Volume 16 - 28 Marzo 2018

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La tutela della relazione terapeutica nei nuovi contesti normativi

Autori



Riassunto

La stratificazione delle modifiche apportate negli anni alla L. 40, che hanno poi dato forma alla L. 84 e alle sue successive modifiche, hanno portato ad un testo legislativo di difficile interpretazione e in alcuni punti contraddittorio.

Il primo punto problematico è quello che riguarda il rapporto fra Società della Salute e Azienda Sanitaria, dove si evidenzia una confusione di ruoli e competenze. Non è congrua la necessaria distinzione fra il ruolo politico di governo dei servizi sanitari di competenza della SdS e quello gestionale e tecnico delle articolazioni organizzative della Azienda Sanitaria.

Il secondo punto problematico è quello che riguarda il rapporto fra i dipartimenti verticali nelle loro articolazioni organizzative multi professionali distrettuali e i dipartimenti orizzontali monoprofessionali.

Non è sufficientemente definita la gestionalità organizzativa dei servizi territoriali da parte dei primi e la gestionalità tecnico-professionale dei secondi. Tutto ciò sta generando separatezze e conflittualità sul piano organizzativo fra le linee monoprofessionali dei gruppi di lavoro multi professionali, afferenti alle Unità Funzionali delle Zone Distretto.


Abstract

The stratification of the changes made over the years to Law 40, which then shaped the L. 84 and its subsequent amendments, led to a legislative text that was difficult to interpret and, in some points, was also contradictory.

The first problematic point is related to the relationship between “Società della Salute” (SDS) and “Azienda Sanitaria” where we can underline a confusion between roles and skills. The necessary distinction between the political role of government of the health services in charge of the SDS and of the management and technical aspects of the organizational structures of the Healthcare Company is not appropriate.

The second problematic point concerns the relationship between the vertical departments in their multi-professional district organizational structures and the horizontal monoprofessional departments.

The organizational management of the local services by the former and the technical-professional management of the latter is not sufficiently defined. All this situation is generating separateness and conflict on the organizational level between the single-professional lines of the multi-professional working groups, which belong to the Functional Units of the District Zones.


Proponiamo una riflessione su alcune delle ripercussioni che le recenti normative stanno avendo sui Servizi di Salute Mentale. Ci riferiamo alla Legge di riordino dell’assistenza sanitaria regionale e alla Legge sulla chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari.

Lo sfondo è rappresentato dalla rivoluzionaria trasformazione (cui non intendiamo rinunciare) del nostro ambito disciplinare. Negli ultimi 50 anni la psichiatria ha vissuto un vero e proprio ribaltamento dei paradigmi concettuali ed operativi di riferimento. Si è infatti passati da una concezione dove la malattia e la salute mentale erano intese come un accadimento di esclusivo ordine biologico–individuale, (questo secondo la visione ottocentesca della malattia mentale come espressione di danno cerebrale organico), ad una concezione dove la salute e la malattia sono la risultante della interazione tra fattori biologici, psicologici e sociali (questo secondo una visione dinamica–policausale assunta come propria dalla OMS).

In sintesi, seppure con grave ritardo rispetto al resto del mondo scientifico, si è finalmente pervenuti al riconoscimento della natura complessa dei fenomeni di salute e malattia.

Alla fine degli anni 70 i cambiamenti scientifici, culturali e politici, si sono tradotti in nuovi orientamenti legislativi (legge 180 prima ed 833 poi) e in nuovi conseguenti assetti organizzativi, che hanno permesso fondamentali avanzamenti evolutivi: si è passati dalla psichiatria manicomiale alla salute mentale territoriale. A tutt’oggi siamo l’unico Paese al mondo senza Ospedali Psichiatrici!

Riteniamo, però, che le normative emanate di recente non siano per alcuni aspetti in linea con questi principi.


1) Cominciamo a prendere in esame La Legge sulla chiusura degli OPG.

Sarebbe pleonastico ribadire che eravamo e siamo d’accordo con la chiusura degli OPG. Riteniamo comunque utile sollevare almeno due questioni.

La prima. È davvero sensato oltre che in contrasto con la vigente legge 833, legge che separa nettamente le competenze della cura da quelle della custodia per pericolosità sociale, tornare alla prima metà del novecento e delegare la “cura” della pericolosità sociale alla Psichiatria? Parliamo di cura, fra virgolette, della pericolosità sociale poiché questa era stata già considerata da Foucault come una caratteristica (di lombrosiana memoria) propria del soggetto autore di reato (e quindi svincolata dal contesto nel quale si esprime!). In seguito la pericolosità sociale si è venuta sempre più assimilando alla natura della malattia mentale, di cui sarebbe, secondo l’accezione attuale, un’espressione condizionabile e addirittura “guaribile” attraverso le cure.

Questa assurdità ha così tanto preso piede da spingere Legislatori e Magistrati a richiedere, ai Servizi di Salute Mentale, il contenimento del rischio di recidiva delittuosa! Come dice Catanesi, in “un’aberrante sorta di prevenzione sanitaria del delitto”!

Ora possiamo noi pensare davvero che la devianza sia solo frutto della malattia mentale?

La seconda questione concerne l’inaccettabilità di un approccio al trattamento del paziente autore di reato disgiunto da una ridiscussione sull’attualità del significato della pena, dell’istituzione carceraria, della pericolosità sociale e dell’imputabilità.

Temiamo che ignorare che la pericolosità sociale sia il portato di fattori familiari, sociali, economici, politici, legislativi e per ultimo sanitari, ed insistere nella delega alla Psichiatria per la gestione della devianza, equivalga soltanto a precostituire le nuove basi per la riapertura dei vecchi manicomi.


2) Veniamo ora alla legge di riordino del sistema sanitario regionale.

A – Il ruolo delle società della salute.

Premettiamo, in termini generali, che quando spostiamo l’attenzione dai servizi sanitari intesi primariamente come erogatori di prestazioni (quali le radiologie, i laboratori analisi, ecc.), ai servizi territoriali ed in particolare ai Servizi di Salute Mentale (per definizione servizi di prossimità al cittadino e quindi inevitabilmente “ripetuti” e diffusi), la filosofia degli accorpamenti appare più foriera di problemi che di soluzioni. Già nella Conferenza di Area Vasta di martedì 14 dicembre si evidenziava come l’organizzazione migliore dei servizi erogatori di prestazioni nella macro area sia quella strutturata sul concetto di messa in rete e non di accorpamento. Volendo pur tuttavia impegnarsi per la migliore riuscita del modello organizzativo per macro aree (come definito nella legge di riordino) è necessario che non ci siano macroscopiche contraddittorietà interne al modello stesso. La ridefinizione dei ruoli e delle funzioni delle Società della Salute ci sembra però che vada proprio nel senso della contraddittorietà con il modello organizzativo della macro area.

Per quanto riguarda il nostro ambito, sottolineiamo come le SdS, assumendo la gestione diretta dei Servizi Zonali, vadano a frapporsi tra il Dipartimento di Salute Mentale, che è l’organismo di livello aziendale deputato a garantire l’omogeneità delle risposte assistenziali e dei percorsi e processi di cura, e le sue articolazioni funzionali territoriali zonali. Questa frapposizione fa prevedere conseguenze assai negative sotto il profilo del “governo” complessivo del sistema, della equità della distribuzione delle risorse e della omogeneità delle risposte terapeutico riabilitative in un territorio aziendale già di per sé molto ampio e fortemente diversificato.

Né possiamo realisticamente pensare che le unità funzionali territoriali zonali possano sviluppare un’appartenenza dipartimentale, sia pur essa di tipo culturale o tecnico–organizzativa, quando si trovano a dipendere direttamente dalle SdS.

Da qui anche l’altra questione che potremmo definire come una sorta di “conflitto di interesse” di natura istituzionale. Ci si riferisce al fatto che l’apparato politico, tramite il Direttore della SdS, “dirige” direttamente i Servizi e contemporaneamente ne valuta anche l’operato.

È indubbio che l’incontro, “intorno ad un tavolo”, tra tecnici e politici, ai fini del conseguimento di una reale integrazione socio sanitaria, sia fortemente auspicabile, ma quando il politico è anche “il capo” dei tecnici si genera confusione dei ruoli e malgoverno.

La disciplina delle Società della Salute ci sembra il frutto di una stratificazione di modifiche che ha portato ad un quadro finale contraddittorio e confusivo rispetto ai compiti di politica sanitaria e sociale integrata, che dovrebbero risiedere in essa, e quelli sanitari tecnici e specifici, che dovrebbero essere prerogativa delle strutture aziendali e da queste gestite. Mentre la SdS opera le scelte di governo dell’offerta socio-sanitaria in base alla rilevazione del profilo di salute e all’analisi dei bisogni socio-sanitari, l’Azienda Sanitaria dovrebbe gestire direttamente lo specifico sanitario di tale offerta, all’interno della ricaduta sui servizi delle scelte di politica sanitaria della prima. Ci sembra che con le modifiche apportate alla L. 40, si operi un eccessivo spostamento della gestione dei servizi sanitari verso le competenze della Società della Salute, che dovrebbe avere invece esclusivi compiti di governo politico dell’offerta di servizi sociali e sanitari integrati.

Vediamo perché.

Al Capo III che disciplina l’Articolazione organizzativa funzionale, l’Art. 64.2 (Struttura a supporto del direttore di zona), al Comma 6 recita che “il direttore generale dell'azienda unità sanitaria locale delega al direttore della società della salute le funzioni di direttore di zona. Tali funzioni sono esercitate sulla base dell'intesa prevista all'articolo 50, comma 6, e ai sensi del regolamento di cui all'articolo 71 quindecies”.

Al contrario l’articolo 50, comma 6, recita invece di un rapporto d’intesa e non di delega: “Capo IV - Statuto aziendale. Art. 50 (Statuto aziendale). 6. le disposizioni statutarie e regolamentari in materia di organizzazione dei servizi territoriali sono adottate d’intesa con le stesse società della salute.

In ulteriore incongruità l’Art. 71 quindecies estende il concetto della delega previsto dall’Art. 64.2 alla gestione diretta e organizzazione interna dei servizi.

Art. 71 quindecies - Gli assetti organizzativi.

1. La società della salute disciplina con proprio regolamento l’organizzazione interna dei servizi sanitari e sociali integrati di cui assume la gestione diretta, ai sensi dell’articolo 71 bis, comma 5.


Successivamente, al Capo III bis Società della salute Art. 71 bis Società della salute: finalità e funzioni.

2. La società della salute svolge la propria attività mediante assegnazione diretta delle risorse.

L’assegnazione diretta delle risorse va a determinare la totale autonomia della gestione e della organizzazione dei servizi sanitari, così come disciplinato ai commi successivi.

3. La società della salute esercita funzioni di:

c) organizzazione e gestione delle attività socio-sanitarie ad alta integrazione sanitaria e delle altre prestazioni sanitarie a rilevanza sociale di cui all’articolo 3 septies, comma 3 del decreto delegato;

3 ter. la società della salute assicura la gestione diretta:

a) con riferimento ai livelli essenziali di assistenza per le attività socio-sanitarie ad alta integrazione sanitaria e le altre prestazioni sanitarie a rilevanza sociale;

In questo comma viene addirittura configurata la gestione diretta delle prestazioni sanitarie a rilevanza sociale.


Al comma successivo il ruolo dell’azienda sanitaria viene poi privato della funzione di programmazione operativa e attuativa, che viene invece assegnato alle SdS.

4. Fatto salvo quanto previsto al comma 3, lettera c), la gestione dei servizi di assistenza sanitaria territoriale è esercitata dall’azienda sanitaria tramite le proprie strutture organizzative, in attuazione della programmazione operativa e attuativa annuale delle attività.

Con questo comma, come evidente, il ruolo dell’azienda sanitaria è ridotto alla gestione operativa dei servizi.


Passando alle competenze ed alla qualità della figura professionale del Direttore della SdS ritroviamo quanto segue.

Art. 71 novies. Direttore della società della salute.

1. Il direttore della società della salute è nominato dal presidente della società della salute, su proposta della giunta esecutiva e previa intesa con il Presidente della Giunta regionale, (553) fra i soggetti in possesso dei requisiti di cui all'articolo 64 bis. ed iscritti negli elenchi di cui all'articolo 40 bis. (383)(554)

h) esercita le funzioni di responsabile di zona ai sensi dell’articolo 64.2, comma 8 (523);

In base a questo articolo il Direttore della Società della Salute è una figura a qualità politica in quanto proposto dalla giunta esecutiva e nominato dal Presidente della Società della Salute (a cui, conseguentemente, rende conto direttamente) previa intesa con il Presidente della Giunta Regionale.

Il Direttore della SdS, nominato dalla linea politica, esercita anche le funzioni di Responsabile di Zona, arrivando a gestire direttamente la linea sanitaria e i suoi aspetti gestionali e operativi come già visto. A questo punto ci si chiede con quale competenza sanitaria. Tale preoccupazione è comprovata quando si va ad approfondire la questione dei requisiti per la nominabilità del Direttore di Zona.

Art. 64 bis. Rapporto di lavoro del responsabile di zona.

1. L’incarico di responsabile di zona può essere conferito a ... :

a) un dirigente dipendente del servizio sanitario regionale o del comune con almeno cinque anni di qualificata attività di direzione tecnico sanitaria o tecnico amministrativa in ambito sanitario o socio-sanitario con autonomia gestionale e con diretta responsabilità delle risorse umane, tecniche o finanziarie;

b) soggetti in possesso di diploma di laurea con almeno cinque anni di qualificata attività di direzione tecnico sanitaria o tecnico amministrativa in ambito sanitario o socio-sanitario o socio-assistenziale con autonomia gestionale e con diretta responsabilità delle risorse umane, tecniche o finanziarie, operanti in organismi, aziende o enti pubblici o privati;

c) soggetti in possesso dei requisiti richiesti per la nomina a direttore dei servizi sociali di cui all’articolo 40, comma 5;

d) un medico di base convenzionato da almeno dieci anni, in possesso di titoli comprovanti idonea formazione manageriale.

d bis) uno specialista ambulatoriale interno con incarico da almeno dieci anni, in possesso di titoli comprovanti idonea formazione manageriale.

Da questo articolo è evidente come il Direttore di Zona, oltre a trovare appartenenza nella linea politica, possa essere di professionalità non sanitaria, all’estremo tecnico-amministrativa o dirigente del comune.

L’evidente sovrapposizione fra dimensione politica di governo e dimensione sanitaria di gestione, sta determinando, a nostro avviso, diversi problemi di cattiva gestione delle zone distretto e dei dipartimenti territoriali, in particolar modo in quelli multi professionali e ancor di più in quelli misti, ospedalieri e territoriali, come la salute mentale.


Proseguendo la nostra riflessione sulla relazione terapeutica, ci si chiede quanto questa confusione fra dimensione politica e dimensione sanitaria degli apparati di cura vada a condizionare il funzionamento e l’organizzazione dei servizi, alterando gli strumenti e i setting di cura: il gruppo multi professionale e l’assetto dei servizi di salute mentale.


B) La costituzione dei Dipartimenti “gestionali” delle professioni.

Con questa modifica della “Legge 40” si è introdotta una rottura dell’equilibrio (faticosamente raggiunto dopo anni) tra le competenze delle strutture professionali (che riuniscono i professionisti) e quelle delle strutture funzionali (cioè dove i professionisti operano concretamente in gruppo multiprofessionale).

Questa norma confonde la pari dignità con l’autonomia professionale e sta procedendo a passi celeri in direzione della frammentazione delle équipe di lavoro.

Nel nostro campo la multiprofessionalità costituisce lo strumento basico per affrontare con appropriatezza la complessità bio-psico-sociale delle emergenze psichiche sul piano dell’analisi della loro genesi, della formulazione di possibili progetti di cura e su quello della loro messa in atto. Questa frammentazione del gruppo di lavoro multiprofessionale, se non contrastata in tempo, rischia di produrre esiti disastrosi con arretramenti alla fase precedente la Legge 180.

Non si comprendono le ragioni (se non la richiamata confusione sull’autonomia professionale) che possono aver condotto a disegnare un’organizzazione ove i professionisti non abbiano una gerarchia (anche per linee professionali) interna ai Servizi ove operano. La gerarchia viene disegnata esterna al gruppo di lavoro (cioè collocata nei Dipartimenti professionali), secondo rappresentazioni del lavoro sanitario più vicine alla catena di montaggio che al gruppo di lavoro.

Non si può credere che dopo tanti anni non si sappia distinguere la differenza tra la sequenzialità e l’integrazione e che ancora ci si rifiuti di riconoscere che un gruppo di lavoro non è solamente la somma delle sue parti, bensì l’integrazione in un’unica entità, formalizzata in un’articolazione funzionale del sistema! Le Unità Funzionali costituiscono proprio questa entità.


Si ritene che la stratificazione dei quadri normativi derivante dalle successive modifiche alla Legge n. 40 del 24 febbraio 2005, la cui parte preponderante è contenuta nella Legge di Riordino n. 84 del 28 dicembre 2015, abbia prodotto delle definizioni poco chiare e ambigue nel corpo del testo della legge, che porgono il fianco a interpretazioni arbitrarie. La facile arbitrarietà delle interpretazioni genera conflittualità nel funzionamento delle aziende relativamente alle interazioni fra articolazioni organizzative, e confusione di ruoli e competenze relativamente al rapporto fra Azienda e SdS, così come già visto.

Per quanto riguarda le disfunzioni nell’interazione fra articolazioni organizzative, si rileva che l’organizzazione a matrice dei dipartimenti territoriali, riguardante l’incrocio fra Dipartimenti Verticali Territoriali, che diventano multiprofessionali nelle loro articolazioni zonali (UFC), attraversati trasversalmente dai Dipartimenti Orizzontali delle Professioni, che sono monoprofessionali nell’ambito della SM, produca conflitto e blocco funzionale. Questo accade in quanto le due tipologie di dipartimenti sono configurate ambedue come gestionali ed a carattere organizzativo e di programmazione dello stesso servizio, erogatore di prestazioni e assistenza. Non vi è infatti una distinzione chiara fra organi a funzione gestionale di governo ed organi a funzione operativa, bensì la configurazione di una matrice che inverosimilmente è composta da due variabili fra di esse indipendenti, quando invece l’essenza della matrice sta nella correlazione e interdipendenza fra variabili indipendenti e variabili dipendenti. Sembra ovvio che a livello di dipartimenti territoriali la funzione di governo, cioè di programmazione e organizzazione dei servizi, debba essere collocata in quelli verticali, investiti della funzione di responsabilità del servizio e di quella di coordinamento e direzione delle diverse professioni che afferiscono al gruppo multiprofessionale, in quanto risorse umane assegnate alla UF. In correlazione dipendente, la funzione operativa della erogazione delle prestazioni di cura e assistenza dei servizi sta nelle linee monoprofessionali che, messe in rapporto tra loro da un modello di operatività integrata definita dalla UF, offrono la migliore prestazione possibile in base agli standard di qualità e organizzativi intraprofessionali, di cui il Dipartimento Orizzontale Professionale è responsabile. A loro volta, i Dipartimenti Orizzontali Professionali sono di supporto alla funzione gestionale di governo della UF.

L’interrelazione descritta era definita in maniera chiara nel testo originario della Legge 40/2005, riconfermato però in maniera poco chiara e suscettibile di interpretazioni distorte, dalle modifiche successive contenute nella Legge 84/2015. La prima si legge definisce quanto segue.

Legge regionale 24 febbraio 2005, n. 40

Disciplina del servizio sanitario regionale.

(Bollettino Ufficiale n. 19, parte prima supplemento n. 40, del 07.03.2005)


Titolo V

ORGANIZZAZIONE


Capo I

Principi organizzativi


Art. 56

Funzioni di pianificazione, programmazione e controllo (141)

7. La programmazione operativa è la funzione che ordina l’attività ed è svolta al livello in cui vengono erogate le prestazioni da parte delle strutture organizzative funzionali.


Art. 58

Funzioni operative

2. Le funzioni operative sono attribuite alla competenza delle strutture organizzative professionali per quanto riguarda gli specifici processi professionali e per le relative attività di supporto e sono esercitate all’interno di strutture organizzative funzionali; a questo fine il personale delle strutture organizzative professionali dipende, sotto il profilo tecnico professionale, dal responsabile della unità operativa di appartenenza, sotto il profilo organizzativo dal responsabile della struttura organizzativa funzionale in cui è collocato.


Questa è la divisione fondamentale di compiti e ruoli fra strutture funzionali e strutture professionali, su cui si è articolata l’architettura organizzativa delle aziende.

Come evidente l’organizzazione poggia sulle strutture e i Dipartimenti venivano definiti strutture semplici senza budget e insigniti di ruolo tecnico-professionale e formalizzati come multidisciplinari, ma multi professionali nelle loro articolazioni funzionali a livello delle zone (UF).

Le articolazioni organizzative professionali facevano capo allora alle U.O. monoprofessionali. I dipartimenti professionali non erano previsti e questo disegnava una matrice chiara nella distinzione dei ruoli funzionali di gestione e di quelli professionali operativi. Le competenze delle articolazioni organizzative professionali venivano poi definite in maniera chiara anche dall’Art. 60 e 63.


Capo II

Articolazione organizzativa professionale


Art. 60

Strutture organizzative professionali e loro compiti

1. Le strutture organizzative professionali di cui all’ articolo 2, comma 1, lettera u) svolgono, nell’ambito delle direttive del responsabile della struttura organizzativa funzionale di appartenenza, i seguenti compiti:
a) concorrono, sotto il profilo tecnico professionale, alla formazione degli atti di programmazione;
b) partecipano alle procedure informative, a quelle contabili, di controllo di gestione e di verifica e revisione della qualità delle prestazioni, istituite dall’azienda sanitaria;
c) concorrono alla definizione dei programmi aziendali di formazione permanente, di miglioramento continuo della qualità, di educazione sanitaria, di informazione e di relazione con gli assistiti;
d) concorrono alla definizione dei programmi aziendali di incentivazione degli operatori e di sviluppo del livello delle dotazioni tecnologiche e strumentali;
e) definiscono, nell’ambito di propria competenza, apposite procedure operative e protocolli d’intervento;
f) concorrono ai processi gestionali e di integrazione professionale di competenza delle strutture organizzative funzionali.


Capo III

Articolazione organizzativa funzionale


Art. 63

Strutture organizzative funzionali delle aziende sanitarie

1.Al fine di coordinare ed integrare le funzioni operative, le attività delle aziende sanitarie sono organizzate e dirette attraverso strutture funzionali.

3. Le strutture organizzative funzionali di produzione ed erogazione delle prestazioni assistenziali sono:
a) per le aziende unità sanitarie locali:

1) le unità funzionali per i servizi territoriali di zona-distretto e della prevenzione costituite a livello di zona distretto;

2) i dipartimenti di cui agli articoli 67 e 69 bis;


(La modifica 2, però, fa da premessa alla confusione dei ruoli fra articolazioni organizzative multiprofessionali a competenza funzionale gestionale e articolazioni organizzative monoprofessionali a competenza operativa, nell’ambito della salute mentale e delle altre strutture funzionali della zona distretto).

L’articolo originario prosegue coerentemente nel definire le competenze delle strutture funzionali.


4. Per le strutture funzionali di cui al comma 2, lettere a) e b), e al comma 3, lettera a), numero 1), il direttore generale nomina tra i dirigenti dell’azienda sanitaria un responsabile che svolge le seguenti funzioni:
a) è responsabile del budget assegnato e della programmazione operativa dell’area;
b) dirige il personale delle strutture organizzative professionali assegnato direttamente per lo svolgimento delle proprie funzioni.


Come evidente viene sancito che la funzione gestionale di governo sta nelle UF, e così anche nell’Art. 66 che scende nello specifico delle zone distretto.


Art. 66

L’organizzazione della zona distretto

1. L’erogazione dei servizi sanitari territoriali di zona-distretto avviene attraverso le unità funzionali, che operano secondo il criterio dell’integrazione degli interventi per dare una risposta globale alle situazioni di bisogno.

2. Lo statuto aziendale disciplina le procedure ed i criteri per la costituzione delle unità funzionali; le unità funzionali attivano il percorso assistenziale negli ambiti di propria competenza ed assicurano la continuità fra le diverse fasi del percorso e l’integrazione con le altre strutture organizzative coinvolte.

3. Il responsabile dell’unità funzionale svolge le seguenti funzioni:
a) negozia il budget con il responsabile di zona;
b) è responsabile della programmazione operativa della struttura organizzativa di propria competenza e dei risultati conseguiti;
c) dirige il personale delle strutture organizzative professionali assegnato direttamente all’unità funzionale per lo svolgimento delle proprie funzioni.


Anche questo articolo ribadisce la funzione gestionale di governo della UF e la sua caratteristica multiprofessionale.

L’articolo che segue fa parte interamente delle modifiche apportate dalla L. 84 del 28 dicembre 2015 e definisce il livello direzionale aziendale della organizzazione in dipartimenti.


Art. 69 bis

Dipartimenti delle aziende unità sanitarie locali

1. I dipartimenti sono lo strumento organizzativo ordinario di gestione delle aziende unità sanitarie locali.

2. I dipartimenti di cui al comma 1 si distinguono nei seguenti:
a) dipartimenti di tipo ospedaliero;
b) dipartimenti territoriali;
c) dipartimento della medicina generale;

Quelli finora citati sono i cosiddetti Dipartimenti Verticali, che diventano Multiprofessionali nelle articolazioni della zona-distretto dell’azienda, dove si sostanziano nelle UF. Ad essi sono deputati i compiti di gestione e di organizzazione, ma non sono assegnatari di budget.

In questo Art. gli stessi compiti sono assegnati ai Dipartimenti Orizzontali Professionali, elencati nella lettera d) dello stesso comma, sempre però limitatamente al macrolivello direttivo aziendale.

d) dipartimenti delle professioni articolati in:

1) dipartimento delle professioni infermieristiche e ostetriche;

2) dipartimento delle professioni tecnico sanitarie e della riabilitazione e della prevenzione.

3) dipartimento del servizio sociale.


Da qui la partenza della confusione tra articolazioni gestionali di governo e articolazioni operative del sistema, già presente a questo livello di organismi direttivi aziendali.


Andiamo ora a vedere come si sviluppa la confusione scendendo al livello territoriale e zonale.


Art. 69 quater

Dipartimenti territoriali

1.Il dipartimento territoriale è il modello ordinario per il governo clinico delle attività territoriali delle aziende unità sanitarie locali.

2. Il dipartimento di cui al comma 1 ha carattere tecnico professionale e multidisciplinare e coordina l’integrazione dei principali percorsi assistenziali, presidiando l’aggiornamento professionale degli operatori, la qualità, la sicurezza, l’efficienza e l’innovazione organizzativa nel rispetto dell’equità di accesso ai servizi nelle varie articolazioni zonali.

3. Al dipartimento di cui al comma 1 è preposto un direttore nominato dal direttore generale tra i dirigenti con incarico di direzione delle unità operative complesse aggregate nel dipartimento.


Queste descritte sono ancora le prerogative dei dipartimenti territoriali verticali e multidisciplinari al livello delle direzioni aziendali, che però si configurano come multiprofessionali a livello delle articolazioni territoriali delle unità funzionali, con mandato di governo clinico delle attività territoriali. Siamo quindi ancora ai livelli di organismi direttivi aziendali.


Art. 69 quinquies

Dipartimenti delle professioni (518)

1. Presso ogni azienda unità sanitaria locale sono costituiti: a) il dipartimento delle professioni infermieristiche e ostetriche;
b) il dipartimento delle professioni tecnico sanitarie e della riabilitazione e della prevenzione.
c) il dipartimento del servizio sociale.

2. I dipartimenti di cui al comma 1, hanno funzioni di tipo programmatorio e funzioni di tipo gestionale allocativo e operativo. Essi, all’interno delle aree organizzative di presidio e delle unità funzionali dei distretti e della prevenzione, organizzano e gestiscono le attività e le risorse assistenziali e umane nel rispetto delle linee guida generali e della programmazione della direzione aziendale.


In questo comma i dipartimenti delle professioni svolgono funzioni di tipo programmatorio, gestionale allocativo e operativo a livello degli organismi aziendali e, a livello locale di presidio e delle UF di distretto e della prevenzione, organizzano e gestiscono le attività e le risorse assistenziali e umane, rendendo conto solo alla direzione aziendale. Questo genera conflitto con i Dipartimenti Verticali Multidisciplinari e le loro UF Multiprofessionali Zonali, per il fatto che la legge non definisce in maniera chiara e inequivocabile che il ruolo fin qui attribuito ai Dipartimenti Professionali va confinato all’interno delle articolazioni organizzative professionali e limitatamente ai presidi ospedalieri, all’assistenza distrettuale e alla prevenzione. Le UF della Salute Mentale sono strutture a parte, collocate nella Zona Distretto, includenti la proiezione ospedaliera del SPDC che è presidio territoriale, organizzate come strutture complesse multi professionali con risorse umane assegnate. Spesso succede invece che la separatezza dei Dipartimenti Professionali, sancita dal fatto che hanno come referente solo la Direzione Aziendale, venga agita anche all’interno delle articolazioni funzionali di tipo multi professionale della zona distretto, condizionandone la capacità di gestione, governo e programmazione.


3. Per le finalità, di cui al comma 2, il dipartimento delle professioni infermieristiche e ostetriche, il dipartimento delle professioni tecnico sanitarie e della riabilitazione e della prevenzione promuovono:
a) le integrazioni e le sinergie necessarie allo sviluppo delle risorse professionali ed il loro impiego più efficiente ed appropriato;
b) la responsabilità ed autonomia professionale nei percorsi assistenziali e nel processo di presa in carico del paziente;
c) la valorizzazione delle competenze di base e specialistiche, anche attraverso la formazione permanente e la ricerca, e dei componenti le equipe assistenziali;


Fino a qui si perpetuano le ambiguità finora descritte in quanto non si definiscono i confini della autonomia professionale.


d) le relazioni con gli altri dipartimenti aziendali nel rispetto dei diversi mandati.


Nell’ultima lettera si ribadisce la necessità di rispettare il mandato degli altri dipartimenti, non tenendo conto che in quelli che diventano multiprofessionali a livello di zona il rispetto di tali mandati si concretizza nella costituzione dei gruppi di lavoro integrati, e questa integrazione competenza del gruppo nel suo insieme e non delle singole linee monoprofessionali.


4. Per le finalità di cui al comma 2, il dipartimento del servizio sociale:
a) svolge funzioni di coordinamento tecnico- scientifico;
b) assicura la diffusione delle conoscenze e l’applicazione di standard qualitativi nella pratica professionale;
c) promuove, collabora e sostiene le attività di formazione e aggiornamento.


Al contrario di quello delle professioni infermieristiche e ostetriche e di quello delle professioni tecnico-sanitarie e della riabilitazione e della prevenzione, il Dipartimento del Servizio Sociale vede confinata la propria autonomia nell’ambito tecnico professionale e della formazione.


La novità storica, di valenza mondiale, dell’organizzazione dei Servizi di Salute Mentale nella Regione Toscana era quella di aver costituito il Gruppo Multiprofessionale, di discipline correlate alla complessità della dimensione biologica, psicologica e sociale, come Agente Unico di Cura. La relazione terapeutica, in tal modo, ha compiuto il passaggio storico che l’ha portata dalla dimensione duale a quella plurima integrata, fondando le basi di un’epistemologia che ha sviluppato una nuova euristica sulla malattia mentale, sugli strumenti molteplici di cura e sul setting di comunità come quello più adeguato alla cura stessa.

Queste innovazioni sono state foriere di una nuova concezione della malattia mentale sia nello specifico della psichiatria che nella dimensione del pensiero sociale e politico. Non solo, anche se ancora in misura incompleta e non adeguatamente esplicitata e formalizzata, ma tale evoluzione di pensiero è andata ad influenzare anche la concezione filosofica dell’uomo, sia a livello etico che antropo-fenomenologico. L’uomo è divenuto un’entità che include in sé la contraddizione del suo non essere, in quanto essere diverso, essere regredito, essere destrutturato e frammentato. La fenomenologia dell’uomo viene completata dal suo essere nella malattia, nella disfunzione dell’io, in un’altra dimensione dell’identità del sé, governata dalla inflazione dell’inconscio. Anche questa dimensione ha bisogno di essere inclusa nel discorso filosofico sull’uomo. Grazie alle nuove acquisizioni della psichiatria, non è più possibile una teoresi dell’uomo come oggetto coerente e unitario, bensì come oggetto contraddittorio e comprensivo delle sue possibilità di scissione. L’essere nella realtà va mediato dialetticamente con l’essere nel delirio, inteso questo come esame distorto della realtà stessa, perché invasa di quei contenuti inconsci che fanno parte dell’uomo e non elicitabili se non nelle forme patologiche dell’esistenza. Si potrebbe dire che sono state fondate le basi per un neo-umanesimo comprensivo e dialettico. L’antropologia culturale non può più fare a meno di includere in sé un’antropologia delle forme diverse di esistenza, definite incomprensibili fino a quasi tutta la prima metà del 900. La psicoanalisi, la fenomenologia e la psichiatria sociale ci hanno dato le chiavi di volta per una nuova comprensione dell’uomo nella sua interezza e del contesto che lo circonda, oltre alla possibilità di estendere tali acquisizioni alle scienze sociali, alla politica ed alla giurisprudenza.

È singolare che proprio in questa Regione vengano operati dei cambiamenti normativi che mettono in crisi il primum movens di questo discorso: l’integrazione e l’unitarietà del gruppo multiprofessionale per la cura e presa in carico della malattia mentale, nella cornice e in rapporto alla complessità.


Note:
In romano il testo della legge 40 e in corsivo le modifiche apportate nella legge 84.


Riferimenti bibliografici

1) Legge Regione Toscana n. 40 del 24 febbraio 2005, Disciplina del Servizio Sanitario Regionale.

2) Legge Regione Toscana n. 84 del 28 dicembre 2015, Riordino del Servizio Sanitario Regionale.