Volume 16 - 28 Marzo 2018

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Il progetto di cura personalizzato orientato alla recovery. Studio di follow up a 5 anni su persone con bisogni complessi a Trieste

Autori


Contatti:
Roberto Mezzina, Direttore Dipartimento di Salute Mentale – ASUITS/WHO Collaborating Centre for Research and Training.
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Riassunto

La presa in carico multidimensionale di persone con disturbo mentale severo, basata su percorsi di cura individualizzati, costruiti sui bisogni espressi dalle persone da servizi che agiscono modalità “assertive” d’intervento, orientati alla recovery e all’inclusione-partecipazione sociale conduce a migliori esiti in termini psicopatologici, personali e d’inclusione sociale, e probabilmente in minori costi per il sistema sanitario. Obiettivo principale di questo studio longitudinale è quello di analizzare, tramite misurazioni ripetute, gli esiti clinici e psicosociali verificatisi in un gruppo di persone con bisogni complessi, individuate secondo precisi criteri dalle equipe multi professionali operanti all’interno dei Centri di salute mentale 24 ore del Dipartimento di Salute Mentale di Trieste, per le quali sono stati realizzati percorsi di cura individualizzati basati sull’identificazione partecipata dei bisogni.

Sono state incluse nel gruppo campione 27 persone, valutate per un periodo di 5 anni (2004-2009) tramite misurazioni ripetute effettuate con strumenti validati (Brief Psychiatric Rating Scale, BPRS; Scala di Funzionamento personale e sociale, FPS; Camberwell Assessment of Need, CAN). Sono stati presi in considerazione i cambiamenti avvenuti rispetto alla sintomatologia clinica, al funzionamento personale e sociale e ai bisogni di cura.

Gli interventi e le modalità organizzative messe in atto, rispetto alle quali si sono disaminate similitudini e differenze rispetto al modello dell’Assertive Community Treatment, hanno portato a una riduzione statisticamente significativa sulla sintomatologia, a un graduale miglioramento del funzionamento personale e sociale, e a un’importante riduzione dei bisogni di cura espressi, soprattutto quelli relativi al vivere quotidiano. Il nostro lavoro ha inoltre rilevato una riduzione significativa della frequenza e della durata delle accoglienze diurno-notturne e dei ricoveri presso i CSM o il SPDC e a un azzeramento della necessità di effettuare Trattamenti Sanitari obbligatori per i soggetti osservati.


Abstract

Mental health patients and their families need consistent help and support in dealing with the effects that mental health issues have on life experiences and opportunities. Despite the awareness of such need, treatments offered by various services remain un-homogeneous and are not up to date with the latest scientific evidences. A model of multidimensional care, based on personal treatment and services orientated towards social inclusion and recovery, has been suggested as the answer to such problem.

This study’s main objective is the analysis of the clinical and psycho-social results in a group of ‘high priority’ patients carried out through a regular collection of data. All of these patients have been offered personal pathways of care, based on the participatory identification of their individual needs.

This study has been conducted in the real context of the Mental Health Department services of Trieste, in the autonomous Italian region of Friuli Venezia Giulia.

A Panel study plan has been used. The sample of patients consists of 27 individuals from all services of the Mental Health Department, who correspond to well-defined clinical, relational and social criteria.

The patients have been observed for a 5 year period (2004 to 2009) and assessed regularly through Brief Psychiatric Rating Scale (BPRS), FPS Scale (that focus on results of rehabilitation) and Camberwell Assessment of Need (CAN) methods. Aspects such as clinical symptoms, personal and social functioning, treatment needs and the changes occurred within those aspects have been taken into account in this study.

Organizational intervention and methods used by the Mental Health Department services have had positive effects on the patients’ symptoms. This study show a consistent reduction in BPRS rates as well as a progressive improvement of FPS rates, relating to the gradual and constant enhancement of the patients’ personal and social functioning. In 5 years, needs of care have dropped drastically, as well as the rate of un-met needs. Duration and frequency of admission in Community Mental Health Center or Hospital decreased, and in our observation, after this kind of pathways care need of compulsory treatments was zero.

‘High priority’ patients suffering from severe mental health disorders have been taken into account in this study. Their symptoms as well as personal and social functioning have improved thanks to a multidimensional model of care based on enhancing personal pathways and plans in the context of assertive treatment and recovery orientated services.


Introduzione

La linea d’indirizzo terapeutico-riabilitativa a oggi maggiormente validata in termini di più favorevoli esiti clinici e reali possibilità d’inclusione sociale per le persone con un disturbo mentale severo è quella di una presa in carico multi professionale, agita da servizi orientati alla recovery, capaci di costruire percorsi di cura individualizzati, fondati sull’ascolto e sulla ricognizione delle aspettative e dei bisogni delle persone, considerate attori principali dei loro propri percorsi (1).

Nonostante questa evidenza, i trattamenti offerti dai servizi di salute mentale italiani risultano ancora frammentari e disomogenei e le strategie terapeutico riabilitative spesso standardizzate, con percorsi che falliscono ripetutamente nei loro obiettivi e un impatto pesantissimo sulla qualità di vita. A tali approcci conseguono quasi ineluttabilmente percorsi istituzionalizzanti e “accoglienze” prolungate, “senza fine”, che risultano inoltre, seppur da evidenze ancora preliminari, in maggiori costi per il Sistema Sanitario.

Obiettivo principale di questo studio longitudinale è quello di verificare gli eventuali cambiamenti intervenuti nella condizione psicopatologica, nel funzionamento personale e sociale e nei bisogni di cura espressi da un gruppo di persone con disturbo mentale severo, che presentavano specifiche caratteristiche individuate dall’equipe curante.

Per questi soggetti sono stati realizzati, dall’anno 2004/2005, progetti di cura individualizzati basati sull’identificazione partecipata dei bisogni, seguendo i principi della recovery.

Obiettivi secondari sono volti a valutare:

  1. le modalità con cui i servizi hanno attuato tali progetti personalizzati, tramite la descrizione degli interventi clinico terapeutici e di management messi in atto;
  2. il numero e le giornate delle accoglienze/ricoveri di questi utenti, nel Centro di Salute Mentale (CSM) o nel Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC)".

MATERIALI E METODI

Lo studio è stato realizzato all’interno dei servizi del Dipartimento di Salute Mentale (DSM) di Trieste, Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, cui fanno capo 4 CSM aperti 24 ore/24, 7 giorni su 7, con possibilità di accoglienze notturne.

Dal punto di vista organizzativo i servizi triestini si orientano verso una presa in carico intensiva sul territorio, per molti aspetti analoga all’Assertive Community Treatment (ACT) sviluppatosi nei Paesi anglosassoni, così come indicati nella revisione sistematica di Marshall e Lockwood (2002) (2):

Team multidisciplinare

Gruppo definito di utenti

Condivisione della responsabilità fra tutto il gruppo di operatori

Gestione da parte del team dell’assistenza sia sanitaria che sociale, senza rinvii ad altre strutture-agenzie

Assistenza fornita in modo prevalente a domicilio o nel contesto di vita del soggetto

Trattamento assertivo

Contrattazione rispetto al programma da attuare.

La modalità di lavoro dei servizi triestini si discosta invece dal modello americano e inglese nelle seguenti caratteristiche:

Non si tratta di un team dedicato ma di una funzione dell’equipe nel suo insieme

Gli operatori utilizzano solo una parte del proprio tempo-lavoro per l’attività con le persone considerate ad “alto carico”, ovvero con bisogni complessi

All’interno del team viene identificato un operatore di riferimento (case manager) coordinatore del progetto terapeutico, ma tutta l’équipe conosce le persone e complessivamente, sia pure in maniera saltuaria, interagisce con esse.

Inoltre, i programmi terapeutici individualizzati costruiti a Trieste si differenziano dal care plan dell’ACT in quanto non costituiscono una mera sommatoria d’interventi socio sanitari ma progetti di vita basati su ciò che le persone desiderano e immaginano per se stesse, co-costruiti con le stesse attraverso lo strumento terapeutico del “budget di salute” (3).

Sono state richieste e ottenute dagli Enti competenti tutte le autorizzazioni necessarie per la raccolta dati e per accedere a tutta la documentazione clinica (secondo i principi della Declaration of Helsinki: ethical principles for medical research involving human subjects). La ricerca è stata realizzata in modo tale da garantire l'anonimato delle persone. Si è provveduto alla raccolta di un consenso informato cartaceo da parte dei soggetti coinvolti nell’osservazione.

Sono stati inclusi nello studio 27 soggetti assistiti dal DSM (5 per ogni CSM e 2 dal Servizio Riabilitazione e Residenze) che presentavano almeno 6 delle seguenti caratteristiche, individuate collegialmente dall’équipe e rilevabili dalla documentazione clinica visionata:

  • elevato carico familiare
  • assenza di rete relazionale
  • isolamento
  • frequente abbandono del programma terapeutico
  • reiterati fallimenti dei programmi terapeutici precedenti
  • ripetuti trattamenti sanitari obbligatori (TSO)
  • rischio immanente di grave deriva sociale
  • rischio immanente di commettere reati
  • uso/abuso di sostanze psicotrope

Le 27 persone reclutate nello studio sono state valutate in quattro momenti diversi: all’inizio della presa in carico intensiva(T0), a distanza di sei mesi (T1), di un anno (T2) e di cinque anni (T3).

La valutazione è stata condotta utilizzando inizialmente metodi di analisi qualitativi (intervista narrativa semistrutturata messa a punto da Ron Coleman e dal suo gruppo di lavoro, ). (4)

Successivamente, si sono utilizzati strumenti di valutazione standardizzati quantitativi quali:

  • la Brief Psichiatric Rating Scale (BPRS) versione 4.0 ampliata, di Joseph Ventura e coll. (1993)(5), trad. italiana di Morosini e Casacchia (Morosini, 1995);
  • la Scala di Funzionamento personale e sociale (FPS), modificata da Morosini e Casacchia (1997)
  • la Camberwell Assessment of Need (CAN-C), versione clinica, (Slade et al. 1999) (6).

Le variazioni dei punteggi ottenuti alle scale BPRS, FPS e CAN sono state elaborate mediante il software statistico S.A.S. (Statistical Analysis System) versione 9.1.

Specificamente, per rilevare l’andamento nel tempo dei punteggi delle scale e del numero di prestazioni e di accoglimenti/ricoveri sono stati utilizzati test statistici non parametrici per campioni dipendenti: il test di Wilcoxon per il confronto tra punteggi rilevati in due tempi diversi (T0 vs T1, T0 vs T2, T0 vs T3) e il test di Friedman per il confronto dei punteggi relativi a tutti i tempi considerati (T0, T1, T2, T3). Questi test sono in grado di evidenziare la tendenza statisticamente significativa all’aumento o alla diminuzione nel tempo delle variabili considerate.

Sono stati inoltre utilizzati il test del Chi Quadrato e il test esatto di Fisher per valutare la differenza del numero di bisogni insoddisfatti alla scala CAN tra T0 e T3. Per tutti i test la significatività statistica è stata stabilita a un livello di p<0,05.


RISULTATI

Nella tabella 1 sono riportate le principali caratteristiche socio demografiche e gli orientamenti diagnostici inerenti ai soggetti inclusi nella ricerca.

La maggior parte dei partecipanti allo studio è in contatto con il DSM da una media di 10 anni, pur essendo state incluse tre persone di più giovane età, e conseguente storia di malattia molto più breve.

Nei cinque anni di durata dello studio un uomo è deceduto per malattia somatica (novembre 2007) e una donna ha sospeso i contatti con i servizi (dal settembre 2008).

tabella 1

I bisogni di cura espressi dall’utenza sono stati valutati tramite la scala CAN, compilata dall’operatore di riferimento, tenendo anche conto di quanto emerso dall’intervista narrativa iniziale. La tabella 2mostra la distribuzione della frequenza dei bisogni riportati dagli utenti nelle varie aree della CAN. Per ogni area è indicato il numero di persone che hanno riportato un bisogno e il numero dei bisogni insoddisfatti.

tabella 2

La tabella 3 evidenzia l’andamento nel tempo delle diverse attività terapeutiche e di management, effettuate nel loro insieme dalle équipe territoriali.

tabella 3

Nella tabella successiva sono riportate il numero e le giornate di ricovero/accoglienza presso i CSM 24 ore e il SPDC.

tabella 4

Gli esiti clinici della presa in carico intensiva sono stati valutati tramite la variazione dei punteggi ottenuti alla BPRS 4.0 e riportati nella tabella 5.

Il punteggio complessivo ai diversi items di tale scala può variare tra valori compresi tra 24 e 168. Per una prima analisi i punteggi sono stati raggruppati in tre livelli di gravità psicopatologica: sintomatologia assente o lieve (punteggi < 35), moderata (punteggi 36-65) e grave (punteggi > 66).

tabella 5

Come per la BPRS, anche i punteggi della FPS, che valuta il funzionamento personale e sociale del soggetto, sono stati raggruppati in tre intervalli di gravità: <50 grave compromissione del funzionamento; 50-70 compromissione di grado medio-lieve; >70 funzionamento nei limiti della norma.

Per quanto riguarda il punteggio totale del campione, esso risulta significativamente diminuito nel confronto tra T0-T3 e T0-T1, come nel tempo complessivo.

Rispetto all’impatto nelle diverse aree indagate dalla scala della presa in carico intensiva si rimanda alla discussione.


Discussione e Conclusioni

Per quanto riguarda la composizione del campione, questo risulta essere costituito da persone con un disturbo mentale severo, dell’area della psicosi, formulata secondo l’ICD10.

Si rammenta che la netta prevalenza del sesso maschile nel gruppo (selezionato con i criteri di gravità clinica e psicosociale indicati precedentemente), nonché la maggior presenza di celibi, pensionati o disoccupati rimanda ad un maggior impatto dei fattori sociali nel decorso delle psicosi riguardanti la disabilità nel ruolo sociale e lavorativo e nelle relazioni, come indicato da molti studi letteratura (7, 20).

Le persone arruolate presentano a T0 una sintomatologia da moderata a grave (punteggi della BPRS > 36), una severa compromissione del funzionamento personale e sociale (punteggi della FPS < 50) e una molteplicità di bisogni di cura rilevati alla CAN. I suddetti profili di difficoltà rendevano i soggetti coinvolti nello studio a rischio di ulteriore cronicizzazione e disabilità (7). Ancora, le caratteristiche che questi soggetti presentavano hanno spinto i servizi a una revisione del progetto terapeutico in atto, ovvero a un’attivazione globale e “sistemica”, che riuscisse a integrare e coordinare tra loro attività cliniche e di intervento sulla sfera sociale (8).

Lo strumento strategico scelto è stato il progetto terapeutico abilitativo personalizzato, che permette di costruire, insieme alla persona, percorsi che partono dalla valutazione delle necessità sanitarie e sociali personali per proseguire verso la realizzazione in ambiti più generali come quelli lavorativi, economici e culturali (9 e 10).

Secondo l’approccio adottato dai servizi triestini, orientato alla recovery, alla “bassa soglia” e al non utilizzo della contenzione (11), è stato di fondamentale importanza avviare il “nuovo” percorso di cura con un’intervista narrativa (12) condotta da una ricercatrice indipendente.

Ogni utente è stato intervistato individualmente, alla presenza del proprio operatore di riferimento, che ha facilitato il processo di partecipazione della persona al progetto terapeutico.

La presenza dell’operatore ha inoltre fornito a quest’ultimo, e di conseguenza all’intera équipe, la possibilità di indagare aspetti sconosciuti o poco noti della storia soggettiva, risultati di fondamentale importanza per il lavoro di abilitazione successivo e per la realizzazione di un progetto di cura individualizzato, orientato alla recovery personale (13).

Gli interventi dei servizi sono andati a incidere sui bisogni maggiormente rilevati nelle interviste e nelle schede CAN.

Alla prima rilevazione temporale tramite la suddetta scala emerge come le aree in cui i soggetti hanno riportato più frequentemente la presenza di un bisogno siano quelle relative alle attività quotidiane, ai sintomi psicotici, al disagio psicologico, alla vita di relazione e gestione del denaro.

Nella vita di coppia, nella vita sessuale e nella cura dei figli è stato rilevato un basso numero di bisogni, ma nessuno di questi risulta soddisfatto.

Dalla tabella 2 si nota come nel tempo i bisogni totali espressi si siano progressivamente ridotti (soprattutto quelli legati alla quotidianità di vita, ovvero all’abitare, all’alimentazione, alla gestione del denaro) e come i bisogni insoddisfatti da 176 (60%) in T0 siano passati a 48 (25%) in T3, diminuzione che risulta essere significativa dal punto di vista statistico.

Interessante notare come nell’ultima rilevazione in ben 22 aree i bisogni risultano essere totalmente soddisfatti, con una percentuale di insoddisfazione dello 0%.


Le azioni progettate non sono state quindi prettamente sanitarie, ma atte a modificare la quotidianità delle persone, attraverso interventi che necessariamente agiscono sul contesto e sui luoghi di vita dei soggetti, cercando di migliorare soprattutto la loro qualità di vita (14).

Molti di questi progetti usano risorse aggiuntive “necessarie per innescare processi volti a ridare alle persone un funzionamento sociale accettabile, alla cui produzione partecipano l’utente stesso, la sua famiglia e la sua comunità”, (15) i così detti “budget di salute individuali” (3).


Scorrendo la tabella 3, si evidenzia come sia il numero d’interventi e/o trattamenti rivolti complessivamente al gruppo in studio, sia le attività cliniche rivolte alla persona, le attività abilitative/socializzanti e quelle di coordinamento registrino un incremento statisticamente significativo nel confronto tra T0-T2 (ovvero nel primo anno), ma non rispetto al tempo nella sua totalità.

A T3 (5 anni) invece risultano essere significativamente aumentate solo le attività cliniche rivolte alla persona e le attività di coordinamento dell’équipe.

Sono stati poi rilevati nel lungo periodo un aumento rilevante, seppur non statisticamente significativo, delle attività d’integrazione con altri servizi, a conferma della proattività verso le risorse comunitarie, e una parallela diminuzione, anch’essa non statisticamente significativa, delle attività prettamente infermieristico/sanitarie.

Ciò a indicare come l’obiettivo perseguito precipuamente dai servizi sia stato quello di costruire relazioni supportive ed empatiche con gli utenti, cercando al contempo la collaborazione dei carers e usando tutte le risorse, formali e informali, disponibili sul territorio.

Tale indirizzo di lavoro si dimostra in linea con le più recenti evidenze scientifiche, che sottolineano come una buona relazione terapeutica, interventi sui familiari e programmi terapeutici che permettano una reale inclusione nella vita comunitaria migliorino gli esiti clinici e sociali di soggetti con disturbi mentali severi (16).

Rispetto alle giornate e al numero di accoglienze/ricoveri presso le strutture del DSM (CSM 24 ore e SPDC), si è registrata una tendenza alla diminuzione statisticamente significativa sia del numero totale (da 82 a T0 a 57 a T3) che delle singole giornate di accoglienza (da 1898 giornate a T0 a 559 a T3) presso i CSM 24 ore.

Presso il SPDC, il numero di ricoveri totali è passato da 19 a T0 a 9 a T3 (diminuzione statisticamente significativa), mentre il numero delle singole giornate di ricovero è passato da 82 a T0 a 39 a T3, con una tendenza alla diminuzione statisticamente significativa al test di Friedman.


Tali dati confermano quello che in letteratura viene indicato come il principale degli esiti riscontrati quando si va a comparare l’ACT con i trattamenti standard o anche con il modello di case management non intensivo (17). Tale esito risulta avere un impatto anche in termini di cost-effectiveness, che va approfondito in ulteriori ricerche.

Altra rilevante considerazione riguarda i Trattamenti Sanitari Obbligatori: prima dell’attuazione della presa in carico intensiva orientata alla recovery erano stati effettuati per le persone incluse nello studio 3 ricoveri in regime obbligatorio, mentre nessun TSO è stato necessario alle valutazioni a 1 e 5 anni.

Le 25 persone che hanno partecipato a questo studio rappresentano lo 0,82% del totale delle persone che in media è in contatto con il DSM di Trieste e i 3 TSO che sono stati messi in atto per queste rappresentano il 15% del totale dei TSO attuati nello stesso periodo (n=20).

In una visione in cui il TSO viene valutato non tanto come una risposta ad una condizione di malattia e di non adesione soggettiva alle cure necessarie, ma come un punto critico che registra la difficoltà del servizio, il non ricorso allo stesso tipo di trattamento indica che l’attenzione costante dei servizi rispetto a questi soggetti, così come una relazione più solida tra gli stessi e i servizi, evita il verificarsi delle condizioni che lo rendono necessario.

Considerando i riflessi che un TSO può comportare per chi lo subisce, questo risultato acquista un grande valore nell’ambito del rapporto fra utente e servizio, consolidando una relazione terapeutica reciprocamente rispettosa e collaborativa.


Sul versante clinico, gli interventi messi in atto hanno portato a una riduzione significativa, nell’arco dei 5 anni, dei punteggi rilevati alla BPRS 4.0 (indicativi della severità dei sintomi sperimentati).

Il punteggio totale alla scala (complessivo per il campione) si modifica da 1347 (T0) a 1228 (T1) e quindi a 1281 (T2), fino ad arrivare a 1082 (T3). La diminuzione del punteggio totale (complessivo per il campione) è da un punto di vista statistico significativa solo nel raffronto tra T0 e T3, evidenziando i risultati positivi a lungo termine di una presa in carico continuativa.

Alla prima valutazione, la maggioranza delle persone, ottenendo un punteggio tra 36 e 65 a tutte le rilevazioni si situa, ma anche si stabilizza, nella fascia di gravità moderata.

Alla rilevazione a 5 anni, 19 persone ottengono un punteggio alla BPRS di sintomatologia moderata e 5 di sintomatologia lieve, suggerendo come i programmi messi in atto abbiamo evitato il rischio dell’aggravarsi della loro sintomatologia, ottenendo un globale e duraturo miglioramento clinico.


Se andiamo ad analizzare analiticamente i vari item (sintomi) e quindi a confrontare i punteggi ottenuti, notiamo che per ben 8 di questi c’è al tempo T3 una diminuzione significativa dal punto di vista statistico.

Per altri tre, ovvero l’Isolamento Emotivo, la Mancanza di cooperazione e la Distraibilità, il punteggio aumenta nel tempo, nelle ultime due aree in maniera statisticamente significativa.

Valutando tramite il test di Friedman, i cambiamenti complessivi che si sono verificati rispetto al tempo, vedremo che per sette sintomi la riduzione del punteggio risulta essere statisticamente significativa, così come per il totale di tutti i 24 sintomi nell’arco dei 5 anni.

Sintetizzando i dati analizzati, si evidenzia una risalita, se pur non lineare, dei soggetti da un livello di gravità maggiore a uno minore, sovrapponibile per altro con quanto riportato dagli studi sul decorso delle psicosi e dei processi di recovery (7).


La letteratura sottolinea come il miglioramento in ambito psicopatologico sia più difficile rispetto a quello in ambito psicosociale (17), conferendo valore al dato ottenuto dalla nostra ricerca.

Le aree sintomatologiche maggiormente suscettibili di miglioramento sono inerenti alla dimensione depressiva, dell’ostilità e della sospettosità. Ciò fa ipotizzare che un approccio proattivo del servizio, atto a costruire una forte relazione e alleanza terapeutica con i soggetti in carico, considerati protagonisti dei loro percorsi di ripresa, porti al ridimensionamento principalmente di quei sintomi che per loro natura rendono più difficile instaurare con gli altri rapporti soddisfacenti: nella nostra esperienza il tasso di drop-out è estremamente ridotto: solo una persona su 27 ha interrotto i rapporti con il servizio di riferimento.


Alla valutazione alla scala FPS precedente la presa in carico intensiva 21 persone presentavano una grave compromissione del funzionamento personale e sociale.

A5 anni (T3) tale numero si riduce a 9, mostrando una progressione da livelli di compromissione gravi a quelli medio lievi, con punteggi totali della FPS che passano da 873 a 1293, differenza che risulta essere statisticamente significativa.

Rispetto ai punteggi riportati nelle specifiche aree indagate dalla scala FPS (punteggi parziali da 0 a 4 a secondo della gravità; 0 = nessun problema; 4 = grave problema), si è evidenziato nel tempo un miglioramento progressivo del funzionamento personale e sociale (punteggi più bassi in tutte le aree), anche se significativo solo in due aree (rapporti con gli altri e comportamenti disturbanti e aggressivi) sia nel confronto T0-T3, sia nel tempo complessivo.

Gli interventi dei servizi sono riusciti ad incidere meno rispetto all’area lavorativa, dello studio e della cura di sé.

Solo un soggetto è passato dal livello più alto a un livello più basso, facendo registrare un peggioramento.

Alla rilevazione iniziale 4 persone usufruivano di una borsa lavoro, mentre a 5 anni le persone che si sono avvalse di questo strumento, incrementando le proprie possibilità di accesso al mondo del lavoro e di ri-acquisizione di abilità perdute o mai possedute, risultano 8.

Un soggetto è stato assunto da una cooperativa sociale.

Inoltre, se a T0 9 sono le persone che vivono da sole, a T3 esse sono diventate 12, a conferma che interventi basati su modelli di presa in carico assertivi e che considerino fondamentale l’aiuto dei servizi nella risoluzione dei problemi e bisogni legati alla vita di ogni giorno (real context) forniscano una maggiore possibilità di vivere in modo autonomo, migliorando la loro qualità di vita (18).

Nel complesso, va sottolineato che il miglioramento globale del campione, sia da un punto di vista clinico che psicosociale, si verifica nonostante la presenza di predittori e determinanti di esito in partenza sfavorevoli, ovvero un tipo di esordio di malattia insidioso, l’essere celibi, il sesso maschile, l’isolamento sociale, la lunga durata dei percorsi di cura (19).


Lo studio ha messo in evidenza i cambiamenti avvenuti, nel breve e nel lungo periodo (a cinque anni) in un gruppo di persone seguite dai servizi territoriali di salute mentale che presentavano precisi criteri di gravità clinica e psicosociale, evidenziati dai punteggi della BPRS, della FPS e dal numero di bisogni rilevati dalla CAN a seguito di una presa in carico reimpostata sulla base di progetti di cura personalizzati e condivisi, orientati alla recovery.

Tali percorsi terapeutico riabilitativi sono frutto di una scelta precisa da parte dei servizi, che hanno ri-pensato alla loro operatività ed hanno ri-attuato una presa in carico integrata con un’équipe multi professionale, tramite la formulazione di progetti terapeutico-abilitativi individuali, realizzati sulla base dei bisogni e sulla riscoperta e la valorizzazione delle storie di vita delle persone, delle capacità individuali, degli interessi e dei punti di vista.

Ciò viene evidenziato dall’aumento delle attività dei servizi volte ad integrare l’aspetto sanitario con quello sociale e a coordinare tutte le risorse presenti all’interno della comunità.

A fronte di questi cambiamenti avvenuti nella vita delle persone del gruppo in studio, il numero e le giornate di ricovero sono sensibilmente diminuite sia nei CSM che nel SPDC. Dato questo di particolare rilevanza, ritenuto in letteratura come uno dei principali indicatori di efficacia di un programma terapeutico riabilitativo.


Lo studio presenta alcuni limiti, in primis la scarsa numerosità del campione, che non permette una generalizzazione dei risultati, quanto piuttosto un loro utilizzo come elemento di confronto e indicazione rispetto all’operatività di un servizio nell’ambito della presa in carico di soggetti con un severo disturbo mentale e a forte rischio di cronicizzazione.

La ricerca si propone comunque come studio pilota per la realizzazione di un follow up di un più ampio campione di soggetti, comprendente anche quelli qui già inclusi.

Altro limite riguarda la mancanza di informazioni circa la qualità di vita delle persone, che non è stata oggetto di specifica valutazione con strumenti idonei d’indagine.

Indicazione per una futura ricerca risulta anche la rilevazione della prospettiva dei soggetti a fronte di un riscontro di miglioramento degli indicatori utilizzati (scale strutturate), ad esempio attraverso un’auto-valutazione.

Altri possibili sviluppi della ricerca saranno quelli atti a comparare i costi di un trattamento di mera residenzialità, il più frequentemente offerto a soggetti con le caratteristiche presentate dal nostro campione, versus la spesa di un trattamento proattivo e dispiegato nel territorio e nel contesto di vita dei soggetti, quale quello presentato nella nostra ricerca.

Gli Autori dell’articolo dichiarano l’assenza di conflitto di interessi.


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