30 settembre 1999, la “chiusura” del San Niccolò
Viene riferito che l’Ospedale psichiatrico di Siena chiuse nel 1999 e fu l’ultimo in Italia. All’epoca i ricoverati erano 879, nel 1996 erano diminuiti a 293 non per dimissioni ma quasi sempre per decesso. Viene messo in evidenza che, nonostante l’approvazione della legge 180, in città ci fu una certa resistenza verso la de-istituzionalizzazione dell’ospedale psichiatrico.
It is reported that the Psychiatric Hospital in Siena, which finished his life in 1999, was the last to close in Italy. At that time the mental patients were 879, in 1996 they had decreased to 293, not for resignation but almost always for death. It is highlighted that, in spite the introduction of the law 180, in Siena there was a certain resistance to accept the closure of the Psychiatric Hospital.
L'ospedale psichiatrico San Niccolò di Siena “chiuse” in maniera definitiva solo il 30 settembre 1999, l'ultimo in Italia (1).
Le virgolette sono d'obbligo poiché, in effetti, le grandi porte dell'edificio centrale sono rimaste chiuse per pochissimo tempo visto che il San Niccolò è oggi sede di numerose attività.
La chiusura è stata il punto di arrivo di un percorso “fisiologico”: nel 1978 (con l'entrata in vigore della l. 180) i ricoverati erano 879, ai primi di gennaio 1996 si era scesi a 283 (2).
In molti casi (verificatisi pure in altre strutture italiane) questo processo era stato determinato dai decessi delle persone, non dalle loro dimissioni. Rispetto ad altre località come Arezzo, per segnalare una struttura in Toscana, il processo di superamento non era stato accompagnato da una concertazione istituzionale significativa e quindi non fu molto incisivo.
C'era un atteggiamento molto distaccato, ed eterogeneo, nei confronti delle varie leggi, nazionali e regionali, che intendevano istituire strutture alternative e servizi territoriali.
La costante presenza di internati provenienti da diverse province, anche relativamente lontane, ha probabilmente contribuito a perpetrare un'organizzazione di tipo manicomiale che di fatto rimase impermeabile ad interventi più aggiornati in materia di assistenza psichiatrica inItalia (3).
Più si assisteva, in Italia, al processo di de-istituzionalizzazione e deospedalizzazione e più, a Siena, il manicomio si rinchiudeva su sé stesso, restio nel comprendere questa serie dieventi.
Il San Niccolò, approvata la legge 180, aveva di certo «aspetti contraddittori: alcuni reparti erano stati restaurati e si presentavano migliori, dal punto di vista ambientale, di quelli dell'Ospedale civile, che a quel tempo si trovava ancora al Santa Maria della Scala. Altri invece, come il Conolly, il Chiarugi, le infermerie, erano dei veri e proprilager» (4).
I pazienti stessi, nonostante la somministrazione degli psicofarmaci, videro (almeno fino alla fine degli anni Sessanta) alcuni trattamenti legati a forme coercitive e detentive (5).
Va segnalato che il disinteresse non fu solo interno al San Niccolò ma anche nei servizi psichiatrici territoriali, i quali, nonostante quanto affermato dalla 180 in merito al graduale superamento delle strutture manicomiali, non ritenevano di loro competenza occuparsi del destino dei ricoverati nel manicomio alimentando per certi aspetti «un processo di rimozione collettiva (negli operatori e nella città) della realtà manicomiale, dell'esistenza stessa del manicomio, garantendo in tal modo la sua permanenza» (6).
Come indicato in nota nella pagina precedente, la finanziaria 1994 (l. 724/94), che fissava per la chiusura degli ospedali psichiatrici la data del 31 dicembre 1996, “riavviò” pure la USL di Siena che, con la Regione Toscana e la Consulta regionale per la salute mentale, nel gennaio 1996 organizzò un convegno, Chiudere il manicomio per non aprirne di nuovi (7) da cui si chiarì definitivamente la mancanza da parte degli operatori del San Niccolò di progetti organici per la chiusura.
Dopo il convegno la Commissione regionale per il monitoraggio del processo di superamento degli ospedali psichiatrici della Toscana effettuò un sopralluogo al San Niccolò dalla cui relazione emerse che:
La commissione ha riscontrato una situazione non certo di abbandono o indifferenza, ma piuttosto “pre 180”. L'ospedale psichiatrico appare vivo e funzionante. I reparti si presentano appunto come reparti di o.p. per nulla abbandonati ed anzi gestiti e tenuti in funzione in una dimensione culturale e operativa del tutto manicomiale. Il personale appare integrato e coerente con questa impostazione. È presente e attiva una cultura di tipo manicomiale, che comporta l'oggettivazione dei degenti, pur con una coscienziosa attenzione alla loro gestione materiale; è ancora attiva un'opposizione di tipo ideologico alla chiusura dell'o.p.. L'intenzionalità opposta di cui sono portatrici decise e consapevoli la direzione aziendale e la direzione del DSM non sembra trovare una ricaduta operativa all'interno dell'ex o.p.. L'apertura della RSA “Il tamburino” sembra comunque aver aperto uno spazio di diversità e di contraddizione all'interno di un corpo prima compatto. I programmi di dimissione sembrano insufficienti, o non ancora sufficientemente precisati, soprattutto per gli ex degenti provenienti dalla zona senese. Risulta necessaria la costituzione di un gruppo di lavoro specifico, con personale e soprattutto con dirigenti (psichiatri, psicologi) nuovi, scelti in funzione del compito specifico da svolgere. Questo stesso gruppo dovrà rivalutare ed eventualmente riformulare i programmi già formulati, con particolare riferimento ai bisogni dei degenti ed alle soluzioni alternative possibili ed ai progetti di riorganizzazione interna dell'ex o.p. (8).
Nell'ottobre del 1997 riprese la propria attività il Gruppo per il superamento o.p., l'attività di questo Gruppo vide la ricostituzione delle sue componenti, deliberate dagli organismi di zona per quanto riguardava le componenti della provincia di Siena e dai relativi Distretti di salute mentale per Viterbo e Grosseto. Furono riconsiderati i bisogni assistenziali dei singoli ospiti e programmate le dimissioni sia in strutture a gestione del DSM – con l'intento di utilizzare quelle esistenti e la creazione di nuove laddove inesistenti o insufficienti – sia in RSA, in collaborazione con il Servizio di Assistenza sociale, attraverso la riserva di posti per gli ospiti dell'ex o.p. in diverse strutture della provincia.
Nacque in quei mesi il Progetto obiettivo de-istituzionalizzazione (9)articolato in due parti: la prima prevedeva una serie di interventi di riqualificazione degli ambienti di ospitalità con l'obiettivo di migliorare la qualità della vita dei degenti aumentandone la privacy, personalizzando i locali, diminuendo la convivenza; la seconda parte costituì un progetto denominato Cura della persona: con questo si voleva far recuperare agli ospiti, che presentavano livelli di regressione notevole, una serie di competenze per quanto riguardava l'igiene personale, l'abbigliamento personalizzato realizzato con la partecipazione dell'interessato all'acquisto degli indumenti, la loro sistemazione in armadietti collocati accanto al letto del soggetto anziché in un unico guardaroba, ecc.
Queste attività, rivolte essenzialmente alla socializzazione e alla riabilitazione degli ospiti, furono possibili ed ebbero successo anche col determinante servizio, dal giugno 1998, di un gruppo di educatori professionali; furono realizzati soggiorni in albergo o in appartamento per piccoli gruppi di utenti, organizzate uscite quotidiane per acquisti o per andare al ristorante o al cinema, per far rinascere negli ospiti desideri e fare sperimentare loro forme diverse di socialità; all'interno delle strutture si realizzarono laboratori per sollecitare la partecipazione anche degli ospiti più regrediti e feste alla cui organizzazione contribuirono le associazioni di Siena in maniera decisiva; i reparti, precedentemente chiusi, rimanevano aperti per la maggior parte della giornata, cosa che in realtà come Trieste erano avvenute quasi vent'anni prima.
Dopo queste iniziative ripresero le dimissioni non solo dalla provincia di Siena ma anche da parte delle province di Grosseto (che concluse la dimissione di tutti i suoi pazienti nel giugno 1999) e Viterbo, che portò gli ospiti al numero complessivo di 91 al 31 dicembre 1998 (10)e alla realizzazione di diverse strutture residenziali a gestione del Dipartimento di salute mentale nelle province di Siena e Grosseto e all'utilizzo di posti nelle residenze per anziani delle stesse province nonché in quella di Viterbo per ospiti con prevalenti necessità assistenziali di tipo geriatrico.
L'entrata in funzione, nel 1999, di queste nuove strutture residenziali per ospiti dell'ex ospedale psichiatrico permise di raggiungere la chiusura definitiva dell'ospedale il 30 settembre dello stesso anno. La chiusura del San Niccolò ha comportato un notevole incremento di risorse a favore dei servizi territoriali non solo in termini di personale, che dall'ospedale è transitato nei servizi, ma anche per il completamento della rete delle strutture territoriali rendendo così possibile il “rilancio” dell'assistenza psichiatrica in tutta la provincia di Siena.
Va detto che, nonostante lo scarso coordinamento richiamato poche righe sopra, già dagli anni Settanta parecchi infermieri del San Niccolò avevano sperimentato il percorso esterno, il “territorio”, con una formula lavorativa chiamata proiezione. Nel 1980 alcuni infermieri del reparto Montemaggio, seguirono i pazienti per il reinserimento nel loro contesto sociale di provenienza (11). Oggi sono presenti nell'Azienda USL di Siena, su tutto il territorio, strutture residenziali e diurne, posti letto ospedalieri, ambulatori, cooperative integrate, laboratori protetti ma collegati con il tessuto sociale eproduttivo.
In queste strutture e servizi lavorano, così come previsto dal Piano operativo Salute mentale della Regione Toscana, operatori di più profili professionali (psichiatri, psicologi, infermieri professionali e psichiatrici, educatori professionali, assistenti sociali, operatori addetti all'assistenza e ausiliari sociosanitari).
Vi è stato anche un incremento dell'utenza e degli interventi che ha segnato il costituirsi effettivo per la prima volta in questi anni di un'attività terapeutica e riabilitativa pubblica per la cura della sofferenza psicologica epsichiatrica.
Da sottolineare anche il forte incremento dell'attività della clinica psichiatrica dell'Azienda ospedaliera che pone anche complessi problemi di integrazione fra l'ospedale e il territorio, tipici d'altronde di tutto il moderno evolversi della sanità senese.
Accanto a questi elementi occorre ricordare che la vicenda del San Niccolò, indipendentemente dalla legge Basaglia, era per diversi aspetti già stata segnata dallo spostamento della clinica psichiatrica da dentro il manicomio al Santa Maria della Scala (negli anni in cui la direzione fu affidata a Onorato Fragnito, dal 1911 al 1924) e nei fatti l'ospedale psichiatrico iniziò lentamente a trasformarsi in un enorme contenitore di cronici, privato dei fini di ricerca e di cura. Progressivamente nei padiglioni del San Niccolò rimasero persone destinate a concludere lì la propria esistenza, dopo decenni di permanenza.
A Siena l'ospedale psichiatrico ha mantenuto un'organizzazione di tipo classico per così tanto tempo che ancora oggi il complesso del San Niccolò viene chiamato “manicomio” da gran parte dellacittadinanza. La sua tardiva chiusura, che non ha impedito, peraltro, un utilizzo continuativo dei suoi locali fino a questi giorni, fu l'esito di un cammino lungo e faticoso, fatto in gran parte di dimissioni dovute purtroppo, in maggioranza, ai decessi delle persone.
Questo stesso cammino ha avviato una trasformazione culturale che ancora non è finita.
Per molti anni, a Siena, tanti infermieri, medici, impiegati ed assistenti sociosanitari hanno condiviso ideali ed azioni volte a trasformare il San Niccolò e a de-istituzionalizzarlo coerentemente con le leggi e con le normative.
Molti di questi sforzi, premiati con piccoli ma significativi risultati, furono frenati da alcuni dei motivi analizzati in questo lavoro. Sarebbe opportuno ampliare questa indagine, attraverso una ricerca nelle carte del Pci senese in merito ai propositi dei dirigenti della Federazione senese verso quella piccola città nella città che fu il San Niccolò.
In realtà vicine alla nostra come Arezzo, al netto di psichiatri illuminati come Agostino Pirella e Vieri Marzi, furono dirigenti come Mario Bellucci (Segretario della Federazione comunista aretina e poi Presidente della Provincia di Arezzo) o Tito Barbini (Segretario della Fgci di Arezzo, poi sindaco di Cortona) a ricoprire un ruolo decisivo per la chiusura del manicomio.
Servirebbe, per il caso senese, uno studio su eventuali carte fra Vasco Calonaci, Vittorio Meoni e Augusto Gerola che negli anni in cui fu più ricco il dibattito, ricoprirono incarichi importanti nell'amministrazione pubblica.
Resta, ora, da tenere viva la memoria del San Niccolò (come fatto intelligentemente in altri luoghi italiani) e da incentivare ricerche ed iniziative per rendere quell'enorme struttura quanto più aperta e vivibile per iniziative sociali e culturali.
Ad eccezione dell'edificio centrale la proprietà dei fabbricati è dell'Azienda USL 7 di Siena che da sola non può provvedere alla gestione e al mantenimento di una mole così ampia di edifici.
Sono molte le associazioni culturali e di promozione sociale che vogliono salvare quegli ambienti ed effettuare ricerche in modo tale da avere una piena conoscenza del periodo in cui migliaia di persone vivevano in una città nella città.
(1) Il triste record in realtà fu questione di poche decine di giorni con diverse strutture italiane, dato alquanto significativo sulla ricezione della l. 180 e delle successive modificazioni normative. Addirittura in alcuni documenti risulterebbe che l'ex manicomio provinciale di Roma, il Santa Maria della pietà, abbia chiuso nel dicembre 1999 (ma senza più degenti da diversi mesi), peraltro per anni il Santa Maria della pietà è stato l'ospedale psichiatrico col numero di pazienti più alto d'Italia. La legge finanziaria del 1994 che indicava al dicembre 1996 la “scadenza” perentoria dei manicomi, fu scavalcata in moltissime situazioni. A titolo d'esempio ricordiamo che anche il manicomio di Cogoleto (il più “vasto” in Italia, teatro di numerosi reportage) chiuse nella primavera 1999.
(2 )Su queste cifre occorre una revisione sulle carte dell'archivio della USL di Siena ma seguendo sia il testo curato da Francesca Vannozzi che quello scritto da Gino Civitelli e Flores Ticci non sembrano esserci particolari divergenze.
(3) Cfr. C.Bondioli, V.Marzi, Tornareavivere, in G.Santi, Tornareavivere. Immagini della chiusura dell'ex Ospedale Psichiatrico S. Niccolò di Siena, Petruzzi editore, Città di Castello 2000. Il volume di Santi, nei fatti un album fotografico, è servito anche per il piccolo saggio introduttivo di Bondioli e Marzi. Alla chiusura del San Niccolò Bondioli era Responsabile dell'Unità funzionale Salute Mentali Adulti della Zona Senese della Azienda USL 7 di Siena e Marzi Coordinatore del Dipartimento di Salute Mentale della stessa USL, strutture che ancora hanno sede nel complesso del San Niccolò.
(4) G. Civitelli, F. Ticci, Noi c'eravamo. Storie e personaggi del manicomio di Siena, Cantagalli, Siena 2011, p.123.
(5) Indispensabile, sulle condizioni dei malati al San Niccolò, il ricorso alle testimonianze orali di chi “viveva” il manicomio. Oltre al prezioso lavoro di Civitelli e Ticci si segnala anche il documentario di Silvia Folchi, La vita chiusa, reperibile su http://www.videodocumentazioni.it/video/la-vita-chiusa-storie-dal-villaggio-manicomiale/
(6) C. Bondioli, V. Marzi, Tornare a vivere cit., p.26.
(7) Cfr. C. Bondioli, V. Marzi, Tornare a vivere cit.,p.27.
(8) Ibidem
(9) Questo progetto, indicato in entrambi i saggi richiamati in nota in questo capitolo, era stato anticipato da iniziative autonome di medici ed infermieri psichiatrici del San Niccolò maggiormente inclini alla vicenda “basagliana” ma non avevano visto un processo di coordinamento continuativo.
(10) C. Bondioli, V. Marzi, Tornare a vivere cit., p.29.
(11) Cfr. S. Abati, Da guardiani adattori della riabilitazione:il personale di assistenza in manicomio, in F. Vannozzi (a cura di), San Niccolò cit., p. 169. La scelta di chiamare il reparto col nome della località del più grande eccidio di partigiani in terra di Siena non fu casuale. Lo stesso Vittorio Meoni, unico scampato all'eccidio nel marzo 1944, fu Presidente della USL 30 negli anni Ottanta.
Babini VP, Liberi tutti. Manicomi e psichiatri in Italia: una storia del Novecento, Il Mulino, Bologna 2009.
Basaglia (a cura di), Che cos'è la psichiatria?, Einaudi, Torino 1973.
Civitelli F, Ticci, Noi c'eravamo. Storie e personaggi del manicomio di Siena, Edizioni Cantagalli, Siena 2011.
Foot J, La “Repubblica dei matti”. Franco Basaglia e la psichiatria radicale in Italia, 1961-1978 , Feltrinelli, Milano 2014.
Santi G, Tornare a vivere. Immagini della chiusura dell'ex Ospedale psichiatrico San Niccolò di Siena, Edizioni Petruzzi, Città di Castello 2000.
Vannozzi F (a cura di), San Niccolò di Siena. Storia di un villaggio manicomiale, Edizioni Gabriele Mazzocca, Milano 2007.