Volume 22 - 25 Marzo 2021

Numero speciale: "Salute mentale e contesto pandemico"

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Pandemia, tecnologie elettroniche e salute mentale

Autore

(Ricevuto il 23 febbraio 2021; accettato il 05 marzo 2021)



Riassunto

L’articolo vuole attrarre l’attenzione degli operatori del campo della salute mentale sugli effetti che l’uso massivo delle tecnologie elettroniche produce sulla salute psichica. Sembrerebbe utile una valutazione della cosiddetta “Internet Addiction” come misura “globale” di tali effetti. Mancano ad oggi studi sufficientemente ampi da poterne ricavare metanalisi fondate. L’obbiettivo realistico dell’articolo è dare un sommario stato dell’arte. Vengono presi in esame e discussi alcuni articoli condotti in vari paesi e in Italia. I dati citati attestano una tendenziale correlazione tra uso di Internet durante la pandemia (in particolare durante il primo lockdown) e i corrispondenti comportamenti additivi. Se ne conclude per la necessità di accumulare nuove evidenze, di introdurre nella prassi clinica un’attenta rilevazione anamnestica degli stili di vita, compresi quelli legati all’uso degli apparati elettronici, di limitare l’esposizione ad essi soprattutto per le classi di età più giovani e più soggette a rischio e di costruire una Magna Charta Libertatum dell’era digitale.


Abstract

The paper aims to attract the attention of operators in the field of mental health on the effects that the massive use of electronic technologies produces on mental health. It would seem useful to evaluate the so-called “Internet Addiction” as a “global” measure of these effects. To date studies that are sufficiently large to be able to obtain well-founded meta-analyzes are lacking. The realistic goal of the paper is to give a summary state of the art. Some paper conducted in various countries and in Italy are examined and discussed. The data cited attest to a tendential correlation between Internet use during the pandemic (in particular during the first lockdown) and the corresponding additive behaviors. It is concluded by the need to accumulate new evidences, to introduce a careful anamnestic survey of lifestyles in clinical practice, including those related to the use of electronic devices, to limit exposure to them especially for the young people and most at risk and to build a Magna Carta Libertatum of the digital age.


Premessa

La pandemia, che ci attanaglia da oltre un anno, è la dimostrazione palmare dell’"effetto farfalla" (1) nella cosiddetta teoria del caos. Lo spillover, il salto di specie (dai pipistrelli e dai pangolini all’uomo), che accade nel mercato degli animali vivi di Wuhan, in un luogo remoto del pianeta, a causa di una pratica tradizionale pre-moderna (la macellazione senza controlli igienico-sanitari), nel giro di 24 ore raggiunge il resto del pianeta a causa degli aerei supersonici. Tant’è vero che il tempestivo blocco dei voli internazionali non ha protetto l’Italia dal contagio con i conseguenti oltre 90.000 morti attuali, in una strage di cui non si vede la fine, nonostante il lento e contraddittorio avvio della vaccinazione di massa. Ciò testimonia come la pandemia da coronavirus sia frutto dei processi di globalizzazione in atto.

In particolare la pandemia ha prodotto un’enorme accelerazione dei processi legati alle tecnologie elettroniche, cioè l’abnorme diffusione dell’uso delle macchine che dagli anni Sessanta del secolo scorso stanno a fondamento delle terza rivoluzione industriale. La necessità del distanziamento sociale, quale uno dei principali mezzi di contrasto alla diffusione del contagio, ha prodotto un rapidissimo sviluppo delle piattaforme social per riunioni e meeting da remoto, compresa la formazione a distanza, l’ampliamento a dismisura dell’e-commerce e dell’home-banking, l’introduzione massiccia dello smartworking ed anche della tele-medicina. Erano processi già in atto a causa della globalizzazione, ma sicuramente il distanziamento sociale e i lockdown ne ha prodotto un’accelerazione senza precedenti. Ciò è avvenuto in tutto il mondo, anche in paesi come il nostro, tecnologicamente e culturalmente arretrati in ambito elettronico ed informatico. In precedenza si erano levate le prime grida di allarme sull’impatto che l’uso delle tecnologie informatiche produce sull’uomo e soprattutto sul bambino (2) e in maniera significativa sul cervello umano (3), dato che la nuova generazione di macchine sfrutta soprattutto le capacità mentali degli umani, dove la generazione precedente, quella delle macchine elettro-meccaniche, sfruttava prevalentemente le capacità muscolari e i movimenti ripetitivi (4, 5).

Si comprende intuitivamente che l’accelerazione di tali processi doveva produrre conseguenze sulla salute mentale. Già sappiamo (e questa rivista se ne è occupata nel numero precedente) che accanto alla pandemia da coronavirus si è prodotta un’”epidemia della salute mentale” con un aumento delle patologie psichiche (soprattutto i disturbi depressivi, quelli ansiosi e quelli da stress). Questo articolo vuole attrarre l’attenzione degli studiosi e degli operatori del nostro campo disciplinare sugli effetti che l’uso massivo delle tecnologie elettroniche produce sulla salute mentale.


L’Internet Addiction e la pandemia

Sappiamo con certezza che durante la pandemia è aumentata la prevalenza dei disturbi psichici in particolare quelli ansiosi, depressivi e post-traumatici, di cui questa rivista ha dato puntualmente conto (6). Viceversa siamo ancora agli inizi di uno studio sistematico degli effetti della diffusione delle tecnologie elettroniche. Una misurazione scientifica implicherebbe la conoscenza della prevalenza dei disturbi legati all’uso di tali strumenti e di quanto essa sia variata durante la pandemia. Sembrerebbe utile una valutazione della cosiddetta “Internet Addiction” come misura “globale” di tali effetti. Vi si frappongono difficoltà di natura diagnostica, di definizione della patologia, di modalità sicure per la sua individuazione e di natura statistica e ed epidemiologica, cioè studi sufficientemente ampi da poterne ricavare metanalisi fondate. In ragione di tali limiti l’obbiettivo realistico di questo articolo è dare un sommario stato dell’arte.

L’Internet Addiction è stata proposta quasi per gioco da Ivan Goldberg (1995), prendendo a modello “l’azzardo patologico”, ma ha riscosso un notevole successo nella comunità scientifica (7). Non è ancora stato possibile trovare una definizione condivisa di questa categoria diagnostica, né individuare uno strumento standardizzato univoco che possa determinare una diagnosi certa. Infatti l’Internet Addiction non è stata accolta nel DSM-5 (2013) neppure come diagnosi aggiuntiva in attesa di definizione perché le evidenze scientifiche non erano sufficienti. Di tutte le problematiche raccolte in tale categoria il DSM-5 ha inserito nella sezione III tra “le condizioni che necessitano di ulteriori studi” solo il “disturbo da gioco su Internet” (8, pp. 921-924), le cui “stime di prevalenza sono altamente variabili”. “La prevalenza massima negli adolescenti (tra 15 e 19 anni di età), in uno studio asiatico che usava una soglia di cinque criteri, era di 8,4% per i maschi e del 4,5% per le femmine”. Un’ipotesi definisce che si può parlare di Internet Addiction “quando la maggior parte del tempo e delle energie vengono spesi nell’utilizzo della rete, creando in tal modo menomazioni forti e disfunzionali nelle principali aree esistenziali” (9). Possiamo pensare che la popolazione a rischio riguarda il 40% della popolazione mondiale che possiede oggi una connessione Internet. Dagli anni Novanta gli utenti sono decuplicati, raggiungendo nel 2014 il numero di 3 bilioni di persone (10). In questa sede si è evitata la traduzione tradizionale del termine inglese “addiction” con l’italiano “dipendenza”, che il DSM-5 omette dalla propria terminologia “a causa della sua incerta definizione e della sua connotazione potenzialmente negativa” (8, p. 568). I motivi di tale scelta sono stati puntualmente riferiti alla luce delle acquisizioni delle neuroscienze in un articolo pubblicato nello volume 20 di questa rivista (11). Sulla base del concetto “non dicotomico” di “continuum” la popolazione a rischio coincide con quella di tutti coloro che usano la rete. Secondo una rilevazione del Dipartimento Politiche Antidroga (12) oltre 240.000 adolescenti italiani passano più di 3 ore al giorno connessi alla rete. Quindi si tratta di una popolazione con un rischio elevato, tenuto anche conto della specifica fase in cui gli adolescenti si trovano, durante la quale si organizzano gli apparati cerebrali. In casi estremi, l’adolescente, dopo la scuola, passa la giornata completamente assorbito in una dimensione virtuale. L’Internet Addiction coinvolge anche gli adulti con il risultato finale di “quasi completo allontanamento dalla vita reale”. Un terzo degli utenti internet navigano in rete come fuga o per cambiare il proprio umore (12). Questi dati suggeriscono che tale addiction è sicuramente in crescita a conferma dell’ipotesi di un’ulteriore crescita legata all’incremento dell’uso della rete durante la pandemia. L’Internet Addiction comprende le seguenti situazioni, da aggiungere al già citato “azzardo on line”: Cyber Relational Addiction; Information Overload; Cyber Sexual Addiction; Computer Addiction (gioco offline); Net compulsivo.

Uno studio cinese condotto nel 2020 (13) riporta l’esito di un sondaggio trasversale, anonimo e auto-riferito tra i bambini e gli adolescenti cinesi di età compresa tra 6 e 18 anni durante i primi mesi della pandemia da Covid-19 condotto con lo Young's Internet Addiction Test (IAT) e Depression, Anxiety and Stress Scale (DASS-21). Sono stati arruolati 2050 ragazze/i (età media: 12,34 ± 4,67 anni, femmine: 48,44%). Di essi solo 55 (2,68%) soddisfacevano il criterio per l'uso di Internet che crea addiction (IAT≥70), mentre 684 (33,37%) partecipanti sono stati classificati come utenti Internet problematici (69≥IAT≥40). L'utilizzo di Internet era cresciuto durante l'epidemia di COVID-19. Un’analisi di regressione lineare attestava che correlavano in modo statisticamente significativo con i punteggi totali IAT (R = 0,539, R2 = 0,291, p <0,001) il sesso femminile (β = -0,091, p <0,001), l’età (β = 0,066, p = 0,001), la depressione (β = 0,257, p <0,001) e lo stress (β = 0,323, p <0,001 ). Notiamo, inoltre, come vi sia una relazione con altri fenomeni psicopatologici significativamente aumentati durante la pandemia.

Uno studio cross-sezionale condotto in Messico (14) nello stesso periodo pandemico andava nella stessa direzione, anche se era condotto attraverso un sondaggio web sulla popolazione generale. Sono state reclutate 561 persone (71% donne, età media 30,7 ± 10,6 anni). Sono stati valutati gli atteggiamenti e le percezioni personali verso COVID-19, i disturbi del sonno correlati, la versione messicana dell'Hospital Anxiety and Depression Scale (HADS) e l'Internet Addiction Test (IAT). Il vantaggio di questo studio è che la prevalenza di ansia e depressione è stata confrontata con un gruppo di controllo storico, purtroppo non l’Internet Addiction. È stato riscontrato un aumento del 51% (dal 33% al 50%) dell'ansia e fino all'86% della depressione durante le prime settimane del blocco rispetto al gruppo di controllo. Secondo il questionario IAT, il 62,7% del campione aveva un certo grado di addiction da Internet. Nell'analisi multivariata, l'età più giovane (p = 0,006), i problemi del sonno (p = 0,000) e la Internet Addiction (p = 0,000) erano associati ad ansia e depressione. Gli autori concludono che il loro studio dimostra che in Messico, come in altre parti del globo, la paura dell'infezione da SARS-CoV-2 ha avuto conseguenze devastanti sulla salute mentale, in termini di ansia, depressione e disturbi del sonno e che l’aumento dell’uso di Internet e la conseguente sovraesposizione alla disinformazione a rapida diffusione (infodemia) sono associati ad ansia e depressione.

Un altro studio indonesiano (15), condotto sempre tramite un sondaggio on line, ha il vantaggio di paragonare l’Internet Addiction durante la pandemia da Covid-19 con rilevazioni precedenti. Sono stati reclutati 4.734 adulti (età media 31,84 ± 7,73 anni e 55,2% maschi). È risultato che la prevalenza puntuale dell'Internet Addiction durante la pandemia COVID-19 era del 14,4% negli adulti indonesiani a fronte dell’esposizione online, aumentata del 52% rispetto a prima della pandemia ed era superiore al tasso precedentemente proposto tra gli adulti indonesiani, che potrebbe essere correlato alle attività digitali associate a COVID-19 e alla popolarità della socializzazione virtuale.

Analogamente è stato condotto uno studio trasversale nel distretto indiano di Varanasi (16) durante il periodo di blocco dovuto al COVID-19 per valutare la prevalenza di Internet Addiction nella popolazione generale. Sono stati intervistati tramite chiamata telefonica 350 persone ed è stato somministrato loro un questionario online semi-strutturato comprendente le variabili socio-demografiche e l’Internet Addiction Test (IAT). L'età media degli intervistati era 27,69 ± 9,62 anni e la maggior parte di loro appartiene alla fascia di età 18-25 anni. La prevalenza di Internet Addiction tra gli intervistati era per il 50,29% lieve, 18,29% moderata e 1,71% grave, mentre è stato possibile definire solo il 29,71% come un normale utente di Internet. C'è stata una significativa associazione tra Internet Addiction ed età (p <0,05), sesso (p <0,05), stato civile (p <0,01) e tipo di famiglia (p <0,05).

Esiste, infine, uno studio italiano (17), effettuato con un questionario online somministrato a 454 studenti italiani durante il primo blocco nazionale. Tutti i partecipanti reclutati hanno completato misure tra cui depressione, ansia e stress (DASS-21), paura del COVID-19 e Internet Addiction. Gli autori sostengono che i risultati dello studio dimostrano come la paura di COVID-19 era associata ad Internet Addiction e come la paura di COVID-19 mediava la relazione tra ansia e disturbo da Internet Addiction.


Alcune considerazioni

Gli studi citati attestano una tendenziale correlazione tra uso di Internet durante la pandemia e in particolare durante il primo lockdown e i corrispondenti comportamenti additivi in varie popolazioni del mondo. Siamo di fronte, quindi, ad una tendenza planetaria, che attende di essere studiata in maniera sistematica. Lo strumento testologico usato nei lavori riassunti qui sopra, il cosiddetto IAT, mostra una sufficiente attendibilità per rilevare e diagnosticare il problema, anche se la categoria di “Disturbo da Internet Addiction” (IAD) non è ancora chiaramente e universalmente condivisa.

Un ulteriore elemento di riflessione è la relazione dell’Internet Addiction con i disturbi psichiatrici, il cui impatto è aumentato nella pandemia: la depressione, l’ansia e il disturbo da stress. Anche qui il rapporto è intuitivo: questi fenomeni, legati allo stile di vita ormai diffuso in tutto il pianeta proprio in conseguenza della globalizzazione, non possono essere considerati, diagnosticati e trattati separatamente. Dobbiamo cominciare a considerarli parte dello stesso campo della salute mentale di comunità, che è uno (se non il) concetto chiave intorno al quale ruotano gli interessi di questa rivista. La pandemia ha semplicemente accelerato un processo già in atto come affermato in premessa. Inoltre il campo della salute mentale deve comprendere non solo i classici disturbi psichiatrici, ma anche quelli delle condotte additive, tutte peggiorate durante la pandemia a cominciare da quella più antica, legata all’uso dell’alcol.

Alla luce di tutto questo dobbiamo avere il coraggio e la sensibilità culturale di considerare il processo di diffusione dei sistemi informatici ed elettronici un processo irreversibile con cui le prossime generazioni dovranno avere a che fare inevitabilmente. Tale affermazione implica una conseguenza per molti versi drammatica: nei confronti dell’Internet Addiction non è applicabile il “modello astinenziale”, invocato nella pratica per tutte le altre condotte additive con e senza sostanza.

Va considerato quanto viene rilevato per ora solo aneddoticamente nel lavoro dei servizi e dei professionisti: a fronte della cosiddetta pandemia della salute mentale, attesa in base ai primi studi, soprattutto cinesi, che dava la prevalenza dei disturbi psichici oltre il 52% della popolazione generale esposta al contagio, non vi è stata una massiva richiesta di aiuto, ma sembrerebbero prevalere le risposte individuali in proprio (“fai da te”) (6). Pur essendo presente – come emerge dalla pratica clinica – una diffusa sofferenza psichica, si apprezza una risposta individuale autogestita. Le prossime ricerche sul campo dovranno avere il compito di esplorare quest’ambito, ma è suggestivo pensare che la risposta individuale potrebbe dipendere proprio dal consumo individualizzato dei singoli, che sono soli davanti ai propri apparati elettronici, anche quando inseguono la socializzazione virtuale. Andrebbe verificato pure il collo stretto della risposta ai bisogni di salute mentale della comunità, fenomeno già presente prima della pandemia a causa dei tagli lineari delle risorse disponibili, soprattutto umane. Sarebbe importante verificare nella stessa direzione quanto ha gravato la riduzione della risposta organizzata dovuta proprio ai limiti che il contagio ha imposto per l’accesso ai servizi.

Rivolgendo lo sguardo critico dall’altra parte del rapporto di cura tra operatori e utenti o in termini più allargati tra servizi della salute mentale e comunità, meritano capacità di analisi e di riflessione i mutamenti che il setting ha subito proprio per l’uso massivo delle piattaforme elettroniche messe a servizio della telemedicina, dello smartworking e delle sedute da remoto. Anche la Società Psicoanalitica Internazionale, da sempre severa custode delle dimensioni del setting, ha preferito non pronunciarsi ufficialmente in merito, facendo di necessità virtù, pur ponendosi seriamente il problema in una serie di discussioni nei propri centri e nelle proprie riviste (cfr. il dibattito sul sito della Società Italiana, 18, 19). Mentre on line possono essere riproposte le dimensioni temporali, cioè la costanza dell’ora e della durata della seduta ed anche della richiesta (è il paziente che suona alla “porta virtuale” del terapeuta o dell’operatore), sono radicalmente mutate le dimensioni spaziali, in particolare quelle della prossimità corporea e di una migliore percezione del linguaggio non verbale, che on line è appiattito nella bi-dimensionalità. Vanno aggiunte tutte le difficoltà legate alle vicissitudini delle connessioni della rete (interruzioni, cattiva trasmissione ecc.). Vanno ricordati anche i vantaggi delle sedute on line, ad esempio la possibilità di osservare le espressioni facciali senza l’interposizione delle mascherine (anche se il loro uso può essere soggetto di specifiche interpretazioni) ed anche la possibilità di controllare in presa diretta la postura e l’espressione del terapeuta, che può autosservarsi nella finestra della telecamera rivolta verso di sé. Vi è nel complesso una perdita della realtà sensibile già evidenziata in altri contesti a proposito del rapporto con il mondo mediato dalle macchine elettroniche (20).


Conclusioni

In sede conclusiva occorre ribadire la necessità di accumulare nuove evidenze e di avviare studi sistematici sull’impatto delle tecnologie informatiche e del crescente utilizzo della rete sul cervello umano, sulla psiche e sulla salute mentale.

Come già sostenuto in un’altra occasione (11) è necessario introdurre nella prassi clinica un’attenta rilevazione anamnestica degli stili di vita, compresi quelli legati all’uso degli apparati elettronici e della rete allo scopo di individuare il loro uso rischioso, come per tutte le altre possibili condotte additive, nello stesso modo con cui si rilevavano un tempo le abitudini “potatorie” o “ricreative” (alcol e tabacco).

Ulteriore indicazione è la necessità di limitare l’esposizione alle macchine elettroniche soprattutto per le classi di età più giovani e più soggette a rischio a cominciare dagli adolescenti e dai bambini, a cui i genitori mettono in mano gli smartphone con troppa disinvoltura come fu fatto a suo tempo con la televisione con conseguenze disastrose (2, 21).

La crescente consapevolezza dei danni, che può conseguire sulla salute umana e sulla nostra cultura sociale l’uso della rete e degli apparati elettronici, ci obbliga ad una sua stringente regolamentazione, un processo immane, ma necessario di costruzione di una Magna Charta Libertatum dell’era digitale, come ha proposto uno dei maggiori studiosi della modernità, Anthony Giddens (22).


Riferimenti bibliografici

1 Lorenz E. (1972), “Predictability: does the flap of a butterfly’s wings in Brazil set off a tornado in Texas?”, http://eaps4.mit.edu/research/Lorenz/Butterfly_1972.pdf

2 Bozzola E. , Spina G., Ruggiero M., Memo L., Agostiniani R., BozzolaM., Corsello G. , Villani A. (2018), “Media devices in pre-school children: the recommendations of the Italian pediatric society” Pediatric Italian Journal, 44:69 https://doi.org/10.1186/s13052-018-0508-7

3 Andreoli V. (2019), L’uomo dal cervello in tasca, Solferino, Milano

4 Jameson F. (2007), Postmodernismo. Ovvero la logica culturale del tardo capitalismo; Fazi Editore, Roma; edizione originale in inglese del 1987

5 Maccaccaro G. A. (1974), “Classe, salute e università”, Notiziario del Centro di Documentazione, Pistoia, n. 26, pp. 1-11

6 Iozzelli D., Facchi E., Cardamone G. (2020), “I servizi pubblici di salute mentale in tempo di pandemia. Review sul tema”, Nuova Rassegna Studi Psichiatrici, Vo l.21

7 Goldberg I. (1995). IAD, in Cinti M. E.(a cura di) Internet Addiction Disorder un fenomeno sociale in espansione (pp.6-7). Available: http://www.iucf.indiana.edu/brown/hyplan/addict.html

8 American Psychiatric Association (APA) (2014), DSM 5. Edizione italiana Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, quinta edizione, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2014

9 Scaramozzino D., Rabuffi M. (2014), https://www.istitutopsicoterapie.com/dsm-5-dipendenze-da-non-sostanze-linternet-addiction-disorder/

10 Ropelato, J. (2014). Internet Pornography Statistics. Disponibile al sito http://internet-filter-review.toptenreviews.com/internet-pornography-statistics.html

11 Corlito G. (2020), “Verso un’ecologia sociale degli stili di vita”, Nuova Rassegna Studi Psichiatrici, Vol. 20

12 Dipartimento Politiche Antidroga (2014), http://www.politicheantidroga.gov.it/it/dpa-in-sintesi/attivita-e-progetti/le-pubblicazioni/

13 Dong H., Yang F., Lu X., Hao W, (2020), “Internet addiction and related psychological factors among children and adolescents in China during the coronavirus disease 2019 (COVID-19) epidemic”, Frontiers in Psychiatry, frontiersin.org

14 Garcia-Priego B. A., Triana-Romero A., Pinto-Galvez S.M. et al. (2020), “Anxiety, depression, attitudes, and internet addiction during the initial phase of the 2019 coronavirus disease (COVID-19) epidemic: A cross-sectional study in Mexico”, MedRxiv, medrxiv.org

15 Siste K., Hanafi E.,  Lee Thung Sen H. C. et al. (2020), “The Impact of Physical Distancing and Associated Factors Towards Internet Addiction Among Adults in Indonesia During COVID-19 Pandemic: A Nationwide” , Frontiers in Psychiatry, ncbi.nlm.nih.gov

16 Prakash S., Yadav J.S., Singh T.B. (2020), “An online cross-sectional study to assess the prevalence of internet addiction among people staying at their home during lockdown due to COVID-19”, International Journal Indian Psychology, researchgate.net

17 Servidio R. ,  Bartolo M. G. , Palermiti  A. et al. (2021), “Fear of COVID-19, depression, anxiety, and their association with Internet addiction risk in a sample of Italian students”, Journal of Affective Desorder, Elsevier.

18 Niccolò A. et al. (2020), “Analisi e psicoterapie in internet o per telefono al tempo del coronavirus”, Spiweb

19 Lena Theodorou Erlich, "L'improvviso passaggio alla tele analisi durante la pandemia: alla ricerca delle nostre fondamenta psicoanalitiche”, Rivista di Psicoanalis, 2020, LXVI, 3.

20 Fortini F. (1985), “Il controllo dell’oblio”, in Insistenze, Garzanti, Milano, pp. 131-137

21 Popper K. R., Condry J. (1996), Cattiva maestra televisione, Donzelli, Milano

22 Giddens A., citato da Guido Scorza, “Magna Carta digitale è l’ora di agire”, La Repubblica, 16.5.2018