Volume 17 - 3 Settembre 2018

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Da Basaglia ad Hudolin: verso una comunità ecologica

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Riassunto

I quaranta anni della legge 180 ci danno la possibilità di ragionare sulla nostra storia e sui processi di cambiamento culturali delle nostre comunità. Uomini di scienza come Franco Basaglia e Vladimir Hudolin hanno rappresentato con la loro vita ed il loro lavoro scientifico un cambio di paradigma, nell’ ambito della salute mentale e dei problemi alcol correlati, che ci ha dato opportunità di volgere il nostro sguardo verso una comunità ecologica.


Abstract

The forty years of Law 180 give us the opportunity to think about our history and the processes of cultural change in our communities. Men of science like Franco Basaglia and Vladimir Hudolin represented with their life and their scientific work a change of paradigm, in the field of mental health and alcohol related problems, which gave us the opportunity to turn our gaze to an ecological community.



Quaranta anni sono trascorsi da quando, il 13 maggio 1978, viene approvata la legge 180, assorbita nel dicembre 1978 dalla legge 833 istitutiva del Sistema Sanitario Nazionale. Una legge nata in Italia dal cambiamento della cultura comunitaria e sanitaria incarnato nell’ambito della Salute Mentale dallo psichiatra Franco Basaglia e dal gruppo di colleghi che si formò in quegli anni. Una legge che era quanto di meglio si potesse ottenere da una classe politica attenta alle innovazioni del pensiero ed ai diritti dei cittadini senza dimenticare la cultura da cui si proveniva. (1) Un cambiamento di paradigma: la persona con problemi psichici non è più, in quanto tale, considerata pericolosa per sé e per gli altri o di pubblico scandalo e per tali motivi ricoverata in maniera coatta dalla pubblica sicurezza. Con la 180 il trattamento dei disturbi psichici diventava volontario e solo eccezionalmente poteva essere imposto con il trattamento sanitario obbligatorio (che non era più un provvedimento di natura poliziesca, ma puramente sanitario). Scompare il concetto di pericolosità associato alla sofferenza psichica e la conseguenza di questo è che l’obbligatorietà delle cure è attuata per una questione terapeutica e per un dovere etico e non per tutelare la società dal pericolo della persona in crisi.

Vengono chiusi progressivamente (in alcuni casi dopo venti anni dal varo della Legge di Riforma, come a Siena ad esempio) gli ospedali psichiatrici e le persone con problemi di salute mentale hanno la possibilità di riappropriarsi dei diritti di cittadinanza.

Come possiamo immaginare non sono stati passaggi automatici e semplici da attuarsi ed il cambiamento della cultura comunitaria all’interno della quale ci si confrontava con la legge non è stata scevra di contraddizioni; contraddizioni presenti ancora oggi.

Chi lavora nell’ambito dei contesti sanitari che si occupano di salute mentale non può non accorgersi di come i pregiudizi, “la pancia della società”, la tendenza al riduzionismo scientifico e giurisprudenziale sono sempre presenti ed a volte hanno un peso maggiore delle leggi e dei principi etici e di come l’istituzionalizzazione non è morta con la chiusura degli ospedali psichiatrici.

Possiamo fare un parallelismo storico ed antropologico con un altro mondo: quello delle sofferenze alcol correlate. E non possiamo parlare delle persone con problemi legati all’alcol senza ricordare un altro psichiatra nato in un periodo (1922) ed in un luogo (Ougolin in Croazia) non molto distanti da quelli di Franco Basaglia (nato a Venezia nel 1924): Vladimir Hudolin.

Nato da umile famiglia, Il padre morì molto giovane per problemi alcol correlati. La storia familiare senza dubbio ha determinato gli interessi e le scelte professionali successive del professore.

Visse gli orrori della seconda guerra mondiale che lo videro critico nei confronti del regime nazionalsocialista croato, subì un periodo di carcerazione allora (comunicazione personale G. Corlito). Laureatosi nel 1948 in Medicina, si specializzò in neuropsichiatria nel 1951. Hudolin si formò secondo il metodo psicoanalitico in Inghilterra ed in Svezia. In Inghilterra in particolare ebbe l’occasione di lavorare con gli psichiatri più noti del momento. Fra questi Melanie Klein; Joshua Bierer, che teorizzò i club socio terapici per dimessi dagli ospedali psichiatrici e familiari fondati sull’esperienza avuta nei Kibbutz israeliani; Maxwell Jones, ideatore della comunità terapeutica.

Negli anni 1952/53 è borsista dell’OMS in Gran Bretagna e Svezia, partecipando attivamente al movimento denominato «Open Door Policy in Psychiatry», che si andava sviluppando in quegli anni, soprattutto nel Regno Unito. Proprio a Londra, Hudolin conosce lo psichiatra italiano Franco Basaglia, con cui inizia una proficua relazione e una duratura amicizia che proseguirà, con frequenti scambi di visite, anche dopo il loro rispettivo ritorno in patria.

Siamo in un periodo storico in cui le persone con problemi alcol correlati venivano ricoverate nei luoghi istituzionali della psichiatria senza un percorso specifico successivo, con tassi di mortalità giovanile molto elevati. Agli inizi del Novecento una parte significativa della popolazione manicomiale era diagnosticata come “alcolista”.

Prima della comparsa degli ospedali psichiatrici le persone con problemi di salute mentale e quelle con sofferenze alcol correlate erano accomunati dallo stigma sociale e trattati come criminali. La creazione in Europa dei primi manicomi fra la fine del 1700 e gli inizi del 1800 e la nascita della psichiatria, hanno permesso di affrancare queste persone come malate . Pinel, introdusse il concetto alla fine del 1700, di curabilità, anche se basato sull’isolamento dal mondo esterno (2).

Chi aveva tali sofferenze quindi era allontanato dalla comunità in un luogo altro, in una comunità a parte ed in alcuni contesti storici alienato anche fisicamente.

Con l’avvento del nazionalsocialismo, ad esempio, la psichiatria in Germania aderì al progetto di Hitler di salvaguardare la razza ariana ed i malati mentali e le persone con problemi alcolcorrelati furono sterilizzati ed uccisi con l’ottica di tutelare la stirpe dalle malattie ereditarie (circa 60000 morti). Lo stesso Hudolin (4), sostiene che il rifiuto del manicomialismo come fenomeno planetario è una conseguenza della lotta contro il nazismo e i suoi lager, troppo somiglianti ai manicomi per essere accettati dalla coscienza civile post-bellica.

Nel 1948 (2) “l’alcolismo” comparve come disturbo psichiatrico nell’ International Classification of Diseases (a cura dell’OMS) nella sesta edizione. Già nel 1951 l’OMS (che annoverava fra i suoi esperti Jellinek), espresse la prima definizione di Alcolismo: “Viene motivo considerato alcolista colui il quale consuma alcolici in maniera eccessiva e che, per questo, sviluppa una dipendenza psichica e fisica dall’alcol e manifesta disturbi psichici e/o fisici e/o comportamentali che rivelano alterazioni della salute fisica e psichica, difficoltà nelle relazioni interpersonali e problemi nella sfera sociale”.

Nel 1952 comparve nel DSM-I (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) a cura dell’APA (American Psychiatric Association) come Disturbo Mentale.

Nel 1963 Jellinek, fra i fondatori della moderna Alcologia, sviluppò il concetto di Alcolismo come malattia. Jellinek oltre a classificare vari quadri clinici legato all’uso di alcol definì in maniera ampia il bere come fattore di rischio comunitario addebitando ad ogni consumo di bevande alcoliche un qualche danno all’individuo, alla società o ad entrambi.

In quegli anni in Europa cominciarono a svilupparsi proposte per la liberazione delle persone con disturbi mentali dai manicomi favorite dall’ uso dei nuovi psicofarmaci, dall’introduzione del modello della Comunità Terapeutica e dalla psicoterapia sviluppatasi sulle orme della lezione freudiana (è un' ipotesi di Hudolin). Negli intenti di Maxwell Jones che ne ha sviluppato i concetti, la Comunità Terapeutica era fatta da un gruppo di persone con scopi comuni e con forti motivazioni a provocare un cambiamento del comportamento di ogni membro del gruppo (3).

Sono le esperienze culturali in cui si forgia come uomo e professionista Hudolin. Dopo l’esperienza in Inghilterra, Hudolin rientrato a Zagabria, nel 1959 a 37 anni venne nominato direttore del reparto di neuropsichiatria del policlinico “Dott. Mladen Stojanovic”, dove introdusse il sistema “open door policy in psychiatry” . A Zagabria “gli alcolisti” venivano ricoverati per tre- quattro settimane, con un programma di disintossicazione, poi venivano dimessi. I re-ricoveri dopo uno-due mesi erano frequentissimi. Hudolin quindi cambiò i programmi, separando l’alcologia dalla psichiatria, applicò i principi della Comunità Terapeutica e realizzò piccoli gruppi i “Klub liyecenih alkoholicara”, in Italia successivamente introdotti come “Club degli Alcolisti in trattamento” (1979), fuori dalla struttura ospedaliera con il coinvolgimento delle famiglie e di un “terapeuta” (1964). Vennero inoltre strutturati in ospedale diversi livelli di intervento: l’ambulatorio , il Day Hospital, il Dispensario ed il ricovero di fine settimana.

Hudolin inizialmente era convinto che l’alcolismo fosse una particolare malattia per la quale occorreva trovare cure specifiche, differenziate da quelle psichiatriche. I buoni risultati ottenuti e la fama mondiale lo portarono ad essere nominato membro del gruppo degli esperti dell’OMS per l’alcolismo e le altre dipendenze (dal 1965 al 1992).

Con Bierer e Masserman diede avvio al movimento della psichiatria sociale, che proponeva l’organizzazione dei trattamenti psichiatrici nella comunità, ad adottare l’approccio multifamiliare al fine di costituire una comunità competente capace di individuare sia i problemi che le risorse per affrontarli. In ambito alcologico Hudolin affermava che “la moderna psichiatria di comunità individua le cause e lo sviluppo dei disturbi alcol correlati nei rapporti sociali e tenta di contrastarli agendo all’ interno della comunità in cui l’uomo vive e lavora, attivando programmi di prevenzione primaria, secondaria e terziaria”. La Comunità Terapeutica diventa un grande laboratorio sociale in cui “vivere e apprendere”, “..una comunità di persone che discutono liberamente cercando di approfondire certi temi, onde imparare dagli altri e facendo proprio quello che si può constatare in quell’ambiente. Se l’atmosfera è accettante, vi è la possibilità di modificare il proprio comportamento contingente” (1984).

In questa ottica, il problema alcol correlato non veniva più considerato un problema individuale ma familiare, le persone coinvolte (ovvero tutta la famiglia) non dovevano più delegare al medico o ad altri professionisti la soluzione delle loro difficoltà, bensì diventare attori protagonisti del loro cambiamento. Gli interventi sanitari dovevano ridursi alla stretta necessità perché il problema non era solo un problema sanitario.

Hudolin coinvolgeva figure professionali differenti formate da lui e preparate a lavorare secondo il suo metodo. Diede sempre grande importanza alla ricerca per valutare e monitorizzare i risultati ottenuti (sua è l’introduzione del Registro degli alcolisti ospedalizzati della Repubblica Socialista Crosta) (3).

Nel primo congresso (2) Italo Yugoslavo dei Club degli Alcolisti in Trattamento tenutosi (1985) ad Abbazia in Istria, Hudolin introdusse il concetto di stili di vita ed i punti fermi del nuovo approccio: l’Approccio ecologico sociale che si basava sul lavoro dei Club. Secondo il professore i problemi alcol correlati sono un effetto indesiderato del bere, sono problemi del comportamento socialmente accettati, ad alta prevalenza ed incidenza, che riguardano un grandissimo numero di persone. Il termine “alcolismo” è un legame specifico fra l’uomo e l’alcol ed alla medicina spetta la soluzione delle complicanze fisiche e/o psichiche che ne possono derivare. Approcci come quello psicanalitico e la terapia familiare o di gruppo sono poco applicabili su larga scala e fruibili da un numero ridotto di persone. Ogni essere umano fa parte di un gruppo sociale, primo fra tutti la famiglia che a sua volta è un sottosistema della comunità. “L’alcolismo” è un problema sistemico, che riguarda tutto il sistema con il quale l’individuo si trova in relazione. I problemi alcol correlati sono espressione di uno stile di vita che riguarda tutta la famiglia ed il cambiamento degli stili di vita non si può definire cura. Viene, così, a perdere ogni importanza la differenza fra uso e abuso.

Il CAT, fulcro dei programmi alcologici territoriali, è un sistema semplice che attivato produce buoni risultati dovunque. Basa la propria attività sui principi della Comunità terapeutica ma non lo è propriamente in quanto è parte della Comunità locale: È un laboratorio umano in cui è possibile cambiare stile di vita senza emigrare dal contesto sociale dove le relazioni significative risolvono i problemi e li prevengono offrendo il vero riferimento per il cambiamento. Nel CAT la famiglia crea una nuova cultura della convivenza e gradualmente entra nella comunità multifamiliare territoriale (5).

Questo salto di paradigma mise in crisi la medicina e la psichiatria ufficiale, ma anche le persone con problemi alcol correlati abituate a sentirsi dei malati e per questo assolti dalle responsabilità. Una comunità in cui si beve alcol produce sofferenze alcol correlate e proprio per questo Hudolin introdusse il concetto di interdipendenza che sancisce il principio etico della corresponsabilità, cioè che tutti siamo responsabili di tutti. Il Club smise di essere un gruppo terapeutico o di auto aiuto e fu concepito come una comunità multifamiliare fatta di famiglie con problemi alcol correlati e complessi ed un servitore-insegnante, una parte della comunità territoriale.

Una Comunità aperta e proiettata nella normalità dei contesti di vita e di lavoro; ecologica, che si riconosce come parte di una comunità più ampia; solidale, dove si può cambiare insieme ; per tutti, perché non fa selezioni sociali, politiche, religiose o razziali e competente, perché non rinuncia, ma propone uno stile di vita sano ed è portatrice di una proposta culturale nuova che interessa tutta la comunità locale.

In tale contesto il servitore- insegnante con le sue attività stimola la comunicazione e l’interazione tra i membri dei club e la comunità locale dove avviene il cambiamento e dove i membri dovrebbero trovare quanti più possibili agganci e legami umani migliorando la propria comunicazione con la comunità”.

Cerca, inoltre, di disincentivare le attività limitate e chiuse nel club che potrebbero portare all’alienazione; favorisce l’accoglienza delle differenze degli stili di vita e dei valori di ciascuno, rispettando l’autonomia delle scelte ed i tempi di ognuno; rispetta e favorisce il rispetto per i sentimenti di ciascuno.

Il primo Club nasce a Delnice in Croazia nel 1964. I Club in Yugoslavia si svilupperanno fino a superare il numero di 2000, per diminuire rapidamente durante il terribile conflitto (1991-1995) nella ex Jugoslavia. Nel 1979 viene fondato a Trieste il primo Club in Italia. Nel 2014: I Club in Italia sono quasi 2000 distribuiti in tutte le Regioni Italiane, contano più di 20.000 famiglie. I Club si sviluppano in diversi stati (Russia, India, Grecia, Brasile, ecc.), tanto da far nascere una associazione che li rappresenta a livello mondiale: la WACAT, presente in 38 paesi del mondo.

Un approccio, quello Ecologico Sociale, scientifico e di comunità necessario per affrontare problematiche complesse e ad alta incidenza e prevalenza. Un approccio semplice ed altamente replicabile, non costoso (il sistema dei club si sviluppa su base volontaria), ed in continua interconnessione e collaborazione con il sistema pubblico e con tutti i nodi-risorsa della rete di una società per proteggere e promuovere la salute. Un approccio che ha dato risultati positivi nel 65-80% dei casi ( Studio Valcat, 2014) (6).

L’obiettivo del metodo è perseguire il cambiamento, in particolare quello dei comportamenti e degli stili di vita, ma anche della cultura sociale e degli equilibri ecologici della comunità partendo da un’appartenenza, dalla cultura e dalle tradizioni del gruppo in cui ci si riconosce per introdurre l’innovazione ed una rottura rispetto al passato. Da un punto di vista metodologico, Hudolin procede con l’evoluzione dei concetti del suo metodo considerando sempre i contesti storici e culturali in cui opera. Rispetto ai termini “Alcolismo”, “dipendenza” e “trattamento”, esprime delle forti critiche, ma continua ad usarli perché i tempi non erano maturi e ancora oggi , a dimostrazione di ciò, nella cultura dominante si usano anche se la comunità scientifica li ha superati. Il DSM-5 (2013) (7) infatti recepisce il concetto di continuum portando dei cambiamenti sostanziali:

  • viene meno la distinzione fra abuso e dipendenza, categorie che scompaiono totalmente. In particolare viene specificato che la parola dipendenza è omessa “per l’incerta definizione e la connotazione potenzialmente negativa” (DSM5, p.568 Di Mattei et al.)
  • introduce un unico Disturbo da Uso di Alcol (AUDs) misurato su un continuum di severità, sulla base del numero dei criteri presenti tra 11: Lieve (2-3), Moderato (4-5), Severo (6 o più);
  • scompare il criterio riguardante i problemi legali ricorrenti, a causa della difficile applicazione a livello internazionale e viene aggiunto il craving (forte desiderio).

È proprio nella logica della continuità culturale con ciò che ha lasciato il professor Hudolin che i Club nel 2010, in occasione del Congresso nazionale AICAT di Paestum, dopo una consultazione e innumerevoli discussioni e confronti a livello nazionale e locale, scelgono attraverso un nuovo nome di qualificarsi meglio come risorsa della e nella comunità per cambiare la cultura sociale rispetto all’uso di alcolici per promuovere stili di vita sani per tutta la popolazione. La maggior parte dei Club, circa il 70%, decide quindi di abbandonare la vecchia e storica definizione di “Club degli Alcolisti in Trattamento” per chiamarsi “Club Alcologici Territoriali”. Tale cambiamento ha sancito alcuni passaggi significativi. I membri di Club hanno deciso di cambiare, nel solco tracciato da Hudolin, parallelamente con il cambiamento culturale scientifico e della comunità proprio perché ne fanno parte integrante. Dopo aver contribuito a ridurre i consumi di alcol in Italia di oltre il 25% entro il 2000, così come auspicato dall’OMS, effettuando un lavoro con i bevitori più problematici, i Club stanno cercando di intervenire nella comunità prima possibile sottolineando il concetto di “rischio” legato all’uso dell’alcol indipendentemente dalla quantità. Solo lavorando in maniera preventiva si possono coinvolgere le famiglie ed i giovani, la parte della popolazione che sta incrementando i consumi.

Il cambio del nome ha permesso al mondo dei Club di fare la prima esperienza di cambiamento dopo la morte di Hudolin seguendo un percorso orizzontale, democratico e partecipativo, cercando di affrancarsi dal “padre” che in vita di solito tracciava la linea.

I percorsi intrapresi da Basaglia e da Hudolin convergono verso comunità che pongono l’enfasi sulle persone e sulle famiglie e non su delle etichette, sui loro bisogni, sul lavoro, sulla casa, sul reddito, sulla qualità della vita, sulle relazioni, secondo le indicazioni dell'OMS.

Benedetto Saraceno, direttore dal 1999 al 2010 del Dipartimento di Salute mentale e dei problemi legati all’uso di sostanze per l’OMS, dall’alto del suo osservatorio mondiale, nella pubblicazione “Sulla povertà della psichiatria” fa delle riflessioni sul rapporto che c’è fra povertà e sofferenza psichica. Descrive come nei paesi poveri l’aspettativa di vita è ridotta, ma anche nei paesi ricchi i poveri vivono meno e sono più a rischio di sviluppare sofferenze rispetto alla salute mentale ed all’utilizzo di alcol e sostanze. Stabilito che ci si ammala di più in povertà, il dato che riporta Saraceno è che nei paesi poveri il settanta per cento dei disturbi psichici non riceve una cura, ma anche nei paesi ricchi la percentuale non è molto migiore, perché è il cinquanta per cento che non viene curato. Il dato interessante è che quando le persone ricevono cure psichiatriche, sia nei paesi ricchi che nei paesi poveri, queste, soprattutto per i casi più gravi, spesso sono trattamenti lesivi di diritti e dignità. Le comunità con maggior difficoltà ad includere sono quelle delle grandi città. Le grandi città sono degli acceleratori di contraddizioni. I giovani marginali, le persone con disturbi psichici e con problemi legati all’uso di sostanze e di alcol e gli immigrati accelerano le contraddizioni e rappresentano gli esclusi dalla città. Come fare per includerli? Bisogna domandarsi, scrive Saraceno, se un soggetto debole, per poter rientrare nella negoziazione, ovvero nel luogo dello scambio, debba diventare per forza obbligatoriamente forte, oppure può riuscirci anche da una posizione di debolezza. Uno dei miti della riabilitazione psichiatrica è l’autonomia, la persona che riesce a conseguire l’autonomia viene premiato. E chi non ce la fa? Saraceno propone un diverso modello di riabilitazione, in cui l’obiettivo non sia l’autonomia, ma la partecipazione, non far sì che i deboli diventino forti e autonomi, ma che i deboli possano stare insieme ai forti da deboli. Propone che si possa costruire l’inclusione sociale dei deboli partendo dall’abitare (non un posto dove dormire ma una casa), dalla possibilità di scambiare le identitàrelazionandosi con gli altri, e dal lavoro come mezzo di guadagno, di sostentamento, di autorealizzazione. In questa direzione dovrebbero essere indirizzate le risorse umane e finanziarie delle nostre comunità (a questa prospettiva questa Rivista ha dedicato alcuni numeri monografici). Tale cambio di direzione può partire da ognuno di noi.

La prospettiva è quella di provare tutti ad essere ecologici, riflettendo sul nostro modo di pensare e di sentirci dentro la realtà e cambiando conseguentemente anche le nostre pratiche quotidiane e professionali, consapevoli delle difficoltà.

Vivere in una comunità con uno spirito ecologico è un modo diverso di stare al mondo ed un superamento della condizione egocentrica, dove non ci si può accontentare di avere raggiunto un equilibrio permanente (9). L’equilibrio non è mai raggiunto, in quanto è costante ed inesauribile oscillazione dinamica, sottoposto alle imprevedibili perturbazioni ambientali ed esistenziali e non può essere definito statico. Una comunità che include, che accoglie le differenze come risorsa e che mette in relazione esseri umani produrrà più benessere e salute.

Le problematiche vengono affrontate nei luoghi e nelle relazioni nelle quali nascono e si strutturano. In una comunità ecologica nessuno può sottrarsi al coinvolgimento, alla corresponsabilità ed all’interdipendenza. Senza tali principi etici non ci potrà essere un possibile sviluppo verso un futuro di eguaglianza e di giustizia sociale.


Bibliografia

1) Basaglia e le Metamorfosi della Psichiatria (Piero Cipriano), Ed. elèuthera editrice, 2018.

2) Il metodo Hudolin: lo sviluppo di una rivoluzione scientifica (a cura di G. Carcangiu), edizioni teorema uno, Senorbì (CA), 2013.

3) Manuale di Alcologia (Vladimir Hudolin)- Edizione critica a cura dell’AICAT (gruppo di lavoro: G. Corlito (coordinatore), G. Aquilino, A. Baselice, D.), Ed. Centro Studi Erickson S.p.A, Trento, 2015.

4) Famiglia, territorio e salute mentale. (V. Hudolin), ACAT S.D. del Friuli ed. Udine, 1985.

5) Alcologia e salute mentale. Le situazioni multiproblematiche secondo l’approccio ecologico-sociale. (a cura di G. Corlito), Ed. Erickson, Gardolo (TN), 2006.

6) Lo studio VALCAT: valutazione a lungo termine dei Club degli Alcolisti in Trattamento (oggi Club Alcologici Territoriali). Corlito G, Piani F, Morosini P, Cernuto F, Toniutti L.; Alcologia. 2014.

7) American Psychiatric Association, DSM -5, Washington, 2013.

8) Sulla povertà della psichiatria, (Saraceno B.), Derive Approdi, Roma, 2017.

9) Sulla Ecologia Integrale- Riflessioni (C. Zorzi, V. Cerrato, F. Marcomini), Proget Type Studio, stampa: Nuova GRAFOTECNICA, Padova, 2018.

10) Il sogno della città che cura, (Rotelli F.), “Animazione sociale”, n.299, 2016.

11) L’istituzione inventata, (Rotelli F.), Alpha Beta, Merano, 2015.

12) Navigare nei mari della salute mentale, (Saraceno B.), “Animazione sociale”, 314, 2017.

13) Psichiatria Alcologia riabilitazione (a cura di V.Hudolin, G. Corlito), Ed. Centro studi Erickson, Trento, 1997.

14) Sofferenza Multidimensionale della Famiglia (Vladimir Hudolin),Ed.