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Salute mentale e contesto pandemico: una situazione a rischio di stallo

Autori

Dichiarazione sul conflitto di interessi
Gli autori dichiarano l’assenza di conflitti di interessi circa il presente lavoro.

Ricevuto il 10 novembre 2021 – Accettato il 30 novembre 2021



Riassunto

La pandemia da COVID-19 ha avuto notevoli ricadute sulla salute mentale della popolazione generale, del personale sanitario coinvolto e degli utenti psichiatrici, e i Servizi di Salute Mentale hanno dovuto contestualmente modulare l'erogazione delle cure. Mettendo in luce alcune fragilità organizzative e una saturazione delle risorse sanitarie e sociali, il protrarsi dell’emergenza sanitaria richiede una riflessione sulla futura programmazione nella sanità pubblica in generale, e in particolare delle cure in ambito di salute mentale.


Abstract

The COVID-19 pandemic exerted a significant impact on mental health among the general population, including healthcare professionals and those who benefit from psychiatric interventions. In this framework, the activities of Mental Health Services needed to be revised in order to face this challenge. By outlining a structural frailty and the exhaustion of social and healthcare resources, the ongoing emergency invites to rethink public healthcare programs, especially regarding mental health.


1. La pandemia tra tenuta sociale e sanitaria

Nonostante l’impegno estensivo di risorse materiali ed umane da parte del Sistema Sanitario Nazionale (SSN), passato dapprima principalmente attraverso l’erogazione di cure ospedaliere per un grande numero di cittadini, e successivamente attraverso un’ingente e dibattuta campagna di immunizzazione, la cosiddetta “quarta ondata” della pandemia da COVID-19 impone un ritorno a livelli da allerta che ricordano da vicino quelli del passato inverno. La diffusione del virus SARS-CoV-2 nelle sue varianti è nuovamente in fase ascendente, con il timore di conseguenze imprevedibili e potenzialmente drammatiche sulla tenuta della sanità pubblica e del funzionamento del Paese nelle sue diverse forme, pur con una variabilità interregionale ascrivibile principalmente alle caratteristiche socio-sanitarie e demografiche di ciascun territorio.

Volendo proporre una riflessione sintetica su questo perdurante clima di emergenza, caratterizzato dall’assuefazione ad un lessico francamente “bellico” (pensiamo ai bollettini quotidiani della Protezione Civile) e dal rischio di scadere in una marcata conflittualità sociale (associata in primis alle ripercussioni sul mondo del lavoro, al logoramento delle reti interpersonali e al dibattito sull’opportunità di restrizioni della libertà individuale a favore della tutela della collettività), almeno tre sono state le criticità che abbiamo dovuto affrontare in quasi due anni: la prima è quella della patologia COVID-19, che con la sua virulenza e una mortalità nient’affatto trascurabile ha saturato la capacità di tenuta del sistema sanitario, assorbendone la quasi totalità delle risorse e del personale; la seconda, più subdola ed emersa nel medio e lungo termine, è rappresentata dai corollari di sospensioni e differimenti di attività assistenziali e riabilitative ordinarie, con un importante incremento del ritardo nella diagnosi e nella presa in carico di numerose patologie ad alta prevalenza non correlate al SARS-CoV-2; la terza è infine rappresentata dall’aumentata richiesta di supporto psicologico o psichiatrico da parte della popolazione generale, sia durante i primi mesi di lockdown che successivamente.

Davanti a una recrudescenza del fenomeno pandemico, seppur ad oggi meno violenta secondo i dati quotidianamente forniti a livello globale [1], appare urgente identificare potenziali strategie che possano prevenire o minimizzare l’impatto che una nuova ondata potrebbe produrre sui nostri Servizi, e sulla salute mentale in generale.


2. Pandemia e salute mentale: un intreccio longitudinale

In un primo momento, la repentina diffusione dell’epidemia ha generato preoccupazione per la salute propria e delle figure prossime e significative. Questa reazione, mediata in gran parte da un senso di sorpresa a fronte di uno scenario mai configuratosi nella storia recente, ha lasciato spazio con il passare delle settimane alla crescente consapevolezza che non si trattasse di un fenomeno passeggero. Ciò si è dispiegato in preoccupazioni riguardanti il futuro in vari ambiti della vita personale, come quello lavorativo, economico e scolastico: il rischio concreto per alcune fasce di popolazione è stato, infatti, quello di rimanere privi di reddito, o di sperimentare una marcata riduzione delle possibilità di socializzazione. Tale situazione ha prodotto, sulla base di fragilità preesistenti, il diffondersi di un generale sentimento di impotenza e di vulnerabilità, con la comparsa di disturbi dell’adattamento riconducibili alla sfera ansiosa e depressiva [2,3]. In questo senso, studi condotti nel biennio 2020-2021 hanno evidenziato le caratteristiche sociodemografiche maggiormente associate a rischi per la salute mentale, quali il sesso femminile, la giovane età, minori capacità di coping e una rete sociale carente; l’insieme di tali condizioni ha dato adito con maggiore frequenza relativa all’innalzamento delle quote ansiose fino a manifestazioni di panico, a disturbi del ritmo sonno-veglia, ma anche a vissuti di tristezza e di disperazione configuranti talora una flessione del tono dell’umore meritevole di attenzione clinica [4,5]. Altri studi hanno invece mostrato che nello stesso periodo si sono diffusi e aggravati quadri come l'uso solitario e problematico di alcol e sostanze di più facile accesso – dato riconducibile al maggiore isolamento sociale, alla riduzione del tempo dedicato al lavoro e al di fuori dell’abitazione, e a un verosimile intento autoterapico per le sopra citate esperienze psichiche negative [6,7]. Tali fenomeni sono stati riscontrati in diverse fasce di età e aree geografiche, suggerendo criticità diffuse nel tessuto sociale del Paese.

Neppure il periodo successivo al lockdown è risultato scevro da ripercussioni sul piano della salute mentale: se nei mesi di serrata totale si è assistito a una sostanziale riduzione degli accessi presso i Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura [8], nel periodo delle riaperture è stato osservato un importante incremento degli accessi ai Servizi di Salute Mentale, spesso con modalità di emergenza/urgenza [9,10]. Questo andamento è spiegabile come un effetto a lungo termine dato dal combinarsi di un progressivo esaurimento delle strategie di coping funzionale attuate nelle prime settimane di lockdown, e dal persistere del distress legato alla “cronicizzazione” della pandemia e delle sue conseguenze per l’individuo e per la società (angoscia mitigata in modo stabile forse solo dal buon esito della campagna vaccinale). Tale eclatante fenomeno impone una riflessione sulla pianificazione sanitaria e sulla saturazione delle relative risorse, mostrando chiaramente come un restringimento dei servizi erogati genera a valle un rebound nella domanda di salute della popolazione.


3. Le conseguenze della pandemia su Servizi di Salute Mentale e utenza

Quanto descritto per una popolazione generale soggetta a una “reazione di adattamento” su vasta scala si è però ripercosso anche sui pazienti, con l’aggravante di aver insistito su soggetti già vulnerabili. Già nelle prime fasi della pandemia è stato suggerito come i portatori di sofferenza psichica rappresentassero una popolazione peculiare quanto a rischio infettivo e accesso alle cure [11]: potevano infatti essere maggiormente esposte a contagio quelle persone con alterate capacità cognitive o minore adesione alle norme sociali imposte, quali la prescrizione dell’uso di dispositivi di protezione individuale e del distanziamento sociale. Si è poi da subito rilevato come in questa popolazione l’infezione rischiasse di essere affrontata più tardivamente per una maggiore difficoltà nell’accesso alle cure, e con maggiore difficoltà per la presenza di frequenti comorbilità mediche a livello cardiocircolatorio, metabolico e respiratorio.

Non può inoltre essere dimenticato il ruolo del “congelamento” della socialità nel deteriorare alcuni quadri psicopatologici dove il supporto familiare e interpersonale e l’impiego in programmi riabilitativi a carattere intensivo o estensivo risultano prioritari. Infatti, sebbene esistano evidenze che in alcune situazioni residenziali il lavoro del personale sanitario abbia consentito una proficua gestione del clima di restrizioni [12], non possiamo ignorare che la maggior parte dei pazienti in carico ai Servizi ha dovuto almeno temporaneamente rinunciare ad attività terapeutico-riabilitative basate su attività di gruppo o ad inserimenti socio-terapeutici e lavorativi, con significative ripercussioni sullo stato psicopatologico [13].

Più in generale, i Servizi di Salute Mentale hanno sistematicamente dovuto rimodulare il proprio sistema di pianificazione ed erogazione delle cure: tra gli altri, la trasformazione delle visite ambulatoriali in televisite, il differimento dell’attività ambulatoriale in elezione ed il notevole rallentamento di numerose attività riabilitative [14-16] hanno messo a dura prova il raggio di azione degli interventi, soprattutto nel periodo in cui si è resa necessaria la massima prudenza nell'uso di spazi collettivi.


4. Le conseguenze della pandemia sugli operatori sanitari

Infine, parlare di Servizi significa anche parlare di chi li eroga. In questo senso, se da un lato è stato necessario ripensare il funzionamento di interi ospedali e distretti territoriali, divergendo spazi e risorse dalle abituali destinazioni per indirizzarli verso il contenimento degli effetti della pandemia (pensiamo a reparti e terapie intensive “COVID”), dall’altro non può essere dimenticato come anche il personale sanitario e gli operatori della salute in generale abbiano visto modificare il proprio contesto lavorativo e dovuto, in molti casi, prestare il loro servizio anche in ambiti estranei alle loro usuali competenze. Il distress associato è stato obiettivato da vari studi [17-21], tutti concordi nel sottolineare come gli operatori siano stati esposti a molteplici fattori di rischio, non solo dal punto di vista del contagio virale, ma anche della compromissione della salute mentale. A quest’ultimo ambito hanno indubbiamente contribuito la pressione di un senso di responsabilità deontologicamente fondato, il timore di divenire vettori del contagio al rientro a casa, ed il senso di frustrazione e impotenza derivanti dalla mancanza di protocolli di cura testati ed efficaci. L’insieme di questi fattori ha in alcuni casi raggiunto una soglia critica per l’emergere di sintomatologia post-traumatica [22,23], mentre forse meno grave ma indubbiamente frequente è stato il registrarsi di sintomi di burnout [24]: in ambo i casi, si è registrato un prevedibile aumento nella domanda di salute mentale da parte dei professionisti ospedalieri e non, fenomeno che appare ancora in divenire.


5. Conclusioni e prospettive

Dopo il fisiologico esaurirsi di una prima reazione di adattamento all’inizio della pandemia, la popolazione generale ed i Servizi di Salute Mentale si confrontano ora con un quadro persistente che è stato definito di “sindemia” [25]. La risposta “fasica” deve quindi lasciare campo a una risposta “tonica” in cui il tessuto sociale ed il benessere psicologico devono essere tutelati nonostante le difficoltà logistiche e assistenziali. Un incremento delle risorse destinate alla salute mentale (ad oggi appena il 3,5% della spesa sanitaria nazionale, ben al sotto la media europea [26]), insieme ad un adeguato ripensamento di progettualità che possano procedere anche a fronte di transitorie restrizioni di spazi e scambi tra persone, appaiono misure imprescindibili per evitare il riproporsi di criticità logistiche che la pandemia ha slatentizzato, sovraccaricando incidentalmente un sistema già resosi profondamente fragile negli ultimi anni.


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