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Etnopsicofarmacologia: breve rassegna della Letteratura sulle differenze etniche nella risposta alle terapie psicofarmacologiche

Autori


Riassunto

L’articolo si propone di far luce sulla rilevanza e l’attualità dell’etnopsicofarmacologia quale branca della Psichiatria, sia in ambito clinico che di ricerca, attraverso una breve rassegna della Letteratura con particolare attenzione ai fattori biologici che possono rendere ragione delle differenze etniche osservate nella risposta alla terapia psicofarmacologica.


Abstract

This article aims to shed light on the relevance of ethnopsycopharmacology as a topical field in Psychiatry. We carried out a brief review of Literature with a focus on the biological factors that could explain the ethnic differences observed in response to psychopharmacotherapy.


Introduzione

L’etnopsicofarmacologia è una branca della psicofarmacologia che studia come le differenze genetiche e culturali presenti tra i diversi gruppi etnici determinino e influenzino la risposta a molecole psicoattive (1). Tale campo di indagine fonda le sue radici nella genetica delle popolazioni, che studia i polimorfismi genetici presenti nei vari gruppi etnici, ma si basa anche sulla nozione che numerosi fattori esogeni, molti dei quali appartenenti al concetto di “cultura”, siano in grado di agire su aspetti biologicamente determinati e implicati nella risposta farmacologica.

A partire dagli anni ‘70, quando comparvero i primi lavori sull’argomento, un numero sempre crescente di studi ha evidenziato la presenza di variazioni significative nella risposta ad agenti psicotropici in paesi e gruppi etnici diversi. Ad esempio, un lavoro apparso alla fine degli anni ’80 su un campione di volontari sani di origine asiatica e caucasica mostrò come gli asiatici presentano una risposta clinica a dosi più basse di neurolettico e il doppio dei livelli plasmatici rispetto ai caucasici, risultando anche più sensibili agli effetti sulla prolattina (2). Come concluso dagli stessi autori, è ormai opinione diffusa che tali differenze possano essere spiegate sulla base sia di meccanismi farmacodinamici che farmacocinetici, a loro volta influenzati da diversi profili genici, la cui espressione viene fortemente influenzata da fattori ambientali. Sarebbe dunque l’insieme di fattori biologici ma anche culturali e della loro interazione a portare alle differenti risposte osservate.

Lo scopo di questo lavoro è fare una breve rassegna dei principali risultati degli studi scientifici condotti finora in campo etnopsicofarmacologico relativamente ai fattori biologici implicati nella risposta agli psicofarmaci.


Fattori Farmacocinetici

Tra i fattori che influenzano il metabolismo degli psicofarmaci, sicuramente il sistema del citrocromo P450 (CYP450) è il più studiato. Tali enzimi, tra loro diversi non solo per le caratteristiche biochimiche ma anche per i farmaci del cui metabolismo sono responsabili, hanno ciascuno diverse forme (o polimorfismi) dette isoenzimi, diversamente rappresentati nei gruppi etnici (3,4). In presenza di un individuo con due alleli che codificano per forme a bassa attività di metabolizzazione si parla di poor metabolizer (PM, metabolizzatore lento), viceversa un individuo portatore di due alleli di una mutazione iperattiva è detto ultra-rapid metabolizer (U-RM, metabolizzatore ultra-rapido).

Tra tutti gli enzimi del CYP450, il 2D6 è probabilmente quello di maggiore interesse psichiatrico. È infatti responsabile del metabolismo della maggior parte degli SSRIs e di molti antipsicotici (es. risperidone e aripiprazolo). Il CYP2D6 presenta un esteso polimorfismo, con più di 20 forme mutanti codificati da alleli diversamente distribuiti nelle varie popolazioni. In particolare, la prevalenza del fenotipo PM è dell’1% negli asiatici, tra il 5 e il 10% nei caucasici e fino al 19% negli africani (5). Il fenotipo U-RM si riscontra nel 19-29% degli Arabi ed Etiopi (6).

Anche i polimorfismi del citocromo 2C19, responsabile del metabolismio di farmaci come diazepam e citalopram, hanno una prevalenza molto variabile nelle popolazioni, con le forme a bassa metabolizzazione riscontrate nel 15-30% degli Asiatici (mentre nei Caucasici sono il 5%)(7,8).

Il citocromo 1A2 è responsabile del metabolismo di molti psicofarmaci, tra cui clozapina, olanzapina, clomipramina, fluvoxamina e trazodone. Anche in questo caso, la frequenza degli alleli a bassa attività sembra essere maggiore tra gli Asiatici e gli Africani (9,5).

Oltre alle citate differenze su base genetica, è importante ricordare come l’attività degli enzimi del P450 sia modificabile da parte di fattori ambientali, che potrebbero spiegare in parte le differenze etniche nella risposta agli psicofarmaci. Ad esempio, gli idrocarburi aromatici policiclici presenti nel fumo di sigaretta sono potenti induttori enzimatici e tale azione nei confronti del CYP1A2 determina la riduzione delle concentrazioni plasmatiche di diversi antidepressivi (imipramina, clomipramina, fluvoxamina, trazodone), antipsicotici (clorpromazina, clozapina, aloperidolo, olanzapina) e benzodiazepine (10). E’ altresì noto come diversi isoenzimi del P450 siano influenzati dal tipo di alimentazione e da alcuni cibi (ad es. le verdure crucifere inducono il CYP1A2) (11). Alcuni Autori (12) hanno dimostrato l’assoluta rilevanza di tali aspetti nella pratica clinica, evidenziando come alcuni substrati del CYP1A2 (clomipramina) sarebbero metabolizzati più lentamente da soggetti provenienti dal Sudan e dal Sud-Est asiatico prima di immigrare in Inghilterra e come ciò cambi dopo aver adottato uno stile alimentare “occidentale”.


Fattori Farmacodinamici

Ad oggi sono stati condotti numerosi studi volti ad identificare il ruolo dei polimorfismi genetici sui meccanismi farmacodinamici implicati nella risposta agli psicofarmaci (13).

Molti lavori si sono concentrati sui geni codificanti trasportatori e recettori di vari neurotrasmettitori. Ad esempio, sono emerse differenze riguardanti il gene che codifica per il trasportatore della serotonina (5-HTT): alcuni polimorfismi (allele l) nella regione del promotore del gene del 5-HTT (5-HTTLPR), studiati nelle popolazioni caucasiche, sembrano associati a una risposta migliore e più rapida agli SSRI (14,15), mentre studi condotti nelle popolazioni asiatiche mostrerebbero come un altro allele (s) del 5-HTTLPR sia associato a una risposta migliore agli SSRI (16,17).

Un lavoro di meta-analisi (18) condotto su tre grandi studi di farmacogenetica ha analizzato più di un milione di polimorfismi per individuare possibili associazioni con il miglioramento e la remissione sintomatologica in risposta alla terapia antidepressiva, senza tuttavia riuscire ad individuare predittori di esito di trattamento affidabili.

Un imponente trial randomizzato (19) condotto su più di 2000 pazienti cinesi ha tentato di indagare l’esistenza di polimorfismi genici associati alla risposta ad antipsicotici: sebbene siano stati individuati 5 loci con tali caratteristiche, gli stessi autori hanno commentato i risultati affermando che al momento non appaiono di utilità clinica.


Conclusioni

Il crescente numero di studi finora condotti in campo etnopsichiatrico suggerisce come l’argomento sia di grande attualità e rilevanza per la pratica clinica. In uno scenario dove i vari settori della medicina si sviluppano verso terapie sempre più “personalizzate”, dove la farmacogenomica acquista sempre più importanza grazie alle nuove tecnologie e dove si rende necessario un uso sempre più efficiente delle risorse, è verosimile che l’etnopsicofarmacologia sia destinata ad acquisire una rilevanza sempre maggiore. D’altra parte essa viene a profilarsi come un campo di necessario approfondimento alla luce del crescente fenomeno della globalizzazione e dell’accesso ai servizi di una popolazione sempre più multietnica, aspetti che richiedono inevitabilmente una maggiore complessità nell’approccio alle cure. Tuttavia, i dati ad oggi disponibili, pur suggerendo l’esistenza di differenze tra gruppi etnici nella risposta agli psicofarmaci, sono ancora parziali e discordanti, rendendoli di fatto poco applicabili alla pratica clinica. Detto ciò, casi di mancata risposta ai trattamenti o di effetti collaterali non altrimenti spiegabili dovrebbero portare il clinico a considerare una potenziale presenza di fattori legati alla variabilità etnica. E’ necessario ricordare inoltre che tali differenze di riposta possono essere determinate, oltre che dai fattori analizzati in questa rassegna, anche da un ampio gruppo di elementi difficilmente indagabili e spesso culturalmente determinati (11), quali la compliance del paziente, le sue aspettative (compreso l’effetto placebo) e la teoria della cura, tutti in grado di influenzare fortemente il successo di una farmacoterapia.


Riferimenti bibliografici

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