Editoriale – Salute Mentale e Servizio pubblico: riflessioni condotte nell’ambito del recente convegno SIEP
1 DISM, USL Toscana sud est
2 DSMDP AUSL Modena
Il 18 e 19 maggio u.s. si è tenuta a Bologna, la XIV riunione scientifica della Società Italiana di Epidemiologia: “Dalle parole ai fatti: Indicatori e programmi per i Servizi di salute mentale”. Il convegno è stato un’occasione preziosa e molto partecipata, per confrontarsi con i temi più urgenti e attuali in salute mentale. Inoltre, come sempre accade nei convegni SIEP, lo sguardo è stato sistematicamente orientato sulla necessità di tradurre le evidenze della ricerca in prassi operative ed in una efficace organizzazione e programmazione dei Servizi, tenendo ben presenti i mutamenti storici ed il contesto attuale del nostro operare.
Sono emerse chiaramente da un lato la necessità di individuare, in un’epoca di restrizione delle risorse, appropriati indicatori per riorientare la programmazione e dall’altro lato, la necessità sempre più attuale di una prospettiva comunitaria, perché solo tale dimensione può rispondere alla complessità dei fattori che influenzano la salute mentale, e anche perché gli interventi comunitari, di fatto più efficaci, permettono anche di ridurre i costi derivanti dalla residenzialità (strutture residenziali, ricoveri per acuti).
È chiaro come la prospettiva non possa più essere centrata esclusivamente sui Servizi, che devono piuttosto divenire promotori di un lavoro intersettoriale, capace di attivare le risorse della comunità, coinvolgendo inoltre utenti e familiari nella valutazione e nella programmazione. E’ altresì necessario lavorare in rete con gli altri Servizi (es. SerD, Servizi per l’Infanzia e l’Adolescenza, Medicina Generale) e spostare sempre più il fuoco sugli interventi precoci e sulla prevenzione.
In questa ottica si è posto il contributo di Giovanni De Girolamo centrato sulla necessità di attuare interventi preventivi sui figli delle persone con disturbi psichici, che ha sottolineato il notevole incremento di rischio nei figli di persone affette da disturbi psichiatrici maggiori, osservando in particolare come nei figli di pazienti affetti da schizofrenia o disturbo bipolare, siano frequenti fin dall’infanzia, disturbi sottosoglia e deficit cognitivi sottili, con conseguente necessità di potenziare i fattori di protezione; sappiamo infatti che i fattori di protezione possono ridurre e contrastare la vulnerabilità rispetto all’insorgenza dei disturbi psichici. Si evidenzia di fatto una trasmissione intergenerazionale dei disturbi (non necessariamente per lo stesso disturbo) e, tra i fattori che aumentano la vulnerabilità nei figli di utenti, oltre ai fattori “biologici”, emergono le esperienze traumatiche (inversione di ruoli, abusi, ecc).
D’altro lato, i Servizi di Salute Mentale Adulti si confrontano con disturbi spesso ormai già conclamati, il cui esordio risale a diversi anni prima: emerge infatti che mentre il 75% dei disturbi mentali insorgono tra i 15 e i 25 anni, i 2/3 degli utenti dei Servizi hanno più di 45 anni.
Altro aspetto che dobbiamo necessariamente oggi considerare è la necessità di tutelare la salute fisica degli utenti dei Servizi, anche attraverso validi collegamenti con i medici di medicina generale. In questo senso Simona Barbera parla di “mortalità evitabile” nelle persone con problemi si salute mentale, sostenendo che dalla recente letteratura, emerge che quando una persona riceve una diagnosi psichiatrica maggiore, l’aspettativa di vita si riduce di 20 anni nelle donne e 15 anni negli uomini, aumentando ad esempio il rischio per sindrome metabolica, diabete di tipo 2 e fattori cardio-vascolari. E’ quindi appropriato che lo screening per una corretta prevenzione, inizi per i nostri utenti, molto prima dei 45/50 anni (come è invece nella popolazione generale). Fattori iatrogeni sono l’aumento del peso (più frequente nelle prime fasi di trattamento psicofarmacologico) e la dislipidemia (per cui ad esempio l’olanzapina diventa una seconda scelta). E’ buona pratica per questo, misurare peso e circonferenza addominale specie nella prima settimana di trattamento e in particolare nei giovani. In questo contesto, si sottolinea la disponibilità del depliant “Vite sane e attive”, prodotto da un gruppo correlato all’Early Intervention in Mental Health (IEPA), tradotto in italiano e scaricabile dal sito dell’Associazione italiana per la prevenzione e l’intervento precoce nella salute mentale (AIPP).
Un peculiare dato emerso è inoltre che l’abitudine al fumo di sigaretta, così pesante in alcuni nostri utenti affetti da disturbi psichiatrici maggiori, secondo recenti studi, precede di 5 anni l’esordio psicotico, ipotizzando una sorta di autoterapia e/o una sovrapposizione o amplificazione dei fattori di rischio.
Un altro tema centrale del convegno è la correlazione tra stigma e accesso alle cure proposto da Lorenza Magliano che nella sua relazione sottolinea come lo stigma sia anche legato agli atteggiamenti degli operatori sanitari. In particolare da un lavoro condotto sui Medici di Medicina Generale di Napoli 1, emerge che la conoscenza degli aspetti teorici relativi alla diagnosi di schizofrenia da parte dei sanitari, non riduce lo stigma, mentre di fatto lo stigma, che è legato anche alla percezione di pericolosità, si riduce quando si struttura una relazione di fiducia, ovvero quando è presente una relazione di vicinanza e conoscenza della persona affetta da disturbo mentale. In questo contesto si sottolinea anche l’utilità delle Case della Salute, dove, se necessario, può essere presente anche lo psichiatra.
La relazione di Giuseppe Tibaldi e Antonella Piazza si centra poi sulla necessità di un uso appropriato degli psicofarmaci, evidenziando come alcuni studi, sui quali però non tutti gli autori sono concordi, ipotizzano che l’uso degli psicofarmaci non sarebbe fondamentale nelle situazioni di esordio (“less is more” come citava McGorry in un suo editoriale), mentre sono imprescindibili gli interventi non farmacologici. D’altro lato la ricerca di nuovi antipsicotici è sostanzialmente ferma, mentre emerge la necessità e l’efficacia di interventi non farmacologici (es. “gruppi degli uditori di voci”). Sempre più centrale inoltre appare strutturare un efficace dialogo tra operatori e utenti e in questo contesto, si evidenzia come in Emilia Romagna, sia stato attivato un confronto con la Consulta di Salute Mentale sul tema dei farmaci e come emerga la necessità di avere maggiori informazioni anche su come ridurre ed eventualmente sospendere gli psicofarmaci, quando indicato.
Giovanni Rossi e Alessio Saponaro effettuano una riflessione sull’approccio “no restraint” in Emilia Romagna, sottolineando come di fatto si sia realizzata una riduzione delle contenzioni, ma che l’obiettivo verso cui tendere rimane azzerare del tutto le contenzioni.
Arcadio Erlicher sposta quindi il fuoco sulla necessità di coinvolgere gli utenti nella definizione e progettazione degli interventi, con conseguente miglioramento della qualità, poiché la medicina centrata sulla persona (“patient engagment”) si traduce in migliori esiti, maggiore efficacia e minori costi. Le pratiche dei Servizi debbono orientarsi alla qualità, appropriatezza, efficacia e innovazione ingaggiando gli utenti ed i familiari in un processo di “co-produzione della salute”. In questa cornice Erlicher fa riferimento ad un progetto attuato in collaborazione con le Università Cattolica, l’Università Bicocca e il Politecnico di Milano che prevede azioni finalizzate alla recovery, interventi di riabilitazione cognitiva, percorsi orientati al lavoro secondo il modello dell’individual placement e support (IPS) e interventi sul design dei Servizi di salute mentale.
Viene quindi affrontato il tema cruciale della chiusura degli OPG ed apertura delle REMS da Franco Corleone (Commissario unico del Governo per il superamento degli OPG), che nel suo intervento fa riferimento tra l’altro al problema delle perizie che producono un numero eccessivo di giudizi di incapacità totale di intendere e volere; alla necessità di pensare una riforma del codice penale; all’opportunità di agire un attento monitoraggio delle REMS, con un’appropriata valorizzazione di ciò che succede dopo la legge 81/2014, affrontando le criticità. Corleone fa inoltre riferimento alle differenze di genere nelle REMS, sottolineando come le donne nelle REMS siano circa il 10%, sono il 2% nelle carceri ed erano circa il 50% negli ospedali psichiatrici.
Raffaella Campalastri presenta quindi il “Progetto Start-ER: percorsi di diagnosi e cura nelle popolazioni dei migranti”, Il progetto Start-ER (Salute Tutela Accoglienza per Richiedenti e Titolari di protezione internazionale) è un progetto ministeriale, che verrà attuato nella Regione Emilia Romagna (capofila ASL di Bologna), co-finanziato con i fondi europei.
Nell’ambito del progetto sono state create otto equipe multidisciplinari pubblico-privato, una per ogni ASL, costituite da psicologi, antropologi, mediatori culturali, educatori, assistenti sociali, sociologi, operatori sanitari. Per il momento il lavoro è stato rivolto all’HUB di via Mattei a Bologna e ai “dublinanti”. Si prevede l’utilizzo di strumenti validati e che l’equipe multidisciplinare effettui un invio accompagnato e competente al Centro di Salute Mentale di riferimento. Il progetto prevede inoltre percorsi di formazione per gli operatori dei Servizi su argomenti quali la normativa vigente, i disturbi trauma-correlati, le donne vittima di tortura, i minori stranieri.
Maria Luisa Scattoni (Istituto Superiore di sanità) centra quindi l’attenzione su Autismo come occasione di dialogo tra Servizi di salute mentale infanzia adolescenza e Servizi di salute mentale adulti, sottolinendo la necessità di risolvere i problemi di “discontinuità” tra Servizi minori e adulti, e la necessità di equipe multidisciplinari territoriali per la gestione e presa in carico nelle ASL, dei disturbi dello spettro autistico. La legge del 18 agosto 2015, n. 134 sull’autismo, prevede strutture residenziali e semiresidenziali, equipe dedicate, percorsi di integrazione, aggiornamento delle linee guida. E’ necessario disporre di dati epidemiologici sull’autismo (pur tenendo conto della criticità correlata alla diagnosi nell’adulto, registrate con l’ICD9), effettuare una mappatura dei Servizi, proporre una survey per conoscere i bisogni delle persone con disturbi dello spettro autistico (anche adulti).
Fabrizio Starace affronta quindi il tema centrale della responsabilità professionale e delle linee guida. In base alla recente legge 24/2017, i professionisti devono attenersi alle linee guida, cui farà riferimento tra l’altro anche la base normativa per il rilievo della posizione di garanzia. D’altra parte però nel Sistema Nazionale delle linee guida (SNLG) dell’Istituto Superiore di Sanità, le linee guida sono in prevalenza antecedenti al 2014. Dovremmo anche in Italia avere una struttura analoga al NICE (The National Institute for Health and Care Excellence) del Regno Unito, per produrre e aggiornare le linee guida. Per altro il GIMBE ha reso disponibili i criteri per costruire correttamente le linee guida; nella pratica solo il 17% delle linee guida ha considerato di dichiarare l’assenza di conflitto di interessi.
D’altro lato, la Conferenza Stato/Regioni nel 2014 ha definito i percorsi di cura per i disturbi mentali gravi, e in relazione ad essi, vanno definiti gli standard che poi devono essere rispettati. Nel 2017 sono stati inoltre pubblicati i nuovi LEA, ed una parte di essi è relativa all’assistenza socio-sanitaria di persone con problemi di salute mentale. Non possiamo però non considerare in questo contesto, il problema delle risorse umane: in linea teorica, il case-load per ogni singolo professionista non dovrebbe superare i 140 casi (tra “semplici e complessi”), limite ampiamente superato, e in futuro inoltre mancheranno molti psichiatri, considerando i posti disponibili nelle scuole di specializzazione.
Ketty Vaccaro (Fondazione Censis, responsabile Area Welfare e Salute) sposta l’attenzione sull’’evoluzione del sistema di welfare, osservando che di fatto, come evidenziato dall’ultimo rapporto annuale, l’Italia invecchia (saldo negativo di 130.000 persone, non compensabile neppure dagli immigrati), infatti il 22,7% delle persone in Italia ha più di 65 anni (l’8% nel mondo). Aumentano quindi le malattie cronico-degenerative legate all’aumentare dell’età. Tenendo conto inoltre del livello di scolarizzazione che è considerato proxi del livello socio-economico, si rileva che le persone più scolarizzate risultano essere più in buona salute. Con la crisi economica si osserva di fatto una riduzione degli screening preventivi, specie nei livelli più bassi di scolarizzazione, e aumentano le prestazioni rinviate o annullate. Sarà inoltre sempre più pressante la gestione della cronicità che è ora essenzialmente a carico delle famiglie e che implica una spesa molto ingente: il welfare dovrà necessariamente adeguarsi, perché ad esempio, è verosimile che in futuro le pensioni non saranno più sufficienti per gestire le badanti. In tutti gli ambiti sanitari, per ottimizzare costi ed efficacia degli interventi, è fondamentale realizzare una buona integrazione ospedale-territorio.
Guglielmo Pacileo e Valeria Tozzi propongono quindi in questo contesto, uno studio dell’Università Bocconi sui modelli manageriali e organizzativi dei Dipartimenti di Salute Mentale, proponendo i dati relativi ad una survey rivolta ai DSM, che evidenziano una marcata eterogeneità.
Angelo Fioritti propone quindi una riflessione sul contributo del Dipartimento di Salute Mentale per lo sviluppo dei Servizi Sanitari Territoriali, sottolinendo come la salute mentale abbia proposto precocemente un modello che prevede lo spostamento dell’asse dall’ospedale al territorio e come tale modello sia oggi centrale non solo in salute mentale, bensì in tutti i contesti sanitari.
Fioritti cita il libro di Walter Ricciardi “La tempesta perfetta” che analizza i fattori che mettono in crisi il Sistema Sanitario Nazionale (e come farvi fronte), facendo riferimento in particolare alla transizione socio-demografica, alle innovazioni tecniche e tecnologiche e ai limiti finanziari. La soluzione sta nel riformarsi per evitare il naufragio, attraverso: programmazione; ridefinizione di investimenti e priorità; unitarietà ospedale/territorio; governo clinico; riduzione del rischio; relazione con il cittadino.
L’ospedale deve diventare una risorsa preziosa e residuale che non potrà più farsi carico della cronicità, delle patologie delle persone fragili, anziane, ecc. In questo senso i Dipartimenti di Salute Mentale hanno una conoscenza da esportare, poiché la logica che da anni ha mosso la salute mentale è stata di fatto quella di privilegiare gli interventi sul territorio, limitando al minimo l’utilizzo dei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura. Tale expertise è ancora più significativa se ad esempio si fa riferimento al modello di personalizzazione delle cure correlato al budget di salute, a interventi psicosociali di provata efficacia come l’Individual Placement and Support, alla promozione della salute e sussidiarità orizzontale, alla gestione delle comorbidità fisiche e psicofisiche (es. uno dei primi fattori di recidiva per l’infarto miocardico, sappiamo oggi essere la depressione).
Giuseppe Ducci sposta quindi l’accento su “come cambiare i DSM in una società che cambia”, ed espone alcune caratteristiche del Servizio che dirige, sottolineando esperienze peculiari, quali lo spazio di accoglienza attuato nelle Case della Salute piuttosto che nei CSM, la realizzazione di strutture differenziate per tipologia di utenza e di uno spazio che lavora sugli interventi precoci, per utenti tra i 15 e 24 anni, dove è fondamentale “parlare il linguaggio dei giovani”. Ducci sottolinea anche la necessità di ridurre l’impegno di risorse legato alla gestione diretta dei disturbi emotivi comuni, attraverso consulenza e assunzione in cura, per dedicare risorse ai disturbi mentali gravi (presa in carico). Nell’attuale gestione dei Servizi, inoltre, indubbie criticità sono rappresentate: a)dalla frequente associazione di psicopatologia e uso di sostanze (molte attualmente “non dosabili”) per cui è auspicabile un DSM inclusivo di Servizi di salute mentale e SerD; b)dalla complessità di conoscenze necessarie per un’appropriata gestione delle problematiche emergenti dal confronto con i migranti; c)dalla necessità di implementare le risorse umane; d)dalla progressiva generale riduzione dell’impegno di spesa (e quindi delle risorse disponibili) per la globalità degli utenti, mentre aumenta la spesa per gli utenti autori di reato.
Roberto Mezzina conclude la prima giornata del convegno, centrando il suo intervento sul tema “Servizio forte e integrazione: organizzare le risorse”, proponendo l’importante esperienza dell’organizzazione dei Servizi nel Friuli Venezia Giulia, dove molti fondi sono allocati sui budgets di salute e sui progetti di abitare supportato e dove si realizza una riabilitazione “diffusa” sul territorio. Relativamente ai giovani, peculiare è il progetto “Recovery house”, che vede impegnati operatori del Servizio pubblico, privato sociale, peer supporters. Mezzina evidenzia inoltre che la Clinica Psichiatrica gestisce uno dei Centri di Salute Mentale di Trieste e sottolinea la presenza di equipe funzionali che lavorano rispettivamente su: adolescenti, anziani, handicap, famiglie multiproblematiche.
Nella seconda giornata del convegno Antonio Lora propone una riflessione sugli indicatori per la qualità dell’assistenza, sottolineando come vi sia un importante problema di implementazione / translazione delle evidenze della ricerca nella prassi operativa dei Servizi e come sia fondamentale sviluppare sempre più il benchmarking, come strumento di miglioramento continuo della qualità, e promuovere l’accountability, ovvero dar conto agli stakeholder del corretto utilizzo delle risorse e della produzione di risultati e introdurre nei Servizi, meccanismi di maggiore responsabilizzazione relativamente all’impiego di tali risorse e alla produzione dei risultati. La qualità degli interventi e dei Servizi varia inoltre da Regione a Regione e anche tra Servizi all’interno della stessa Regione.
Maria Pia Fantini e Paola Rucci analizzano il tema degli indicatori di performance in salute mentale e sottolineano l’importanza di tener conto anche del punto di vista dell’utente in una prospettiva di “patient centered care”.
Francesco Amaddeo propone una riflessione sul tema “risorse per la salute mentale: spesa o investimento?”, sottolineando come investire in salute mentale sia fondamentale, poiché sappiamo ad esempio che semplicemente essere affetti da un disturbo psichico, implica una riduzione dell’aspettativa di vita. In Italia si osserva inoltre un numero di riammissioni in ospedale tra i più bassi d’Europa e ciò deriva dalla peculiare organizzazione dei Servizi distribuiti ampiamente sul territorio e orientati alla continuità della cura. Minore rispetto ad altri paesi europei è anche il numero dei suicidi, la durata delle degenze e il numero dei TSO. È però evidente che dal 2008/2009, con la crisi, si è osservata una restrizione delle risorse con riduzione delle prestazioni e dei servizi, mentre emerge un aumento dei bisogni di cura. Sono inoltre evidenti problemi di allocazione delle risorse correlati a fattori quali: maldistribuzione, inapropriatezza, inflessibilità, dislocazione e tempistica inadeguate.
Fabrizio Starace propone quindi una riflessione su struttura e attività del sistema di cura per la salute mentale in Italia, analizzando i dati relativi al SISM (Sistema Informativo per la Salute Mentale). A dicembre 2016 è stato infatti ufficialmente presentato dal Ministero della Salute il Rapporto Salute Mentale, che costituisce la prima analisi organica dei dati relativi alla struttura dell’offerta territoriale, dell’assistenza ospedaliera e residenziale e dell’attività complessiva dei Dipartimenti di Salute Mentale. Pur con le diverse criticità e imprecisioni emerse dall’analisi dei dati, la SIEP ha condotto un’importante opera di sistematizzazione delle informazioni disponibili ed una loro sintesi, prendendo in considerazione per ciascun indicatore, le variazioni nelle diverse Regioni, e indicando il «posizionamento» dei singoli indicatori, per ciascuna Regione, assumendo come riferimento il valore medio nazionale. E’ stato quindi prodotto il quaderno: “La salute mentale in Italia. Analisi delle strutture e delle attività dei Dipartimenti di Salute Mentale”, a cura di F. Starace, F. Baccari, F. Mungai, disponibile e scaricabile sul sito della SIEP, che deve costituire un punto iniziale di analisi per evidenziare i punti di forza e di debolezza dei sistemi di cura per la Salute Mentale di ciascuna Regione, base su cui lavorare per affrontare e risolvere le criticità emerse e per “socializzare” le buone pratiche.
Starace evidenzia tra l’altro, come dai dati si rilevino notevoli differenze tra le diverse Regioni e come emerga, in generale, un “invecchiamento delle risorse umane”. Sembra inoltre che una riduzione del numero di operatori correli positivamente ad un incremento della prescrizione di neurolettici (evidentemente a svantaggio di altri interventi più complessi e impegnativi in termini coinvolgimento di operatori), lasciando ipotizzare che un fattore organizzativo possa influenzare il livello clinico-assistenziale.
Conclude il convegno una tavola rotonda cui partecipa Teresa Di Fiandra del Ministero della Salute e vari referenti regionali, centrata sulla “definizione delle priorità”, dove tra le altre cose emergono: a)la necessità di ristabilire un tavolo di coordinamento interregionale sulla salute mentale, ovvero un tavolo permanente di confronto Stato/Regioni che coinvolga tecnici e stakeholders; b)la necessità di garantire la qualità dei dati e di integrare la lettura dei flussi SISM con altri flussi non correlati alla salute mentale; c)la necessità di leggere e interpretare gli esiti per una corretta ridefinizione dell’allocamento delle risorse.
Nel presente numero della rivista sono raccolti alcuni degli interventi presentati al convegno SIEP.