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Storia dell’Assistenza Psichiatrica in Arezzo. Superamento e chiusura dell’Ospedale Neuropsichiatrico mediante attivazione dei Servizi di Salute Mentale

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Riassunto

La Provincia di Arezzo decise di costruire un suo Ospedale Psichiatrico dopo che la legge 2248/1865 aveva fissato l’obbligo provinciale all’assistenza dei propri malati di mente poveri. Dopo un inizio nel 1901 in cui il direttore fu travolto da uno scandalo, fu dato nel 1904 l’incarico al prof. Pieraccini e all’ ing. Paoli. Essi ristrutturarono la concezione e il funzionamento dell’Ospedale secondo un modello “a villaggio” che replicasse in piccolo il paese di origine dei malati. Avevano un ruolo essenziale l’ambiente, la sua organizzazione finalizzata, l’impegno occupazionale dei ricoverati, la nocività delle loro inattività, la temuta demenza da asilo. Durante la prima guerra mondiale, un reparto di infermeria - stralciato dalla legge manicomiale- fu adibito all’assistenza di soldati con disturbi neuropsichici. Nel 1926 questa innovazione determinò il titolo di Ospedale Neuro-Psichiatrico e comportò l’accesso libero all’area neurologica. Nel 1950 fu nominato direttore il prof. Benvenuti, il cui interesse maggiore fu la ricostruzione (1957) e sviluppo del padiglione neurologico. Negli anni cinquanta la psichiatria in Europa iniziò a cambiare. In Gran Bretagna gli OP furono inseriti nel Servizio Sanitario Nazionale e sviluppato il reinserimento socio-lavorativo: create le prime Comunità Terapeutiche. Nel 1958 fu attivato a Parigi il primo settore di psichiatria di comunità. In quegli anni iniziò la rivoluzione psicofarmacologica che avrebbe cambiato l’assistenza psichiatrica. Negli anni sessanta in USA l’OP fu messo in discussione, furono istituiti i primi centri di salute mentale (Kennedy,1963). La crisi dell’OP fu percepita anche in Italia tramite iniziative dell’AMOPI e soprattutto tramite l’opera tecnico-politica (anti-istituzionale) di Basaglia a partire dall’Ospedale di Gorizia. Nel ’68 è avvenuto un importante cambiamento culturale promosso dai giovani e dagli operai. Con il governo di centro-sinistra fu istituita la riforma del servizio sanitario e dell’assistenza psichiatrica che determinò cambiamenti giuridici e assistenziali. In Arezzo la Provincia rinunciò al finanziamento per un nuovo OP e avviò un processo di radicale cambiamento. Chiamò a dirigere il cambiamento il prof. Pirella. Cambiò radicalmente il tipo di assistenza ospedaliera orientandola in modo comunitario e di aiuto all’autonomia e libertà dei ricoverati. Sorsero anche alcuni conflitti tra gli operatori, in città e in Provincia. Si costituirono nel 1974 un gruppo ospedaliero e due gruppi di salute mentale che si integrarono nei rispettivi consorzi socio-sanitari e successivamente nelle rispettive Usl. Nel 1978 le leggi 180 e 833 confermarono gli obiettivi aretini, ma furono carenti sul piano strutturale e finanziario. L’ obiettivo ad Arezzo è stato di costruire un Servizio Territoriale con strutture e servizi realmente alternativi all’OP; alternativi sia ai lungodegenti in OP, sia con possibilità di prevenzione-cura-riabilitazione della popolazione in stato di bisogno, nel loro ambiente di vita; in caso di necessità anche con ricovero in Ospedale Generale. Servizio differente per una concezione multidimensionale ed ecosistemica dei disturbi psichici, per l’approccio tecnico ad essi nell’ambito di una salute mentale di comunità. Il Primo Progetto Obiettivo Salute Mentale del 1994 – dopo ben lunghi 16 anni - ha finalmente dato un indirizzo strutturale ai Servizi territoriali, soltanto genericamente auspicati dalla 180. Il Progetto Obiettivo si è ispirato, in gran parte, al Servizio di Arezzo.


Summary

The Province of Arezzo decided to build its own Psychiatric Hospital after the law 2248/1865 set the provincial obligation to assist its poor mental patients. After a start in 1901 in which the director was swept away by a scandal, in 1904the management appointment was given to prof. Pieraccini and ing. Paoli. They restructured the conception and functioning of the Hospital according to a "village" model that replicated the sick country of origin in small. The environment, its finalized organization, the occupational commitment of the patients, the harmfulness of their inactivity, the feared asylum dementia had an essential role. During the First World War, an infirmary ward - extracted from the mental hospital law - was used to assist soldiers with neuropsychic disorders. In 1926 this innovation determined the title of Neuro-Psychiatric Hospital and entailed free access to the neurological area. In 1950 prof. Benvenuti became director. His greatest interestwas the reconstruction (1957) and development of the neurological pavilion. In the 1950s, psychiatry in Europe began to change. In Great Britain, the PHs were included in the National Health Service and social-labor reintegration was developed: the first Therapeutic Communities were created. In 1958 the first sector of community psychiatry was activated in Paris. In those years the psychopharmacological revolution began which would change psychiatric assistance. In the sixties in the USA the PH was questioned, the first mental health centers were established (Kennedy, 1963). The crisis of the PH was also perceived in Italy through initiatives of the AMOPI and above all through the technical-political (anti-institutional) work of Basaglia starting from the Gorizia Hospital. In 1968 there was an important cultural change promoted by young people and workers. With the center-left government the reform of the health service and psychiatric assistance was established which led to legal and welfare changes. In Arezzo the Province gave up funding for a new PH and started a process of radical change. In 1972, the prof. Pirella was called to the direction of psychiatry.The type of hospital care radically changed, orienting it in a community way and helping the autonomy and freedom of the patients. Then later some conflicts arose between the operators, in the city and in the Province. In 1974 a hospital group and two mental health groups were established and integrated into the respective social-health consortia and subsequently into their respective local health authorities. In 1978 the 180 and 833 laws confirmed the objectives of Arezzo, but were deficient on the structural and financial level. The objective in Arezzo was to build a Community Service with structures and services that are truly alternative to the PH; alternatives to long-stay patients in PH, and with the possibility of prevention-care-rehabilitation of the population in need, in their living environment; in case of need also with admission to the General Hospital. Different service for a multidimensional and eco-systemic conception of mental disorders, for the technical approach to them in the context of a community mental health. The First Mental Health Objective Project of 1994 - after a very long 16 years - has finally given a structural orientation to the territorial services, only generically desired by the 180. The Objective Project was inspired, in large part, by the Arezzo Service.


Il Manicomio è l’istituzione creata nell’ottocento per il ricovero e cura dei malati di mente precedentemente ristretti in carcere o strutture simili. Agli inizi di quel secolo, a Parigi alla Bic^etre, in Inghilterra al Ritiro di York, ma anche nel Granducato di Toscana, a Firenze, con il Bonifazio, i malati di mente” furono liberati dalle catene” e curati con la “terapia morale” all’interno di questi nuovi Istituti. In Francia con una legge del 1815 si diffusero i Manicomi su tutto il territorio; analogamente in Germania, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti d’America. In Italia la loro diffusione fu ritardata a causa dell’eterogeneità degli Stati, ma con il Regno d’Italia fu stabilito che ogni Provincia dovesse provvedere all’assistenza e cura dei propri malati di mente. Ad Arezzo l’assistenza veniva fornita dall’Ospedale di Santa Maria sopra i Ponti (SMP) in alcune stanze dedicate. Dopo due settimane, i ricoverati venivano rinviati a casa oppure trasferiti in Manicomio, di solito quello di Siena (1). Nel 1890 la Provincia di Arezzo si pose la questione se non fosse migliore di assistere direttamente i propri malati invece di pagarne le rette in ospedali lontani. L’Ente ospedaliero senese chiese garanzie che non gli furono date, per cui chiuse ai ricoveri aretini. Il Comune di Arezzo e la Provincia chiesero al Rettore dell’Ospedale SMP di gestire l’emergenza. Fu ristrutturato ed aperto nel 1893 il Convento di Santo Spirito in via Garibaldi – con assistenza medica dell’Ospedale – come alternativa al ricovero a Siena. Inoltre fu istituita dalla Provincia una commissione per valutare la fattibilità di un proprio Ospedale. Vi presero parte i direttori dei manicomi di Imola e di Siena, oltre all’architetto Francesco Azzurri, uno dei massimi esperti italiani. La decisione fu a favore di un Manicomio per 200 persone con costo preventivato in 300.000 lire; il progetto esecutivo fu affidato all’ing. Oreste Bernardini. I primi locali del Manicomio furono inaugurati nel 1901 e vi furono trasferite persone fino ad allora ricoverate presso l'Asilo per dementi e presso l'OP San Niccolò di Siena. Il primo direttore fu il medico aretino Guido Gianni, sotto la supervisione del dr. Gaspero Bonci, Rettore dell’Ospedale. Il dr. Gianni fu poi rimosso a causa di uno scandalo nella gestione dell’Istituto e dell’Asilo per Dementi. Fu così chiamato a dirigere l’Ospedale Psichiatrico (OP), nel 1904, il prof. Arnaldo Pieraccini che, coadiuvato dall’ingegnere capo della Provincia, ing. Giuseppe Paoli, ridefinì l’impianto edilizio e concettuale del Manicomio. Per prima cosa fece demolire la cinta muraria che contornava l’area manicomiale. Niente recinto e quindi niente porta d’ingresso: caratteristiche della maggior parte dei manicomi. Pieraccini si era formato alla scuola del prof. Morselli – uno dei maggiori psichiatri dell’epoca – all’OP di Macerata. Era fautore di un ospedale “a villaggio”, cioè di una microcomunità che replicasse in piccolo il paese d’origine dei malati, con padiglioni sparsi e distinti secondo le varie problematiche cliniche, con attività di gruppo e di lavoro di quell’epoca, con distinzione degli spazi tra degenza clinica, riposo e lavoro, senza restrizioni meccaniche ma con regime di “no restraint” e di “open door” (2). Per Pieraccini, il malato di mente aveva bisogno di cura morale e l’ambiente di vita esercitava una grande influenza su di lui. Pertanto, avevano un ruolo essenziale: l’ambiente, la sua organizzazione finalizzata, l’impegno occupazionale dei ricoverati, la nocività della loro inattività. Così come era centrale e innovativo il ruolo del personale infermieristico, a differenza del passato in cui il ruolo era demandato al personale religioso. Pieraccini istituì una delle prime scuole di infermieri psichiatrici per ospedale e domicilio, e di infermieri mastri d’arte per le attività occupazionali, avviando una tradizione di specifici libri per la scuola (3).

Il Pieraccini scriveva, all’inizio della sua attività, che la contenzione fisica dei malati era ridotta, ma che il suo obiettivo era di arrivare allo zero. Il lavoro dava un riconoscimento - anche se poco più che simbolico – direttamente e proporzionalmente a chi vi si era dedicato e alla Cassa Degenti per attività ricreative di gruppo. Il 31.12.1913 i ricoverati erano 618, per una popolazione provinciale di 283.663. Il suo regolamento ospedaliero ebbe la medaglia d’argento all’esposizione di Medicina Sociale a Roma nel 1911-12 e fu adottato su scala nazionale per l’attuazione della legge sui manicomi del 1904.Per quanto notoriamente socialista e non religioso, rispettava la fede degli altri ed i riti della religione. Sulla campana della chiesa aveva fatto scrivere: - ricorda quella del tuo paese. Sul retro della direzione, in alto sulla parete era scritto: per capire i malati di mente devi amarli. Per quanto ancorato ad una visione sociale delle problematiche cliniche, affermando che la prevenzione non si trova in farmacia, ma tra i bilanci del buon governo, riteneva che la follia fosse una malattia del cervello e quindi facesse parte dei disturbi nervosi e mentali. In quest’ottica aperta ad una visione olistica dell’uomo nel suo ambiente di vita, si impegnò nell’attività politica come socialista, insieme al fratello Gaetano; come medico, promosse campagne di prevenzione contro la pellagra e l’alcolismo, malattie molto diffuse nei ceti popolari e causa di ricoveri in OP. Determinò durante la prima guerra mondiale l’apertura dell’OP ai soldati con disturbi neuropsichici, trasformando l’Infermeria Uomini in un reparto qualificato e libero dai legami della legge sui manicomi. Ne usufruirono circa trecento soldati. Da questa esperienza scaturì successivamente nel 1926 la trasformazione del manicomio in Ospedale NeuroPsichiatrico, uno dei primi in Italia, attivando un nuovo e specifico Padiglione Neurologico. La funzione era duplice: aprire questa nuova specialistica nella provincia, incrementare la collaborazione con medici di famiglia e specialisti ospedalieri, aprire l’accesso all’area manicomiale con l’afflusso libero di un’altra tipologia di malati e di familiari (4). Nel primo anno i ricoveri al Neurologico furono 73, 532 nel 1930, 2627 nel primo decennio. Dal 1928 fu aperto un Dispensario d’Igiene Mentale. A domicilio era assicurata l’assistenza economica ai fatui e, per alcuni malati dimessi, la custodia domestica di tipo: omofamiliare, etero familiare oppure mista “secondo Pieraccini”, così come diffusasi in Italia ancora ai nostri giorni.

Nel 1950, con il pensionamento del prof. Pieraccini, il prof. Marino Benvenuti assunse la carica di direttore dell’OP. Dopo un’esperienza prestigiosa nella Clinica delle Malattie Nervose e Mentali dell’Università di Pisa, aveva diretto per dieci anni l’OP dell’Aquila; dove ottenne, nel 1939, l’istituzione di un reparto neurologico, il secondo in Italia dopo Arezzo. Aveva la stessa concezione unitaria del Pieraccini per cui i disturbi neuropsichici sarebbero stati tutti disturbi del sistema nervoso centrale. Nella pratica, il suo interesse maggiore fu rivolto alla ricostruzione e sviluppo del Padiglione Neurologico, inaugurato nel 1957, che divenne un centro all’avanguardia. Fu dotato di un organico di prim’ordine con il prof. Franco Angeleri – futuro cattedratico a Perugia e ad Ancona - il prof. Silvano Parigi ed il prof. Francis Fabiani. Il Neurologico disponeva di una struttura tecnico-laboratoristica di eccellenza con laboratorio di elettroencefalografia, di radiologia encefalica con pneumoencefalografia e carotidografia. Vi era una sala operatoria con presenza sistematica del neurochirurgo prof Riccardo Brizzi dell’Università di Parma e del prof. Francesco Ferro Milone, neurochirurgo ed elettroencefalografista dell’Università di Pisa. In quel periodo furono assegnati diversi riconoscimenti scientifici nazionali ai sanitari del reparto, tra cui il premio nazionale della Società Italiana di Neurologia, mai uscito prima dall’ambito universitario. Benvenuti fondò la «Rivista di Neurobiologia», pubblicata dall’ONP, divenuta poi organo ufficiale della Società dei Neurologi Ospedalieri Italiani.

Il Padiglione Neurologico, come il precedente fondato dal Pieraccini, aveva lo stesso regolamento ordinario di un qualsiasi reparto di Ospedale Civile. Divenne perciò un punto di attrazione non soltanto di malati neurologici, ma anche di pazienti psichici non gravi. Le sezioni mentali continuarono nella tradizione della scuola Pieraccini, soprattutto con il suo allievo dr. Furio Martini, vice-direttore e primario delle sezioni maschili. Martini colse anche gli sviluppi che stavano contraddistinguendo la psichiatria francese ed anglosassone.

In Gran Bretagna gli OP erano stati inseriti nel nuovo National Health Service. L’assistenza ai soldati con disturbi psichici aveva stimolato il ricorso a metodi di trattamento ispirati ai modelli psicoanalitici ed interpersonali; dopo la riabilitazione ospedaliera i malati usufruivano dell’ausilio dei servizi del Ministero del Lavoro; erano state istituite le Unità di Riabilitazione industriale nel territorio. Nei primi anni ’50 furono create le prime comunità terapeutiche da Thomas Maine e da Maxwell Jones, trasformandone i relativi OP. In Francia, ebbe inizio il movimento di psichiatria istituzionale, promosso da Francesc Tosquelles, che si proponeva di portare la psicoanalisi in seno all’istituzione. Iniziò una progressiva liberalizzazione del regime custodialistico psichiatrico e una parallela considerazione dei fattori sociali nella malattia mentale. Nel 1958 a Parigi fu attivato da P. Paumelle, S. Lebovici, e R. Diatkine – psichiatri e psicoanalisti - il XIII° settore di psichiatria. Questo era un servizio istituzionale di comunità, per uno specifico settore geografico e di popolazione; aveva lo scopo di garantire la continuità assistenziale sia nel territorio che in OP, al fine di superarel’OP. In quegli anni si sviluppò la rivoluzione psicofarmacologica, mettendo a disposizione, per la prima volta, farmaci efficaci come stabilizzatori dell’umore, antipsicotici, antidepressivi e ansiolitici. Come tutti gli strumenti, i loro effetti dipendono dall’uso che di loro viene fatto. Ma il loro aiuto nella relazione terapeutica ha cambiato l’assistenza e la terapia psichiatrica.

Anche in Arezzo lo sviluppo psicofarmacologico sia per le Psicosi Schizofreniche che per quelle Maniaco-Depressive agevolò l’attività dei gruppi clinici sia nella riabilitazione tramite le attività occupazionali, sia nei gruppi socioterapici. Furono iniziate nella Comunità Terapeutica Maschile (ex-reparto Inquieti) attività di tipo industriale per facilitare il reinserimento lavorativo in una società che da agricola stava diventando industriale. Nella stessa direzione di formazione professionale in preparazione al reinserimento sociale, fu aperto un bar – gestito dai malati uomini – aperto al pubblico; fu anche occasione di inserimento lavorativo per alcuni malati nelle analoghe aziende della città. Il bar esponeva anche manufatti femminili, prodotti nei laboratori femminili sotto la spinta di alcune infermiere. Sotto la guida della dr.sa Mazzei Moriani fu avviata nella Villa Chianini l’attività in favore di minori cerebrolesi che, successivamente, dette origine al Centro di Rieducazione Motoria ed Ausili per portatori di handicap. In virtù della collaborazione spontanea ed appassionata del pittore Franco Villoresi con l’amico dr F. Martini, fu aperto un atelier di pittura nel locale dove, dai primi anni del secolo, tra le prime in Italia, era situata la scuola per gli infermieri psichiatrici.

Negli anni ’60 la crisi del modello assistenziale dell’OP fu percepita anche in Italia dove una nuova sensibilità sociale, politica e professionale premeva per cambiamenti istituzionali. Un nuovo soffio spingeva giovani studenti e lavoratori di tutto il mondo. Negli USA si aspirava ad una nuova frontiera. L’Ospedale Psichiatrico era già stato messo in discussione negli Stati Uniti d’America dove erano stati istituiti i Centri Territoriali di Salute Mentale con la legge Kennedy del ‘63. Purtroppo si era assistito anche al primo esempio in grande stile di dimissioni selvagge; ma anche ai successivi accomodamenti, trasformando i Centri in Servizi dotati anche di attività riabilitative e residenziali, collegate al bisogno con gli ospedali. Nel 1963 in Italia fu istituito il primo governo organico di centro-sinistra – con la partecipazione diretta del PSI - con un programma innovativo in molti settori, tra cui quello della sanità. Nell’ambito degli addetti ai lavori in psichiatria, si svilupparono principalmente due iniziative. Una più tecnico-professionale fu promossa da Pier Francesco Galli. Coinvolse tanti studiosi ed operatori delle Nuove Vie della Psichiatria, dal titolo del libro di Sullivan sulla psichiatria interpersonale. Seminari erano tenuti in particolare da psichiatri e psicoterapeuti svizzeri come C. Muller, PB Schneider e Gaetano Benedetti, italiano emigrato per occuparsi della psicoterapia delle psicosi. Un’altra iniziativa più tecnico-politica o meglio anti-istituzionale, fu quella di Basaglia, che si andò diffondendo in Italia dall’esperienza nell’OP di Gorizia. Nel ’67 fu pubblicato <Che cos’è la Psichiatria>, nel ‘68 <L’Istituzione Negata>. Nel 1968, Sergio Zavoli e le telecamere della Rai entrarono nel manicomio di Gorizia ed una scossa emotiva si diffuse in tutto il Paese. Era stato trasmesso due anni prima anche un servizio con il prof Barucci direttore del Settore Psichiatrico di Varese. Ma non fu di grande impatto sull’opinione pubblica. Il settore psichiatrico alla francese era auspicato in Italia dall’AMOPI, associazione medici ospedali psichiatrici, che richiedeva anch’essa un cambiamento dell’assistenza psichiatrica. Finalmente nel 1968 furono realizzate con il Ministro Mariotti due riforme: una del Servizio Sanitario – che, tra l’altro, disponeva che i Reparti Neurologici degli OP facessero parte dei normali Ospedali Generali; ed una di riforma psichiatrica. L’Italia era reduce dal boom economico e gli italiani anelavano ad un cambiamento. Non solo gli italiani perché i movimenti del ’68 interessarono la maggior parte dei Paesi ed i protagonisti furono i giovani, studenti ed operai, una specie di internazionale.

Con la legge 431 “Mariotti” del 1968, furono introdotti importanti cambiamenti nell’assistenza psichiatrica che, al contrario degli altri Paesi, era rimasta sostanzialmente invariata dal 1904. Per di più gravavano l’invecchiamento delle strutture e dei servizi, il sovraffollamento di ricoverati cronici ed invalidi e, inoltre, la riduzione dei nuovi accessi; infatti il ricovero veniva evitato da chi poteva permettersi modalità di cure alternative. Inoltre il numero sempre maggiore nella popolazione di malati con disturbi nevrotici, quindi meno gravi e con esame di realtà adeguato, aveva sempre più come punto di riferimento i servizi privati; in essi si erano consolidati e diffusi sia i nuovi approcci psicofarmacologici che le pratiche psicoanalitiche e psicoterapiche. Fu istituita, con la nuova legge, la possibilità del “ricovero volontario” in OP, in analogia ai ricoveri ospedalieri. Fu abolita l’iscrizione dei ricoveri coatti nel casellario giudiziario e sottratti quelli volontari da qualsiasi controllo. Furono istituiti dei parametri di personale adeguati e rapportati ai ricoverati. Introdotte le figure di assistente sociale, sanitario, psicologico, igienista. Istituiti i Centri di Igiene Mentale (CIM) nel territorio per favorire lo sviluppo della cura extra-ospedaliera. In Arezzo la legge fu applicata integralmente. I Reparti di Vigilanza furono trasformati in Osservazioni dove il ricovero poteva avvenire in forma volontaria. Uno degli edifici dell’OPN, chiamato “Padiglioncino”, ufficialmente “Padiglione Neurologico Secondo”, gestito dal dr. Fabio Massimo Marzi, fu adibito al ricovero sia di malati neurologici che di malati psichici, in alternativa all’ingresso nelle Osservazioni dell’OP. Furono istituiti i CIM in Arezzo e in ciascuna delle vallate della provincia dove veniva assicurata una presenza settimanale da un medico e l’assistente sanitaria. Per quanto l’OP di Arezzo fosse ancora migliore di tanti altri, la struttura edilizia socio-sanitaria e l’organizzazione interna risentivano del lungo passato ed erano anacronistiche rispetto al progresso della società civile. Soprattutto la lunga separazione dal contesto sociale e le modalità istituzionali avevano in gran parte spersonalizzato i ricoverati, deformato la loro identità, inaridito i loro vissuti, stereotipato i loro comportamenti. Come in tutte le istituzioni totali – campi di prigionia, carceri, istituti per minori ed anziani – si era creata nei ricoverati una “sindrome o nevrosi da istituzionalizzazione” che si era sovrapposta ai disturbi psichici che avevano motivato il ricovero. Il loro numero era mediamente di seicento – esclusi i ricoverati nei padiglioni neurologici - la maggior parte lungodegenti; i non-autosufficienti erano concentrati nei due reparti infermeria, collocati nella parte terminale dell’ospedale, soprannominati il fondaccio.

I movimenti del ’68 favorirono i cambiamenti politici, sociali e sanitari degli anni ’70. Le istituzioni – dalla famiglia alla scuola, al lavoro, alla sanità, allo stato - furono investite da questo vento di cambiamento che, oltre ad un legittimo progresso, purtroppo portò con sé anche violenza sociale, atti eversivi e stragi. Nello specifico della psichiatria, i salti furono molteplici: l’istituzione manicomiale fu radicalmente messa in discussione, ben più degli altri Paesi. L’esperienza di F. Basaglia a Gorizia – dapprima ispirata alla psichiatria sociale e alla comunità terapeutica di Maxwell Jones nell’Ospedale di Dingleton a Melrose in Scozia – divenne il punto di partenza di un movimento anti-istituzionale tecnico-politico contro il manicomio e le altre istituzioni di emarginazione sociale. Questo movimento coglieva un aspetto reale dell’assistenza che nessuno negava ma che, inserendosi in una visione politica di lotta di classe, collimava con la politica del Partito Comunista Italiano che ne divenne il più potente alleato e sostenitore. Per la verità, la problematica era ed è più complessa, con un sistema di fattori bio-psico-sociali per le cause del disagio e malattia, e con un altrettanto sistema complesso ecologico di fattori istituzionali, culturali e socio-economici per i servizi di cura della popolazione in un determinato periodo storico. Il campo di lavoro da allora è divenuto salute mentale della popolazione con tutte le implicazioni che questi termini comportano e senza più distinzioni tra infanzia ed adulti.

Ad Arezzo, alla fine degli anni ’60 la Provincia, dopo un primo periodo in cui fu orientata a costruire un nuovo OP dandone incarico tecnico-scientifico al prof. F. Angeleri, decise di intraprendere la strada opposta. Gli assessori B.Benigni e I.Galastri presero contatto con il prof. Agostino Pirella, collega di Basaglia e suo braccio destro a Gorizia, per acquisire il suo consenso all’eventuale direzione dell’OP di Arezzo con l’obiettivo di superarlo. Dopo il pensionamento del dr. F. Martini e poi del prof. Benvenuti, il prof. Pirella assunse la direzione dell’OP e dei Centri di Salute Mentale nell’estate del 1971. L’obiettivo fu da subito quello di aprire l’ospedale all’ interno e all’esterno. Prima di tutto il rapporto orizzontale con i malati e gli infermieri, abbigliamento personalizzato dei degenti, riunioni di gruppo in ogni reparto, progressiva apertura dei reparti al loro esterno, riunione del direttore e rappresentanti del personale sanitario di ciascun reparto, assemblea generale aperta ai ricoverati e al personale, che lo desiderassero, con la partecipazione del direttore. Erano graditi anche cittadini, rappresentanti di organi di informazione e/o chiunque altro fosse interessato all’esperienza in corso. Questo secondo aspetto dell’apertura all’esterno si allargava a manifestazioni di tempo libero organizzato e ad iniziative culturali di lotta anti-istituzionale aperte a tutta la cittadinanza ed alla presenza organizzata nelle circoscrizioni e/o nelle scuole. Un impegno particolare tecnico-politico fu dispiegato dai Centri di Salute Mentale d’intesa con il Provveditorato agli Studi, la Provincia e il Comune per il superamento delle classi e scuole speciali per portatori di handicap. La Provincia sostenne in tutti i modi possibili questa nuova esperienza, anche con la partecipazione diretta della Giunta alle Assemblee Generali e di Reparto allorché si manifestò una forte opposizione all’iniziativa sia all’interno che in città. Le motivazioni riguardavano essenzialmente la connotazione politica del cambiamento e della gestione del personale. Le convinzioni politiche radicali del Direttore purtroppo comportavano anche differenti atteggiamenti nei confronti di operatori che avevano altre opinioni. Il suo atteggiamento e quello del movimento anti-istituzionale e anti-psichiatrico erano contrari anche alle tecniche terapeutiche e questo creò dei problemi all’interno dell’équipe, anche in psichiatri venuti da lontano per partecipare all’iniziativa. Comunque in circa tre anni, sotto la guida di Pirella, l’Ospedale fu trasformato al suo interno in una Comunità Terapeutica, e aperto, all’esterno, nel rapporto con il territorio. Nel febbraio del ’73 il Padiglione Neurologico fu concesso in affitto dalla Provincia agli Spedali Riuniti, dando seguito alla riforma sanitaria. Le infermerie dell’OP erano state chiuse; molti degenti erano stati trasferiti in strutture residenziali, altri trasferiti negli altri reparti, secondo il principio di iniziare la deistituzionalizzazione dalle situazioni più gravi. Circa un terzo dei ricoverati fu dimesso, ma ne restavano ancora molti, circa 420, e lungo degenti. Rimanevano i casi più difficili, senza alternative per una dimissione. Una unica casa famiglia in città si era dovuta chiudere a causa dell’opposizione locale. I nuovi ricoveri erano pochissimi, se non rari.

C’era bisogno di alternative. Doveva essere affrontato il problema di farsi carico delle dimissioni e reinserimento dei lungodegenti. Ed anche della prevenzione e cura dei malati psichici nella popolazione; che non era un problema secondario per un servizio pubblico che aspirava ad essere del territorio. I disturbi psichici più gravi interessano infatti circa il 2-2,5% della popolazione superiore a 18 anni e circa il 10% per l’infanzia e adolescenza. Inoltre risultarono evidenti due diversi propositi: quello del gruppo basagliano - che avrebbe fatto parte di psichiatria democratica - ancorato al modello anti-istituzionale e socio-politico; e quello del gruppo che vedeva il superamento dell’OP all’interno di una strategia volta a creare una nuova cultura e pratica di salute mentale in nuovi servizi territoriali, che avrebbero fatto parte delle future Unità Sanitarie Locali. Su come agire si aprì un conflitto tra Pirella e alcuni operatori; praticamente l’équipe si divise in due. Forse Pirella, a quell’epoca, era troppo ancorato alla sua passata esperienza goriziana; aveva problemi a costruire un futuro per i Servizi di Salute Mentale o forse, coerentemente al suo impegno antiistituzionale, temeva nuove istituzioni.

Ma questo modificò il suo rapporto con l’Amministrazione Provinciale che, dalla fine del ’74, creò due Servizi Territoriali autonomi; con due Responsabili, uno ad Arezzo – diretto dal dr. Paolo Martini - ed uno nel Valdarno –diretto prima dal dr. GP. Guelfi e, dopo poco, dal dr. Paolo Pesce. Il bacino di utenza dei nuovi servizi era pari a due terzi della popolazione provinciale e conteneva le principali strutture sanitarie e sociali. I due Servizi, dal primo dicembre 1976, entrarono a far parte dei due Consorzi Socio-Sanitari di Arezzo e del Valdarno – costituiti dalla Provincia e dai rispettivi Comuni – in prefigurazione delle future Unità Sanitarie Locali. In particolare, il Servizio di Arezzo – il cui responsabile aveva fatto esperienza nella Policlinique Psychiatrique Universitaire di Losanna diretta dal prof. P-B Schneider - ha avuto, dall’inizio, un obiettivo differente da Pirella e da Psichiatria Democratica, che temevano la psichiatrizzazione del territorio e la neo-istituzionalizzazione dei servizi. Al contrario l’obiettivo ad Arezzo è stato di costruire un Servizio Territoriale con strutture e servizi realmente alternativi all’OP; alternativi sia ai lungodegenti in OP, sia con possibilità di prevenzione-cura-riabilitazione della popolazione, in stato di bisogno, nel proprio ambiente di vita. Servizio differente per una concezione multidimensionale ed ecosistemica dei disturbi psichici, per l’approccio tecnico integrato – informativo e biopsicosociale, individuale, familiare e di gruppo - nell’ambito di una salute mentale di comunità (6). Il servizio-crisi 24h/24 e 7gg/7, l’accoglienza, il progetto terapeutico-riabilitativo individualizzato, la continuità del rapporto interpersonale, il sostegno familiare, l’empowerment degli utenti e il supporto sociale, anche mediante Società-Cooperative, sono state le caratteristiche delle due équipes pluridisciplinari. Il Gruppo Infanzia-Adolescenza – costituito da psicologi, terapisti della riabilitazione e assistenti sociali – intervenendo in famiglia, nelle strutture dell’infanzia, a scuola e in ambulatorio – ha effettuato interventi precoci diagnostico-terapeutici e di integrazione sociale, per cui sono state superate classi e scuole speciali ed approntate alternative all’istituzionalizzazione. Il Gruppo fu rafforzato dalla decisione del Comune – Sindaco Ducci, Assessore Materazzi – di assumere personale che si integrasse agli operatori della Provincia. Fu anche creata una rete di collegamento, oltre che con le scuole, con i Pediatri e/o Medici di famiglia, anche con i laboratori diurni, attivati con l’aiuto della Regione Toscana. Il Gruppo Adulti – costituito da psichiatri, psicologi, infermieri, terapisti riabilitazione e assistenti sociali - svolse un’attività proattiva di intervento precoce a domicilio, negli ambienti di lavoro, in centro diurno, in ambulatorio, al pronto soccorso e nei reparti dell’ospedale, in forma di consulenza. Le attività erano coordinate e verificate quotidianamente nei gruppi di lavoro. Queste caratteristiche hanno fatto la differenza e spiegano perché il SIM di AR sia diventato uno delle esperienze significative in Italia.

Gli anni ’70 in Italia sono stati quelli dei diritti civili (divorzio, diritto di famiglia, aborto) e degli anni di piombo (assassinii Br, stragi Piazza Fontana e Stazione Bologna, assassinio Moro). Proprio nel periodo del sequestro Moro e nel timore che un referendum popolare potesse confermare la prosecuzione dell’attività degli Ospedali Psichiatrici, fu approvata il 13 maggio del 1978 la legge n°180 "Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori". La legge 180 sancisce i termini della chiusura dei ricoveri e il superamento degli OP, secondo progetti definiti dalle Regioni. Conosciuta come legge Basaglia, in realtà concordata con Orsini, parlamentare DC, e i rappresentanti dell’AMOPI (medici ospedali psichiatrici) divenne parte integrante della successiva legge n°833 del 23 dicembre 1978, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale. Basaglia non avrebbe voluto che fossero istituiti gli SPDC (servizi ospedalieri psichiatrici di diagnosi e cura) avrebbe preferito Appartamenti o Centri di Salute Mentale con posti-letto. Fu istituito il TSO (trattamento sanitario obbligatorio in SPDC) e definito che “Gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione relativi alle malattie mentali sono attuati di norma dai servizi e presìdi psichiatrici extra ospedalieri”. Nessuna indicazione sul come e dove e con quali mezzi tali interventi si sarebbero realizzati. Arezzo poté beneficiare dell’esperienza acquisita con il Servizio di Salute Mentale, ma la repentinità del provvedimento e la mancanza legislativa di un progetto esecutivo alternativo all’OP crearono difficoltà. Anche perché presto si aggravò la conflittualità tra chi – come il Servizio di Arezzo – reclamava di dotare il territorio dei servizi necessari alla cura e riabilitazione, e chi – come Psichiatria Democratica e Franca Basaglia – si opponeva a questa richiesta.


Ad Arezzo, dal maggio 1978 non è più avvenuto alcun “nuovo” ricovero in OP, dal febbraio 1980 nessun tipo di ammissione, come da legge. Per far fronte alla nuova domanda di cura ed al supporto ai dimessi, si sviluppò un intensivo programma ambulatoriale e domiciliare, anche notturno, e progetti riabilitativi in centro diurno. In Arezzo perciò non si è assistito al fenomeno delle “dimissioni selvagge” dall’OP o della mancata assistenza sul territorio, come purtroppo in molte altre parti d’Italia. Fenomeno questo che ha prodotto la costituzione di molte Associazioni per la difesa dei malati di mente. In Ospedale Generale, dove era assicurata la reperibilità medica ed infermieristica, fu utilizzata la continuità con gli interventi territoriali per realizzare alternative al ricovero. Allorché era necessario, il ricovero avveniva in posti-letto nei reparti di medicina. In caso di TSO, l’assistenza era a carico del SIM. Dopo alcuni anni, divenne evidente che tale modalità era poco pratica e molto stigmatizzante. Fu istituito il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) con pochi posti-letto, al fine di avere uno specifico spazio-lavoro con soggiorno, camera da pranzo, palestrina, ambulatorio, infermeria e posti-letto.

Nel 1980, la Regione Toscana istituì il primo Piano Sanitario Regionale. Non fu di grande aiuto per la Salute Mentale di Arezzo, aumentò la burocratizzazione e la gestione di funzionari del partito egemone. Invece la nomina nel 1985 di B. Benigni ad Assessore Regionale significò una ripresa dell’attenzione e dell’iniziativa per la Salute Mentale in tutta la Toscana. In Arezzo fu attuata la territorializzazione del residuo OP, riunendo i ricoverati secondo le loro specifiche zone di provenienza in reparti facenti capo al corrispondente servizio di USL, uno per ciascuna delle cinque aree sanitarie della provincia. Il dr. P. Martini, in quanto responsabile del Servizio USL Arezzo, fu nominato coordinatore del gruppo per il superamento del residuo OP. Un ulteriore passo in avanti fu determinato dalla decisione del Comune di Arezzo – dal sindaco Ducci e dall’assessore Materazzi – di mettere a disposizione del Servizio una struttura edilizia, al centro della città, in v.le Michelangelo, con otto appartamenti in due edifici distinti, con un giardino interno e uno spazio da adibire a centro di socializzazione. Inoltre, sempre con l’aiuto del Comune e con la collaborazione delle dr.sa G. Cecchi fu istituita, per la prima volta in Toscana, una riserva di alloggi popolari per dimessi OP assistiti dal SIM, pari al 5% degli appartamenti liberi per il periodo 80-84. La dimissione di lungodegenti OP, che era bloccata dal 1974, riprese di colpo. Furono dimessi più lungodegenti che dal 1970 al 1974; l’84 % in queste strutture alternative, l’8% nelle famiglie, il restante 8% in case di riposo.

In quegli anni il Servizio di Arezzo divenne uno dei migliori servizi italiani e modello di realizzazione di un nuovo tipo di assistenza psichiatrica. Fu invitato dall’Istituto Superiore di Sanità, dr. P. Morosini, a partecipare, insieme ai Servizi di Trieste, Verona e Perugia, ad un numero unico della rivista Acta Psychiatr Scand Suppl. 1985;316, sullo stato della riforma italiana. Nel 1987 fu attivato il registro computerizzato dei casi psichiatrici in modo di consentire non soltanto una conoscenza delle caratteristiche anagrafiche, socio-economiche, diagnostiche e terapeutiche dell’utenza, ma anche di poterle confrontare con analoghi centri italiani ed europei. In Italia vi erano soltanto altri quattro Registri standardizzati: a Verona Sud, Portogruaro, Legnano e Caltagirone. Il Servizio Territoriale della USL di Arezzo è stato uno dei primi Servizi italiani a render conto dei risultati conseguiti – in termini di attività, costi e benefici - mediante il suo Registro.

In collaborazione con M. Tansella, D. De Salvia e L. Morosini, il Servizio ha partecipato alla costituzione della Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica. Il numero maggiore dei Registri era in Gran Bretagna, Germania, Austria, Francia e Paesi Bassi.

Il confronto ha consentito di apprezzare che il Servizio dava risposte ad un numero adeguato di popolazione adulta, non soltanto per ogni anno (year prevalence) 1504/ 100000 di cui 495 per la prima volta, ma anche in un giorno determinato (day prevalence), cioè in trattamento, sia per i casi psicotici (schizofrenia, disturbi bipolari e depressivi) sia per i casi nevrotici e con disturbi di personalità. Ugualmente alto e adeguato era il numero dei lungoassistiti, cioè utenti non abbandonati (7).

Il Servizio disponeva di un Centro aperto 24h/24, 365 gg, con èquipe mobile sul territorio per visite domiciliari o nell’ambito del dipartimento di emergenza-urgenza. Era possibile un’assistenza continua a domicilio mediante visita medica almeno ogni 24 h, controlli infermieristici tre volte al giorno, monitorizzazione giornaliera in riunione di équipe, pronta disponibilità medica ed infermieristica <sotto telefono>. Il servizio disponeva di 3 centri diurni, 5 centri di riabilitazione, un centro di socializzazione, 7 società cooperative, 16 appartamenti assistiti, un reparto-territorio nel residuo OP, di uno spazio ospedaliero funzionale, cioè posti letto attivati al bisogno, poi sostituiti, come già scritto, in un SPDC.

Nel 1989 con l’attivazione di due Residenze terapeutico-riabilitative (24 h/24 assistenza) ed una Residenza per non-autosufficienti gestita dal Servizio Sociale, l’OP fu funzionalmente chiuso per la zona aretina.


Il 29 giugno 1990 fu celebrata la chiusura funzionale dell’OP per la zona aretina. Secondo in Italia, dopo Trieste.Nell’area verde nord-ovest dell’ex-OP era stato edificato il nuovo Ospedale Generale di Arezzo, demolendo anche il Padiglioncino Neurologico, le lavanderie-stirerie, la cappella mortuaria. L’area del Pionta, secondo il nuovo piano regolatore del 1987 degli architetti V. Gregotti ed A. Cagnardi, avrebbe dovuto diventare un’area sportiva; tutti gli edifici avrebbero dovuto essere demoliti, eccetto la palazzina della direzione e le strutture del colle del Pionta; avrebbe dovuto essere costruita una struttura-ponte per collegare il centro della città con la zona intorno all’Ospedale, scavalcando la linea ferroviaria. Ad oggi, l’area verde è un parco comunale; la direzione, il padiglione neurologico, la colonia femminile e maschile sono divenuti sede dell’Università di Siena; le due infermerie sono una scuola pubblica; l’osservazione donne (farmaceutica e ausili), l’osservazione uomini (asilo nido), la comunità terapeutica maschile (scuola infermieri e tecnici), la colonia agricola (casa famiglia salute mentale) sono della sanità Area Vasta Sud-Est, insieme ad altri immobili attualmente abbandonati.La chiusura della zona aretina dell’OP ebbe una vasta eco sui media nazionali perché la nuova assistenza per la salute mentale procedeva lentamente, in modo disomogeneo “a macchia di leopardo”, spesso criticata dagli organi di informazione e da alcune associazioni di familiari.

La USL di Arezzo, l’8 aprile 1994, deliberò la chiusura dell’intero OP su proposta del dr. Martini, coordinatore del piano di superamento. La chiusura fu possibile mediante l’attivazione di strutture alternative in Arezzo, mediante l’aiuto del Comune di Arezzo, come sopra scritto; nelle altre zone della Provincia, anche in virtù di un impegno regionale promosso dall’ Ass. Benigni.

Di fatto, solo con il DPR 7 aprile 1994, Progetto Obiettivo Salute Mentale, dopo 16 lunghi anni dalla 180, fu legiferata quale dovesse essere la struttura dei servizi di salute mentale; e il modello aretino influenzò grandemente queste disposizioni. Purtroppo il ritardo, oltre ai danni in termini di salute e di sofferenza, arrivò quando le risorse economiche erano molto limitate. Anche per questo il Governo emanò, subito dopo, la legge 23 dicembre 1994 n° 724. Fu fissata la chiusura degli OP al 31 dicembre 1996, indicando di utilizzare gli immobili in disuso di altri ospedali o di procedere alla vendita delle strutture OP per l’attivazione di servizi di salute mentale, in particolare per residenze e centri diurni riabilitativi. Nel 1995, con l’istituzione dell’Azienda Sanitaria Locale n°8 di Arezzo0, a dimensione provinciale, fu creato il dipartimento di salute mentale (DSM) diretto dal dr Martini. Il DSM dette risposta, nell’anno, a 4372 utenti, adulti e minori, con un costo economico di lire 20.005.973.000. L’OP nel 1974 per la cura di 420 utenti aveva richiesto un costo di lire 2.643.000.000 che, rivalutate secondo il dato ISTAT, corrispondevano nel 1995 a lire 21.947.472.000. A dimostrazione che era possibile convertire la spesa sostenuta per gli OP. Ma poiché la chiusura degli OP in Italia continuava ad andare a rilento, nel 1996 la legge finanziaria 23 dicembre 1996, n. 662, fissò alcune penalizzazioni per quelle Regioni, tutte, che ancora non vi avessero provveduto entro il 1997. La Regione Toscana, in ritardo specie per Siena, fissò pertanto ulteriori criteri in base ai quali l’ASL di Arezzo procedette ad una delibera finale il 31.03.1999. Il DSM ha erogato nel 1999-2004 prestazioni annue stabili. Il tasso di incidenza dei minori è stato di 550 utenti per 50000, di prevalenza anno 1608 per 50000. Per gli adulti, il tasso calcolato su 100000 è stato di 754 per l’incidenza, di 2237 per la prevalenza anno, di 958 per la prevalenza un giorno. I ricoverati in SPDC 115, con degenza media di 13 gg; il tasso di TSO è stato di 10, rispetto al valore nazionale di 24; nessuna contenzione fisica rispetto al dato nazionale del 66% dei ricoveri. La contenzione nei Servizi di Arezzo non è mai stata praticata.

Questo lungo periodo di tempo – dalla fine dell’800 alla fine del ‘900 – indica l’attenzione, l’affetto e la solidarietà che Arezzo e la sua Provincia hanno avuto nel coltivare questo processo di cura delle persone con disturbi psichici. L’obiettivo è stato sempre quello di dare il meglio, relativamente ai tempi dell’evoluzione culturale, scientifica e sociale. C’è sempre stata una particolare attenzione nell’accogliere, nel comprendere, curare, e costruire servizi di aiuto. Questo fece l’OP, poi il superamento dello stesso Ospedale e infine la costruzione dei Servizi di Salute Mentale; i quali non soltanto hanno chiuso l’OP, ma hanno creato le condizioni per aiutare una parte significativa di tutta la popolazione in stato di bisogno. Si è creata una nuova cultura, complessa e sistemica, per la comprensione, cura, riabilitazione ed integrazione socio-lavorativa delle persone sofferenti; una nuova struttura di servizi specialistici integrati con quelli sanitari e sociali distrettuali, con la rete di strutture dell’educazione primaria e con le scuole, insomma con la comunità. La chiusura dell’OP è stata quindi un lungo processo che ha comportato prima un grosso lavoro all’interno, ma che si è concretizzata soltanto con una nuova moderna cultura di salute mentale ed un nuovo servizio territoriale ed ospedaliero nell’ambito dell’ASL. Sotto un certo punto di vista, il paziente è divenuto un cittadino sofferente- con i suoi bisogni e vissuti, ma anche con i suoi diritti, illuminato dalla sua storia, da quella della sua famiglia e del suo ambiente – che si rivolge come un cliente ad un Servizio, incontra un operatore, con la sua storia umana e tecnico-professionale, inserito in una équipe multi-professionale, in un Servizio sanitario - articolato in più strutture e servizi - che opera a rete nella comunità insieme a tutti gli altri servizi sanitari e sociali.


Bibliografia

1. A. Moriani, Fonti per la storia dell’assistenza sanitaria in territorio aretino: l’"Asilo per dementi" di Arezzo (1893-1904), in <Non solo storia. Saggi per Camillo Brezzi>, M. Baioni e P. Gabrielli (a cura di),2012, Cesena, Società Editrice Il Ponte Vecchio, pp. 173-177.

2. A. Pieraccini, L’assistenza dei pazzi nel manicomio e nella famiglia, Milano, Hoepli editore,1907.

3. P. Martini, Un viaggio lungo un secolo. Dal manicomio ai servizi territoriali attraverso la vicenda di tre generazioni di psichiatri, Firenze, Ed. Polistampa, 2014.

4. F. Martini, Il primo dodicennio di accettazione e cura dei neuropatici nell’Ospedale neuropsichiatrico provinciale di Arezzo, in <Rassegna di Studi Psichiatrici>, Siena, XXVII, Fasc.4, 1938, pp. 719-751.

5. O. Fantozzi Micali, Piani di ricostruzione e città storiche 1945 – 1955, Firenze, Alinea Editrice, 1998.

6. P. Martini, Psichiatria e Psicoanalisi, in Nuova Rassegna di Studi Psichiatrici, rivista online dell’ASL7 di Siena, 3,1° settembre 2011.

7. P. Martini, F. Domenici, Assistenza psichiatrica e monitoraggio dei Servizi. Il Registro dei casi di Arezzo 1987-1990, in "Epidemiologia e Psichiatria Sociale", 01. 12. 1992, pp. 201-212.