent training di coppia, con incontri periodici finalizzati all’analisi e al monitoraggio di situazioni particolari e al potenziamento delle strategie educative;
- counseling alle coppie genitoriali;
- gruppi di psicoterapia per genitori;
- consulenze agli Operatori (sanitari, scolastici, del tempo libero), come occasioni di supporto continuo per aumentare competenze ed efficacia educative in tutti gli ambiti di vita;
- training formativi rivolti agli Operatori, per il consolidamento delle competenze operative con strumenti e metodi evidence based;
- supervisione agli Operatori, per sostenere e potenziare le capacità professionali.
Nell’AE una forte attenzione è data a migliorare il raccordo tra servizio sanitario e scuola, nell’idea che potenziare l’efficacia educativa delle azioni scolastiche possa evitare quello che Enrico Micheli, Psicologo e responsabile del Servizio per l’Età Evolutiva di un distretto sanitario di Belluno, in un’intervista (Micheli, 2005) chiamava “paradosso educativo”. In sintesi, Micheli sosteneva che la scuola, che accoglie i bambini per molte ore al giorno con grande impiego di personale educativo, sprechi questa eccezionale opportunità, non offrendo quelle attività educative di cui i bambini con autismo hanno bisogno.
Fra gli interventi in questa direzione:
- Gruppi di lavoro allargati, finalizzati al raccordo tra famiglia, scuola e operatori del tempo libero e alla creazione di linee di lavoro condivise, per aumentare così il livello di coerenza dell’intervento, la generalizzazione delle competenze acquisite dai bambini nei contesti naturali e la creazione di condizioni migliori per l’integrazione sociale reciproca.
- PROGETTO MARGHERITA: promosso dalla Rete Autismo, dalla UOC Promozione ed Etica della Salute-Educazione alla Salute dell’A.USL Toscana Sudest, in collaborazione con gli Uffici Scolastici Provinciali di Siena, Grosseto e Arezzo, è finalizzato alla costruzione di progetti di attività laboratoriali rivolte al “fare condiviso”, ovvero a quella serie di prassi della vita quotidiana (cucina, orto, arte, musica, accudimento degli ambienti ecc.) che consentono al minore con DSAut di costruire, nell'interazione con il suo gruppo-classe, una metodologia di apprendimento centrata su condivisione e cooperazione. Il Progetto si basa sul comprovato riscontro che non esistono una buona capacità comunicativa e un’adeguata partecipazione sociale se l'individuo al centro delle relazioni non sta bene e non ha un buon equilibrio omeostatico. A scuola, le alterazioni individuali del neurosviluppo possono quindi esprimersi con un elevato grado di variabilità fenomenica, in rapporto al livello di disfunzionamento neurobiologico del soggetto, delle sue condizioni di salute fisica, delle sue competenze comunicative-linguistiche, ma anche in relazione alla possibilità o meno di esprimere se stesso tramite la piena espressione dei propri bisogni fondamentali, delle proprie attitudini ed eventualmente dei propri talenti, indipendentemente dal grado di severità della compromissione (ad es. vi sono soggetti a basso funzionamento che hanno un'attitudine all’ascolto musicale molto raffinata e si mostrano perfettamente consonanti e comunicativi all'interno di un contesto sonoro a loro gradito).
Le difficoltà relative all'integrazione scolastica sono tuttavia comprovate da numerose evidenze recenti sui rapporti sociali nelle classi primarie, che rivelano per i bambini con DSAut un pattern di partecipazione alla rete relazionale molto più basso rispetto ai compagni neurotipici. Anche nelle classi maggiormente inclusive, i bambini con DSAut sono coinvolti nei rapporti sociali tra pari soltanto per la prima metà della scuola primaria ed appaiono sempre meno inseriti in funzione del progredire della carriera scolastica. Per favorire un effettivo coinvolgimento sociale, sono necessari un potenziamento delle abilità dei bambini con DSAut, una maggiore assistenza da parte degli adulti di riferimento e attività comuni da condividere (Rotheram-Fuller et al, 2010).
Il Progetto Margherita, rivolto a tutte le scuole di ogni ordine e grado delle tre Province (Grosseto, Siena, Arezzo) dell’A.USL Sudest Toscana, si basa sull’intercettazione da parte dei docenti dei centri di interesse e dei talenti di tutti gli studenti della classe. Rispetto ad altre recenti evidenze italiane (Cottini et al, 2018), basate perlopiù su modalità di inclusione mediate da conoscenze comportamentali dei coetanei peer-educators, nel progetto si cerca di creare una co-attivazione e una co-partecipazione del gruppo dei pari alle attività didattiche, tramite la ricerca dei baricentri motivazionali di tutti gli studenti, all'interno di laboratori di didattica inclusiva orientati al fare condiviso.
In questa cornice, l'eterogeneità degli stili cognitivi e temperamentali dei ragazzi e delle loro storie personali, la ricchezza delle diverse attitudini affettive e dei talenti del gruppo classe, la curiosità ed il desiderio di ristrutturare le dimensioni spazio-temporali e le discipline insegnate da parte dei docenti sono gli ingredienti necessari per creare, a scuola, un vero e proprio lavoro sistemico, rispettoso delle motivazioni e delle attitudini di tutti. Con il Progetto Margherita si insegna non solo a compensare l'autismo, ma anche a valorizzarlo in funzione delle sue peculiari ed uniche manifestazioni e specialità. Il che determina nei ragazzi un incremento delle rappresentazioni positive della diversità (come dimostrato dal marcato decremento delle azioni di bullismo a scuola).
Le azioni del cronoprogramma della Rete Autismo hanno previsto tavoli aziendali provinciali in cui sono state discusse le criticità e le azioni relative alla rete di interventi rivolta ai soggetti con DSAut, dall'età evolutiva all'età adulta. In queste sedi si è strutturata un'attiva co-partecipazione delle associazioni dei familiari alle azioni programmatiche tramite la condivisione e l’attuazione delle prassi dell’AE.
- In Area Grossetana, in particolare, è stata attivata una supervisione, da parte del personale del Centro Autismo, delle attività ludico-ricreative dell'Associazione “Iron Mamme” e sono state svolte supervisioni, intervisioni e osservazioni in vari contesti: attività musicali con il Liceo Musicale, attività di teatro, scuola circo, calcio (Milan Camp), attività di agricoltura sociale, dog-therapy ecc.
- Gli interventi sul modello della regolazione emotiva e dell’apprendimento della realtà vengono prima proposti e condivisi in ambulatorio, nell’incontro con le singole famiglie, poi traslati in tutti i contesti, fino ai tavoli interistituzionali aziendali.
- Una delle azioni centrali è stata la formazione degli educatori professionali afferenti al Servizio Sociale di Zona, che vengono istruiti sul funzionamento e sulle strategie da adottare nei confronti dei ragazzi Dsaut che avranno in carico. Secondo l'AE, la formazione deve riguardare non solo le strategie comportamentali (pianificazione attività, strutturazione degli spazi-ambiente, gestione dei comportamenti problema), ma anche la valorizzazione dei talenti e delle aree di sviluppo prossimale della persona, nel tessuto della quotidianità ed all'interno del gruppo dei pari. La finalità ultima è la costruzione di una rete di professionisti che divengano punti di riferimento delle famiglie nelle attività pomeridiane di socializzazione e di incontro, al di fuori della scuola e degli interventi abilitativi ambulatoriali.
La presa in carico, tempestiva e globale del bambino e della famiglia, non può prescindere dalla costruzione dell’alleanza con i genitori. A pochi giorni dalla restituzione della diagnosi, genitori e figlio sono convocati per un periodo di osservazione, finalizzato sia alla valutazione del comportamento del bambino in situazione ambulatoriale, sia ad aprire i primi spazi di confronto e collaborazione con i genitori, ad esempio cominciando a fornire suggerimenti ed informazioni utili (cosa leggere, a chi chiedere informazioni, quali attività sportive e del tempo libero scegliere, come parlare ai fratelli, etc.). In un momento di vita così delicato come quello che vivono i genitori dopo la diagnosi, è cruciale che gli operatori sappiano accogliere le loro angosce e sostenerli. È nei primi confronti, dunque, che si gioca la partita dell’alleanza con il servizio, si sperimenta la percezione di potersi affidare, si compie il primo passo per una proficua collaborazione futura.
Pur utilizzando tutti gli strumenti clinici più accreditati in letteratura, i colloqui iniziali sono utilizzati per aiutare i genitori a riconoscere e dare valore alle risorse, ai talenti e alle attitudini del figlio e alle risorse presenti negli ambienti (ad esempio, gli adulti più efficaci), provando a bilanciare il peso inevitabilmente spostato tutto sui deficit e sul repertorio sintomatologico. Il processo anamnestico, all’interno delle valutazioni diagnostico-funzionali, è quindi orientato a far emergere le caratteristiche temperamentali del bambino, le sue preferenze (sensoriali, di attività, relazionali), i suoi atti comunicativi spontanei, i modi in cui conosce la realtà, gli stili preferenziali di apprendimento e le situazioni nelle quali esprime maggiormente il suo potenziale. Già dai primi incontri, vengono incoraggiate la definizione di spazi di reciprocità genitore-figlio nella realtà quotidiana (cucina, giardino, pulizie, lavori domestici) e la costruzione di routine nelle procedure quotidiane domestiche. Giorno dopo giorno, i genitori vengono aiutati a comprendere l'importanza di allenare nel proprio figlio, attraverso queste esperienze quotidiane, capacità cognitive come l’organizzazione, la pianificazione, il ragionamento causa-effetto, l’autoregolazione, la memoria di lavoro (afferenti alle funzioni esecutive).
Alle prime valutazioni dello sviluppo del bambino e delle sue peculiari modalità di apprendere, adattarsi e interagire nel mondo partecipano lo Psicologo, l’Educatore e almeno un Terapista. Lo Psicologo, che coordina le azioni di valutazione e monitoraggio, decide, anche sulla base di ciò che emerge nella fase diagnostica e delle competenze richieste, quale altro professionista chiamare a supporto. Questa prima fase può richiedere fino a 5 sessioni di lavoro, al termine delle quali viene redatto il Progetto Terapeutico-Riabilitativo Individualizzato (PTRI), comprensivo degli obiettivi e degli indicatori di verifica. Se utile iniziare tempestivamente il lavoro abilitativo-educativo individuale, si procede con l’individuare l’Operatore più adatto agli obiettivi del progetto di cura.
Non è necessario che ci siano Terapisti subito disponibili o che scorra la lista di attesa per iniziare a lavorare con i genitori, con il bambino, con la scuola. Anche senza attivare immediatamente le sessioni individuali di lavoro abilitativo-educativo, gli Operatori, formati nelle strategie di implemento delle competenze di sviluppo nei vari ambienti, possono gettare le basi per ottimizzare l’efficacia degli interventi in tutti i contesti di vita del minore, in particolare a casa e a scuola. Da subito, si creano le basi per la formazione di un gruppo di lavoro allargato, con tutti gli adulti a disposizione che si occupano della crescita del bambino. Con loro, vengono condivisi gli obiettivi, lavorando sulla chiarezza degli indicatori di verifica e delle modalità con cui raggiungerli, cercando di aiutare il bambino a generalizzare le competenze che acquisisce di volta in volta (a scuola, al Centro, a casa, dalla nonna, etc.), provando a rendere replicabili le esperienze fruttuose (ad esempio, replicando in altri luoghi di vita la strategia per il lavaggio delle mani che ha mostrato di funzionare in ambulatorio). Ogni quarantacinque giorni circa, si procede ad una verifica, con modalità varie e adottando strumenti diversi: colloqui con i genitori, somministrazioni di questionari, scale e interviste, osservazioni del comportamento del bambino in situazioni non strutturate e analisi di sequenze video-registrate, colloqui con gli insegnanti e le figure educative domiciliari e/o del tempo libero, intervisioni e supervisioni con i colleghi e altri Operatori socio-sanitari.
Un ruolo centrale nell’AE è svolto dai “compiti a casa” assegnati ai genitori, spesso accompagnati dalla richiesta di filmare i momenti in cui bambino e genitore sono impegnati in attività condivise (come apparecchiare la tavola). L’analisi di queste sequenze videoregistrate risulta estremamente utile, sia per verificare la correttezza delle procedure d’insegnamento, sia per rinforzare nel genitore il senso di efficacia personale e di centralità nel processo di crescita del figlio, troppo spesso “delegato” ai professionisti. Sulla base delle valutazioni periodiche dei bisogni e delle competenze genitoriali, vengono attivati percorsi di training specifici di gruppo (ad esempio sui temi dell’alimentazione, dell’ansia, della regolazione emotiva) o percorsi di consulenza di coppia.
L’alleanza di lavoro con il personale della scuola sfocia nell’impostazione congiunta di attività laboratoriali rivolte al “fare condiviso” in aula, ispirate a prassi della vita quotidiana (cucina, orto, arte, musica), che consentono al minore con DSAut e a tutto il gruppo-classe di sperimentare la cooperazione e la possibilità di apprendere in modo comune e partecipato. Frequenti sono le richieste di consulenza di operatori della scuola e del tempo libero, che negli anni hanno imparato a conoscere il Centro Autismo non solo come sede di erogazione di prestazioni sanitarie, ma anche come luogo formativo di incontro e di riflessioni condivise. La Fig.4 sintetizza un esempio di percorso di presa in carico secondo l’Approccio Ecosistemico.
Da questo modo di intendere il percorso di cura per i minori con DSAut stanno emergendo i primi effetti positivi, tuttora in fase di registrazione ed elaborazione. Sul piano individuale delle competenze di sviluppo dei bambini e dei ragazzi con DSAut in carico al Centro, i primi risultati mostrano un potenziamento delle abilità adattive nelle aree Comunicazione, Abilità Sociali e Autonomie personali e domestiche.
Altro risultato è lo sviluppo di abilità di autoregolazione emotiva e adattamento comportamentale nei contesti socializzanti, così come della partecipazione inclusiva nel gruppo classe. La condivisione delle buone prassi sopra descritte per il Progetto Margherita, che tengono in considerazione i talenti e le aree di sviluppo prossimale di tutti gli alunni/studenti, permette di rendere realmente inclusivo il percorso scolastico del bambino/adolescente con DSAut, lavorando non solo sul suo arricchimento cognitivo, ma anche sul miglioramento dell’abilità di regolazione emotiva, della capacità di condividere spazi e tempi, della partecipazione consapevole, dell’acquisizione di una migliore comprensione delle regole sociali.
Nei circa sette anni di attività, è stato evidente l'aumento progressivo del grado di collaborazione delle scuole. In Provincia di Grosseto, tramite il progetto Margherita, sono stati coinvolti durante l’anno scolastico 2017-2018 12 plessi scolastici per circa 30 alunni DSAut, con un programma di formazione rivolto a tutte le scuole e azioni di supervisione diretta e indiretta, realizzato attraverso l’ausilio di videoregistrazioni e documentazioni dei docenti.
I primi risultati mostrano un miglioramento nella comunicazione e nella qualità dei rapporti e delle relazioni sia all'interno delle classi che tra i docenti, con una netta riduzione dei fenomeni di disagio e di bullismo. L'analisi degli indicatori delle aree motivazione, omeostasi, partecipazione, relazioni e regole sociali, hanno evidenziato un loro miglioramento significativo, valutato dai docenti al tempo 0 e dopo 6 mesi dall'inizio del progetto (Analisi Sistema Demografico ed Epidemiologico A.USL Sudest, 2018). Per l'anno 2018-2019 sono previste le seguenti azioni di potenziamento del progetto:
- allargamento a 18 plessi scolastici (circa 50 studenti con DSAut);
- formazione specifica nelle scuole sulla didattica inclusiva;
- formazione specifica degli Operatori sanitari;
- coinvolgimento delle Province di Siena e di Arezzo;
- strutturazione di indicatori di qualità degli interventi rivolti agli studenti e agli insegnanti.
L’Approccio Ecosistemico, oltre a costituire il presupposto per un migliore adattamento ambientale, sembra in grado di realizzare effetti positivi anche sull'organizzazione ed il management della presa in carico dei soggetti con DSAut, riuscendo ad incidere positivamente sui tempi di attesa per gli interventi riabilitativi individuali tradizionalmente erogati dalle UFSMIA o dai centri di riabilitazione convenzionati (logopedia, psicomotricità ecc.). La famigerata “lista d’attesa”, che negli anni di attività del Centro Autismo ha registrato punte di 30 bambini, con tempi superiori ai 9 mesi per il primo contatto, è oggi ridotta ad un massimo di qualche settimana dalla diagnosi.
I percorsi di cura sono caratterizzati da maggior flessibilità e migliore personalizzazione degli interventi, nonché da un aumento dell’alleanza tra operatori e famiglie. A conferma di questo, nei sette anni di attività i casi registrati di drop-out per insoddisfazione relativa al percorso di cura sono stati appena tre.
Attualmente, il numero di utenti in carico oscilla intorno alle 90 unità, comprendendo anche i casi delle vicine Follonica e Orbetello. Il numero di casi seguiti a distanza (attraverso interventi “indiretti”) ed il buon esito dei percorsi intrapresi con la collaborazione di tutti gli Operatori delle UFSMIA, sta facendo emergere buone evidenze circa la replicabilità del modello.
Uno degli elementi più delicati, in questo modo di condurre gli interventi, è l’alleanza con le famiglie. Allo specialista spetta il difficile compito di promuovere una forte comunanza d’intenti con i genitori, gettando le basi per un cambio di concezione e di aspettative, spesso rigidamente centrate sullo schema “più trattamenti ambulatoriali, più miglioramenti”. I genitori, abituati a pensare ai servizi esclusivamente come erogatori di prestazioni ambulatoriali e non come punti di partenza per la costruzione condivisa di percorsi, vengono gradualmente condotti ad affrontare un cambio radicale di paradigma.
Il passaggio ad un approccio centrato sul concetto di “progetto di vita”, così come promosso dalla Regione Toscana (DGR n. 1459/2017), da un lato ha reso merito all’AE, spostato con coerenza e sempre di più su un livello di co-progettazione e co-realizzazione degli interventi con le famiglie, dall'altro ha inevitabilmente “destabilizzato” il pensiero di un sistema curante connesso esclusivamente ad azioni terapeutiche ambulatoriali individuali. E ciò ha determinato, in una fase iniziale, un’inevitabile tensione ed alcune azioni di protesta da parte delle Associazioni dei genitori. Tuttavia, la collaborazione a molti dei progetti promossi o realizzati dalle Associazioni stesse (calcio, teatro, dog-therapy, musica, progetto Margherita), la presenza fisica degli operatori a fianco dei genitori e le azioni di supervisione hanno gradualmente ricostruito un clima di fiducia e di reciproca soddisfazione e stima.
Infine, elementi di criticità nell’approccio sono anche l’alta flessibilità e la personalizzazione dei percorsi di cura, che rendono difficile il compito di stabilire protocolli standardizzati e di facile realizzazione. L’Approccio Ecosistemico rappresenta un modo di concepire la cura dei DSAut come un processo non manualizzabile per quanto altamente individualizzato.
I Disturbi dello Spettro Autistico, rappresentano sfide affascinanti ma faticose da gestire per i servizi territoriali, specie se il loro management clinico si irrigidisce ad offrire prestazioni “riabilitative”, come se si trattasse di recuperare funzioni danneggiate con l’obiettivo di tornare ad una condizione di perduta normalità. I DSAut non hanno a che fare con questo, poiché niente è da aggiustare o da recuperare. I DSAut richiedono un gran lavoro in tutti gli ambienti di vita, per abilitare funzioni che naturalmente non evolvono ed educare a comportamenti e a modalità di adattamento socialmente più adeguate. Sempre nel rispetto delle caratteristiche e delle risorse individuali, alla ricerca di attitudini vocazionali verso le quali orientare i percorsi di vita.
Sin dalla sua nascita, il Centro Autismo di Grosseto si è mosso nell’ottica del perseguimento del benessere esistenziale e della migliore qualità della vita, per il bambino e la sua famiglia, nella consapevolezza dei limiti e delle possibilità del suo ruolo e del rischio, per tutti gli attori, di cadere nella trappola della dipendenza: dipendenza dai trattamenti, dipendenza dagli Operatori, dipendenza dai servizi.
Alla base dell’approccio AE, c’è la convinzione che affrontare i DSAut in modo competente e fruttuoso, all’interno di un servizio territoriale di Neuropsichiatria Infantile, Psicologia e Riabilitazione dell'età evolutiva, è possibile solo se gli Operatori diventano promotori attivi di esperienze ambientali che, innestando circoli virtuosi di sviluppo, possono aiutare i bambini con DSAut nel difficile percorso di apprendimento, integrazione e generalizzazione delle competenze che dura tutta la vita. Un percorso orientato sui “centri di interesse” dei minori, che metta in primo piano gli apprendimenti naturali in contesti con alto livello di tolleranza agli errori, dove non si richieda un livello di efficienza elevato ma si ponga l’accento sul piacere di condividere e si presti grande attenzione alla necessità che bambini, adolescenti e operatori si muovano, agiscano e si incontrino in condizioni di benessere e di buona regolazione emotiva.
Negli ultimi anni, la necessità di migliorare la relazione collaborativa con i genitori si è fatta sempre più evidente, nel tentativo di aiutarli ad assumere un ruolo centrale e propositivo nel percorso dei figli, e, al contempo, ottimizzare le risorse socio-ambientali a disposizione. Quando queste due operazioni “riescono”, il carico di responsabilità degli interventi di cura, spesso troppo spostato sugli interventi di terapisti e educatori, sembra raggiungere un equilibrio migliore, restituendo il giusto riconoscimento alla virtù abilitativa e educativa dell’ambiente e delle esperienze di vita e ristabilendo la priorità dell’obiettivo di qualunque intervento sanitario, ossia la migliore qualità della vita nei luoghi naturali.
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