Volume 23 - 10 Maggio 2022

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SPDC e un anno di SARS-COV2: Che cosa abbiamo imparato?

Autori

Ricevuto il 2 aprile 2021 – Accettato il 30 aprile 2021



Riassunto

Nell'articolo viene descritto l'impatto che la pandemia da Covid 19 ha avuto nel SPDC di Ravenna che è un reparto nel quale non si ricorre alla contenzione meccanica. Le indicazioni del Ministero della Salute dell'aprile 2020 per le persone con disturbi mentali (in fase di scompenso o in fase di remissione) e sintomi da COVID non è stata agevole e in alcuni casi impossibile per motivi strutturali, clinici e organizzativi. Ciò è valido anche per gli incontri con i familiari e la continuità terapeutica con gli altri servizi del DSMDP. Descriviamo come inizialmente, per i pochi casi di positività al COVID presenti tra i degenti in SPDC, sia stato possibile l'integrazione con il reparto di malattie infettive. Con l'aumentare dei casi di positività si è dovuto creare un'ala, all'interno del SPDC, di persone COVID positive. Nell'articolo viene descritto l'impatto che ciò ha determinato non solo sull'organizzazione ma anche sulle relazioni, sul clima di reparto e sui piani di trattamento e sugli interventi messi in atto per fronteggiare le criticità emerse.


Abstract

The article describes the impact that the Covid 19 pandemic has had in the SPDC of Ravenna which is a no-restraint department. The indications of the Ministry of Health of April 2020 for people with mental disorders (in the phase of decompensation or in the phase of remission) and COVID infection has not been easily performing and in some cases impossible for structural, clinical and organizational reasons.
This is also valid for family members illness management and therapeutic continuity with the other services of the DSMDP. We describe how initially, for the few cases of COVID positivity present among the patients in SPDC, it was possible to integrate with the infectious diseases department.With the increase in cases of positive patients, an area of COVID had to be created within the SPDC. The article describes the impact on the organization,relationships, ward climate and on the treatment plans and interventions implemented to face the critical issues that have emerged.



Da oltre un anno la popolazione e i servizi sanitari si stanno confrontando con una pandemia che ha modificato non solo i nostri stili di vita ma anche la modalità di erogazione/fruizione dei servizi sanitari. Diversi sono stati gli studi che hanno valutato l’impatto che le misure adottate hanno determinato anche in termini di costi/benefici e i risultati non sono univoci. Forse dovremmo aspettare un tempo maggiore per avere dati più attendibili ma è innegabile che sono avvenuti diversi cambiamenti. Ciò è avvenuto anche per la salute mentale e dopo un anno dal lockdown è possibile fare alcune riflessioni.

Il nostro contributo ha per oggetto l’SPDC che è uno dei luoghi di cura a maggiore criticità non solo clinica. Infatti negli SPDC non è sempre agevole coniugare il percorso di cura con la dignità e la tutela dei diritti individuali, con il mandato sociale e di controllo/vigilanza/tutela sintetizzato nel concetto giuridico di posizione di garanzia. È comunque più semplice, e allo stesso tempo deresponsabilizzante, esercitare il controllo del comportamento con interventi non sanitari ricorrendo, ad esempio, alla contenzione, piuttosto che mettere in atto interventi terapeutici/assistenziali. Purtroppo la nostra posizione non è condivisa da tutti e diversi operatori della salute mentale ritengono ineludile e necessario il ricorso alla contenzione.

Se ciò avviene ordinariamente figuriamoci cosa possa accadere in tempi di pandemia e di restrizione delle libertà individuali, in particolare se la persona che presenta una riacutizzazione psicopatologica con comportamenti disfunzionali/disorganizzati sia anche covid positiva.

Fin dall’aprile 2020 una circolare del Ministero della Salute, il cui allegato è intitolato “indicazioni emergenziali per le attività assistenziali e le misure di prevenzione e controllo nei dipartimenti di salute mentale e nei servizi di neuropsichiatria infantile dell’infanzia e dell’adolescenza”, ha dato linee di indirizzo per la gestione della pandemia nei DSMDP.

Relativamente agli SPDC, oltre a una limitazione ai ricoveri solo “ai casi urgenti ed indifferibili e ai TSO”, vengono date anche istruzioni di tipo assistenziale/gestionale (approccio ala persona aggressiva, limitazioni accesso ai visitatori, attività di informazione, sorveglianza sanitaria, comunicazione interna ed esterna).

Per quello che riguarda i ricoveri viene stabilito che “I pazienti con disturbi psichiatrici attivi e sintomi COVID 19 devono essere ricoverati in camere dedicate nei reparti internistici/infettivologici COVID 19 con la presenza di un’equipe psichiatrica che monitorizzi quotidianamente il quadro psicopatologico”. In caso di “scompenso psichiatrico acuto” in persona positiva ma asintomatica o pucisintomatica, la degenza può avvenire in SPDC solo se è possibile un totale isolamento del paziente altrimenti “il paziente va inserito in area internistica/infettivologica COVID 19 garantendo consulenza e assistenza psichiatrica”. Se la persona positiva ricoverata in SPDC diventa sintomatica “con peggioramento sintomatologico il ricovero va eseguito in area internistica/infettivologica … con presenza flessibile di personale garantito dalle UO di Psichiatria (psichiatri e infermieri)”.

L’applicazione di queste indicazioni non è stata sempre agevole e in alcuni casi impossibile per motivi sintetizzabili in strutturali (ad es. non tutti gli SPDC hanno spazi adeguati), clinici (ad es. non è agevole l’isolamento di persone con disturbi comportamentali) organizzativi (ad es. non tutti gli SPDC sono integrati negli ospedali organizzativamente e/o funzionalmente). Ma non va dimenticato l’influenza del pregiudizio nei confronti delle persone con disturbi psichici, tuttora presente, per il quale queste sono considerate sempre e comunque “di competenza psichiatrica” negando a loro, o rendendo estremamente difficoltoso, il percorso di cura che per gli altri cittadini è un diritto. A ciò contribuisce comunque anche un atteggiamento della psichiatria.

Anche le indicazioni relative alla visite dei familiari e alla gestione dei permessi sono state di difficile applicazione. Ad esempio come è possibile valutare una dimissione senza il coinvolgimento del contesto familiare e/o senza aver valutato l’esito di permessi esterni in particolare per ricoveri dovuti a comportamenti etero od autoaggressivi?

Fino alla fine di dicembre del 2020 siano stati in grado di gestire i pochi casi di positività al covid (otto tutti asintomatici) con una collaborazione con l’ospedale generale utilizzando, per garantire l’isolamento, la cella detenuti del reparto di malattie infettive. La persona, mantenendo la cartella del SPDC, veniva alloggiata nella cella e, nelle situazioni più complesse, il SPDC forniva anche l’assistenza dedicando una unità. Ciò ha permesso di mantenere inalterata la qualità dell’assistenza. Infatti i positivi anziché rimanere confinati da soli in una stanza con porta chiusa, hanno potuto rapportarsi con il personale anche attraverso il vetro che delimita la parete della cella.

A novembre 2020 i medici del SPDC hanno iniziato ad eseguire un turno settimanale presso il reparto Covid dell’ospedale, turni ancora in essere. Ciò ci ha permesso di acquisire maggiori competenze per il trattamento delle persone sintomatiche.

A fine dicembre 2020 quattro persone, ricoverate da tempo, sono risultate contemporaneamente positive al test antigenico. La cella penitenziaria può accogliere fino a due persone. Immediatamente due persone (una disabile intellettiva con disturbi comportamentali, una con un disturbo delle condotte alimentari che si alimentava con un sondino nasogastrico che tendeva a sfilarsi) sono state trasferite nella cella con assistenza continua da parte del personale del SPDC. Per le altre due persone si è cercato di isolare un’area del reparto in modo tale da garantire la sicurezza per gli altri degenti creando un percorso sporco/pulito di fortuna essendo delimitato da arredi e spiegando agli altri degenti di non oltrepassare tali barriere. Si sono poi individuati gli operatori che dovevano fornire assistenza ai positivi.

Sono emerse immediatamente diverse criticità.

Per le persone nella cella si sono resi necessari interventi all’interno della stessa con scarsa sicurezza per l’operatore che era solo, per i ricoverati in SPDC non era sempre possibile mantenere l’isolamento e gli altri degenti non sempre rispettavano le indicazioni. Anche per gli operatori non era sempre possibile garantire il rispetto delle zone pulito/sporco, più volte si sono osservati errori nelle procedure di vestizione/svestizione, la suddivisione del personale per tre gruppi di assistiti (positivi in cella, positivi e negativi in SPDC) non garantiva una assistenza adeguata e sicura per nessuno.

Pertanto nell’arco di pochi giorni, dato che la struttura del reparto lo permetteva, si è deciso di creare, in accordo con la Direzione di Presidio e Aziendale, un’area covid isolata dal resto della degenza da una parete di cartongesso con porta e visibile dalla guardiola per la presenza di una vetrata. Una volta presa la decisione l’area covid è stata creata in otto ore: sono stati modificati i piani di evacuazione, e creata una guardiola infermieristica covid, sono stati adeguati gli impianti (ad esempio linea cardioline in area codiv). Così da 20 posti letto se ne sono creati 5 covid e 8 ordinari. E i posti covid sono stati messi a disposizione per tutti gli ambiti territoriali della AUSL della Romagna ricoverando poi persone anche da altri ambiti territoriali.

La decisione di creare un’area covid ha avuto diversi aspetti positivi: a) è un’area isolata dal resto del spdc dotata di un accesso esterno utilizzabile dall’ambulanza come percorso dedicato b) è stato possibile creare una zona fumo all’esterno del reparto, c) essendo la struttura a piano terra i familiari potevano visitare i degenti avendo come barriera le finestre delle stanze d) i degenti potevano liberamente muoversi all’interno dell’area covid utilizzando l’ampio corridoio anche come area ricreativa e) erano definiti in modo chiaro i percorsi pulito/sporco f) erano garantite le norme di sicurezza per la vestizione/svestizione, g) i due infermieri dedicati all’area covid indossavano i meccanismi di protezione per tutto il turno evitando diverse manovre di vestizione/svestizione h) è stato possibile far utilizzare alle persone strumenti atti a ridurre lo stress o a gestire la rabbia (per una persona in tso i familiari hanno portato in reparto una ciclette) i) ad una persona è stato eseguito un tso e l’intervento della Polizia Locale è potuto avvenire in sicurezza.

Ma la creazione di un’area covid e la tempistica delle decisioni hanno avuto un forte impatto non solo sulla organizzazione ma anche sulle relazioni e sul clima di reparto. Il dover prendere decisioni in modo tempestivo ha privilegiato l’uso di metodiche top down e diversi operatori hanno appreso della decisione e della sua realizzazione solo nel momento in cui sono venuti al lavoro. Ciò ha determinato una serie di ripercussioni emotive anche importanti che hanno richiesto diversi interventi di sostegno/supporto, chiarificazione e azioni formative sia individuali che di gruppo. Si sono osservati comportamenti panici, discussioni basate sulla emotività, aggressività e rabbia nei confronti dei decisori, paure irrazionali come il timore di contaminarsi non solo con il droplet ma anche con il ricambio dell’aria.

Tali reazioni si sono poi superate anche con una formazione intensiva da parte della Direzione di Presidio e del servizio di igiene ospedaliera che ha permesso sia il superamento delle criticità rilevate rispetto alle competenze igienico sanitarie sia spiegando i motivi alla base della tempestiva decisione sia dando supporto emotivo agli operatori. È emerso che il principale timore degli operatori non era tanto quello di contaminarsi ma di poter contaminare i propri familiari.

Dato che le notti e i festivi vengono eseguite da tutti gli psichiatri del DSMDP, per ridurre il numero di persone potenzialmente esposte al contagio, abbiamo chiesto se c’erano volontari per eseguire turni di guardia in simil alpi in rotazione con i colleghi del SPDC ma non è giunta alcuna disponibilità. Pertanto si è deciso, rispettando le attuali normative, di aumentare il numero di notti eseguite dai medici di reparto e anche questa decisione ha comportato dei malumori nel gruppo di lavoro.

Infine per tutti gli operatori del SPDC e per i medici del CSM, abbiamo poi dovuto, attraverso il medico competente, richiedere l’idoneità a svolgere il turno in un reparto covid (un medico è stato temporaneamente sospeso e due infermieri non sono risultati idonei).

Vi sono stati fino a sei degenti e dopo circa due settimane l’area covid è stata chiusa ma abbiamo lasciato immodificata la struttura rimuovendo però la porta di accesso. Successivamente l’area covid è stata riattivata altre due volte. Ma, nonostante la riapertura è avvenuta in urgenza con meccanismi simili alla prima volta, non si sono più osservati, negli operatori, le reazioni precedentemente descritte. Anzi si è osservato una maggiore competenza e una maggiore sicurezza nella messa in atto di comportamenti di gestione del rischio infettivologico e una maggiore “confidenza” nella messa in atto dei piani assistenziali in persone covid positive.

Cosa abbiamo imparato da questa esperienza?

a) L’importanza degli spazi.

Che un SPDC debba avere spazi adeguati e una architettura gradevole è sempre una conditio sine qua non. Il comfort e la dignità degli spazi hanno significative ripercussioni sia per i percorsi di cura ma che per la gestione dell’aggressività. Gli SPDC dovrebbero essere a piano terra, avere diverse stanze singole, avere spazi ampi, aree comuni (soggiorno, mensa), spazi verdi fruibili, un alto livello di manutenzione e di pulizia. Ciò non solo per la gestione dell’aggressività ma anche perché è un dovere fornire spazi dignitosi alle persone che talvolta sono obbligate a curarsi. Voi accettereste di essere obbligatoriamente curati in un reparto scrostato, poco pulito, in stanza doppia o tripla, senza possibilità di poter uscire in uno spazio esterno, di dover sopportare comportamenti disfunzionali di altre persone perché non è possibile avere spazi alternativi a disposizione? Oltretutto per come sono strutturati la maggior parte degli SPDC non è neanche possibile l’applicazione delle elementari norme di gestione del rischio infettivologico.

Fortunatamente, per come è stato costruito e per gli spazi a disposizione, il nostro reparto ci permette di eseguire i tamponi prima dell’ingresso (l’area di accettazione è separata dalla degenza), le sei stanze singole ci hanno permesso di eseguire isolamenti temporanei senza riduzione dei posti letto, l’ampia sala tv e l’ampia mensa ci hanno permesso di mantenere aree di comfort e socializzazione nel rispetto delle norme anticovid senza confinare in camera le persone. Fondamentale è stata pure la possibililità di utilizzare spazi esterni (giardino) come pure, per la presenza di finestre al piano terra, di poter vedere i propri familiari anche in caso di isolamento infettivologico. Ciò ci ha permesso di non utilizzare i farmaci in modo incongruo e continuare a non legare a letto le persone per i loro comportamenti. È purtroppo noto che in alcune regioni è stato indicato l’uso della sedazione e della contenzione per gestire i disturbi comportamentali. I ricoveri, infatti, avvengono molte volte per la presenza di comportamentali disorganizzati/disfunzionali ed è estremamente difficile, se non impossibile, che la persona rimanga volontariamente confinata in una stanza.

b) fare di un problema una opportunità

Siamo stati in grado di trasformare un problema (presenza contemporanea di più positivi) in una opportunità (creazione di un’area covid a valenza dipartimentale). Non è stato semplice e abbiamo dovuto eseguire azioni non solo formative ma anche di supporto emotivo. Solo con il passare del tempo si è compreso che ci sono momenti in cui le decisioni devono essere tempestive e top down.

c) le competenze si strutturano anche attraverso la “confidenza” rispetto ad un problema.

Sebbene questa considerazione sia ovvia, è importante comunque sottolinearla. Il cambiamento diventa routine solo quando viene “metabolizzato” anche con un addestramento in vivo. E aumentando le competenze si riduce il rischio. Questa “confidenza” ci ha permesso poi di riaprire in poche ore un’area covid con passaggi ormai codificati e ritenuti semplici. Certo che il personale deve essere in numero sufficiente ma è anche importante, oltre al numero, la competenza.

e) come nell’ospedale generale, gli SPDC possono ricoverare persone covid positive solo se hanno aree strutturalmente adatte e separate dal resto della degenza.

La nostra esperienza è successiva rispetto a quella di altre zone d’Italia ma conferma che nei reparti in cui non vi sia una netta separazione tra positivi e non, aumenta il rischio di contaminazione. Come pure che la gestione di pochi casi non genera le competenze necessarie per una corretta gestione del rischio infettivo.


Bibliografia

Circolare del Ministero della Salute del 23 aprile 2020

https://siep.it/istruzioni-operative-siep/

https://www.psichiatria.it/stampa/coronavirus-e-salute-mentale-gli-psichiatri-pazienti-con-disturbi-mentali-e-operatori-vanno-tutelati-rischio-polveriera-come-rsa/