Volume 27 - 27 Dicembre 2023

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Lettera all’Editore - Un’esperienza di prescrizione farmacologica

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Mi spinge a scrivere il desiderio di condividere in modo rapido sulla nostra Rassegna un piccolo contributo sulla pratica prescrittiva degli psicofarmaci, che ha un retroterra di esperienza clinica di 48 anni e che spero possa essere utile ai colleghi più giovani che ci leggono.

Ho notato aneddoticamente che i pazienti a cui prescrivo farmaci di solito presentano raramente effetti collaterali. Sembrandomi un fatto singolare, ho pensato di sottoporre a revisione una piccola casistica che raccoglie le persone che ho avuto in cura nei primi 6 mesi del 2023 presso il mio studio. Si tratta di 34 persone, che sono 64,7% di genere femminile e 35,3% maschile, con un rapporto di 2 a 1 come abitualmente succede in rapporto alla più facile richiesta di aiuto delle donne, che occupano anche una posizione sociale “doppia” (casa e lavoro), oggi prevalente anche nel gruppo in esame, la quale comporta un più elevato livello di stress. Le donne lavoratrici sono 18 su 22 (81%). L’età media è di anni 51 (+ 25), che corrisponde all’età di mezzo, particolarmente a rischio per sviluppare un problema di salute mentale.

La valutazione diagnostica avviene in base alle classificazioni internazionale (ICD-X e in via subordinata DSM-5) e all’assetto personologico, individuato secondo l’orientamento psicoanalitico. Esso si giova talvolta di un MMPI-2. La distribuzione delle diagnosi è le seguente: disturbo ipocondriaco 5 (14,7%), disturbo ossessivo-compulsivo 3 (8,8%), anoressia mentale 1 (2,9%), disturbo d’ansia 7 (20,6%), disturbo bipolare 2 (5,9%), disturbo borderline di personalità 7 (20,6%), disturbo da uso di alcol 5 (14,7%), episodio depressivo 2 (5,9%) e problemi familiari 2 (5,9%)14,7. L’intervento è psicoterapico con sedute standard di 50 minuti a cadenza settimanale in 18 casi su 34 (52,9%), utilizzando diverse tecniche psicoterapiche a secondo dell’approccio considerato più idoneo per ogni forma psicopatologica in base alle indicazioni di Anthony Roth e Peter Fonagy (Psicoterapie e prove di efficacia, Il Pensiero Scientifico Editore, Roma, 1997), che vanno dalla terapia individuale di tipo cognitivo-analitico, alla terapia di coppia o familiare sistemica fino al gruppo multifamiliare (in particolare i Club Alcologici Territoriali per il cambiamento degli stili di vita). Sui 18 casi in trattamento psicoterapico 12 (67%) usufruiscono di un setting individuale e 5 (33%) di coppia, familiare o multiplo. Nella totalità dei casi vi è un approccio “psicoterapico” di base, che consta di tre elementi: 1. la raccolta dettagliata del consenso informato sulla procedura diagnostica utilizzata e sulla terapia prescritta sia essa farmacologica che psicoterapica; 2. la prescrizione farmacologica con la spiegazione del meccanismo d’azione dei farmaci con attenzione ai risultati attesi e agli eventuali effetti collaterali secondo le modalità dell’approccio psico-educazionale (messe a punto nell’Optimal Tractament Project– OTP - di Ian Falloon con cui ho avuto modo di collaborare negli anni Novanta del secolo scorso); inoltre viene raccolta un’anamnesi farmacologica, che tende ad evidenziare dove possibile quali sono i principi attivi che in passato hanno avuto i migliori risultati e pone al centro della terapia concordata, in base all’idea della concordance, il “sapere esperienziale” del paziente; 3. Un’indagine accurata dello stile di vita del paziente e una sua ristrutturazione in una direzione più salutare (cfr. G. Corlito, “Verso un’ecologia sociale degli stili di vita”, Nuova Rassegna Studi Psichiatrici, Vol. 20, 2019). Tutto questo garantisce l’ottenimento di una miglior collaborazione del paziente ed una sua attivazione perché viene considerato soggetto della terapia e non puro accettore passivo. Dallo stesso OTP è stata tratta la scheda per il monitoraggio degli effetti collaterali (I. Falloon, Intervento psicoeducativo integrato in psichiatria. Guida al lavoro con le famiglie, Edizioni Erickson, Trento, 1994).

Rispetto alla prescrizione farmacologica la grande maggioranza ha avuto una monoterapia (18 casi su 24 pari al 75%), omogeneamente alla indicazioni della “scuola veronese” (C. Bellantuono, M. Balestrieri, Gli psicofarmaci. Farmacologia e terapia, Il Pensiero Scientifico Editore, Roma, 1997). Essa risponde alla mia convinzione, che trova conferma anche nei dati raccolti a suo tempo per i servizi della Toscana, geograficamente e culturalmente sotto l’influenza delle “scuola pisana” (P. Iazzetta, G. Corlito et al. “Trattamento farmacologico dei disturbi psicotici: monoterapie e politerapie nei servizi di salute mentale della Toscana”, VIII Congresso SIEP, Firenze, 2007), dove il DSM della ASL 9 di Grosseto (all’epoca da me diretto) era l’unico in posizione eccentrica con una prevalenza della monoterapia sulla politerapia. Questa linea prescrittiva garantisce una maggior compliance farmacologica (H.I. Kaplan, B.J. Sadok, Psichiatria, Centro Scientifico Internazionale, Torino, 2001) e mette al riparo da possibili effetti da sommazione e da interazioni indesiderate. I restanti 6 casi, che hanno avuto una politerapia: sono in genere l’esito di precedenti prescrizioni di altri colleghi, prevalentemente in persone anziane con storie di lunghi trattamenti farmacologici “cronicizzati”, rispetto ai quali tengo un atteggiamento prescrittivo teso alla razionalizzazione ed alla semplificazione della terapia. Dei 24 casi trattati farmacologicamente solo 4 (16,66%) presentano effetti collaterali e di questi 2 hanno ricevuto un politerapia.

Ho anche cercato di verificare con l’aiuto do Moreno Toigo della SIMURG Ricerche, che ringrazio della collaborazione, se questi dati, che hanno il limite della scarsa numerosità del campione, potessero avere tra loro una relazione statisticamente significativa.

Esistono alcune relazioni interessanti tra le variabili.

  • Genere e effetti collaterali: le donne sono meno propense a riportare effetti collaterali rispetto agli uomini (9% contro 18%).
  • Psicoterapia ed effetti collaterali: i pazienti che ricevono la psicoterapia sono meno propensi a riportare effetti collaterali rispetto ai pazienti che non ricevono la psicoterapia (5,5% contro 18,7%).
  • Politerapia ed effetti collaterali: i pazienti che assumono più di un farmaco sono più propensi a riportare effetti collaterali rispetto ai pazienti che assumono un solo farmaco o nessuno (33% contro 7%).

Per determinare se le variabili sono correlate significativamente con la variabile "effetti collaterali", abbiamo eseguito un test chi quadro per ciascuna variabile.

I risultati del test chi quadro suggeriscono che non possiamo affermare che le seguenti variabili siano correlate significativamente (p-value <0.05) con la variabile "effetti collaterali":

  • Genere (p-valore = 0,509)
  • Psicoterapia (p-valore = 0,223)
  • Politerapia (p-valore = 0,071)

Devo concludere a malincuore, perché contrario alle mie attese, come i dati suggeriscono che, benché dalle tavole di contingenza sembrano esserci relazioni significative tra le variabili genere, psicoterapia, politerapia con la variabile effetti collaterali, il numero esiguo di casi non consenta di rifiutare l’ipotesi nulla, ovvero che non ci sia alcuna correlazione tra le variabili esaminate. Segnalo solo che la variabile “politerapia” si avvicina più delle altre al valore della significatività statistica. Quindi, per quanto i dati raccolti presentino un trend suggestivo, non posso offrire al lettore la probabile certezza che la modalità qui sinteticamente presentata riduca l’eventualità di effetti collaterali oltre una possibile casualità del risultato. L’indicazione è, quindi, quella di raccogliere ulteriori dati. Come non mai vale qui per me il primo degli aforismi di Ippocrate: “la vita è breve, l'arte è lunga, l'occasione fuggevole, l'esperimento pericoloso, il giudizio difficile”.

Grosseto, 20/11/2023