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Fattori terapeutici aspecifici: una riflessione psicodinamica sui percorsi di cura offerti dai Servizi Pubblici di Salute mentale

Autori


Riassunto

Il presente lavoro introduce una riflessione che mira a fare chiarezza sul movimento dinamico all’interno del mondo dei servizi pubblici di salute mentale, rappresentata dalla convergenza del lavoro svolto dai Servizi di Comunità e del Privato Sociale, alla luce delle attuali normative vigenti. Viene prestata particolare attenzione ai fattori terapeutici aspecifici all’interno del contesto di cura, quali l’alleanza terapeutica, il clima di gruppo e la loro interazione. Infine, viene presentata la supervisione, fondata su di un pensiero psicoanalitico, come azione di governance finalizzata al monitoraggio delle variabili aspecifiche descritte.


Summary

This article deals with reflections that aims to clarify the dynamic movement into the world of public mental health services, represented by the convergence of the work done by the Community Services and the Private Social, in light of the current regulations in force. Particular attention is paid to non-specific therapeutic factors within the context of care, such as the therapeutic alliance, the group climate and their interaction.
Finally, from a psychoanalytic view, supervision is presented as a governance action in order to monitor the non-specific variables described.


La promozione della salute mentale rappresenta uno degli obiettivi dei Servizi di Comunità. Col progressivo affermarsi del paradigma della recovery (Bruschetta et al., 2016), sul versante teorico e su quello applicativo, vi è una certa convergenza di pensiero che considera la salute mentale non in termini di remissione dei sintomi e di restitutio ad integrum, ma piuttosto nel garantire la possibilità individuale di esprimere e realizzare il proprio potenziale, con armonia tra pensieri, emozioni e comportamenti, in modo diverso nelle diverse fasi della vita, riuscendo a vivere nell’ambiente di riferimento e lasciando la propria impronta.

Lo scopo da perseguire è quello di sviluppare una rete di servizi e di prestazioni sanitarie e sociali dirette alle persone con problemi di salute mentale ed alle loro famiglie, garantendo attività di prevenzione, cura, riabilitazione e reinserimento della persona della persona nella prospettiva della salute mentale di comunità (Cardamone e Zorzetto 2000).

Con il Decreto legislativo 117/2017 ed in particolare con la co-programmazione e co-progettazione fra Istituzioni Psichiatriche e Terzo Settore, nasce un nuova realtà che conferisce al Terzo Settore valore e riconoscimento: in questo scenario, la cura del paziente è regolata da molte variabili di contesto che assumono un ruolo determinante negli outcome dei trattamenti. Primo fra tutti, l’efficacia della psicoterapia che si fonda sul metodo e sulla pratica della relazione terapeutica.

La psicoterapia, disciplina la cui evoluzione si muove lungo un continuum tra “arte” e “scienza”, è da sempre alla ricerca di una validazione rigorosa in termini di cura della sofferenza psichica. Come sostenuto da Migone (1999) siamo da tempo in una terza fase del movimento di ricerca in psicoterapia, durante la quale l’attenzione è orientata verso il processo piuttosto che verso il risultato.

Anche se questo campo di interesse potrebbe aprire un “vaso di pandora” dal quale sarebbe difficile tracciare delle linee ben definite, alcuni studi (Roberts et al., 1993; Norcross et al.,2006) hanno osservato e definito quali sono i fattori che sembrano essere determinanti per l’esito e la loro incidenza, indipendentemente dallo specifico approccio: ovvero i fattori extra-terapeutici rappresentati dall’ecosistema di supporto sociale dove avviene la cura. Abbracciare una prospettiva ecosistemica, ci consente di comprendere, tra le variabili di contesto, quei fattori aspecifici che condizionano l’esito dei trattamenti in istituzioni che si occupano di salute mentale, quali l’alleanza terapeutica ed il clima di gruppo.

L’alleanza terapeutica, in psicoterapia, è definita da McWilliams (1999) come “quel livello di collaborazione che permane nonostante le emozioni forti e spesso negative che possono manifestarsi nel corso del trattamento”. Rappresenta quindi la dimensione interattiva in cui paziente e terapeuta esercitano la loro capacità di stare in relazione e collaborare: è perciò fondamentale un reciproco accordo riguardo agli obiettivi del cambiamento, ai compiti necessari per raggiungerli, insieme ai legami che mantengono la collaborazione dei partecipanti. Nel dibattito scientifico sui fattori comuni ai diversi modelli psicoterapeutici, l’alleanza terapeutica è definita come un processo continuo e dinamico di negoziazione intersoggettiva caratterizzato da inevitabili momenti di rottura e da momenti di risoluzione e riparazione; soprattutto per i pazienti gravi, l’alleanza rappresenta più un obiettivo che una precondizione del trattamento (Safran, Muran 2000).

In che termini l’alleanza terapeutica è influenzata da fattori istituzionali?

Innanzitutto, la presa in carico di un paziente nell’istituzione è di tipo comunitario, va oltre il rapporto duale: infatti l'intervento è globale e gestito da tutto lo staff del Servizio. Appare dunque chiaro che la “cornice di cura”, ovvero il contesto in cui il trattamento si svolge, ha un’importanza fondamentale: la modalità relazionale, così come il tempo e lo spazio condivisi con l’utente, assumono un significato determinante ed entrano a far parte, a pieno titolo, della funzione curante.

Se da una parte, tutta una serie di caratteristiche del servizio territoriale pubblico potrebbero essere considerate come un limite al canonico svolgimento del processo terapeutico, è invece vero che possono essere presentate al paziente come “introduzione” nel setting di elementi di realtà a dimostrazione della disponibilità autentica del terapeuta a cogliere ed usare elementi di realtà per la costruzione di un setting integrato, coerente, autentico.

L’alleanza terapeutica nel servizio pubblico, alla luce del D.L. 117/2017, può rappresentare quindi la base per la costruzione e lo sviluppo del processo di cura, considerando come soggetti non solo i pazienti con le loro storie di malattia e le loro risorse, ma gli stessi servizi invianti, i familiari, l’equipe dei curanti del Servizio e gli operatori del Terzo Settore. Si tratta di un sistema di soggetti plurimi, attori di una costruzione processuale articolata che acquisisce autentica valenza terapeutica quanto più essi possono porsi come agenti significativi, con se stessi e nella complessità della relazione con gli utenti. L’integrazione in termini di conoscenza reciproca, condivisione di intenti e di metodologie di intervento, è sicuramente un obiettivo difficile e nello stesso tempo indispensabile, ma che non è raggiungibile senza un continuo confronto e sforzo comunicativo, relazionale e professionale da parte di tutti gli operatori coinvolti. La nostra attenzione non pone l’accento solo sui contenuti della comunicazione, quanto piuttosto sugli aspetti pragmatici della comunicazione, per cui parlare non è solo un “dire”, ma anche e soprattutto un “fare”. Qui entra in gioco una seconda variabile aspecifica, il clima di gruppo.

Con questo termine ci si riferisce ad un’area di scambio altamente indifferenziata, comune tanto ai pazienti quanto agli operatori. L'attenzione costante riservata al "clima" permette di cogliere aspetti utili a mantenere una validità di fondo, indispensabili nel determinare gli esiti del trattamento; ci riferiamo all’interesse degli operatori al caso nella sua globalità, delle sue interazioni, come ambito specifico di relazioni umane, come insieme di attività parallele ai comuni eventi quotidiani, rappresentando lo scenario di nuove occasioni terapeutiche o, al contrario, di nuove delusioni.

L’Equipe, attraverso una presa in carico attenta ai bisogni emotivo-affettivi della persona, può consentire progressivamente al paziente di immergersi in questa nuova realtà, dove il Sistema Curante e l’utente possano conoscersi e riconoscersi, creare un clima armonico e contenitivo attraverso attività mirate che permettono di costruire una solida cornice di riferimento. Il clima di gruppo, ovvero l’atmosfera di un contesto di cura, gioca un ruolo determinante. L'equipe è ovviamente costituita da operatori di formazione diversa in cui le varie competenze rappresentano sicuramente un arricchimento e non un ostacolo, quando il gruppo di lavoro è abbastanza motivato, integrato e con una propria coerenza interna. Sono molto di più della somma di ruoli e di funzioni: l’equipe è un “contenitore” di affetti e rappresentazioni comuni, dotato di una sua storia, di una sua memoria, di capacità nell’elaborare l’angoscia e di una sua progettualità condivisa.

Lo staff deve consolidare nel tempo la consapevolezza che è opportuno non solo osservare il paziente e la sua rete familiare ma anche auto-osservarsi, tenendo presente che nonostante possano essere presenti valori condivisi, questi possono essere temporanei e non risolutivi una volta per tutte delle diversità esistenti nel gruppo stesso: quindi, lo strumento primario rimane comunque la comunicazione sia strutturata che informale. L’equipe multidisciplinare si pone sia come “contenitore” della sofferenza del paziente e dei suoi familiari, sia delle ansie e delle difficoltà degli operatori, che quando il clima è favorevole impedisce a queste ultime di lasciarsi paralizzare da istanze distruttive interne ed esterne. La terapeuticità dell'agire quotidiano può ritrovarsi anche negli interventi meno strutturati, quali la risposta ai bisogni concreti del paziente, i colloqui informali o la semplice conversazione, ma tale area ha un ruolo essenziale anche per gli operatori. Un'atmosfera tra Servizi e Terzo Settore “sufficientemente buona”, per dirla alla Winnicott, non può essere riconducibile solo all'insieme di norme, regole e modelli, ma va considerata come la capacità di vedere e di sentire ciò che appartiene alla cultura dell’istituzione e dell’ambiente di riferimento, contribuendo a definirne l'identità. Infatti, una buona atmosfera è garantita dalla capacità di sviluppare e sfruttare ai fini terapeutici quegli aspetti sociali, relazionali e di ambiente che, se abbandonati a se stessi, possono generare dinamiche dannose e irrazionali.

Ben oltre la diade terapeutica e il mondo interno, dunque, lo spazio terapeutico va ridisegnato ex-novo, includendo le ricche articolazioni dei Servizi e del Terzo settore. È in questo reticolo extra-familiare - preme sottolineare - che c’è vita mentale, quindi il pericolo di introflessioni e di manipolazioni strumentali dei singoli o dei gruppi e sottogruppi è sempre in agguato: pensiamo agli interessi economici, alla sottovalutazione della salute mentale in ambito sanitario, alle rare ma temibili distorsioni della funzione delle advocacy di utenti o alle associazioni familiari, alla tendenza alle deleghe dei compiti, o le rigide ed arbitrarie prese di posizione.

Il monitoraggio dell’atmosfera di gruppo, fondamentale dunque per prevenire possibili “incidenti di percorso”, può avvenire attraverso azioni di governance finalizzate a mantenere la qualità dei servizi offerti, quali soprattutto la supervisione (Barnà 2013), a patto che si orienti come funzione unificante tra la complessità della dimensione psichica individuale e gli ancora più complessi contesti sociali ora descritti.

La supervisione fondata su di un pensiero psicoanalitico concettualizza lo spazio esterno pratico riferito ai luoghi e agli spazi del Mondo Esterno come scenario del processo psico-sociale, offrendo garanzie sia in relazione al necessario rigore epistemico sia in relazione all’efficacia clinica dei trattamenti. In quest’ottica, non si può pretendere cambiamento dal paziente e dalla famiglia se prima l’operatore non dimostra capacità di variazione e di trasformazione nelle dinamiche individuali o di gruppo in relazione alla direzione impressa dalla supervisione. Necessaria è quindi l’attenzione costante alla revisione delle procedure, per prevenire fenomeni di ripetizione e ancoraggio a bias individuali e di gruppo, attraverso percorsi di supervisione che non rappresentano affatto un lusso o un optional. Viceversa la supervisione, affidata ad un operatore laico, potrà orientarsi verso una psicoanalisi che unisce il pensiero soggettivo con la teoria dello spazio sociale (Iossa Fasano 1997, 2013). Solo se questo nodo decisivo viene teorizzato e accolto si potrà integrare la supervisione nelle pratiche di Salute mentale del territorio. In fondo anche lo psicoanalista che viene da un “altrove” è un “viandante circoscritto”, appena un po’ più consapevole degli altri viandanti (Vigherani e Merini, 1999).

E allora la funzione della clinica in senso esteso come accreditamento della teoria di cui il paziente e i familiari collaborativi sono portatori, oltre che di pragmatiche esemplari vanno rimarcate e ripensate in supervisione. Qui servono a consolidare le buone pratiche nel territorio, attivando nel paziente stabili funzioni di adattamento e relazione interpersonale (Matussek, 1991), ed alimentando la salute nelle Équipe e nelle varie figure professionali (ricordiamo quanto i medici siano le figure più refrattarie e tetragone - anche in relazione alla propria di salute mentale – rispetto a quei momenti belli, alti e significativi che spesso sono le sedute di “Supervisione psicoanalitica esterna” nel lavoro dei Servizi, in relazione alla propria e altrui salute mentale).

Questa proposta si prefigge un ulteriore passaggio epistemologico e clinico che nel superamento dell’ideologia medico-psichiatrica fa, letteralmente, dialogare la costellazione della salute mentale con un sapere della soggettività che vede l’individuo sofferente come portatore di una domanda e di un metodo di cambiamento alla pari con i curanti. Cucire una teoria sociale della psiche umana con una prassi fortemente orientata a interrompere i cliché patogeni e a ridisegnare forme nuove della cura, giusto a partire da interazioni territoriali favorite dai Servizi pubblici di Salute mentale e coinvolgenti le numerose realtà operanti, vuol dire metterne a frutto le preziose potenzialità.

Tale idea è il portato di un movimento di pensiero che nell’ultimo mezzo secolo ha rivendicato la forte valenza politica e sociale delle istanze private e individuali anche e soprattutto laddove provengano dal conflitto, dal disagio o dall’inquietudine.

Lungi dal pentirsi o rinunciare a tali ambizioni e prospettive, si tratta di rilanciarne la scommessa con una forza che oggi può avvalersi dei molteplici canali interattivi offerti dalla tecnologia, passando “dall’emozione della guerra mediale” a impreviste forme di rinnovamento cognitivo-affettivo. Queste riflessioni potrebbero aprire future ricerche dal carattere quali-quantitativo, finalizzate all’individuazione dei fattori descritti correlati con gli esiti del trattamento, il coinvolgimento delle famiglie, oppure con le peculiarità dei diversi livelli di realtà rappresentati o presi in considerazione nei vari setting tipici delle varie tipologie di intervento che un servizio esprime.


Bibliografia

Barnà C. A., La supervisione di gruppo, La supervisione di gruppo. Nuova Rassegna di Studi Psichiatrici, 2013, Vol. 7-15;

Bruschetta S., Frasca A., Barone R., Verso Servizi Comunitari di Salute Mentale Recovery-Oriented. Nuova Rassegna di Studi Psichiatrici, 2016, Vol. 13-6;

Cardamone G. Zorzetto S., Salute mentale di comunità, 2000, Milano, Editore Franco Angeli;

Iossa Fasano A., “Cosa ci fa l’educatore professionale nei Servizi Territoriali? Salute mentale, begonie e restauro di mobilia”, in Educazione News, Milano, febbraio 1997;

Matussek P., La realtà della psicoterapia delle psicosi, Psicoterapia e Scienze umane, XXV-2, 1991, Milano, F. Angeli, pp. 3-12;

Iossa Fasano A., Fuori di Sé - Da Freud all’analisi del cyborg. Edizioni ETS, 2013, Pisa;

McWilliams N., La diagnosi psicoanalitica, 1999, Roma, Casa Editrice Astrolabio;

Migone P. Valutazione dei risultati terapeutici in psicoterapia. In: Pancheri P., Cassano G.B. et al., a cura di, Trattato Italiano di Psichiatria, 1999, Seconda Edizione. Milano: Masson, vol. III, cap. 93, pp. 3148-3164;

Norcross, J. C., Beutler, L. E., & Levant, R. F.; Evidence-based practices in mental health: Debate and dialogue on the fundamental questions. American Psychological Association, 2006;

Roberts, A. H., Kewman, D. G., Mercier, L., & Hovell, M.; The power of nonspecific effects in healing: implications for psychosocial and biological treatments. Clinical Psychology Review. 1993, 13(5), 375-391;

Safran J.D., Muran J.C., Resolving therapeutic alliance ruptures: Diversity and integration, Journal of Clinical Psychology LVI, 2, 2000, pp. 233-43;

Vigherani A., Merini A., Il viandante circoscritto. Osservazioni su schizofrenia e conoscenza dell’ambiente, Psicoterapia e Scienze umane, XXXIII, 2, 1999, Milano, F. Angeli, pp. 75-82.