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CAMBIA L’ASSISTENZA PSICHIATRICA A SIENA con l’approvazione della Legge 180?
I POVERI “MENTECATTI” accolti a Siena A PARTIRE DAL 1818

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Riassunto

Nel 1978 quando venne approvata la legge 180, Siena presentava, unica in Toscana, alcune caratteristiche. 1) L’esistenza di quattro servizi psichiatrici indipendenti e concorrenti. L’Ospedale Psichiatrico (850 posti letto), la Clinica delle Malattie Nervose e Mentali dell’Università (45 p.l.), la Divisione Ospedaliera di Psichiatria a direzione universitaria (30 p.l.), il Centro di Igiene Mentale della Provincia. 2) L’OP era gestito da una IPAB che aprì una vertenza legale per mantenere proprietà, attività e dipendenti. 3) I ricoverati all’OP provenivano dalle province di SI, GR e VT. 4) Medici, infermieri, assistenti sociali e altri, avrebbero dovuto continuare a seguire i malati dimessi in tutte e tre le aree provinciali di provenienza. 5) Le forze politiche e sindacali furono coinvolte naturalmente per evitare deportazioni selvagge di pazienti e di lavoratori. 6) Soltanto nel 1981 il CIM della Provincia, l’SPDC ospedaliero e alcuni volontari usciti dall’O.P. confluirono e attivarono delle proiezioni territoriali stabili e funzionali. Ma le resistenze al cambiamento furono particolarmente efficienti a Siena, e soltanto nel 2011 si realizza un DSM così come era stato previsto dalla legge 180.


Summary

In 1978, when the law 180 was approved, Siena had, unique in Tuscany , some features. 1) The existence of four independent and competing psychiatric services: the Psychiatric Hospital (850 beds), the Clinic of Nervous and Mental Diseases of the University (45 beds), the Hospital Division of Psychiatry with a University Director (30 beds), the Center of Mental Hygiene of the Province. 2) The P.H. was managed by an IPAB (private foundation) that opened a legal dispute to maintain ownership, activities and employees. 3) Those admitted to the P.H. came from the Provinces of SI, GR and VT. 4) Doctors, nurses, social workers and others, should have continued to follow the patients discharged into all three provincial areas of provenance. 5) Political and trade union forces were naturally involved in preventing wild deportations of patients and workers. 6) Only in 1981 the C.M.H. of the Province, the hospital D.o.P. and some volunteers out of the P.H., merged and activated stable and functional territorial services. But the resistances to the change were particularly efficient in Siena, and only in 2011 a Mental Health Service is realized as it had been foreseen by law 180.


Siena quest’anno ricorda i quarant’anni della legge 180 che ha abolito in Italia i Manicomi. Ma festeggia anche i duecento anni dalla fondazione nel 1818 del San Niccolò. Monastero riciclato in Asilo per poveri “mentecatti”, “tignosi” e “gravide occulte”, affidandonela cura alla Compagnia dei Disciplinati, sotto le volte dell’Ospedale del Santa Maria della Scala.La situazione della psichiatria senese è del tutto particolare ai tempi della legge 180. E del tutto diversa rispetto alle altre province toscane.E questo per tre ragioni fondamentali. La prima è il suo bacino di utenza. Dei sei manicomi attivi in Toscana nel 1978, quello di Siena aveva da anni ricoverati i pazienti provenienti dalla Provincia di Siena, da quella di Grosseto e da metà della provincia di Viterbo. Tutti gli altri ospedali psichiatrici della Toscana ricoveravano pazienti della propria area geografica provinciale. Era una sua caratteristica ricoverare pazienti provenienti da un’area molto estesa. Basti ricordare che già nel 1869 a Siena erano ricoverati 729 degenti. Nel 1884 i 964ricoverati secondo la provincia di provenienza davano nell’ordine Livorno, Siena, Pisa, Arezzo, Grosseto. Aveva poi un’altra specificità. Non era proprietà della Amministrazione Provinciale, come la più gran parte degli Ospedali Psichiatrici italiani, bensì di una IPAB, una istituzione di pubblica assistenza e beneficenza, che aprì una vertenza (un ricorso legale) per non passare sotto il controllo della Provincia. Terza e non ultima peculiarità, tra i 71 manicomi italiani era uno dei pochi situato nel centro storico della città, esteso su 14 ettari, con 31 edifici costruiti. Tutte queste specificità messe insieme spiegano la difesa estrema messa in atto a Siena da più parti contro l’applicazione della legge 180: un insieme di interessi, vantaggi, prebende, comodità solidamente acquisite, come vedremo più avanti, a cui non si voleva rinunciare. A difesa di una fortezza vuota.


Istituzioni totali 1961

“Asylums” è il titolo di un libro straordinario, uscito nel 1961, che nasce da una indagine sul campo, condotta da Erving Goffman tra il 1955 e il 1956, nell’Ospedale Psichiatrico di St. Elisabeths, Washington D.C., dove all’epoca erano internate circa 7 mila persone. Le istituzioni sociali in generale, e gli ospedali psichiatrici in particolare, vengono analizzati con lo scopo precipuo di mettere a fuoco il mondo dell'internato e gli strumenti che caratterizzano il suo funzionamento. Egli realizza una descrizione di ciò che 'realmente succede' in un'istituzione totale, al di là delle retoriche scientifiche, terapeutiche o morali con cui chi detiene il potere nell'istituzione, giustifica la degradazione degli esseri umani che solitamente avviene in quei luoghi.Nel volume si prendono in considerazione cinque diversi tipi di istituzione totale e ci vengono descritti i meccanismi coercitivi, che vengono messi in atto in istituti per ciechi, vecchi, orfani e indigenti; nei sanatori per tubercolotici, negli ospedali psichiatrici e lebbrosari; nelle prigioni, penitenziari, campi per prigionieri di guerra, campi di concentramento; nei collegi, furerie militari, navi, campi di lavoro, piantagioni e grandi fattorie; nei monasteri, abbazie, conventi ed altri tipi di chiostri. L'attenzione di Goffman si sofferma, in particolare, sui meccanismi totalizzanti che agiscono nei manicomi. Egli dimostra infatti che il malato mentale è di fatto espropriato della propria cultura, della possibilità di mantenere una propria autonoma personalità, della capacità di avere qualcosa da manifestare, di prendere posizione, di mantenere un qualche equilibrio tra identificazione o opposizione con l’organizzazione alla quale appartiene.

L’istituzione totale azzera il senso di sé, impedisce ogni distinzione tra presa di ruolo e distanza dal ruolo, non lascia spazio per la personalità dell’individuo, che diventa destinatario di una violenza istituzionalizzata che distrugge ogni suo barlume di umanità e di razionalità. È il paradigma della struttura piramidale del potere.


Fortezza vuota 1967

“La fortezza vuota”è il titolo di un libro di Bruno Bettelheim sull’autismo infantile, pubblicato nel 1967. La metafora è quanto mai accattivante, dato che illustra il vuoto di relazioni in cui vivono questi bambini quando la madre rifiuta il proprio bimbo, fino al punto di non accettarne l’esistenza. Per la famiglia il bimbo è soltanto una bocca da sfamare e un pannolino da cambiare, non lo vedono come un essere umano. La mamma “frigorifero” è appunto disposta a dare cibo, ma non calore. Il bimbo non impara ad interagire con la madre e col padre, finendo per determinare un carattere meccanico anche in tutte le altre relazioni. La mancanza di calore affettivo si ripropone, si riproduce e si conferma in tutte le “relazioni” fino al punto da non essere nemmeno più percepite e vissute. Questa totale freddezza favorisce e determina alla fine una totale assenza “del sé”, da poter confrontare con “gli altri”.Negli anni le tesi dello studioso americano sono state criticate e riconosciute del tutto inaffidabili, ma la “fortezza vuota” rimane una delle immagini più precise e commoventi, per descrivere la mancanza di senso che rischiano di avere le nostre azioni quotidiane. La paura, l’insicurezza e l’opacità̀ del mondo possono portarci a rinchiuderci dentro di noi, a costruire una fortezza che tenga fuori la realtà̀ e gli altri. Ma, se non si accetta di “stare al mondo”, e di aprirsi ai valori, ai messaggi, ai significati degli altri, i nostri comportamenti perdono di significato, divengono stereotipati e compulsivi, costringendoci ad immani fatiche per difendere il vuoto. La teoria di Bettelheim confermava in realtà quanto aveva già sostenuto S. A. Szurek nel 1956. Le sue ”madri frigorifero” descrivevano madri con uno stile relazionale improntato ad indifferenza, distacco, insensibilità, rigidità, incapacità di comunicare in maniera aperta e sincera, di sorridere e giocare con il proprio bambino.Se la fortezza vuota, non vale ormai più per spiegare l’autismo infantile, che ha decisamente ben altre cause, purtuttavia descrive con estrema precisione l’atteggiamento “Terapeutico” che esisteva ed esiste tutt’ora nelle Istituzioni Totali.


Che cosa è la Psichiatria 1967 Manuale critico di Psichiatria 1975

Franco Basaglia nel 1961 aveva vinto il concorso di direttore nell’ospedale psichiatrico di Gorizia, dove avviò l’esperienza di apertura del manicomio, divenuta nota attraverso due libri. “Che cos’è la psichiatria?” del 1967 e “L’istituzione negata” del1968. Ebbero tutti e due un impatto straordinario. Otto edizioni di cui due nel corso del ‘68, migliaia di copie vendute, premio Viareggio per la saggistica nel ‘68, rapidamente tradotto in francese, tedesco, olandese, finlandese. Nello stesso anno uscì un altro libro di grande successo, “Morire di classe. La condizione manicomiale fotografata da Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin”. Per la prima volta immagini vere, dei matti e dei manicomi, venivano svelate e portate fuori dalle mura chiuse che le nascondevano, negandole, ed erano sbattute in faccia a tutti, mostrando tutta la loro violenza e la loro crudeltà. In “La maggioranza deviante”, pubblicato nel 1971, Franco Basaglia analizza, con l'aiuto di eminenti contributi, la tipologia della devianza e il suo inserimento all'interno del contesto psichiatrico, sociale ed economico.Nel momento storico in cui gli autori scrivevano, il fenomeno delle devianze era troppo spesso, nel nostro Paese, "relegato" all'interno dell'ideologia medica o giudiziaria, senza avere alcuna valenza di tipo sociologico, come stava invece iniziando ad accadere negli Stati Uniti. In Italia, la cultura psichiatrica si allineava alla situazione economica, e considerava la diversità come un'esasperazione della differenza tra gli opposti, tra salute e malattia, norma e devianza.Un grosso problema che Basaglia mette in luce è costituito inoltre dall'organizzazione sociale, perché la vecchia ideologia custodialistico-punitiva è insufficiente alla totalizzazione del controllo, in corrispondenza con lo sviluppo del capitale.Non esiste una qualificazione precisa in cui inquadrare il deviante e, inoltre, sancendone l'interdisciplinarietà tipologica, si stabiliscono i limiti e le modalità delle sue azioni, riducendo o cancellando qualsiasi significato implicito nel suo comportamento.

Giovanni Jervis arrivò a Gorizia nel settembre 1966ed ebbe così modo di collaborare con specialisti (Agostino Pirella, Antonio Slavich, Lucio Schittar, Domenico Casagrande) che sarebbero diventati protagonisti della lotta contro i manicomi. In questo gruppo si condivideva il significato umano delfare psichiatria e l’opportunità di sperimentare analisi politiche e culturali del tutto nuove. Apprezzò l’intelligenza, la cultura e la spregiudicatezza del suo leader, al quale attribuì il merito della trasformazione dell’ospedale; ma anche ne criticò e subì l’autoritarismo nella direzione, la scarsa propensione ad accettare punti di vista diversi, e l’appiattimento sulla dimensione istituzionale. Per lui era sbagliato ripiegarsi in uno spazio riformista chiuso fra le mura manicomiali, incapace di considerare la dimensione sociale della psichiatria. Una prassi indubbiamente importante, che trascurava le elaborazioni tecnico-scientifiche a favore del volontarismo o di generici proclami antistituzionali. L’équipe goriziana, già divisa da dissensi e tutt’altro che omogenea politicamente, aveva già iniziato a dividersi: una diaspora non certo negativa. E così dal 1969 e fino al 1977 Jervis accetta un’offerta assai anomala della provincia di Reggio Emilia. Non dirigere l’ospedale psichiatrico di San Lazzaro, ma attivare un intervento territoriale, fuori da ogni contesto ospedaliero, ed anzi, in alternativa alla istituzione psichiatrica stessa. Un’azione da realizzare creando servizi decentrati di igiene mentale, con una serie articolata di interventi capaci di curare e riabilitare i portatori di problemi senza il manicomio. Una impostazione non condivisa dalla maggioranza antimanicomiale di allora. Con Jervis peraltro, la presenza di ricoverati al San Lazzaro passa in 8 anni dai 2400 del 1969 ai 150 del 1977, mentre gli assistiti dai sevizi psichiatrici passano da 150 a 1800.


L'assistenza psichiatrica a Siena prima della 180

Negli anni sessanta del secolo scorso, prima delle leggi di riforma, l’assistenza psichiatrica a Siena era solidamente e solidalmente gestita da due istituzioni secolari. L’Ospedale Psichiatrico San Niccolò, della Società di Esecutori di Pie Disposizioni, che con circa 1000 posti letto, si prendeva cura di malati provenienti da Siena, Grosseto, Viterbo, e da altre parti d’Italia. La Clinica delle Malattie Nervose e Mentali dell’Università di Siena che, con circa 45 posti letto, gestiva al Santa Maria della Sala la “piccola psichiatria”. E trasferiva immediatamente al Manicomio i pazienti che manifestavano comportamenti disturbanti o pericolosi. L’Ospedale Psichiatrico da parte sua, aveva anche iniziata una attività ambulatoriale, aperta naturalmente a chiunque si presentasse al suo Centro di Igiene Mentale.Nella seconda metà degli anni sessanta l’Università si impegnò per avere una sua Clinica Psichiatrica con 30 posti letto, destinata al neo Cattedratico di Psichiatria. Clinica di fatto già operativa nel 1970, che accoglieva pazienti con problemi mentali sia ricoverati direttamente, sia per trasferimento dalla Clinica delle Malattie Nervose e Mentali. A sua volta peraltro aveva a disposizione il trasferimento al Manicomio, per i casi più disturbanti, pericolosi, difficili e impegnativi. Il cattedratico Universitario per cui il reparto di trenta posti letto era stato già attivato, fu chiamato all’inizio del 1973 ad un’altra sede universitaria. Il medico aiuto-ospedaliero fu così riconosciuto valido e immediatamente, e inaspettatamente, nominato responsabile del reparto non più clinica universitaria, bensì reparto ospedaliero ribattezzato nell’occasione semplice Divisione di Psichiatria al Santa Maria della Scala.Nel 1975 L’Amministrazione Provinciale di Siena, stanca diessere soltanto ufficiale pagatore dei ricoveri in O.P., decise di dotarsi di un proprio Centro di Igiene Mentale, per costituire un argine, un ostacolo, una pistola puntata contro, il Manicomio. Non era facile. Con un medico, una psicologa, un neuropsichiatra infantile e tre assistenti sociali opporsi, e contrastare efficacemente, l’insieme storico e consolidato di Enti e Servizi da sempre organizzati a gestire direttamente i casi psichiatrici più semplici e ad inviare all’OP quelli impegnativi. (Tab. 1)

tabella 1


Legge 180 del 1978: caratteristiche

La leggenumero 180 del 13 maggio 1978, fu materialmente scritta dallo psichiatra e politico democristiano Bruno Orsini. Era necessario evitare il referendum popolare, già stabilito per abrogare alcuni articoli essenziali della legge manicomiale del 1904. La 180 fu poi inglobata nella legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, approvata il 23 dicembre 1978. Di fatto questa legge:

Nel 1978 solo il 55% delle province italiane aveva egestiva direttamente il proprio manicomio. Il 18% era convenzionato con strutture privatee il 27% si avvaleva dellestrutture di altre province.Questa diversità imponeva l’applicazione di strategie diverse, a seconda delle diverse realtà. Modelli differenziati per creare nel territorio i servizi alternativi al manicomio. L’Amministrazione Provinciale che gestiva l’OP coi malati provenienti solo dal proprio territorio (Trieste) poteva impostare e realizzare una prassi operativa diversa rispetto alla Provincia che aveva i propri malati ricoverati in una Struttura privata. Diversa ancora la situazione di una Provincia che doveva confrontarsi con una gestione manicomiale che ospitava soggetti provenienti da due, e talvolta anche tre Province. Una quarta possibilità era quella di creare un servizio territoriale ex novo (Pordenone) senza la presenza in loco di un manicomio.


Applicazione della Legge 180 a Siena

Anche la legge 180 non riuscì a modificare alcunché a Siena. L’Assessore alla Sicurezza Sociale della Provincia, piuttosto combattivo e intransigente, all’inizio degli anni ’80, definiva il Manicomio ormai un “ostello” con “tariffe da Hilton”. Gli ostelli erano un tipo di abitazione piuttosto modesta, con servizi assai ridotti, letti a castello, camerate riempite di giovani autostoppisti in giro per l’Europa, molto in voga quei tempi, dove però la Provincia pagavatariffe quotidiane uguali a quelle richieste ai clienti per la lussuosa ospitalità offerta negli hotel di lusso, gestiti dalla mitica catena di alberghi “Hilton”, distribuiti allora in Italia e in tutto il mondo.Le risorse per applicare la legge dovevano ovviamente essere recuperate riciclando, su nuove strutture e presidi organizzati ex novo, e distribuiti in tre province, le risorse economiche che venivano impiegate sulle precedenti iniziative terapeutiche ed assistenziali. In primis, ovviamente, nei ricoveri all’Ospedale Psichiatrico. Semplice, in teoria, ma non automatico. SI PONE quindi LA DOMANDA più importante. Come mai l’OP di Siena non dimetteva i suoi degenti? Perché tutto questo impegno per MANTENERE IN VITA una struttura CONTRO UN NEMICO inesistente? A che scopo questa GUERRA per difendersi da UNA FINE annunciata ed INEVITABILE?


Specificità della situazione senese rispetto al resto della Toscana

Abbiamo già accennato alle specificità della situazione senese, dove nulla succede per tre anni dalla approvazione della legge 180. Tutto è fermo per tre lunghi anni,finché la politica riformista trova nel Presidente della Unità Sanitaria Locale il fulcro per cominciare a smuovere qualcosa. Questo è possibile perché l’Universitario, destinato a dirigere la neo Clinica Psichiatrica, decide di trasferirsi a Perugia. I trenta posti letto diventano così un reparto Ospedaliero, e vengono immediatamente trasformati nel ricovero per i malati, compresi soprattutto i TSO, che, provenienti dalla Province di Siena, Grosseto e Viterbo, dovevano essere comunque ricoverati. Viene così chiesta al direttore del Centro di Igiene Mentale la disponibilità ad impegnarsi per iniziare ad applicare anche a Siena, con tre anni di ritardo, la riforma della assistenza psichiatrica. E si attiva finalmente nel 1981 il SPDC, dove confluiscono il Centro di Igiene Mentale della Provincia, medici e infermieri del S. Maria della Scala e operatori volontari provenienti dal Manicomio. Come mai questi ritardi? Bisogna tornare alla particolarissima situazione della psichiatria senese DI ALLORA.La difesa del manicomio contro gli attacchi alla sua sopravvivenza, il suo isolamento e il suo rifiuto di collegarsi e trasferirsi all’esterno, il rifiuto “autistico” verso la realtà pericolosa, che minacciava la sue stessa esistenza, sono l‘immagine più immediata e realistica di quegli anni. Per descrivere, interpretare e arrivare a capire fino in fondo, questa difesa del manicomio contro un nemico che non c’è, bisogna ricorrere alle immagini più vere ed universali che ci hanno dato la letteratura e il cinema. Quelle che ci sono state date da IL DESERTO DEI TARTARI. Ma non va neppure dimenticata, d’altra parte, la fatica incommensurabile, dispendiosa, quasi inutile, di chi ha tentato di combattere contro questo nemico, contro questo ostacolo quasi onnipotente. La battaglia defatigante contro chi voleva difendere il proprio castello inaccessibile. L’impegno di chi ha lottato e combattuto contro la sopravvivenza di questa MONTAGNA INCANTATA. Bisogna avere una forza straordinaria, per rovesciare la realtà, la storia, il potere consacrato, strutturato e immarcescibile. Era, ed è, possibile una vera alternativa al manicomio?


Attuazione della 180 a Siena
La nascita della Psichiatria territoriale (Tab. 2)
La grande stagnazione

tabella 2


Si manifestano subito diverse e forti resistenze alla riforma

Bisogna nuovamente ripartire dalla particolare situazione della psichiatria a Siena, elencarne le specificità, raccogliere le diverse/molte concrete opposizioni al cambiamento, per capire le difficoltà ed i ritardi ad attuare la riforma psichiatrica.Le resistenze al cambiamento nascevano da elementi oggettivi e comprensibili, legate a fatti reali. La Società di Esecutori di Pie Disposizioni ricorse al TAR, contro il passaggio del Manicomio alla Amministrazione Provinciale. I lavoratori coinvolsero Sindacati e Partiti, contro il trasloco selvaggio all’Amiata, Grosseto e Viterbo, bacino di utenza di molti ricoverati allora nel manicomio. Il 2 luglio 1980 il Presidente della Amministrazione del San Niccolò certificava che “la Direzione Sanitaria non può distaccare personale medico dalla assistenza dentro l’Ospedale Psichiatrico”. In realtà nel 1980, nonessendoci stati nuovi ingressi dentro il manicomio, l’impegno lavorativo del personale medico ed infermieristico era meno pesante. Ma poi in quegli anni era anche piuttosto diffuso per il personale non medico un secondo lavoro, piuttosto conveniente. Non è detto che a Siena non ci fossero isolate e ridotte avanguardie dentro l’OP, a favore della 180, che avevano già realizzate iniziative antiistituzionali di notevole spessore. Ma l’enorme maggioranza era contraria. Di fatto, i primi trasferimenti di medici ed infermieri nella psichiatria territoriale dell’area senese, avvennero su base volontaria. E questi volontari dopo poco, ritirarono la loro disponibilità e il 17 marzo 1982 minacciarono di rientrare in O.P., in mancanza di locali e di automezzi, necessari per poter intervenire e operare nel territorio, lì dove era richiesta la loro prestazione.


Altri piccoli fatti, non da tutti conosciuti

Ma non si può neanche ignorare che dentro l’OP ci furono anche medici, due medici, che confermarono ogni settimana e per anni il TSO ai ricoverati nel proprio reparto. Va anche ricordato che all’ingresso dell’OP c’era, negli anni d’oro del Manicomio, uno SPORTELLO del Monte dei Paschi. Lì i dipendenti potevano ritirare il proprio stipendio ed avere il proprio libretto di deposito. Anche i matti, tutti riconosciuti INVALIDI CIVILI CON ASSEGNO DI ACCOMPAGNAMENTO, avevano un personale libretto di deposito. Che si incrementava coi mesi e con gli anni, fino anche alla morte. I parenti non particolarmente motivati a riprendersi a casa un parente magari anche un po’ deteriorato, o rimbambito dai farmaci, o dalla senilità, aspettavano, e alla fine, ereditavano anche delle belle somme. Con la fine del manicomio vennero trasferiti al Comune di Siena i depositi dei matti, morti senza eredi. Era una bella sommetta, e gli amministratori dell’epoca, anche su mia personale soffiata, decisero di comprare degli appartamenti, dove inserire pazienti dell’OP che venivano così trasferiti e riabilitati in questi alloggi assistiti. Si potevano comprare 12 appartamenti, in una nuova zona residenziale, costruita da una cooperativa in periferia, molto vicino a Siena. Però i soci della Cooperativa si opposero, preoccupati che con tale inserimento, il valore delle loro abitazioni potesse risentirne. Passati due anni, gli Amministratori Comunali tentarono un nuovo acquisto, in una zona meno periferica. Si potevano avere solo tre appartamenti, però abbastanza più grandi. Ma anche qui il fronte dell’accoglienza, o meglio quello del rifiuto, ebbe il sopravvento.A quel punto l’eredità dei matti, fu dirottata su altre iniziative di tipo socio assistenziale, anche fuori Siena. Molti e importanti furono, in quegli anni, gli interventi realizzati con quella eredità anonima. Ne ricordo soltanto uno, con particolare affetto: il finanziamento di un corso di preparazione al parto, in un Distretto a sud di Siena, per aiutare le mamme a partorire e prendersi cura di neonati sani e felici. Allora era abbastanza una novità.


Verifica sulla attuazione della Legge 180 in Toscana nel 1988

Nonostante le difficoltà, gli ostacoli, le opposizioni a qualsiasi cambiamentoanche a Siena, negli anni ottanta, l’assistenza psichiatrica nel territorio, prese l’avvio con un certo entusiasmo e una lodevole disponibilità. Ma ben presto si arenò. La nostra diagnosi, la nostra sensazione, la valutazione sui rallentamenti, venneconfermata ed esplosequalche anno dopo, anche a livello regionale. (Tab. 3)

tabella 3

Il sogno di aggredire e rovesciare la istituzione manicomiale è ormai infranto.


"La Piramide Rovesciata": il progetto del 1981 non è stato realizzato

“I malati gravi e cronici, insieme a quelli aggravati e cronicizzati dai meccanismi della istituzione totale, abitavano dimenticati il manicomio. Ora i malati gravi e cronici devono essere curati nel territorio, col rischio di essere nuovamente ignorati in un luogo distratto e disattento ai loro bisogni, preoccupato soltanto della loro diversità disturbante e talvolta pericolosa. La follia ormai non abita più qui. Non può essere più nascosta, chiusa dentro le mura di una costruzione difensiva che proteggeva la comunità sequestrando il diverso. Il manicomio, piramide eretta dalla psichiatria del passato, struttura perfetta della autocelebrazione, monumento alla certezza della scienza e del progresso, simbolo liberatorio e rassicurante, non è stato sostituito nella coscienza collettiva da altri simboli. Difatto il territorio non ha accolto la follia, non la comprende, non la riconosce come propria, ne ha sempre e soltanto paura. Il territorio è un deserto dove non nascono spontaneamente spazi per capire e aiutare la follia. Le strutture alternative per i malati gravi e cronici, se ci sono, sono oasi rare, sparse, incerte, sorte con difficoltà, sulla improvvisazione, dalla necessità. Sono isole però dove spesso è nata e può crescere la nuova psichiatria: isole dove lo sviluppo di un sistema di relazioni, non si basa sulla competizione e sulla lotta, ma sulla convivenza e sulla alleanza, dove le risorse umane interne ed esterne all’individuo, si uniscono e cooperano, operano insieme con quelle degli altri.” Questo era stato all’inizio degli anni ’80 il nostro PROGRAMMA, sotto forma di desiderio, di obiettivo, di speranza, di SOGNO, realizzabile, irrealizzabile, amato, osteggiato, deriso, represso, negato, ripreso, riproposto più volte, ma mai dimenticato, per tanti e tanti anni dopo.Forse, soltanto adesso, nel 2018 si è realizzato. Come sempre succede per i sogni nutriti a lungo, più e più volte riproposti, e che soltanto quando si realizzano, si riesce a esprimerli, a viverli, a scriverli, a metterli finalmente da parte, e dimenticarli.Per la nostra sopravvivenza come psichiatri, per continuare a credere nei nostri ideali, avevamo necessariamente creato le nostre isole felici, le aree protette dove si potevano realizzare, almeno in parte, le nostre aspettative e le nostre verità. Lieben und arbaiten, il lavoro e gli affetti, una cooperativa e un circolo ricreativo, (aperti a tutti, abili, disabili, disoccupati, detenuti in liberta, matti e cosiddetti normali), testimoniano ancora oggi, la bontà del nostro impegno e delle nostre scelte, a partire dagli anni ottanta del secolo scorso. Avevamo creato le nostre isole, le nostre sicurezze, le nostre oasi nel deserto, le nostre alternative contro le cronicizzazione e l’abbandono, dove impegnarsi ed aiutare almeno alcuni dei molti emarginati.


È necessaria una ristrutturazione della Psichiatria

In verità erano state anche create delle strutture territoriali di un significato ben preciso, ridando la dignità di alloggio e di lavoro a dimessi dal manicomio. Ma il personale necessario a far funzionare le strutture alternative, quelle che dovevano veramente svuotare l’O.P., restavano sempre dentro l’istituzione totale, protettiva e comoda. Solo nel 1988, dieci anni dopo la 180, solo dopo la denuncia della Regione Toscana, un primario esce dal manicomio, e viene così incrementata e riorganizzata l’assistenza psichiatrica (più in generale gli interventi per la salute mentale) nella USL senese(tab. 4). Ma ciò basta? E’ sufficiente per smuovere e abbattere le resistenze al cambiamento? E quali e dove sono queste opposizioni che impediscono di modificare lo status quo ante? La riorganizzazione degli interventi di salute mentale a Siena e nel resto della unità sanitaria locale,non riuscirà purtroppo, neanche questa volta a svuotare il manicomio. E poi soprattutto Siena Nord e Siena Sud, rispetto alla val d’Elsa, val di Chiana e Amiata, avevano un problema in più, una caratteristica assai speciale. Che non era nota (o forse era volutamente oscurata) ai responsabili di allora, e che permetteva di addossare ai tecnici gli immobilismi e le carenze dei servizi psichiatrici. Chiunque, se malato e bisognoso di assistenza, potendo scegliere, preferiva farsi seguire ed eventualmente ricoverare in un Ambulatorio e in una Clinica Universitaria, piuttosto che nei 14 letti dell’SPDC, dove talvolta dovevano essere custoditi e curati, nello stesso tempo,contemporaneamente, anche 4 pazienti in TSO, piuttosto movimentati e imprevedibili. Meglio la Clinica Psichiatrica senza dubbio.

tabella 4

Sarà questa la volta buona per dar vita finalmente ai servizi per la salute mentale previsti, programmati e imposti dalla 180? Non proprio! Ci vorrà un fotografo, per far capire qualcosa di più. Per smuovere le acque.


Giovanni Santi: fotografo rivoluzionario

Le vere fotografie del Manicomio, insieme ai contributi e alle testimonianze di operatori e amministratori protagonisti della salute mentale di allora, diventano la chiara ed inequivocabile denuncia di una realtà ancora assai difficile, da vedere e da riconoscere. Nel gennaio del 1996 nel corso di un convegno organizzato dalla USL di Siena e dalla Regione Toscana, dal titolo “Chiudere il manicomio per non aprirne di nuovi” emergono dei fatti piuttosto significativi. In particolare la mancanza da parte degli operatori del San Niccolò di qualunque progetto organico per la sua chiusura. E soprattutto la relazione della Direttrice dell’epoca, che affida la chiusura dell’ospedale alle “dimissioni biologiche” dei suoi ospiti. In effetti al momento dell’entrata in vigore della 180 nel San Niccolò erano presenti 879 degenti e la lenta diminuzione verificatasi era dovuta più a decessi che non a dimissioni. La Commissione Regionale per il superamento degli O.P. visita successivamente il San Niccolò e descrive “una situazione non certo d’abbandono ed indifferenza. L’Ospedale Psichiatrico appare vivo e funzionante. I reparti non sono per nulla abbandonati, e vengono gestiti e tenuti in funzione in una dimensione culturale e operativa del tutto manicomiale. E’ presente e attiva una opposizione di tipo ideologico alla chiusura dell’O.P. Questo spiega, piuttosto dettagliatamente, la situazione senese per quanto riguarda le resistenze manicomiali al cambiamento. Ma vi erano anche ulteriori difficoltà, dovute ad un’altra presenza, molto forte e altamente qualificata a Siena. “Da sottolineare anche il forte incremento della attività della clinica psichiatrica dell’azienda ospedaliera (cioè più esplicitamente della Clinica Psichiatrica Universitaria collocata alle Scotte), mentre i ricoveri per i malati seguiti dalla psichiatria dell’USL avvenivano presso l’Ospedale Sclavo. Due ospedali diversi, due sedi diverse, e quindi due psichiatrie diverse, come sempre nel secolo scorso. Terza e non ultima difficoltà quella legata alle complesse problematiche della integrazione fra ricovero ospedaliero e interventi territoriali. Problema questo, della completa assenza dal territorio della psichiatria Universitaria, contestato e denunciato allora con forza, ma soltanto ora, dal 2010 riconosciuto, accettato e risolto dalla Università.


Interventi territoriali della Psichiatria senese negli anni ‘90

Nella tabella (tab. 5) possiamo vedere elencati i diversi tipi di intervento, attivi negli anni 90, che specificano e descrivono la dettagliata organizzazione territoriale del Dipartimento di Salute Mentale. Tutto questo doveva favorire, da una parte lo svuotamento dell’OP, e dall’altra la funzionalità di una rete di presidi territoriali, compresa la possibilità di trattamento ospedaliero, a difesa della salute mentale per tutta la popolazione dell’area senese. Così però non era.

tabella 5


Il DSM Siena non funziona discontinuità ospedale - territorio
Concorrenze e divergenze fra ASL e Università negli anni ‘90

Resistenze interne alla funzionalità del Dipartimento sono sempre più evidenti, e si assommano alle altre difficoltà. Il COORDINATORE del Dipartimento di IGIENE MENTALE, doveva COORDINARE la funzionalità e la collaborazione fra i sottoelencati Responsabili di Unità Operativa. Si trattava di far lavorare insieme OTTO PRIMARI, ciascuno responsabile del proprio servizio, con esperienze, competenze, valutazioni e ideologie del tutto diverse, spesso divergenti e talvolta opposte, ma sempre rispettabili. Per tutti gli anni novanta le riunioni del Dipartimento di Salute Mentale dell’Area Senese vedevano insieme:

Dott. F.S.: Direttore U.O. Psichiatria 2
Dott.sa P.M.: Direttore U.O. Psichiatria 3
Dr. P.P.: Direttore U.O. Psicologia
Prof. M.Z.: Direttore U.O. Neuropsichiatria Infantile
Sig.ra A.P.: Direttore U.O. Infermieristica Territoriale
Sig. V.F.: Direttore U.O. Riabilitazione Funzionale
Dr.ssa G.B.: Direttore U.O Assistenza Sociale Professionale
Dott.ssa L.C.: Responsabile salute mentale area funzionale Zona Amiata

Ma vi sono anche problemi con i responsabili della val d ‘Elsa, della val di Chiana e dell’Amiata, anche loro in carenza di strutture e di personale, e quindi “costretti” ad inviare a Siena i loro TSO. “Si produce così una rottura della continuità terapeutica tra la presa in carico territoriale e la gestione della crisi. Il paziente, proprio nel momento di maggioridifficoltà, quando deve essere ricoverato all’ospedale, non ha i medici e gli infermieri che di solito lo hanno in cura”. Viene da “loro” abbandonato proprio quando sta peggio.Questo naturalmente crea problemi sia per l’equipe inviante, che per la struttura ospedaliera che riceve il malato. La discontinuità “ospedale – territorio” crea inoltre all’SPDC di Siena difficoltà enormi nella gestione terapeutica dei degenti. Sono state denunciate (3 gennaio 1996) alla Direzione Sanitaria,le presenze contemporanee di 4 pazienti in TSO (su 14 ricoverati) inviati da Poggibonsi, Montalcino, Siena, e dalla Clinica Universitaria. La segnalazione di questo tipo di disservizi è stata fatta più e più volte, senza alcuna risposta. E questo nonostante le denunce, altrettanto frequenti, dei responsabili dei servizi territoriali delle zone di competenza. La Valdelsa (14 marzo 1996) comunicava una carenza di strutture e di personale tale da non permettergli più di gestire “in zona” i diversi problemi psichiatrici. Emergono inoltre altre divergenze, difficoltà, tensioni. La presenza della Clinica Psichiatrica Universitaria ha portato a Siena ad una peculiare organizzazione del pronto soccorso, gestito alternativamente ogni quindici giorni dal DSM o dall’Università, portando quindi a indirizzare gli utenti nelle due strutture di ricovero pubbliche esistenti (e concorrenti) a Siena : il SPDC della Asl e la Clinica Psichiatrica Universitaria. Una ulteriore e pesante disconferma della continuità terapeutica, una differenziazione fra pazienti collocati in un reparto di eccellenza, ovvero in una reparto normale, se non degradato e difficile per la presenza dei TSO.


Anno 2000: sopravvivenza e degrado del manicomio?

Il neo Direttore del DSM, di provata esperienza antiistituzionale, inviato a Siena con l’incarico di chiudere l’Ospedale Psichiatrico, descrivevacosì la situazione dentro il San Niccolò. Il reparto “Tamburini”, più orientato alle dimissioni, il “Ferrus” orrendo come ambiente ma semi-aperto, e due reparti di lungodegenza che ospitavano centosessanta persone, le quali si aggiravano ancora nude per gli stanzoni o indossavano delle strane tute blu inventate, dalla primaria, chiuse da una lampo sul retro, che li costringeva a defecarvi all’interno. Marito e moglie erano i responsabili dei due reparti, che ogni settimana, e per anni, confermarono il TSO per ognuno dei propri pazienti. In questo modo i territori dove questi pazienti dovevano essere reinserititi e riabilitati, avevano tutto il tempo necessario per costruire dei servizi migliori. I parenti che avrebbero dovuto in qualche modo partecipare alla gestione delle strutture di accoglienza, avevano la tranquillità che essendol’assegno di invalidità con accompagnamento, non speso e depositato in un libretto di risparmio del Monte, potevano anche col passar degli anni ereditare una notevole somma quando il loro parente, il più lontano possibile, fosse passato a miglior vita.


Anno 2007: blocco, stagnazione, immobilità

Nonostante la Direzione del DSM senese da parte di due responsabili di provata competenza antiistituzionale, quattro anni l’uno, due anni successivi l’altra, la relazione di Giuseppe Corlito dà in una fotografia (tab. 6), che è nel contempo una valutazione, piuttosto negativa, della realtà senese.

tabella 6

“L’organizzazione dei servizi di salute mentale nell’Area vasta Sud Est raggiunge il massimo del ventaglio disponibile: la ASL 8 ha un dipartimento organizzativo e budgetario; la ASL 7 – Siena non ha costituito alcun dipartimento; la ASL 9 ha un dipartimento di coordinamento tecnico-scientifico con un vecchio regolamento datato 1996.” Una sintesi da parte del Responsabile dell’Area Vasta Sud Est, che descrive a trent’anni dalla 180, la situazione totalmente BLOCCATA E ARRETRATAesistente a Siena.


Anno 2011: soluzione integrazione Università territorio

Bisogna arrivare al 2011 per avere finalmente “L’Università, mediante la Facoltà di Medicina, che assicurerà per la prima volta, anche l’assistenza in un territorio definito della Zona Senese mediante un’unica equipe pluriprofessionale, così come avviene negli altri territori dell’AUSL 7. Il DSM permette anche di garantire continuità terapeutico-assistenziale, sia nel passaggio dai servizi per l’infanzia a quelli per adulti, sia tra ospedale e territorio, con particolare attenzione alla prevenzione, agli interventi precoci, soprattutto in fase adolescenziale, di integrazione socio-lavorativa e di riabilitazione, in piena collaborazione con i medici di medicina generale e i pediatri” . Il MODELLO SENESE DI SALUTE MENTALE, primo e unico in Italia all’epoca, è dovuto alla intelligenza, alla volontà e alla disponibilità di Andrea Fagiolini, che realizza finalmente a Siena quello che per alcuni di noi era (“I have a dream”) un sogno senza fine.


Quello che resta oggi, nel 2018 a Siena

UTILI TESTIMONIANZE

Giovanni Jervis a Gorizia e a Reggio Emilia 1966 -1976

Il manicomio è un universo custodialistico, burocratico e pseudoscientifico, nel quale il potere del medico è assoluto e privo di verifiche, e lo scopo generale della gestione del malato è la disciplina e la tranquillità. La gestione quotidiana dell’istituzione in tutti i suoi dettagli minori segue una piramide molto rigida che riguarda sia gli infermieri (ciascuno dei quali è collocato, formalmente o informalmente, a un dato livello di potere) sia i pazienti stessi, fra i quali esiste sempre un ordine gerarchico informale preciso. Gli strumenti di disciplina si sono perfezionati rispetto a quelli – talora incredibilmente brutali – che venivano usati fino a pochi anni orsono, e sono ora divenuti anch’essi “scientifici”. Essi sono soprattutto il tipo di reparto a cui il ricoverato viene assegnato o trasferito (fra i vari reparti esiste sempre una gerarchia); gli psicofarmaci; lo elettroshock; la cella; la contenzione (legatura a letto o camicia di forza). Ma gli psicofarmaci, e in particolare i neurolettici, offrono ben altri vantaggi. Sono sedativi, provocano una diminuzione dei comportamenti più disturbanti per l’istituzione, e in forti dosi rallentano e bloccano la stessa motilità volontaria. Servono soprattutto alla istituzione, prima che al malato, e vengono prescritti con questa logica. Essi permettono meno sorveglianza, meno violenze dirette, meno “contenzioni”: ma spesso sono una vera camicia di forza farmacologica, che distrugge la psiche del paziente non meno che del suo fisico.

Manuale critico di psichiatria, Feltrinelli, Milano 1975


Marta Marri responsabile U.O. Psichiatria USL 28 Grosseto

Il nostro servizio si è costruito seguendo un itinerario accidentato in mezzo a mille difficoltà, incomprensioni e ritardi. Dovuti alla scarsa attenzione di politici distratti o scarsamente interessati al tipo di interventi che il CIM cercava di realizzare. Cosicché mentre gli operatori andavano costruendo ambulatori decentrati, effettuavano interventi domiciliari come pratica abituale e costante, iniziavano l’opera di deospedalizzazione che ha portato nell’arco di dieci anni ad avere uno dei più bassi indici di residuo manicomiale, vi era chi pensava e cercava di realizzare l’O.P. Provinciale , e mentre si misuravano col contagocce le risorse per il C.I.M. si apriva il Reparto Neuropsichiatrico all’O.C. di Grosseto che di fatto ha svolto prevalentemente attività psichiatrica, di piccola psichiatria fino al 1981, data in cui è stato istituito il Servizio di Salute Mentale.

L’assistenza psichiatrica a dieci anni dalla riforma. Provincia di Arezzo, Atti del Convegno, 1991


Marcello Nardini docente di Clinica Psichiatrica Università di Siena

Il docente universitario è costantemente diviso (incerto) “fra” l’essere un ricercatore, un formatore/insegnante ed un professore. L’Università deve integrare costantemente questi tre momenti stabilendo un flusso “dialettico” di rapporto, evitando che si creino “separate torri d’avorio”, utili unicamente a rinforzare e gratificare quelle “parti narcisistiche” contenute in porzioni diverse in ognuno di noi. Le leggi dello stato hanno negli anni portato alla creazione di due “corpi distinti” all’interno di uno stesso sistema destinato a creare una rete di servizi fruibili per i cittadini: uno destinato a preparare gli operatori e l’altro ad erogare il servizio attraverso l’utilizzo di quegli operatori dal primo preparati. L’Università per essere tale deve avere come riferimento (ideale con le caratteristiche del polo utopico) il mondo entro il quale scrivere una serie di “limiti” e di “confini”.

L’assistenza psichiatrica a dieci anni dalla riforma. Provincia di Arezzo, Atti del Convegno, 1991

L’intervento molto preciso e dettagliato dello psichiatra universitario senese, tenutosi ad Arezzo a dieci anni dalla legge 180, è già del tutto chiaro del fin dal titolo. ANALISI DEL RAPPORTO FRA UNIVERSITÀ E SERVIZI TERRITORIALI: RIFLESSIONI SULLA “CONVENZIONE” AL MOMENTO DEL “SUO ESSERE NORMA LEGISLATIVA” IN TOSCANA. Denuncia infatti le gravi difficoltà, i ritardi, le resistenze, l’immobilismo che rallentavano la realizzazione della riforma psichiatrica. I veti incrociati e gli scontri di potere fra le diverse realtà della psichiatria senese spiegano forse il doppio sorprendente rifiuto allora, da parte del titolare della cattedra di Psichiatria all’Università di Siena. “No a interventi organizzati di psichiatria nel territorio. No a ricoveri in T.S.O, nella Clinica Universitaria. Dal 1991 al 1994 titolare della Cattedra di Psichiatria all’Università di Siena, senza posti letto.Costretto quindi a praticare e a insegnare una psichiatria del tutto “sterilizzata”.


Paolo Castrogiovanni professore ordinario di Psichiatria Università di Siena

La psichiatria senese, che nasce come ordinariato solo nel 1995, ha cercato di aderire nel corso di questi anni, a quell’orientamento della psichiatria moderna che cerca di creare settori operativi d’intervento specifici e di determinarne una fusione stretta con la ricerca. Tale linea di lavoro risponde, da una parte, all’invito delle Aziende a incentivare le attività̀ super-specialistiche, dall’altra, agli obiettivi che la psichiatria, così come tutte le altre discipline mediche, s’impone per il raggiungimento di migliori risultati. Negli ultimi anni il nostro interesse ha privilegiato settori di ricerca piuttosto vari, primo fra tutti il capitolo dei Disturbi d’Ansia, nell’ambito del quale si è teso a delineare protocolli d’intervento specifici e attivare linee di ricerca sul piano clinico-biologico, dedicando però anche notevole attenzione all’approfondimento psicopatologico.

Contributo all’avanzamento delle attività superspecialistiche da parte della psichiatria universitaria senese. Firenze, 2007

Chiamato a Siena nel 1995 come Professore Ordinario per realizzare la Psichiatria UniversitariaDipartimento di Neuroscienze, Sezione di Psichiatria Università̀ degli Studi di Siena.


Christian G. De Vito

“Nel panorama manicomiale toscano era l’ospedale psichiatrico senese a presentare i connotati di maggiore chiusura. A ciò contribuivano la presenza in loco di una clinica universitaria di stampo tradizionale e lo statuto giuridico dell’ospedale psichiatrico stesso, gestito da un’Opera Pia e quindi non direttamente dipendente dall’Amministrazione Provinciale. Accettare la mobilità voleva dire per gli infermieri affrontare ogni giorno viaggi non brevi, oppure trasferirsi insieme alle proprie famiglie non solo nel territorio della Provincia di Siena, di Grosseto e metà di quella di Viterbo. Fu necessario incrementare gli incentivi economici. Resistenze alla mobilità potevano discendere anche dal peso dell’ospedale psichiatrico nella economia cittadina, e dalla presenza della clinica universitaria. L’Opera Pia a Siena poi aveva continuato ad assumere personale fino al momento del passaggio delle competenze alla Regione, procedendo anche alla nomina di molti primari, ciò che contribuì a immobilizzare la realtà manicomiale e ad impedire lo sviluppo dei servizi territoriali. L’inerzia delle istituzioni e il mancato collegamento con i servizi territoriali fecero del periodo 1983 -1993 una fase di sostanziale abbandono e di lenta trasformazione della struttura, dove gli ospedali psichiatrici diventarono luoghi di mera sopravvivenza e sorveglianza più che di riabilitazione sociale. Fu inventato il neologismo residui manicomiali che ben descrive la realtà di quel periodo.”

“I luoghi della psichiatria” Firenze, 2010

La sintesi più chiara, precisa e documentata delle resistenze senesi al cambiamento.


Riferimenti

1. Basaglia F,Che cos’è la psichiatria. Parma: Amministrazione Provinciale di Parma, 1967.

2. Basaglia F, L’istituzione negata. Torino: Einaudi, 1968.

3. Bettelheim B, La fortezza vuota: l’autismo infantile e la nascita del sé. Milano: Garzanti, 1976. New York 1967.

4. Buzzati D,Il deserto dei Tartari, Milano: Rizzoli, 1940.

5. Castrogiovanni P, Contributo all’avanzamento delle attività superspecialistiche da parte della psichiatria universitaria senese. Pegaso. 2007: 0 : 36-39.

6. Corlito G, Salute mentale e area vasta sud est. Pegaso. 2007: 0 : 25-27.

7. De Vito C G, I luoghi della psichiatria. Firenze : Polistampa, 2010.

8. Friscelli A, Vasconetto C, La piramide rovesciata, Siena 1995.

9. Goffman E, Asylums: Le istituzioni totali la condizione sociale dei malati di mente e altri internati. Torino: Einaudi, 1976.

10. Jervis G, Manuale critico di psichiatria. Milano: Feltrinelli, 1975.

11. Laureano P, La piramide rovesciata.Torino: Bollati Boringhieri,1995.

12. Mann T, La montagna incantata, Milano 1932

13. Marri M, Considerazioni sull’organizzazione del servizio di salute mentale dell’area grossetana (U.S.L.28) in applicazione della riforma. L’assistenza psichiatrica a dieci anni dalla riforma. Arezzo 1991:257:268.

14. Micheli G A, Il vento in faccia, Milano 2013

15. Nardini M, L’assistenza psichiatrica a dieci anni dalla riforma, Arezzo 1991

16. SANTI G, Tornare a vivere, Città di Castello, 2000

17. Zurlini V, Il deserto dei Tartari, Premio David di Donatello, 1976

10 novembre 2018 in ricordo di Augusto Gerola e Vittorio Meoni