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EDITORIALE
La comunità che viene: nuova legislazione e salute mentale di richiedenti asilo e rifugiati

Autori


La Legge n. 132 del primo dicembre 2018 (con cui è stato convertito il cosiddetto Decreto Sicurezza), per la parte che riguarda l’accoglienza di richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale o nazionale, unitamente alle prospettate riduzioni nei finanziamenti ministeriali, introducono modifiche significative nel sistema di accoglienza, che possono avere un impatto di rilievo sui Servizi di salute mentale e sulla presa in carico di richiedenti asilo e rifugiati. Queste modifiche legislative e i cambiamenti economici previsti sono tuttavia oggetto di dibattito, anche istituzionale, e pertanto risulta ancora difficile delineare in modo preciso lo scenario che si andrà a configurare. Ad esempio, almeno in alcuni casi, questo dibattito – o scontro – sta bloccando i bandi prefettizi per la gestione dei centri di accoglienza straordinaria, il cui futuro è reso ulteriormente più incerto dal ritiro già effettivo o paventato di alcune organizzazioni del privato sociale da questo ambito di intervento.

Il presente scritto intende individuare alcuni punti che – al momento – appaiono certi, ipotizzare le ricadute sui servizi ed individuare alcune linee di azione che sembrano opportune. Si sottolinea in ogni caso che niente è cambiato rispetto alle persone che sono titolari di protezione internazionale (asilo politico e protezione sussidiaria).

Rispetto ai punti che appaiono ad oggi certi, si può sintetizzare quanto prevede la normativa in oggetto:

  1. il decreto abolisce la protezione umanitaria prevista dalle disposizioni precedenti, sostituendola con alcune fattispecie connesse a precise situazioni oggettive del richiedente asilo, le quali conferiscono diritti differenti e degradanti.
  2. Le Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale – che in Toscana sono collocate a Firenze ed a Livorno (sede distaccata) – perdono la competenza su queste fattispecie, il cui rilascio dipende dalle valutazioni e dalla decisione del Questore competente. Rimane nella sfera decisionale delle Commissioni territoriali, come segnalazione da fare alla Questura, il rilascio del permesso per protezione speciale (nei confronti dello straniero che in caso di rimpatrio può essere oggetto di persecuzione o vittima di tortura). Il permesso ha durata annuale e può essere rinnovato (previo parere della Commissione), consente l'attività lavorativa ma non permette la conversione in permesso per lavoro.
  3. Le tipologie di permessi nuovi (validi solo sul territorio nazionale) che il Questore può rilasciare sono:
    1. Permesso per cure mediche. Ha una durata non tipizzata, ma ancorata al tempo attestato dalla certificazione medica (rilasciata dal servizio pubblico), non maggiore di un anno ed è rinnovabile finché persistono le condizioni di salute di particolare gravità debitamente certificate. Si sottolinea che allo stato attuale, sia il riconoscimento del permesso che il suo rinnovo si basano su un certificato medico rilasciato dal Servizio sanitario pubblico. Tuttavia, sembra una competenza specifica del Questore quella di stabilire l’eccezionale gravità della malattia, tale da dover richiedere la permanenza sul territorio nazionale e comportare la non possibilità od opportunità di rimpatrio. Si sottolinea che il permesso non è convertibile in permesso per motivi di lavoro o attesa occupazione, né conferisce il diritto al ricongiungimento familiare. La legge non si esprime sul diritto al lavoro per la persona durante la validità del permesso, ma ovviamente la possibilità effettiva di lavorare dipende eventualmente dalla condizione di salute e dalla funzionalità psicofisica residua.
    2. Permessi per “casi speciali”, rilasciati dal Questore su proposta o con il parere favorevole dell'Autorità giudiziaria. Vi rientrano quelli riconosciuti sulla base delle seguenti ragioni:
      • b.i. Per protezione sociale, rilasciato allo straniero vittima di situazioni di violenza o grave sfruttamento, riduzione in schiavitù e tratta. Questo permesso, che prevede un inserimento in un programma di emersione, assistenza ed integrazione, ha la durata di sei mesi, può essere rinnovato per un anno (o per il tempo necessario per motivi di giustizia) ed in caso di lavoro a tempo indeterminato può essere convertito in permesso per lavoro, od anche per studio in caso di iscrizione ad un corso di studi.
      • b.ii. Per violenza domestica (verificatasi in Italia). Il permesso ha la durata di un anno, consente l'accesso ai servizi assistenziali, allo studio e l'iscrizione al collocamento ovvero lo svolgimento di lavoro subordinato o autonomo. Alla scadenza non può essere rinnovato ma può essere convertito in permesso per lavoro ovvero studio.
      • b.iii. Per sfruttamento lavorativo, ha la durata di sei mesi e può essere rinnovato per un anno o per il maggior periodo necessario per la definizione del procedimento penale. Consente di svolgere attività lavorativa e può essere convertito in lavoro.
    3. Permesso per atti di particolare valore civile. Ha una durata di 2 anni ed è rinnovabile. Conferisce il diritto al lavoro durante il periodo di validità e può essere convertito in permesso per lavoro o attesa occupazione alla loro scadenza.
    4. Permesso per calamità naturali. Ha una durata di 6 mesi, eventualmente rinnovabili per altri sei mesi. Conferisce il diritto al lavoro durante il periodo di validità ma non può essere convertito in permesso per lavoro o per attesa occupazione.
  4. Solo le persone con protezione internazionale od i minori stranieri non accompagnati possono accedere all’accoglienza garantita dai Progetti SPRAR (adesso denominati SIPROIMI – Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati). Le persone che ancora hanno una protezione umanitaria dovranno invece uscirne al momento della scadenza della protezione o alla scadenza del contratto di accoglienza (semestrale o anche di durata inferiore) senza che questo possa essere prolungato o rinnovato. Quanto ai casi speciali, sembra che sia possibile il loro inserimento nell’accoglienza SPRAR, così come per titolari di cure mediche, atti di valore civile e calamità (come chiarito da una circolare del Ministero dell'Interno).
  5. Occorre sottolineare che esistono tutta una serie di situazioni che riguardano persone che al momento dell’entrata in vigore della Legge, si trovavano in una fase di transizione o che sono poste dalla legge in una situazione transitoria. In particolare:
    1. Coloro che al 4 ottobre 2018 erano in possesso del documento ufficiale che attestava la protezione umanitaria, alla scadenza di tale documento hanno la possibilità di chiedere la conversione in lavoro del permesso (se posseggono i requisiti) altrimenti, in caso di parere positivo della Commissione, potranno ottenere il permesso per “protezione speciale” sopra delineato.
    2. Coloro che alla data del 4 ottobre 2018, pur avendo ottenuto la protezione umanitaria dalla Commissione o dal giudice ordinario, non avevano ancora ricevuto dalla Questura il relativo permesso, hanno ricevuto (o eventualmente riceveranno) un permesso con la dicitura “casi speciali” o “motivi speciali” a cui saranno connessi gli stessi diritti che garantiva la protezione umanitaria (validità di 2 anni, diritto al lavoro, convertibilità in permesso per motivi di lavoro). Si sottolinea che questi “casi speciali” non hanno niente a che fare con quelli descritti al punto 3b.

La legge ha introdotto inoltre alcune modifiche, i cui effetti sono ancora oggetto di incertezze, oltre che di dibattito o addirittura di conflitto istituzionale. In particolare, la legge stabilisce che il permesso di soggiorno per richiesta asilo non è documento idoneo per richiedere la residenza. Tuttavia, secondo alcune interpretazioni giuridiche il modello C3 (con cui è formalizzata inizialmente la richiesta di protezione allo stato italiano e che viene timbrato dalla Questura) diventerebbe il documento adatto a chiedere la residenza. La situazione è tuttavia ancora incerta ed allo stato attuale esiste il rischio di una mancata iscrizione all’anagrafe dei richiedenti asilo. Tale rischio inoltre potrebbe realizzarsi a macchia di leopardo sul territorio nazionale in funzione di decisioni a livello comunale o regionale (ad es., in funzione della posizione assunta dai Sindaci e dalle Giunte comunali). Il risultato è costituito da un’esigibilità differenziata dei diritti, in funzione del territorio di dimora. Si segnala al riguardo una recente pronuncia del Tribunale di Firenze (ordinanza del 18 marzo 2019 r.g. 361/2019) che ha formulato una interpretazione costituzionalmente orientata, che conferma l’iscrivibilità all'anagrafe dei richiedenti la protezione. In particolare, la possibilità di accedere effettivamente ai servizi sociali e, in particolare, ai servizi sanitari risulterebbe messa in dubbio o resa incerta. Teoricamente il diritto alla salute non viene modificato dalla Legge. Tuttavia, l’assenza della residenza comporterebbe una sua limitazione alle sole cure emergenziali garantite a livello di Pronto Soccorso. Senza la residenza risulta infatti compromesso il canale di accesso ai servizi sanitari territoriali, in particolare l’assegnazione del curante generico o specialistico. Il medesimo problema si può presentare con la scadenza semestrale della richiesta di asilo, anche nei casi in cui la persona era già in possesso della residenza. L’anagrafe comunale potrebbe infatti decidere di non rinnovare la residenza al momento del rinnovo della richiesta di asilo. In un caso come nell’altro emerge il problema di come si accede ai servizi sanitari territoriali.
È da sottolineare oltretutto che l’impossibilità di accesso ai servizi sociali perdura anche nel caso di ottenimento di quei permessi la cui validità non supera i 6 mesi.

Infine, la possibilità di vedere riconosciuto il diritto alla salute ed alle cure potrebbe essere messa in pericolo anche da cambiamenti non legislativi, ma di ordine amministrativo. I diritti di cui può effettivamente godere un richiedente asilo sono influenzati da decisioni amministrative. In particolare, i capitolati di appalto delle Prefetture per la gestione dei centri CAS stabiliscono i servizi essenziali che devono essere garantiti e quelli accessori. In funzione della diaria garantita dai bandi prefettizi potrebbe risultare a rischio la fornitura dei servizi accessori (che comprendono ad esempio l’insegnamento della lingua italiana) e dovrebbe essere verificata e monitorata anche quella dei servizi essenziali.

Ad esempio, potrebbe essere ridotta o scomparire la possibilità per gli enti gestori di garantire la mediazione nel caso di accesso ai servizi sanitari (a partire dal medico di base), con la compromissione della possibilità di una corretta valutazione diagnostica e gestione della relazione di cura in molti presidi territoriali.

Oppure, potrebbe essere tagliata una valida consulenza legale per la preparazione dell’audizione in Commissione territoriale o del ricorso presso il giudice ordinario. Verrebbe meno uno dei momenti in cui le vulnerabilità sanitarie classicamente emergevano. Conseguentemente potrebbe ridursi, fino alla scomparsa, l’attivazione di percorsi di certificazioni medico-legali tanto importanti per il riconoscimento del diritto alla protezione.

A questo punto, è possibile esplicitare alcune raccomandazioni:

  1. Considerato che l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale è espressamente prevista per i richiedenti asilo dall’art. 34 del TU Immigrazione D.lgs 286/98, è importante che anche in assenza di residenza, le Aziende sanitarie toscane garantiscano il conferimento della tessera sanitaria e l’assegnazione del medico di base (o del pediatra di libera scelta).
  2. È fondamentale per i servizi di salute mentale individuare le modalità di accesso e di attribuzione dei clinici ai richiedenti asilo, anche in assenza del requisito di residenza.
  3. È importante che gli operatori dei Dipartimenti di Salute Mentale siano informati ed al corrente dei servizi essenziali che gli Enti gestori dei CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria) sono tenuti a garantire ai richiedenti asilo, in particolare quelli attinenti alla loro salute o che comunque sulla salute hanno ripercussioni. In tal modo gli operatori del servizio pubblico possono attivamente contribuire a garantire il diritto alla salute dei loro utenti.
  4. È importante un dialogo interistituzionale continuo fra gli operatori dei centri di salute mentale e le assistenti sociali delle Prefetture, al fine di gestire il più possibile la situazione degli utenti con problemi di salute mentale accolti nei CAS. L’obiettivo è l’evitamento della revoca dell’accoglienza causata dal presentarsi di comportamenti sintomatici erroneamente percepiti o valutati (discontrollo degli impulsi, ecc.). I centri di salute mentale sono invitati ad elaborare modalità strutturate di dialogo interistituzionale con le Prefetture e gli altri Enti locali interessati, evitando che esso sia demandato alla libera iniziativa di singoli operatori o per singoli casi.
  5. È necessario che i livelli dirigenziali dei Dipartimenti di Salute Mentale e delle Aziende sanitarie nel loro complesso dialoghino con le Prefetture al fine di promuovere scelte strategiche che, traducendosi nei capitolati di appalto per l’apertura od il rinnovo dei CAS, possano diminuire i fattori di rischio per la salute mentale dei richiedenti asilo e incentivare quelli protettivi.
  6. È quanto mai necessario che il processo di certificazione psichiatrica o psicologica, connesso alla richiesta di protezione internazionale, sia fondato su un’attenta conoscenza delle disposizioni legislative in materia. Il processo di certificazione infatti può mettere in luce e contribuire a sostenere eventuali connessioni fra la sintomatologia presentata dal richiedente asilo ed eventi o contesti che possono motivare il riconoscimento di una protezione internazionale. Tale processo potrebbe inoltre contribuire ad evidenziare le ragioni e/o l’opportunità per un eventuale rilascio di un permesso per cure. È comunque indispensabile che il processo di certificazione sia il frutto di un accordo diretto fra clinico e richiedente asilo e che congiuntamente sia valutata l’opportunità dell’effettiva redazione del certificato. Per tutte queste ragioni è di estrema importanza che sia promossa una diffusa azione formativa a livello dipartimentale.
  7. Potrebbe essere opportuno valutare gli effetti del provvedimento in termini di andamento degli accessi ai Pronto Soccorso e dei ricoveri ai Servizi Psichiatrici Diagnosi e Cura, attraverso uno specifico monitoraggio.
  8. È opportuno promuovere una strategia di connessione e di dialogo intersettoriale con tutte quelle realtà del privato sociale e del volontariato che si occupano di richiedenti asilo e rifugiati e che sono interessati a strategie di promozione della salute mentale di questa fascia di popolazione.
  9. Infine, relativamente alla specifica situazione toscana, si intende sottolineare la possibilità per gli operatori dei centri di salute mentale di attivare la collaborazione con il Progetto SPRINT – Sistema di Protezione Interdisciplinare per la Salute Mentale di Richiedenti Asilo e Rifugiati. Al riguardo, si ricorda che la Regione Toscana si è aggiudicata il finanziamento di SPRINT2 da parte del Fondo Asilo Migrazione e Integrazione per gli anni 2019-2020. Si fa presente altresì che per evitare l’interruzione fra la prima annualità di progetto e la sua prosecuzione, la Regione Toscana ha garantito in proprio la prosecuzione delle attività con la delibera n. 148/2018. Pertanto, gli operatori possono attivare le risorse umane e professionali offerte dal Progetto SPRINT per portare avanti la presa in carico di richiedenti asilo e rifugiati presi in carico dai servizi pubblici di salute mentale, ma anche per perseguire gli obiettivi di cui ai punti precedenti.